DISCONOSCIMENTO DI MOBBING
 
Trib. Cosenza (sez. lav. 1° grado) – 15 giugno 2005 – Giud. Ferrentino – Loria A. (avv. Alvano, Squadra) c. Azienda sanitaria n. 5 di Crotone (avv. Ferrante, Caruso, Piscitelli).
Ricorso in giudizio per risarcimento danni da  mobbing attivato  da colleghi di lavoro – Mancata dimostrazione delle addotte condotte vessatorie e del nesso di causalità tra la patologia depressiva e le condizioni di lavoro – Insussistenza del mobbing e del diritto al risarcimento danni.
 
L'articolo 2087 cod. civ., obbligando il datore di lavoro a tutelare la personalità morale dei prestatori di lavoro, si presta a tutelare il lavoratore anche da tutta una serie di pregiudizi, conseguenti all'attività mobbizzante, ulteriori rispetto alle tradizionali voci del danno patrimoniale e del danno biologico (si pensi, ad esempio, al danno da demansionamento). Sulla base di tali principi, non v'ha dubbio che nel caso di condotta persecutoria rientrante nella nozione di mobbing, al lavoratore che provi il nesso causale tra detta condotta ed una serie di conseguenze pregiudizievoli a lui occorse (quali, ad esempio, oltre al danno patrimoniale ed al danno biologico, il danno all'immagine, il danno da demansionamento, le sofferenze per le mortificazioni subite e, più in generale, la mancata esplicazione della propria personalità attraverso l'attività lavorativa) compete il risarcimento di tale pregiudizio.
Nel caso di specie manca qualsiasi prova in ordine alla presenza di un'attività costantemente persecutoria in danno del ricorrente. L'istruttoria espletata non ha infatti consentito di ritenere che il ricorrente era stato destinatario di condotte poste in essere da colleghi integranti molestie, boicottaggi, persecuzioni psicologiche e demansionamento.
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 
Con ricorso depositato in data 9.5.2002 Loria Antonio conveniva in giudizio l’ASL n. 5 di Crotone davanti questo giudice chiedendo che:
“1a) fosse riconosciuto e dichiaralo che le modalità di esercizio del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro convenuto sono state estrinsecate con forme colposamente o volontariamente idonee a determinare violazione dei principi di correttezza e buona fede e a conseguire uno scopo plurioffensivo dei beni e degli interessi giuridicamente protetti del ricorrente (art.2087 cc) che per responsabilità oggettiva (art. 2049) extracontrattuale (art. 2043 cc) addebitabile al datore di lavoro per il fatto illecito commesso dai suoi dipendenti in danno del ricorrente con riferimento agli artt. 2, 32, 41 della Costituzione;
b) determinando nel primo caso (contrattuale) uno stato biologico patologico e esistenziale oggettivamente accertabile con i caratteri e la natura di una malattia;
c) nel secondo (colpa aquiliana) una conseguenza alla vita sociale familiare e di relazione del ricorrente desumibile anche per presunzione determinando in aggiunta un danno ulteriore al patrimonio professionale, alla carriera personale del lavoratore e alla perdita di chances lavorative in dipendenza del pensionamento anticipato; per aver disposto, in violazione dell’art. 2103 cc, un mutamento di mansioni che non ha consentito l'aggiornamento tecnico professionale del patrimonio personale del ricorrente imputabile al mancato esercizio dello stesso; per non aver consentito un sufficiente recupero delle energie psicofisiche stante i turni di lavoro gravosi e la reperibilità continua cui ha sottoposto il ricorrente;
2) che fosse condannata l'amministrazione convenuta a titolo risarcitorio al pagamento dei danni materiali, morali, esistenziali, biologici da mobbing e da dequalificazione professionale che vengono indicati per equivalente nella somma rapportata all'attualità di un miliardo di lire ovvero quella maggiore o minore che verrà giudizialmente determinata, con criterio equitativo o rapportato alla retribuzione mensile e al tempo di durata dell'inadempimento al fine di ricreare nel soggetto danneggiato condizioni sostitutive;
3) ogni altro provvedimento istruttorio o di legge."
