Demansionamento, inattività e danno alla salute

 

Trib. Roma, sez. lav., 12 ottobre 2004 – Giud. Di Sario – De Blasis c. Coni e Uits

 

Demansionamento sfociato in inattività - Risarcimento del danno alla professionalità - Spettanza - Riscontro di danno alla salute da parte di Ctu - Danno biologico - Spettanza.

 

Ritiene questo giudice, esaminando le numerose pronunce intervenute negli ultimi anni in materia solo in parte richiamate, che ormai possa ritenersi acquisito il principio secondo cui la negazione o l'impedimento allo svolgimento delle mansioni al pari del demansionamento professionale, ridondano anche in lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di lavoro determina un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell'interessato. Pertanto in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice può desumere l'esistenza del relativo danno in base agli elementi di fatto relativi alla durata della qualificazione e delle altre circostanze del caso concreto, potendo procedere ad una autonoma valutazione equitativa del danno dovendosi, per converso, ritenere contraria a diritto un'eventuale decisione di "non liquet", fondata sull'asserita inadeguatezza dei criteri indicati o sulla pretesa impossibilità di individuarne alcuno, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente acclarato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità di una richiesta risarcitoria relativa ad una "certa res lesiva" (Cass. n. 8217\04).

Di fatto, accertata la condotta illecita, è doveroso procedere ad una liquidazione equitativa del danno facendo riferimento a presunzioni che tengano conto delle circostanze del caso concreto e così garantendo un minimum di risarcimento a fronte di un’acclarata situazione di illegittimità, utilizzando quale parametro per detta liquidazione l'entita' della retribuzione risultante dalle buste - paga prodotte in giudizio. Oltre detto “minimum” il lavoratore che richieda la liquidazione di ulteriori voci risarcitorie o comunque lamenti un maggior danno ha l’onere di allegare e provare circostanze ulteriori rispetto alla durata ed all’entità del demansionamento, conformemente ai principi generali sanciti dal codice civili (artt. 1218, 1223,1225,1226 e 1227), che altrimenti verrebbero integralmente travolti.

Con riferimento al caso di specie è con certezza dimostrato che è stato operato a danno della De Blasis un illegittimo demansionamento connotato da totale negazione delle mansioni e dall’affidamento di compiti non rispondenti alla qualifica di appartenenza ed alla complessiva professionalità della medesima in precedenza maturata.

Ritiene questo giudice di utilizzare quale parametro equitativo una percentuale della retribuzione mensile che, valutati tutti gli elementi della fattispecie sopra richiamati ed anche considerata l’accertata scarsa collaborazione della ricorrente a svolgere i modesti ed occasionali incarichi affidatile (ed in un’occasione anche l’espresso rifiuto), si stima equo determinare nella misura dell’80%, comunque considerate la gravità, la durata e l’entità del demansionamento che il comportamento della ricorrente non priva certo del carattere di illiceità, ma necessariamente assume in parte rilievo ex art. 1227 c.c. nella quantificazione del danno.

Ne consegue che a titolo di risarcimento al danno alla professionalità spetta alla De Blasis la complessiva somma di € 28.742,56 (€ 1306,48 x 22 mesi) oltre rivalutazione monetaria ed interessi dal giugno 1998 al soddisfo.

Compete, altresì, alla ricorrente il risarcimento del danno biologico da invalidità permanente nella misura del 15% determinata dal CTU in presenza  di cronico “disturbo post-traumatico da stress con disturbo dell’adattamento” nonché  di una una i.t.a. di  gg. 60 ed una i.t.p. al 50% di gg. 90, il tutto liquidato in via equitativa nella somma di € 22.386,00, calcolando €.39,00 per ogni giorno d'inabilità temporanea totale ed € 19,50 per ogni giorno d’inabilità temporanea parziale, tenendo conto della natura, entità e durata della malattia, nonché dell'entità dei residuati e dell'età della ricorrente al momento in cui è iniziata la condotta illecita, con spettanza sulla somma di interessi e rivalutazione monetaria dall'epoca dell'insorgenza  della patologia (1998) alla data del soddisfo.

 

Svolgimento del processo

Con ricorso ritualmente notificato De Blasis Laura conveniva in giudizio il CONI e la UITS chiedendo al giudice di confermare il provvedimento ex art. 700 c.p.c. emesso in data 8\4\00; di condannare le convenute ad adibire essa ricorrente all’attività lavorativa con le mansioni proprie della qualifica di quadro e comunque confacenti alla professionalità acquisita; di ordinare alle convenute di assegnare ad essa ricorrente una propria stanza con propria linea telefonica; di condannare le convenute  al risarcimento dei danni per la dequalificazione e per l’emarginazione inflittele , per la perdita della professionalità, per lucro cessante da perdita di emolumenti percepiti sino al giugno 1998 e per le modalità ingiuriose adottate, danni quantificati nel complessivo importo di € 500.056.459 o nel diverso importo ritenuto di giustizia; di condannare la convenute al risarcimento del danno alla salute da quantificare nella somma di € 300.000.000; di accertare e dichiarare la nullità e\o illegittimità ed annullare la sanzione irrogata con provvedimento del 16\9\98 con condanna del Coni a corrispondere l’importo di € 608.104; di accertare e dichiarare la nullità e\o l’illegittimità ed annullare le sanzioni disciplinari della diffida e della censura irrogate con provvedimento del 3\3\99, vinte comunque le spese di lite.

A sostegno della domanda la ricorrente esponeva: che era dipendente del CONI dall’1\7\74 con qualifica di “quadro” a decorrere dal 1995; che dall’1\10\96 era stata trasferita d’ufficio per asserita incompatibilità ambientale presso la UITS cui era ancora attualmente addetta; che dal giugno 1998, dopo essere stata formalmente preposta dapprima al settore Stampa e Promozione e, successivamente, all’Ufficio Normativo, era stata privata di ogni incarico e lasciata in uno stato di pressoché totale inoperosità ed emarginazione anche logistica; che in particolare non le era stato assegnato alcun settore di specifica competenza e responsabilità, né era stata incaricata di provvedere al coordinamento di altro personale; che dal gennaio 1999 alla data del ricorso le erano stati affidati esclusivamente tre incarichi (scarico fatture, compilazione di un questionario, raccolta dati sulla situazione UITS) del tutto disomogenei tra loro, implicanti un impegno limitato nel tempo e, comunque, non confacenti all’inquadramento ed alla professionalità acquisiti; che dal gennaio 1999, inoltre, a differenza degli altri impiegati UITS, era stata sistematicamente esclusa dai turni di lavoro straordinario, nonché da quelli pomeridiani e festivi, con evidente pregiudizio economico; che in relazione a dette circostanze era stata colpita da una grave sindrome depressiva-reattiva per la quale era ancora sottoposta a cure specialistiche; che nel novembre 1998, mentre era assente dal servizio per sindrome depressiva, era stata sottoposta a procedimento disciplinare conclusosi in data 3\3\99 con l’irrogazione delle sanzioni della censura e della diffida per asserite irregolarità commesse nel dicembre 1997 nonché nel periodo agosto-settembre 1998 per dedotta mancata reperibilità nelle fasce orarie deputate ai controlli medici durante la malattia e per asserita mancata comunicazione della variazione del domicilio durante la morbilità; che con provvedimento ex art. 700 c.p.c., accertate la dequalificazione ed il pregiudizio alla salute subiti, era stato ordinato alle convenute di “adibire essa ricorrente a mansioni equivalenti alla qualifica di quadro”. Ciò premesso la ricorrente, ricostruiva dettagliatamente la propria storia lavorativa a decorrere dal 1984, descrivendo il demansionamento subito, lamentava la violazione dell’art. 2103 c.c. , contestava la sanzione applicata con provvedimento del 16\9\98 e le sanzioni disciplinari applicatele con provvedimento del 3\3\99, elencava molteplici voci di danno patito in conseguenza dei comportamenti descritti (danno da dequalificazione distinto in danno “evento” o “danno in sé”, danno da perdita di professionalità, danno da lucro cessante per la perdita di emolumenti goduti sino al giugno 1998, danno da comportamento ingiurioso, danno alla salute) e rassegnava le conclusioni sopra trascritte.

