Non spetta la dirigenza, ma sussiste la dequalificazione

 

Corte di Cassazione, Sezione lavoro,  11 aprile 2005 n. 7351 - Pres. Senese - Rel. Curcuruto - Orlando T.  c. Poste Italiane SpA

 

Concetto di equivalenza ex art. 3103 c.c. - Nozione - Equivalenza va intesa in senso soggettivo, cioè a dire strutturata dalla salvaguardia e arricchimento del pregresso patrimonio professionale - Insufficienza, ai predetti fini, dell'assegnazione a mansioni collocate nella stesso livello contrattuale di inquadramento.

 

Il divieto di variazioni in "peius" opera anche quando al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori, sicché nell'indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente, salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l'accrescimento delle sue capacità professionali. A tal fine l'indagine del giudice di merito deve essere volta a verificare i contenuti concreti dei compiti precedenti e di quelli nuovi onde formulare il giudizio di equivalenza, da fondare sul complesso della contrattazione collettiva e delle determinazioni aziendali. In particolare, le nuove mansioni possono considerarsi equivalenti alle ultime effettivamente svolte soltanto ove risulti tutelato il patrimonio professionale del lavoratore, anche nel senso che la nuova collocazione gli consenta di utilizzare, ed anzi di arricchire, il patrimonio professionale acquisito con lo svolgimento della precedente attività lavorativa, in una prospettiva dinamica di valorizzazione della capacità di arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze.

 

Svolgimento del processo

La Corte d'Appello di Torino, rigettando l'impugnazione proposta da O. T., ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva respinto la domanda del T. mirante ad ottenere la qualifica dirigenziale, per aver svolto dal 15 marzo 1996 al 15 marzo 1999 mansioni di direttore di agenzia di coordinamento l'accertamento della intervenuta dequalificazione quale effetto della successiva attribuzione di mansioni di direttore di agenzia di base, la declaratoria di irriducibilità dell'indennità di funzione percepita come direttore dell'agenzia di coordinamento. Circa la natura dirigenziale o no delle mansioni svolte dall'appellante come direttore di agenzia di coordinamento nel periodo sopra indicato, la Corte torinese, premesso che l'esperimento delle agenzie di coordinamento, avviato nel 1996, era stato soppresso nel 1999, non avendo dato buon esito, ha osservato che a tali agenzie, complessivamente 555 su tutto il territorio nazionale, erano stati preposti dipendenti con la qualifica di quadro di primo livello e che le agenzie stesse dipendevano gerarchicamente dalla filiale cui era proposto un dirigente.

Il giudice del merito ha tratto da ciò una prima conclusione, ossia che nell'intenzione delle Poste Italiane la preposizione all'agenzia di coordinamento fosse il gradino superiore della categoria "quadri" e non quello inferiore della categoria di dirigenti. La Corte territoriale ha poi esaminato i compiti delle agenzie di coordinamento, come risultanti dalla "comunicazione 27 settembre  1996 della Filiale di Torino - Segreteria del direttore", interamente riportata nel corpo della sentenza ed ha messo in evidenza, anche sulla base delle testimonianze assunte, che: le agenzie non disponevano in alcun modo di autonomia finanziaria; la loro gestione consisteva, in pratica, non in interventi di tipo decisorio, se non in casi molto limitati, ma nell'esplicazione di attività nell'ambito di precise direttive; eventuali rilievi circa scostamenti tra il programmato e l'attuato per quanto riguardava la produttività o il fatturato, avrebbero avuto come destinatali i direttori di filiale e non i singoli responsabili delle agenzie di coordinamento.

Il giudice di merito ha messo a confronto questi elementi con la declaratoria dell'area quadri di primo livello, contenuta nell'articolo 45 del contratto collettivo nazionale di lavoro, e ne ha tratto la conclusione che il livello di autonomia riscontrato nel preposto alla filiale rientrasse con certezza nella riferita previsione del contratto collettivo.

D'altra parte, secondo la Corte d'appello, benché l'attribuzione della qualifica dirigenziale non sia esclusa di per se dalla dipendenza gerarchica da un più alto livello dirigenziale, il tratto caratteristico della figura del dirigente d'azienda resta comunque l'autonomia e la discrezionalità delle scelte decisionali, nonché l'ampiezza delle funzioni, che devono esser tali da influire sulla conduzione dell'intera azienda o di un suo ramo autonomo. Invece, le agenzie di coordinamento rappresentavano un caso di suddivisione organizzativa interna alla filiale, costituente il tramite fra le agenzie di base e la filiale stessa, ma non dotato di caratteri di autonomia e discrezionalità tali da incidere sulla conduzione di un autonomo ramo aziendale. Né contro questa conclusione aveva rilievo che una volta soppresse le agenzie di agenzie i loro compiti fossero stati attribuiti alle filiali, rette da un dirigente, non costituendo elemento di novità la preposizione di un dirigente alle filiali. Circa il motivo di appello concernente la dequalificazione, il giudice di merito ha osservato che le mansioni di direttore dell'agenzia di base n. 6, assegnate al T. su sua espressa richiesta, dopo la soppressione delle agenzie di coordinamento, restavano pur sempre mansioni di quadro di primo livello, con diretta dipendenza gerarchica dal direttore di filiale: trattandosi di mansioni della stessa area non era pertanto configurabile alcuna dequalificazione. Quanto, infine, all'indennità di funzione, l'articolo 68 del contratto collettivo nazionale del lavoro la ricollegava allo svolgimento di particolari mansioni, cessate le quali veniva meno anche il diritto alla sua percezione: quindi era infondata la doglianza dell'appellante concernente la decurtazione di tale indennità.