Rappresentava:
-        di aver lavorato alle dipendenze dell'azienda convenuta come infermiere fino al 31.8.97;
-        che in particolare aveva conseguito nel periodo 1983/1987 l'abilitazione di infermiere professionale e poi quella di tecnico strumentista di sala operatoria;
-        che in data 18.1.1988 si dichiarava disponibile a essere trasferito in sala operatoria risultando il primo in graduatoria;
-        che tuttavia per ben sei mesi, durante l'assenza del responsabile di sala Allevato Giovanni per la partecipazione a un corso, i colleghi, allo scopo di non dividere con lui l'indennità di reperibilità, non gli facevano disimpegnare le mansioni di ferrista ma gli assegnavano mansioni di basso profilo come la pulizia dei ferri e dell'ambiente;
-        che tornato il responsabile di sala, lo stesso gli aveva consentito di
partecipare alle sedute operatorie ma che tuttavia i colleghi intenzionalmente ponevano in essere condotte tali da farlo redarguire dal chirurgo di turno;
-        che era stato oggetto di molestie, boicottaggi, demansionamenti e continue persecuzioni psicologiche da parte di altri colleghi che non gradivano la sua presenza in sala operatoria;
-        che detti atti reiterati avevano determinato una serie di lesioni alla sua integrità fisica e psichica tali da comportare il collocamento anticipato a riposo per sopraggiunta inidoneità.
Si costituiva l'azienda sanitaria locale n. 5 eccependo in via preliminare l'incompetenza per territorio del giudice adito, la carenza di legittimazione passiva dell'ASL n. 5, nel merito sostenendo l'infondatezza della domanda.
Istruita attraverso l'escussione di numerosi testi, la causa veniva decisa all'odierna udienza con lettura del dispositivo .
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente rigettata l'eccezione di incompetenza per territorio del giudice adito.
Ai sensi dell’art. 413 cpc nel testo come modificato dallart. 40 D.Lvo n.80/98 "competente per territorio nelle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è il giudice nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto".
Il ricorrente ha prestato servizio presso l'ospedale di San Giovanni in Fiore, rientrante nella circoscrizione del Tribunale di Cosenza sicché correttamente é stato adito questo giudice.
Va rigettata poi l'eccezione di difetto di legittimazione passiva relativamente ai fatti anteriori al 15.1.1993.
A seguito dell'avvento delle ASL che hanno sostituito le USL di cui alla legge n.833/78 le regioni al fine di non far gravare sulle aziende neocostituite i debiti e i crediti facenti capo alle pregresse gestioni USL, hanno istituito apposite gestioni a stralcio poi trasformate in gestioni liquidatorie (art. 2 comma 14 L . n. 549/95).
Per come ribadito dalla Suprema Corte la legittimazione sostanziale e processuale concernente le pregresse poste debitorie e creditorie delle USL soppresse fa capo agli organismi liquidatori delle stesse e non già alle subentranti Aziende Sanitarie Locali (Cass. 12.8.96 n.7479, 6.3.97 n. 1089). Per effetto (della soppressione delle Unità sanitarie locali e della conseguente istituzione delle Aziende unità sanitarie locali (aventi natura di enti strumentali della Regione), si é realizzata una fattispecie di successione "ex lege" delle Regioni in tutti i rapporti obbligatoli facenti capo alle ormai estinte U.S.L., con conseguente esclusione di ogni ipotesi di successione in universum ius” delle A.S.L. alle preesistenti U.S.L.; poiché, però, tale successione delle Regioni é caratterizzata da una procedura di liquidazione, che é affidata ad un'apposita gestione stralcio, la quale é strutturalmente e finalisticamente diversa dall’ente subentrante ed individuata nell'ufficio responsabile della medesima unità sanitaria locale cui si riferivano i debiti e i crediti inerenti alle gestioni pregresse, usufruisce della soggettività dell'ente soppresso (che viene prolungata durante la fase liquidatoria), ed é rappresentata dal direttore generale della nuova azienda sanitaria nella veste di commissario liquidatore, il processo instaurato nei confronti di una U.S.L. prima della sua soppressione prosegue tra le parti originarie - salva l'ipotesi di un intervento o chiamata in causa della Regione nella sua veste di successore a titolo particolare -, con le relative conseguenze in ordine alla legittimazione passiva di detto organo di rappresentanza della gestione stralcio nel giudizio per il soddisfacimento di crediti verso le precedenti u.s.l. (Cass SEZ. L. SENT. 12865 DEL 12/07/2004).