Fissata l’udienza di discussione si costituivano separatamente in giudizio il CONI e la UITS-Unione Italiana Tiro a Segno deducendo che il provvedimento cautelare era stato revocato in sede di reclamo e contestando il ricorso di cui chiedevano il rigetto, negando l’esistenza del dedotto demansionamento ed assumendo che la lamentata, ma contestata inattività era addebitabile esclusivamente alla De Blasis, dipendente che aveva sempre creato problemi nei vari settori ai quali era stata addetta, rifiutandosi anche di svolgere gli incarichi affidatile.

Sentiti personalmente la ricorrente ed il procuratore del CONI, acquisita la numerosa documentazione allegata al fascicolo e prodotta in corso di causa dalla ricorrente, escussi i testi indotti, autorizzato il deposito di note, ammessa ed espletata ctu medico-legale, acquisiti chiarimenti dal ctu con note suppletive, la causa veniva discussa e decisa come da separato dispositivo pubblicamente letto.

Nelle more del giudizio il difensore dei convenuti rinunciava al mandato e solo per il CONI interveniva la costituzione di nuovo difensore indicato nel dispositivo.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e deve essere accolto nei limiti di seguito esposti, provvedendosi a distinguere nella motivazione che segue le domande relative al denunciato demansionamento ed alle sue conseguenze dalle domande di impugnazione dei provvedimenti del 16\9\98 e del 3\3\99.

DEMANSIONAMENTO

Le molteplici allegazioni di fatto, accompagnate da una poderosa produzione documentale, impongono necessariamente una ricostruzione dei fatti rilevanti con eliminazione delle circostanze ininfluenti rispetto all’oggetto di causa ed alla decisione.

Per come emerge dalla lettura complessiva dell’atto introduttivo e delle conclusioni, la domanda ha ad oggetto il demansionamento patito dalla ricorrente a decorrere dal giugno 1998, pertanto appare evidente l’estraneità al presente giudizio dei fatti anteriori a tale data, salvo alcuni riferimenti necessari a meglio inquadrare il contesto in cui la dequalificazione è intervenuta e la rilevanza ed entità della stessa.

Pertanto, salvi i predetti riferimenti, le vicende lavorative della ricorrente anteriori al suo trasferimento dal CONI alla UITS, le ragioni di detto trasferimento (“incompatibilità ambientale”) e le circostanze successive a questo ma anteriori al giugno 1998, esulano dal presente accertamento e non possono neppure essere “recuperate” a sostegno delle plurime pretese risarcitorie avanzate.

La De Blasis, dipendente del CONI ed inquadrata dal 1995 nella categoria di “quadro”, con provvedimento dell’1\10\96 è stata trasferita presso la convenuta Unione ed assegnata dapprima al settore Stampa e Promozione come responsabile, provvedendo ad organizzare manifestazioni promozionali e curando le predisposizione delle relative delibere (punto 10 ricorso non contestato); dal dicembre 1997 è stata nominata responsabile dell’Ufficio Normative Tiro a Segno Nazionale, ma trattasi, per come di seguito sarà esposto, di nomina formale, rimasta priva di specifici contenuti e soprattutto non accompagnata dall’assegnazione di mansioni proprie della qualifica posseduta dalla ricorrente.

L’assegnazione della De Blasis all’UITS, e per quanto qui rileva l’assegnazione all’Ufficio Normative, non ha tenuto in alcun conto delle mansioni che la lavoratrice, in ragione del proprio inquadramento, aveva diritto di svolgere, risolvendosi invece in periodi di inattività ed in tre limitati incarichi neppure rispondenti alla qualifica posseduta né ai compiti contemplati dalla declaratoria contrattuale.

Assolutamente significativo per l’accertamento del lamentato demansionamento è innanzitutto il tenore non contestato della lettera del 10\10\96 (doc. 39) indirizzata al Coni con cui la UITS convenuta ha replicato al provvedimento di destinazione presso di essa della De Blasis. In questa lettera si legge: si informa che questa Federazione non necessita di dipendenti dell’8a qualifica funzionale in quanto i vari settori federali dispongono già di sufficiente personale di tale qualifica, e pertanto si pone per la sig.ra De Blasis a disposizione di Codesto servizio del personale. L’Unione è invece carente di personale con qualifica dalla IV alla VI e pertanto si prega di provvedere ad assegnare un elemento  possibilmente pratico di computer.

Maggiormente significativa è la risposta del Coni datata 14\10\96 (doc. 40) nella quale si legge: al riguardo si fa presente che la richiesta fatta per le vie brevi al servizio personale da codesta Unione in occasione del trasferimento alla Fitarco del dipendente Paolocci Marco della 7a qualifica, non precisava minimamente la necessità che venisse assegnato solo personale di 4a,5a o 6a qualifica funzionale. Pertanto si ritiene che con il trasferimento della Sig.ra De Blasis che ricopre l’8a qualifica, si possa far fronte anche alle mansioni di servizio svolte dal dipendente Paolocci della 7a qualifica.

Dalla richiamata corrispondenza appare di tutta evidenza che presso l’UITS non esistevano posizioni lavorative adeguate alla qualifica della ricorrente e soprattutto emerge che il Coni invitava la Federazione ad impiegare la De Blasis in compiti propri di una qualifica inferiore (la 7a) in aperta violazione del disposto dell’art. 2103 c.c.

Il successivo svolgimento dei fatti e l’esperienza lavorativa della De Blasis presso la UITS sono la conferma di una situazione di illegittimità già prospettata all’atto del trasferimento.

La circostanza che presso la convenuta Federazione non vi fosse spazio per la ricorrente stante l’assenza di una posizione lavorativa rispondente alla qualifica da questa posseduta trova riscontro nella deposizione della teste Muzi, la quale, pur riferendo circostanze irrilevanti in questa sede (perché riferite al periodo 1\1-1\7\97, comunque conferma che il settore “stampa e promozione” di fatto era interamente affidato e gestito da un collaboratore esterno Evangelista Maurizio, che in quanto giornalista professionista ne era il responsabile e “mandava avanti il settore stampa”, nonché dall’impiegata Sauro Doriana “la quale teneva in mano lei il settore”; la teste non riesce in concreto a specificare i compiti che la De Blasis era chiamata a svolgere e soprattutto in quali interventi doveva concretarsi il ruolo di “responsabile” affidatole sulla carta. Migliori indicazioni sul punto non sono fornite dal teste Evangelista, che ha reso al riguardo dichiarazioni generiche, riferendo per il resto circostanze relative ad un lasso temporale estraneo al presente accertamento.

E’ logico presumere che in un tale contesto connotato dall’assenza di specifici compiti da affidare alla ricorrente sia maturata la decisione di spostare la stessa al settore “normative tiro a segno” a decorrere dal dicembre 1997 sempre con la formale nomina di “responsabile”.

Anche l’esperienza presso detto settore, però, conferma l’assenza di una specifica posizione da assegnare alla De Blasis per come già prospettato con la comunicazione del 10\10\96 sopra richiamata (il teste Mastropasqua riferisce che: “non esisteva un ufficio specifico della normativa in materia” aggiungendo di non essere “in grado di riferire nel dettaglio l’attività lavorativa della De Blasis”) .

Ed invero con il settore in questione collaborava un ex dirigente del Ministero della Difesa esperto delle normative relative all’uso delle armi e sul funzionamento e sicurezza dei Poligoni di Stato, al quale di fatto era affidata l’intera responsabilità dello stesso, né i convenuti, nelle rispettive memorie di costituzione, chiariscono quale sarebbe stato il ruolo, che in un tale assetto, avrebbe dovuto svolgere la ricorrente e quali sarebbero stati gli specifici compiti, in linea con la declaratoria contrattuale, che la stessa avrebbe dovuto adempiere, limitandosi a generiche deduzioni neppure confermate dall’istruttoria (il teste Mastropasqua riferisce di sue supposizioni non essendo in grado di puntualizzare e fornire riscontri certi perché addetto ad altro settore). In concreto le difese dei convenuti si limitano ad addebitare alla ricorrente numerose assenze per malattia, mancanza di collaborazione e di iniziative, nonché “comportamenti insofferenti rispetto ai compiti assegnatile”, senza però chiarire quali fossero tali compiti e quali iniziative avrebbe dovuto adottare all’interno di una struttura che non necessitava dell’apporto di altro personale, tanto meno di un “quadro”, in cui ogni decisione ed intervento significativo erano rimessi di fatto al consulente esterno, la cui presenza non è stata neppure giustificata come necessaria (non essendo sufficiente il richiamo alla sua passata esperienza presso il Ministero della Difesa).

Per quanto attiene l’anno 1998 risulta che alla De Blasis sono stati affidati solo due occasionali e disomogenei incarichi: uno, nel gennaio, avente ad oggetto la raccolta di dati numerici relativi all’utilizzo dei poligoni nazionali da parte di personale delle Forze Armate e l’altro, nel marzo, relativo alla comunicazione del referente interno alla UITS per le questioni relative all’applicazione della legge sulla privacy. Per il periodo successivo al marzo 1998 la ricorrente lamenta di essere stata lasciata priva di incarichi in stato di totale inoperosità.

Mentre non necessitano di ulteriori accertamenti e valutazioni i predetti due incarichi, perché riferiti ad un periodo estraneo al giudizio, il dedotto totale demansionamento, investendo anche il periodo successivo al giugno 1998, impone delle considerazioni.

Sul punto le memorie di costituzione dei convenuti non contengono specifiche deduzioni e contestazioni, limitandosi, per come già evidenziato, ad addebitare alla De Blasis la lamentata situazione.

Va innanzitutto osservato che l’esperita istruttoria non fornisce alcun puntuale riscontro all’asserito atteggiamento non collaborativo della ricorrente. A prescindere dalla assenze per malattia, documentalmente provate e non contestate, addebitabili, però, per come di seguito sarà esposto, alla situazione di disagio lavorativo, alcuni dei testi escussi nulla riferiscono sul punto (le deposizioni di Muzi, Giacomazza ed Evangelista sono relative ad un periodo anteriore ed estraneo alla domanda) mentre i testi Mastropasqua e Sopranzi si limitano a generiche supposizioni personali sul ruolo lavorativo della ricorrente. Anche per quanto attiene alla teste Caruso, la deposizione resa è assolutamente generica poiché la stessa non lavorava nello stesso settore della ricorrente e l’affermazione che la De Balsis avrebbe in concreto svolto l’attività affidatale, neppure precisata nei suoi effettivi contenuti, è priva di più puntuali e circostanziate indicazioni, che la teste non è stata in grado di fornire proprio perché estranea all’ufficio “normative”. La genericità ed imprecisione di detta deposizione emergono da un esame della documentazione prodotta tra la quale si rinvengono solo pochissime comunicazioni inoltrate alla De Balsis dal Segretario dell’Unione (doc. 192-195) e solo due circolari siglate dalla stessa (doc 170-171) a fronte dei numerosi provvedimenti del consulente esterno Zanca (doc. 55-59, 172-191, 158-169), che confermano il ruolo centrale di quest’ultimo e l’occasionale e limitato supporto che la ricorrente era chiamata a dare.

Deve, pertanto concludersi, con riferimento alla seconda metà dell’anno 1998, che non risultano affidati alla ricorrente incarichi conformi alla declaratoria contrattuale, né che la medesima ha avuto l’opportunità di operare fattivamente all’interno dell’ufficio stante la totalizzante ed assorbente attività del consulente esterno, dovendosi escludersi, per assenza di puntuali riscontri probatori, che una tale situazioni sia addebitabile a comportamenti ostruzionistici e non collaborativi della ricorrente.

Migliori considerazioni non possono farsi per il periodo successivo.

Per quanto attiene l’anno 1999 risulta con certezza provato che alla De Blasis sono stati affidati solo tre incarichi settoriali e disomogenei quali: l’aggiornamento dell’inventario dei beni mobili della UITS, la compilazione di un questionario già predisposto dai responsabili dei vari settori e la raccolta di dati di varia natura relativi all’UITS.

I convenuti contestano la natura meramente esecutiva di detti incarichi, assumendo che corrisponderebbero pienamente alla posizione di quadro e comunque evidenziano il rifiuto opposto dalla ricorrente a svolgerli.

Nonostante i tentativi di alcuni testi di dare particolare rilievo e contenuto a detti incarichi, questi avevano carattere meramente compilativo, non necessitavano di un particolare impegno ed hanno richiesto poco tempo per l’adempimento. 

Riguardo al primo è confermato che lo stesso consisteva nel mero aggiornamento dell’inventario dei beni, più esattamente nella verifica della titolarità dei singoli beni (CONI o UITS) affidata dal Segretario Generale al Mastropasqua e da questi alla ricorrente, verifica da eseguire tramite esame di fatture e bolle di consegna (cfr lettera doc. 42 e deposizione Mastropasqua), mentre non trova alcuna significativa conferma la deduzione dei convenuti che l’incarico sarebbe consistito nello sviluppare “un piano di riorganizzazione dell’inventario dei beni mobili in dotazione all’UITS e nel suo aggiornamento” (sul punto generica è la dichiarazione della Caruso).