A seguito della entrata in vigore del D. Lgs. n. 502 del 1992, che ha previsto le nuove Aziende U.S.L., nelle quali si accorpavano le preesistenti Unità Sanitarie Locali in ambiti territoriali di massima rispondenti a quelli delle province, dette nuove Aziende non sono subentrate nei rapporti obbligatori dei quali erano parti le U.S.L., essendo stati i relativi debiti trasferiti alle Regioni. L’art. 6 della legge 23 Dicembre 1994, n. 724 ha istituito le "Gestioni a stralcio" con ufficio responsabile da indicarsi da parte delle Regioni. Quindi, con la successiva trasformazione, operata dall’art. 2 della legge 28 Dicembre 1995, n. 549, di tali Gestioni in quelle "liquidatorie” é stata prevista la nomina, da parte delle stesse Regioni, dei dirigenti generali delle A.S.L. quali commissari liquidatori, che amministrano e liquidano le situazioni debitorie delle U.S.L. esistenti alla data del 13 Dicembre 1994.
Nel caso in esame il ricorrente assume un comportamento protrattosi nel tempo che ha determinato successivamente uno stato di prostrazione psicologica e lesioni alla sua integrità psico-fisica.
Ne deriva che non siamo di fronte a una situazione debitoria consolidatasi prima del 31.12.1994 sicché nessun difetto di legittimazione passiva può esservi in capo alla convenuta azienda.
Passando ora al merito della vicenda va rilevato che parte ricorrente deduce la violazione degli artt. 2043, 2049 e 2087 sul presupposto di aver subito all'interno della predetta struttura ospedaliera lesioni biologiche e morali alla sua persona derivanti da atti e comportamenti a contenuto vessatorio  con  finalità persecutorie  intese a  dequalificarlo professionalmente, di idoneità tale dal condurlo alla risoluzione anticipata del rapporto per motivi di salute.
Con termine mobbing sul piano medico ci si riferisce a una situazione di aggressione, di esclusione, di emarginazione di un lavoratore da parte dei suoi colleghi o dei suoi superiori che si manifesta come una serie coordinata e sistematica di azioni con cui l'aggressore (mobber), intenzionalmente, mette in atto strategie comportamentali volte alla distruzione psicologica, sociale e professionale della vittima (mobbizzato).
Il "mobbing" (dal verbo inglese "to mob", attaccare, assalire), designante in etologia il comportamento di alcune specie di animali, solite circondare minacciosamente un membro del gruppo per allontanarlo, é riscontrabile nelle aziende quando si versa in presenza di ripetuti soprusi da parte dei superiori ed, in particolare, di pratiche dirette ad isolare il dipendente dall’ ambiente di lavoro e, nei casi più gravi, ad espellerlo; pratiche il cui effetto é quello di intaccare gravemente l'equilibrio psichico del prestatore, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talora persino suicidio. Il datore di lavoro - tenuto ex articolo 2087 cod. civ. a garantire l'integrità' fisio/psichica dei propri dipendenti e, quindi, ad impedire e scoraggiare con efficacia contegni aggressivi e vessatori da parte di preposti e responsabili, nei confronti dei rispettivi sottoposti - é chiamato a rispondere del risarcimento del danno biologico sofferto. L'accertamento dell’illecito comporta comunque il riscontro di un sistematico e doloso sopruso finalizzato a danneggiare il lavoratore e del nesso causale esistente tra il pregiudizio lamentato e detto contegno. Il relativo onere probatorio grava sul lavoratore ".
Si veda a tal proposito Cass. 5491 del 2000 "grava sul datore di lavoro l’onere di provare di aver ottemperato all'obbligo di tutela dell'integrità psicofisica del lavoratore, mentre grava sul lavoratore l’onere di provare sia la lesione dell'Integrità psico fisica sia il nesso di causalità tra tale evento e il comportamento datoriale".
Ciò perché grava sul datore di lavoro sia il generale obbligo di neminem ledere, espresso dall’art. 2043 cc la cui violazione è fonte di responsabilità extracontrattuale sia il più specifico obbligo di cui all’art. 2087 cc, obbligo di natura contrattuale.
Pur tuttavia la natura contrattuale dell'illecito non comporta che si versi in una fattispecie di responsabilità oggettiva, fondata sul mero riscontro del danno quale evento legato con nesso di causalità all’espletamento della prestazione lavorativa, occorrendo pur sempre l'elemento della colpa, che accomuna la responsabilità contrattuale e quella aquiliana.