Per quanto poi attiene alla compilazione del questionario, va osservato che si trattava della semplice raccolta di dati inviati dai vari uffici ed in ciò si è di fatto concretizzata l’attività svolta dal Mastropasqua, in conseguenza del rifiuto della ricorrente, per come emerge chiaramente dalla deposizione dello stesso (cfr anche dichiarazioni rese in sede cautelare), epurata dalle generiche valutazioni volte a dare maggior rilievo a tale incarico, ma sprovviste da concreti riscontri, dall’esame della copia del prospetto prodotta in atti ed anche dalla deposizione della teste Sopranzi (punto 52).

In una mera raccolta di dati, acquisibili da vari uffici su supporto cartaceo o informatico (testi Mastropasqua e Sopranzi), si è concretizzato anche il terzo incarico relativo alle articolazioni periferiche dell’Unione, in merito al quale nessuna specifica contestazione è contenuta nelle memorie di costituzione.

Esauriti detti incarichi, non risulta che alla De Blasis siano stati affidati altri compiti.

Appare allora di tutta evidenza l’illegittimo demansionamento operato ai danni della predetta, demansionamento che trova ulteriore e definitiva conferma nella nota dell’ufficio legale del 23\6\00 (emessa a seguito dell’ordinanza di accoglimento ex art. 700 c.p.c.) nella quale si legge: si fa presente, al riguardo, che sarebbe opportuno disporre un trasferimento della dipendente indicata in oggetto, poiché nell’ambito della Unione Italiana Tiro a Segno, come precisato dal segretario della stessa UITS, dove la stessa attualmente svolge la propria attività, non vi è possibilità di collocamento delle mansioni richieste ed ottenute in sede di giudizio e corrispondenti alla VIII qualifica funzionale”.

Tale lettera chiude il cerchio iniziato con le lettere del 10\10\96 e del 14\10\96 sopra richiamate e rappresenta l’ulteriore, definitiva, documentale e confessoria conferma che la De Blasis è stata assegnata ad un settore che non necessitava dell’apporto di personale con la qualifica di quadro e che conseguentemente alla stessa sono state affidate, talaltro solo in rare occasioni, alcune mansioni non corrispondenti a detta qualifica, ma che ben potevano essere svolte da personale con inquadramento inferiore (ciò che era già stato anticipato dal CONI con la lettera del 14\10\96 all’atto del trasferimento della De Blasis all’Unione).

La caratteristica precipua del profilo rivestito dalla ricorrente risiede nello svolgimento di una attività, di organizzazione del lavoro e di coordinamento del personale, di ampio respiro ed a carattere generale.

Ciò è fatto palese dalla semplice lettura della declaratoria contrattuale della categoria “quadro” che così recita: nell’ambito di indirizzi generali in materia amministrativa-economica, contabile, finanziaria e promozionale attua i programmi finalizzati al raggiungimento degli obiettivi predeterminati, svolge attività di studio, di ricerca e di programmazione anche dirette all’organizzazione, razionalizzazione delle procedure delle nuove tecniche e metodologie; predispone ed esamina atti e provvedimenti amministrativi che richiedono capacità di analisi, decisione ed iniziativa per la corretta applicazione della normativa, coordina il personale per il conseguimento dei risultati e degli obiettivi previsti dai programmi di lavoro.

Tale declaratoria contrattuale deve necessariamente essere letta ed interpretata in relazione ai criteri direttivi forniti dall’art. 2 l. n 190\85, per cui i quadri sono i dipendenti che, con carattere continuativo, svolgono funzioni di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa, ciò che ha indotto la giurisprudenza a parlare di categoria intermedia tra i dirigenti e gli impiegati.

Nulla di tutto ciò è riscontrabile nella vicenda lavorativa della De Blasis per il periodo in esame e la stessa, per come sopra ricostruita, è sufficiente ad integrare la piena violazione del disposto dell’art. 2103 c.c. essendo connotata da periodi di totale demansionamento e dall’occasionale affidamento di qualche semplice incarico, di breve durata e privo di quei connotati tracciati dalla declaratoria contrattuale.

L’illegittima operata dequalificazione non può trovare giustificazione nelle assenze dal lavoro della ricorrente o nell’atteggiamento poco collaborativo della stessa, poiché le prime sono imputabili ad una malattia che si è aggravata proprio in ragione della illegittima condotta dei convenuti ed il secondo non può assumere valore scriminante per il datore di lavoro una volta accertati la violazione dell’art. 2103 c.c. e l’assenza presso l’ufficio di designazione di un ruolo definito da attribuire alla medesima.

Passando all’esame della domanda risarcitoria, occorre fare una premessa necessaria a ricondurre a criteri di ragionevolezza e giuridica fondatezza le plurime, variegate e di notevole entità pretese avanzate. E’ vero che la maggior parte di tali voci di danno sono suscettibili di liquidazione equitativa, ma ciò non significa che venga meno il principio fondamentale di allegazione in fatto, anche minima, non essendo certo sufficiente il mero richiamo a pronunce giurisprudenziali, condivisibilissime, ma che necessariamente devono essere contestualizzate e riferite alla fattispecie concreta. Da alcuni anni la giurisprudenza ha ampliato ulteriormente gli “spazi risarcitori” conseguenti a fatti lesivi della “persona”, nella sua accezione più ampia (basti pensare all’ampio dibattito sul danno esistenziale), ma senza mai eludere i principi di allegazione e prova, su cui non incide il criterio equitativo di liquidazione utilizzabile.

Anche in materia di demansionamento  professionale  del  lavoratore  in violazione  dell'art.  2103  cod.  civ., la S.C., pur affermando che la determinazione del danno patrimoniale  giudizialmente  accertato  (alla  quale  il  giudice e' tenuto,  in  presenza  di  una  specifica  domanda di risarcimento da parte  dello  stesso  lavoratore)  puo'  avvenire  anche  in  via equitativa,  eventualmente  con riferimento  all'entita'  della retribuzione risultante dalle buste - paga prodotte in giudizio, ha ribadito il rispetto dei principi sopra richiamati (Cass. n. 7967\02).

Appare utile qui riportare parte della motivazione della citata pronuncia.

La S.C. ha ribadito che secondo  la  consolidata giurisprudenza di legittimità l'art.  2103 cod.civ.  fonda  un diritto del lavoratore all'effettivo  svolgimento della  propria prestazione di lavoro (Cass. 15 giugno 1983  n.  4106; Cass. 6 giugno 1985 n. 3372; Cass. 10 febbraio 1988 n. 1437; Cass. 13 agosto 1991 n. 8835; Cass. 13 novembre 1991 n. 12088; Cass. 15 luglio 1995  n. 7708; Cass. 4 ottobre 1995 n. 10405; Cass. 14 novembre  2001 n. 14199); e motiva tale suo convincimento sia con il tenore testuale della norma citata, la quale dispone che il prestatore di lavoro deve essere  adibito alle mansioni per le quali e' stato assunto, sia  con la  funzione  del  lavoro,  che costituisce  non  solo  un  mezzo  di sostentamento  e  di  guadagno, ma anche un mezzo di  estrinsecazione della  personalita' del lavoratore, ai sensi degli artt. 2, 1^ comma, 4, 1^ comma, e 35, 1^ comma, Cost. La lesione di tale interesse della persona,  che  assurge a diritto soggettivo con la  stipulazione  del contratto di lavoro prevedente  una  determinata prestazione, costituisce  un  inadempimento contrattuale da parte  del  datore  di lavoro e determina, oltre  all'obbligo  di corrispondere le retribuzioni  dovute,  l'obbligo  del  risarcimento  del danno da dequalificazione professionale. Tale  principio di diritto  deve  essere  ribadito,  perche'  esso  trova  sicuro fondamento giuridico  in  molteplici  valutazioni  giuridiche: il carattere del rapporto di lavoro subordinato, che non e' puramente di scambio,  ai sensi degli artt. 1174 e 1321 cod-civ., coinvolgendo  la persona  del  lavoratore, e che costituisce altresi' un contratto  di organizzazione  (art.  2094 cod.civ.), sicche'  la  disciplina  degli aspetti patrimoniali  e  la  collaborazione nell'impresa devono necessariamente  coniugarsi con i precetti costituzionali  di  tutela della  persona  dell'uomo che lavora; il principio di  esecuzione  di buona  fede del contratto di assunzione (art. 1375 cod.civ.);  infine l'attuale  evoluzione  del mercato del lavoro, che,  enfatizzando  la formazione continua  come  essenziale  caratteristica  dell'attuale momento  storico-economico, valorizza la funzione  della  prestazione lavorativa in tal senso. Da  quanto  precede  deriva  che, non solo una riduzione qualitativa, ma  anche quantitativa  delle  mansioni, in una  misura  significativa,  il  cui apprezzamento  e'  rimesso  al giudice del  merito,  puo'  comportare dequalificazione.

Nella stessa sentenza è, altresì, ribadito: che il danno da dequalificazione professionale puo' assumere aspetti diversi,  in  quanto  puo'  consistere  sia  nel  danno  patrimoniale derivante  dall'impoverimento della capacita' professionale acquisita dal lavoratore  e  dalla  mancata  acquisizione  di  una maggiore capacita', sia nel pregiudizio subito per perdita di chance ossia  di ulteriori  possibilita' di guadagno, sia in una lesione  del  diritto del lavoratore all'integrita' fisica o, piu' in generale, alla salute ovvero  all'immagine  o alla vita di relazione (Cass.  14.11.2001  n. 14199; Cass.6.11.2000 n. 14443; Cass. 18-10-1999 n. 11727); che non e' dubbio che la prova di tali aspetti di danno debba essere data dal lavoratore (Cass. 11-8-1998 n. 7905; Cass. 18-4-1996 n. 3686),  e possa  essere  articolata in relazione al tipo di  danno  preteso,  e quindi  data  anche mediante la prova presuntiva (Cass. 2-11-2001  n.13580), sufficiente di per se' sola a sorreggere la decisione  (Cass. 18-1-2000  n.  491; Cass. 3-2-1999 n. 914); che se  per  il  danno biologico  e'  necessaria  la  prova  della  lesione  dell'integrita' psicofisica,  nella  quale si sostanzia il danno (Corte  cost.  sent. 372/1994;  Cass.  11-1-2001 n. 333),  per la perdita della  capacita' concorrenziale  sul  mercato del lavoro puo'  essere  sufficiente  la allegazione  e  la  prova di circostanze di fatto  gravi,  precise  e concordanti  (art. 2729 cod.civ.) dalle quali il giudice  del  merito possa dedurre l'esistenza di tale danno patrimoniale.

Una volta  provata  l'esistenza  del  danno,  che  costituisce il necessario presupposto per la valutazione equitativa, ha infine affermato la S.C., il giudice  che abbia  accertato, in relazione alle particolarita' della fattispecie, l'impossibilita' o la rilevante difficolta' di provare il  danno  nel suo  preciso  ammontare, deve procedere alla sua valutazione equitativa (in senso conforme cfr tra le altre Cass. n. 10\02 e Cass. n.2763\03).

Anche la più recente giurisprudenza ribadisce che in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice del merito può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla durata della qualificazione e alle altre circostanze del caso concreto (tra le altre Cass. n.2354\04, Cass. n.8217\04, Cass. n.7980\04, Cass. n.10157\04, Cass. n.13469\02, in linea con tra le altre Cass. n. 13580\01; Cass. n. 11727\99).

A detto orientamento interpretativo si contrappone un indirizzo più restrittivo secondo cui il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, lesione idonea a determinare la dequalificazione del dipendente stesso, deve fornire la prova dell'esistenza di tale danno e del nesso di causalità con l'inadempimento, prova che costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa. Tale danno non si pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo al lavoratore che denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all'art. 2697 cod. civ. .(cfr Cass. 10361\04 in linea con Cass. 8904\03, Cass. 6992\02, Cass. n.7905\98).

Si rinviene anche un indirizzo interpretativo di “mediazione” (Cass. n. 16792\03) che pur affermando che non ogni demansionamento determina un danno risarcibile ulteriore rispetto a quello costituito dal trattamento retributivo inferiore cui provvede, in funzione compensatoria tramite l’irriducibilità della retribuzione, la norma codicistica dell’art. 2103, che non ogni modifica delle mansioni in senso riduttivo comporta di per sé una dequalificazione professionale, poiché questa fattispecie si connota, per sua natura, con un abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore, con una sottoutilizzazione delle sue capacità e una consequenziale apprezzabile menomazione - non transeunte - della sua professionalità nonché con perdita di chance ovvero di ulteriori potenzialità occupazionali o di ulteriori possibilità di guadagno e che trattandosi di danno ulteriore, spetta al lavoratore l'onere di fornirne la prova, ribadisce, comunque, che resta al giudice di merito  il compito di verificare di volta in volta se, in concreto,il suddetto danno sussiste, individuarne la specie e determinarne l'ammontare, eventualmente procedendo ad una liquidazione in via equitativa e tenendo conto che in base agli elementi di fatto ed a particolari circostanze del caso concreto, la prova del danno può essere anche presuntiva (in questo ultimo senso in linea con quanto affermato da Cass. n. 13580\01 e successive pronunce sopra richiamate).

Ritiene questo giudice, esaminando le numerose pronunce intervenute negli ultimi anni in materia solo in parte richiamate, che ormai possa ritenersi acquisito il principio secondo cui la negazione o l'impedimento allo svolgimento delle mansioni al pari del demansionamento professionale, ridondano anche in lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di lavoro determina un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell'interessato. Pertanto in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 cod. civ., il giudice può desumere l'esistenza del relativo danno in base agli elementi di fatto relativi alla durata della qualificazione e delle altre circostanze del caso concreto, potendo procedere ad una autonoma valutazione equitativa del danno dovendosi, per converso, ritenere contraria a diritto un'eventuale decisione di "non liquet", fondata sull'asserita inadeguatezza dei criteri indicati o sulla pretesa impossibilità di individuarne alcuno, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente acclarato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità di una richiesta risarcitoria relativa ad una "certa res lesiva" (Cass. n. 8217\04).