Le fonti della responsabilità del datore di lavoro sono state individuate sia nel generale obbligo del neminem laedere, espresso dall'articolo 2043 cod. civ., la cui violazione é fonte di responsabilità extracontrattuale sia nel più specifico obbligo di protezione dell’integrità psico-fisica del lavoratore sancito dall'articolo 2087 cod. civ. ad integrazione, ex lege, delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, la cui violazione é fonte di responsabilità contrattuale. L'articolo 2087 cod. civ., obbligando il datore di lavoro a tutelare la personalità morale dei prestatori di lavoro, si presta a tutelare il lavoratore anche da tutta una serie di pregiudizi, conseguenti all'attività mobbizzante, ulteriori rispetto alle tradizionali voci del danno patrimoniale e del danno biologico (si pensi, ad esempio, al danno da demansionamento). Sulla base di tali principi, non v'ha dubbio che nel caso di condotta persecutoria rientrante nella nozione di mobbing, al lavoratore che provi il nesso causale tra detta condotta ed una serie di conseguenze pregiudizievoli a lui occorse (quali, ad esempio, oltre al danno patrimoniale ed al danno biologico, il danno all'immagine, il danno da demansionamento, le sofferenze per le mortificazioni subite e, più in generale, la mancata esplicazione della propria personalità attraverso l'attività lavorativa) compete il risarcimento di tale pregiudizio.
Nel caso di specie manca qualsiasi prova in ordine alla presenza di un'attività costantemente persecutoria in danno del ricorrente. L'istruttoria espletata non ha infatti consentito di ritenere che il ricorrente era stato destinatario di condotte poste in essere da colleghi integranti molestie, boicottaggi, persecuzioni psicologiche e demansionamento. Nessuno dei testi riferisce di tali episodi.
Riferisce il teste Allevato: " Il Loria non mi ha mai detto che il clima non era sereno....io ho fatto lavorare il Loria in sala operatoria, non ho mai avuto l’impressione che il ricorrente si sentisse messo da parte e denigrato dai colleghi con i quali peraltro si frequentava anche fuori dall'ospedale ...l'ambiente lavorativo era sereno e si scherzava insieme". Analoghe dichiarazioni hanno poi reso il testa Curia, primario di ostetricia: ''Conosco il ricorrente, era ferrista e veniva in sala operatoria. L'ambiente era del tutto sereno, il Loria non mi ha mai riferito di rapporti non buoni con colleghi”, teste Caputo, aiuto chirurgo "Con Loria siamo stati oltre che compagni di lavoro anche amici, io non mi sono accorto di un clima di mobbing nella sala operatoria, anzi il clima lì dentro era del tutto familiare, anche se non mancavano rimproveri e intemperanze legate essenzialmente alla tipicità del lavoro da svolgere. Questi rimproveri riguardavano il Loria coma tutti gli altri, compresi i medici. Né il Loria mi ha mi ha mai parlato di atteggiamenti denigratori nei suoi confronti”, il teste Lacamera, altro chirurgo del nosocomio "non mi è stato riferito né ho notizia di situazioni di conflittualità tra il Loria e gli altri colleghi, né di boicottaggi. Il Loria non ha mai fatto presente di episodi di disagio né direttamente né indirettamente”, il teste Accongiagioco “i rapporti tra il Loria e colleghi erano normali "..il teste Straface " il Loria ha sempre fatto il ferrista... in sala operatoria c'è il ferrista e un altro che passa i ferri sterili o gli altri materiali, il Loria faceva una delle due mansioni a secondo dei turni".
Né può dirsi che il trasferimento del Loria in altro reparto e quindi il demansionamento sia stata la conseguenza di tali asseriti comportamenti persecutori ove si consideri che dall'istruttoria è emerso che il ricorrente è stato trasferito dalla sala operatoria perché aveva contratto l'epatite C (si vedano le deposizioni dei testi Straface e Caputo).
In definitiva non è stata raggiunta la prova della sussistenza di un nesso eziologico tra la sindrome ansiosa depressiva asserita dal ricorrente e le condizioni di lavoro.
Il ricorso va dunque rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese.

PQM

Rigetta il ricorso.
 
Cosenza, 15.6.2005
Il GIUDICE
Dr.ssa Ferrentino Silvana D.

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