Di fatto, accertata la condotta illecita, è doveroso procedere ad una liquidazione equitativa del danno facendo riferimento a presunzioni che tengano conto delle circostanze del caso concreto e così garantendo un minimum di risarcimento a fronte di un’acclarata situazione di illegittimità, utilizzando quale parametro per detta liquidazione l'entita' della retribuzione risultante dalle buste - paga prodotte in giudizio. Oltre detto “minimum” il lavoratore che richieda la liquidazione di ulteriori voci risarcitorie o comunque lamenti un maggior danno ha l’onere di allegare e provare circostanze ulteriori rispetto alla durata ed all’entità del demansionamento, conformemente ai principi generali sanciti dal codice civili (artt. 1218, 1223,1225,1226 e 1227), che altrimenti verrebbero integralmente travolti.

Con riferimento al caso di specie è con certezza dimostrato che è stato operato a danno della De Blasis un illegittimo demansionamento connotato da totale negazione delle mansioni e dall’affidamento di compiti non rispondenti alla qualifica di appartenenza ed alla complessiva professionalità della medesima in precedenza maturata, sempre presso il Coni, nello svolgimento di vari incarichi quali addetta al servizio legale ed affari giuridici, responsabile dei settori “attività giovanile” e “professionisti della Federazione Italiana Golf, responsabile del settore “amministrazione” della Federazione Italiana Canoa Kayak, responsabile dell’ufficio delibere del Servizio Scuola dello Sport, responsabile della segreteria federale della Fitarco (circostanze dedotte in ricorso e non puntualmente contestate avendo i convenuti centrato le proprie difese esclusivamente sulle incompatibilità caratteriali della ricorrente).

Tale demansionamento si è protratto per ventidue mesi (dal giugno 1998 all’aprile 2000 periodo a cui è stata limitata la domanda -cfr pg55- e non potendo essere prese in considerazioni le vicende successive quali l’assegnazione della ricorrente all’ufficio documentazione ed informazione estranee al presente accertamento) ed ha posto la lavoratrice in una posizione di evidente emarginazione professionale. Ritiene questo giudice che il periodo di demansionamento vada valutato per intero senza tenere conto delle assenze della lavoratrice atteso che le stesse sono state determinate da malattia che, per come di seguito esposto, è eziologicamente imputabile all’accertata condotta illecita dei convenuti, con la conseguenza che il risarcimento deve essere riconosciuto anche per detti periodi.

Dalle richiamate rilevanti ed univoche circostanze può fondatamente desumersi un ímpoverimento della capacità professionale acquisita dalla lavoratrice e la mancata acquisízione di una maggiore qualificazione professionale, suscettibile di risarcimento in via equitativa stante l’evidente impossibilità di una diversa quantificazione.

Risulta in atti documentato che lo stipendio mensile della ricorrente dal settembre 1998 al marzo 2000 è stato pari a € 3.162.140 (cfr buste paga) corrispondenti ad € 1.633,10. Ritiene questo giudice di utilizzare quale parametro equitativo una percentuale di detta retribuzione che, valutati tutti gli elementi della fattispecie sopra richiamati ed anche considerata l’accertata scarsa collaborazione della ricorrente a svolgere i modesti ed occasionali incarichi affidatile (ed in un’occasione anche l’espresso rifiuto), si stima equo determinare nella misura dell’80%, comunque considerate la gravità, la durata e l’entità del demansionamento che il comportamento della ricorrente non priva certo del carattere di illiceità, ma necessariamente assume in parte rilievo ex art. 1227 c.c. nella quantificazione del danno.

Ne consegue che a titolo di risarcimento al danno alla professionalità spetta alla De Blasis la complessiva somma di € 28.742,56 (€ 1306,48 x 22 mesi) oltre rivalutazione monetaria ed interessi dal giugno 1998 al soddisfo.

Compete, altresì, alla ricorrente il risarcimento del danno biologico.

Ed invero l’espletata ctu ha accertato che la patologia “disturbo post-traumatico da stress con disturbo dell’adattamento” da cui risulta affetta la ricorrente è da mettere in relazione causale con lo stato di dequalificante inoperosità a cui è stata obbligata dopo il giugno 1998.

Il ctu, dopo un’esaustiva ricostruzione della storia clinica della De Blasis, ha evidenziato, anche sulla scorta dell’ampia documentazione medica acquisita agli atti, che sebbene dal 1991 si siano manifestati disturbi ansioso depressivi con necessità di intervento medico questi risultano sempre limitati nel tempo. Un breve periodo di riposo veniva prescritto nel 1991; una breve ricaduta viene documentata nel 1993; nel 1994 il quadro clinico richiese un intervento specialistico con prescrizione di un lungo periodo di riposo e cure (circa 5 mesi); seguì un miglioramento della sintomatologia anche se nel 1995 si rendeva indispensabile un ulteriore, ma breve, periodo di riposo (circa 15 gg) ed un ulteriore periodo di due mesi nel 1996. Successivamente non vi furono ulteriori periodi di malattia fino al settembre 1998 quando si conclamava un quadro caratterizzato da ansia e depressione di notevole entità che richiese un intervento specialistico continuativo nonché opportuno trattamento farmacologico e psicoterapeutico. La De Blasis si affidava, pertanto, ai sanitari del Dipartimento di Salute mentale della ASL RME, nonché dall’aprile 1999 agli specialisti del Dipartimento di Medicina del Lavoro dell’Università di Milano dove veniva posta diagnosi di “sindrome da stress psicofisico con umore depresso in cui la situazione occupazionale svolge un importante ruolo eziologico”. Pertanto dal settembre 1998 il quadro clinico presentato dalla paziente si è conclamato in uno stato di malattia con persistenza della sintomatologia e con necessità di un idoneo e continuativo trattamento terapeutico. Infatti la sintomatologia presentata saltuariamente e per brevi periodi dal 1991 al 1996, come da documentazione medica allegata, deve considerarsi un quadro prodromico caratterizzato da episodi acuti con risoluzione clinica. E’ solo da settembre 1998 che il quadro sintomatologico si è conclamato assumendo le connotazioni di “malattia cronica e persistente nonostante il trattamento terapeutico”. Considerando l’assenza di altri fattori in grado di assumere efficienza causale nell’insorgenza del quadro patologico e rilevando che le vicende lavorative vissute dalla paziente, in particolare quelle in cui versava nell’estate del 1998, sono da considerare un fattore dotato di efficienza lesiva (qualitativamente, quantitativamente, moralmente e cronologicamente) idonea al verificarsi dell’evento “grave quadro ansioso depressivo”, si può asserire che lo stato di inoperosità nel quale versava la ricorrente nell’estate 1998 ha condizionato la riacutizzazione del quadro clinico già in precedenza presentato dalla paziente, con connotazioni più gravi e con persistenza del quadro clinico nonostante il trattamento farmacologico e psicoterapeutico, configurando un danno biologico (pg 6 e 7 supplemento depositato in data 4\10\04).

Le conclusioni del ctu vanno integralmente condivise poiché ampiamente ed esaurientemente argomentate e supportate da appropriate indagini medico legali, rinviandosi integralmente per le ulteriori considerazioni alla relazione depositata in data 23\2\04 ed ai chiarimenti forniti con il supplemento depositato in data 4\10\04.

Gli accertamenti del ctu consentono di affermare con certezza il nesso causale tra l’illecito demansionamento operato a danno della ricorrente e la patologia di cui è affetta la medesima, patologia che in passato aveva presentato solo sintomi saltuari ed episodi acuti e che invece in conseguenza dell’accertata illecita condotta ha assunto connotati propri della malattia cronica e persistente.

Le censure mosse dal consulente del Coni vanno disattese considerati i puntuali chiarimenti resi dal ctu nel supplemento del 4\10\04, cui si rinvia integralmente, evidenziandosi ulteriormente che la valutazione delle prove è rimessa al giudice ed il demansionamento, per come sopra motivato, è ampiamente dimostrato, l’episodio del 1986 esula dall’accertamento perché estraneo al thema decidendum, il cpt pur rimproverando il ctu di non aver valutato altri possibili stressor scatenanti o facilitanti non fornisce alcuna puntuale indicazione in tal senso, il riferimento a simulazione o nevrosi da indennizzo con strumentalizzazione dei medici è privo di qualsiasi concreto riscontro, le assenze per malattia, quando la malattia è conseguenza di una condotta illecita, non possono escluderla né giustificarla, oggetto del giudizio non è il “mobbing” bensì il risarcimento da demansionamento, pertanto appare appropriata la valutazione psicodiagnostica espressa dalla Clinica del Lavoro L. Devoto in occasione del ricovero dell’8\5\00 in cui si fa riferimento solo ad una situazione occupazionale dequalificante; l’anamnesi familiare è correttamente ricostruita e comunque il ctp non ha offerto elementi diversi.

Il ctu ha quantificato l’accertato danno biologico nella misura del 15% indicando anche una i.t.a. di  gg. 60 ed una i.t.p. al 50% di gg. 90.

Alla luce di tali indicazioni il danno biologico subìto dalla De Blasis (risarcibile indipendentemente da un pregiudizio della capacità di lavoro e di guadagno in quanto incidente sull'integrità psico-fisica della persona e collegato alla somma delle funzioni naturali aventi rilevanza biologica, sociale, culturale ed estetica), può essere liquidato in via equitativa nella somma di € 22.386,00, calcolando €.39,00 per ogni giorno d'inabilità temporanea totale ed € 19,50 per ogni giorno d’inabilità temporanea parziale, tenendo conto della natura, entità e durata della malattia, nonché dell'entità dei residuati e dell'età della ricorrente al momento in cui è iniziata la condotta illecita. Il tutto facendo riferimento a parametri che tengono conto della natura delle lesioni sofferte e dell'inabilità patita prendendo come punto di partenza il grado d'invalidità minimo dell'1% ed il valore economico ad esso attribuibile sul piano di un apprezzamento corrente di natura sia biologica che economica per la fascia d’età più bassa, per come indicato nelle correnti tabelle utilizzate da questo Tribunale a cui la stessa ricorrente ha fatto riferimento nelle note depositate in data 26\3\04, tabelle che, inoltre, apportano a detto parametro di partenza (in base a coefficienti predeterminati, costituenti il risultato di una pluriennale elaborazione giurisprudenziale dei giudici di merito) una serie di correttivi, al fine di tener conto della complessiva misura dell'invalidità permanente accertata dal C.T.U. e dell'età del leso al momento del sinistro, sulla scorta dell'osservazione, mutuata dalla scienza medica, per cui l'entità concreta delle limitazioni condizionanti l'esplicazione della vitalità di una persona nel campo del lavoro, dei rapporti sociali ed affettivi, delle attività culturali, di svago e sportive, cresce in misura più che aritmetica rispetto al crescere della misura dell'invalidità permanente (secondo la predette tabelle alla percentuale del 15% considerata l’età della ricorrente di 47 anni e 10 mesi, il valore del punto pari ad € 1.876,00 ed il coefficiente dell’0,65% corrisponde un risarcimento di € 18.291,00).

Sulla complessiva somma di € 22.386,00 andranno corrisposti rivalutazione monetaria ed interessi a decorrere dal giugno 1998.

Tardiva e quindi inammissibile è la richiesta di risarcimento per danno alla capacità lavorativa specifica avanzata solo nelle note depositate in data 26\3\04, mentre la domanda avanzata in ricorso è limitata al risarcimento del danno biologico tant’è che conformemente al ctu non è stato richiesto alcun accertamento ulteriore né alcuna istanza è stata avanzata in sede di formulazione dei quesiti.

Le ulteriori e maggiori richieste risarcitorie avanzate vanno disattese perché non supportate da adeguate allegazioni e da idonee dimostrazioni, secondo quanto già sopra esposto, risolvendosi le ampie argomentazioni in un richiamo a principi giurisprudenziali sprovvisto di puntuali e concreti riferimenti al caso concreto, nonché in un’indicazione di fatti estranei al presente accertamento (perché anteriori al giugno 1998) ed infine nell’affermazione dell’ingiuriosità della condotta denunciata, che però nessuna conferma trova nell’esperita istruttoria.

COMPENSO PER STRAORDINARIO E FESTIVO

La somma di € 11.656.408 richiesta a detto titolo non compete.

Non sussiste un diritto a rendere la propria prestazione lavorativa oltre l’orario normale di lavoro e nei giorni festivi. Trattasi di prestazioni gravose delle quali non può essere lamentata la mancata effettuazione e pretendere il pagamento di importi che tengono conto di tale maggior sacrifico ed impegno, che nel caso di specie non sono stati richiesti.

ASSEGNAZIONE DI UNA STANZA CON LINEA TELEFONICA

La domanda deve essere respinta.

E’ già stato affermato in sede cautelare che non è sancito da alcuna norma che un impiegato con la qualifica di quadro possa legittimamente pretendere una propria esclusiva stanza e linea telefonica.

La parte invoca gli artt. 2087 e 2103 c.c., ma quest’ultimo articolo non si occupa di logistica e con riferimento al primo andava dimostrato un concreto pregiudizio ed un danno risarcibile, dimostrazione non fornita.

Inoltre dalle deposizioni dei testi escussi (Mastropasqua e Sopranzi) emerge che gli altri impiegati erano in condizioni logistiche analoghe a quelle della ricorrente.

SANZIONE DI CUI AL PROVVEDIMENTO DEL 16\9\98

Con tale provvedimento il Coni ha comunicato alla ricorrente di procedere al recupero della retribuzione corrisposta per i giorni di assenza dal servizio dal 15\12\97 al 19\12\97 in base all’art. 5 comma 14 l. n. 638\83.

Non si tratta di una sanzione disciplinare, trattandosi di provvedimento di diversa natura che si fonda direttamente sulla previsione legislativa richiamata, pertanto sono inconferenti le deduzioni svolte sul punto.

Le ragioni del provvedimento impugnato sono quelle contestate alla ricorrente nella lettera dell’11\2\98 e più esattamente la circostanza che il giorno 17\12\97 alle ore 11,15, durante la fascia oraria di reperibilità, il medico incarico non avrebbe potuto effettuare la visita di controllo all’indirizzo di via della Cellulosa n. 55 ed inoltre la circostanza che la ricorrente non ha risposto all’invito a visita ambulatoriale per il giorno 18\12\97 lasciatole nella cassetta postale.

La decadenza  dal  diritto all'indennità di malattia è dalla legge (art. 5, quattordicesimo  comma  D.L.  n.463/83,  convertito  in  legge n.637/83) collegata  solo alla mancata ed ingiustificata presenza del lavoratore  in  sede  di  visita di controllo domiciliare nelle fasce orarie  di  reperibilità,  per come fatto chiaro dal tenore lettera della disposizione. 

La giurisprudenza di legittimità nell’interpretare la norma in esame ha affermato che "il comportamento  del  lavoratore  in  malattia,  che non sia reperibile alla  visita  di  controllo  domiciliare fissata dall'I.N.P.S., né si preoccupi di  ottemperare  all'invito  ambulatoriale  disposto  per sopperire  a  tale  mancanza ed effettuare il medesimo adempimento, e che  non  giustifichi  adeguatamente  la  sua  condotta,  integra  la fattispecie  delineata dal legislatore nella norma di cui all'art. 5, comma  14,  della  legge  n. 638/1983, ricorrendo la quale deve essere comminata  la  sanzione  della  decadenza  dal diritto alla indennità economica  di  malattia,  atteso  che  sostanzialmente trattasi di un unico  procedimento, sia pure articolato in fasi successive, e che la seconda  va  ancorata  alla  prima  allo  scopo  di  ovviare alla sua mancata  concretizzazione,  essendo  peraltro entrambe finalizzate al medesimo  adempimento  di  legge;  a  meno che l'interessato fornisca rigorosa  prova  giustificativa  della  complessiva  condotta assenteistica" (Cass. n. 5894\99, Cass. 14738\02).

Appare evidente che la mancata presentazione alla visita ambulatoriale assume rilievo per integrare la fattispecie sanzionatoria de qua solo ed in quanto segue una già accertata assenza alla visita domiciliare durante le fasce orarie prestabilite.

Con riferimento al caso di specie non vi è assolutamente prova che la De Blasis nel giorno e nell’ora contestati fosse assente dal suo domicilio e si sia così sottratta al controllo domiciliare.

Il medico incarico nel referto redatto in data 17\12\97 si è limitato ad attestare “case di campagna prive di indicazioni. Cassetta postale distante dalle abitazioni” (doc. 62) e successivamente ha precisato che “nella data in cui è stata fatta la visita, chiesi ai vicini se conoscessero il nome, una signora mi rispose NO. La targhetta sul campanello che comunque è all’interno della costruzione, quindi non visibile, non posso dire se sia stata lì, comunque l’avviso è stato correttamente lasciato in cassetta (l’unica dove il nome era visibile) e la Sig.ra poteva benissimo venire a visita ambulatoriale il giorno seguente, visto che ho specificato che non era assente, ma solo che era impossibile reperire la giusta abitazione” (lettera provvedimento del 16\9\98 doc. 66).

E’ dedotto e non contestato che tutte le visite di controllo sono state in precedenza regolarmente effettuate nel predetto domicilio di via della Cellulosa n. 55, né risulta che altri medici incaricati abbiano evidenziato un’impossibilità di reperire l’abitazione della ricorrente.

La mancata effettuazione della visita domiciliare di controllo nelle fasce orarie appare piuttosto addebitabile ad una certa superficialità del medico incarico e comunque non può certo essere addebitata alla ricorrente in difetto di prova della effettiva assenza dal domicilio. Difettando la dimostrazione di tale circostanza non può assumere esclusivo rilievo la mancata presentazione alla visita ambulatoriale poiché, per come già rilevato, la sanzione in esame è essenzialmente collegata alla visita domiciliare e la successiva assenza a quella ambulatoriale assume rilievo solo e se è stato impossibile eseguire la prima per fatto imputabile al lavoratore.

Ne consegue che non potendo trovare applicazione la sanzione di cui al citato art. 5\14° c., il provvedimento in esame va annullato con diritto della De Blasis ad ottenere la restituzione della somma non contestata di € 608.104 pari ad € 314,05, indebitamente trattenuta, maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi di legge.

Le ragioni esposte rendono superfluo l’esame delle deduzioni ampiamente argomentate in atti.

SANZIONI DISCIPLINARI DI CUI AL PROVVEDIMENTO DEL 3\3\99

Con detto provvedimento sono state applicate alla ricorrente le sanzioni disciplinari della censura e della diffida “a non incorrere per il futuro in analoghe infrazioni”.

Va innanzitutto osservato che la “diffida” come irrogata non rientra tra le sanzioni previste dal ccnl (cfr art 38), pertanto l’applicazione della stessa appare arbitraria ed illegittima.

Inoltre, a fronte della contestazione della parte, non vi è prova dell’affissione del codice disciplinare sul posto di lavoro.

Le predette sanzioni seguono la contestazione mossa con lettera del 9\9\98 riferita agli addebiti della mancata reperibilità durante le fasce orarie alla visita medica domiciliare nei giorni 3\8 e 11\9 del 1998 e dell’omessa comunicazione tempestiva della dimora durante la malattia; a tali contestazioni aggiunta la recidiva con riferimento alla lettera del 16\9\98.

A quest’ultimo riguardo si è già sopra osservato che la decadenza ex art. 5\14° c. l. n.638\38 non ha natura di sanzione disciplinare né risulta che ad essa sia seguita l’irrogazione di una sanzione disciplinare, pertanto, a prescindere da quanto altro esposto al riguardo, il riferimento alla recidiva è assolutamente infondato.

Per quanto attiene la contestata omessa comunicazione della propria dimora durante la malattia con riferimento alla visita del 9\11\98, dalla documentazione prodotta agli atti emerge inequivocabilmente che il CONI era a perfetta conoscenza che la De Blasis aveva temporaneamente spostato il proprio domicilio da via della Cellulosa n. 55 a via Rocca Bruna n. 100. Ciò si desume inequivocabilmente dalla richiesta di visita domiciliare datata 31\7\98 indirizzata alla ASL RM\E in cui il Coni indica quale domicilio della ricorrente proprio quello di via Rocca Bruna n. 100 (doc. n. 67). Anche l’ulteriore documentazione (doc. 229, 230 e 231) conferma che il convenuto nel periodo in contestazione era a conoscenza della diversa dimora della lavoratrice e pertanto la contestazione mossa è infondata.

L’accertata inesistenza della recidiva, l’insussistenza della contestazione di omessa comunicazione di cambio di dimora, l’illegittimità della sanzione della diffida sono sufficienti per annullare il provvedimento disciplinare in esame risultando l’ulteriore sanzione- la censura- sproporzionata considerato il venir meno di 2\3 delle contestazioni e valutato, altresì, l’elemento psicologico della ricorrente che nelle date indicate, per come risulta dalla documentazione prodotta, si trovava presso il proprio medico, circostanza che sebbene non sia sufficiente a giustificare l’assenza, stante l’omessa dimostrazione dell’indifferibilità, ben può essere valutata nel quadro complessivo degli addebiti in gran parte infondati.

Le esposte argomentazioni assorbono le ulteriori censure mosse al provvedimento de quo

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, ponendosi a carico dei convenuti le spese di ctu liquidate con separato decreto.

P.Q.M.

(come in epigrafe)

Roma 12\10\04

Il Giudice

V. Di Sario

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