O. T. chiede la cassazione di questa sentenza con ricorso, affidato a tre motivi, la cui notifica è stata rinnovata a seguito di ordinanza di questa Corte.

Le Poste Italiane s.p.a. hanno depositato controricorso. Memorie utrinque.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso è denunziata in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 - errata interpretazione dell'art. 2103 c.c., dell'art. 45 del c.c.n.l. del 26 novembre 1994 e dell'art. 1 del c.c.n.l. dei dirigenti- motivazione illogica e contraddittoria. Il motivo è infondato in ciascuno dei suoi profili. Con il primo viene denunziata la contraddittorietà della sentenza, perchè essa avrebbe parlato di un inesistente gradino superiore della categoria quadri e perchè, una volta accertato che la preposizione all'agenzia costituisce un gradino superiore alla qualifica di quadro, sarebbe stato inevitabile riconoscere che tale gradino altro non poteva essere che la qualifica dirigenziale. Ma la censura va disattesa poiché costituisce un palese caso di incomprensione del contenuto della sentenza, la quale ha semplicemente inteso ribadire che con la preposizione all'agenzia ci si trovava comunque di fronte all'assegnazione di mansioni proprie del massimo livello della categoria quadri e non del mimino livello di quella dirigenziale. Quindi la sentenza non ha affatto riconosciuto nella direzione dell'agenzia di coordinamento un livello superiore "alla "qualifica di quadro ma il livello superiore della stessa qualifica, dove la preposizione "della" ha la funzione del complemento di specificazione. Si assume poi che, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza, la circolare in essa richiamata attribuiva al direttore i compiti tipici che gli organigrammi aziendali attribuiscono al dirigente.

Si tratta di una palese contrapposizione alla interpretazione della Corte di merito di una diversa lettura, inammissibile come tale nel giudizio di legittimità (v. per tutte, Cass. 26 marzo 2001 n. 4342). Si addebita inoltre l'erronea interpretazione delle deposizioni di un teste, che, parlando con cognizione di causa in quanto dirigente, aveva indicato nelle agenzie un ulteriore livello di "gerarchizzazione" Si assume che la Corte non avrebbe tenuto conto di tale espressione, perchè tenendola presente non avrebbe potuto negare la superiorità gerarchica delle agenzie di coordinamento rispetto alle agenzie sottoposte ad esse. Si tratta anche in tal caso della proposta di una lettura ad avviso del ricorrente migliore delle dichiarazioni testimoniali, nel senso che secondo il ricorrente la Corte avrebbe dovuto adeguatamente valorizzare lo specifico termine utilizzato dal teste. In contrario basta osservare anzitutto che il termine non ha un nucleo di significato così unicamente definibile da non consentire in termini di certezza un risultato diverso da quello auspicato dal ricorrente. Si deve aggiungere poi che la Corte torinese riproducendo il testo delle dichiarazioni contenenti il termine in questione ha, fra l'altro, chiaramente dimostrato di non aver omesso la sua valutazione, non essendo richiesto al giudice di merito una analisi di ciascuno dei termini impiegato dai testi. Si addebita infine alla sentenza di aver omesso di prendere in considerazione le dichiarazioni di vari testi che avrebbero tutti confermato l'ampio potere discrezionale e l'autonomia della quale godeva il ricorrente e di aver sostanzialmente tenuto presente quale paradigma normativo la concezione ormai superata del dirigente quale alter ego dell'imprenditore. Quest'ultimo profilo di censura va disatteso perchè non trova alcun riscontro nella sentenza impugnata, come emerge dalla sintesi della motivazione esposta nella narrativa che precede. Quanto al primo profilo la sua infondatezza risulta chiara alla luce del consolidato principio per cui la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione. (Cass. Sez. un. 27 dicembre 1997 n. 13045; in senso conforme, per tutte, Cass. 17 gennaio 2000 n. 456).

Con il secondo motivo di ricorso, denunziando, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, del codice di procedura civile, violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c., come pure difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, la parte ricorrente addebita alla sentenza impugnata di non avere riconosciuto la dequalificazione conseguente all'attribuzione delle mansioni di direttore di agenzia di base, pur avendo ammesso che si trattava di mansioni meno importanti delle precedenti mansioni di direttore di agenzia di coordinamento, ritenendo erroneamente che la dequalificazione fosse esclusa dall'appartenenza di entrambe le mansioni alla medesima area di inquadramento. Il ricorrente argomenta la tesi invocando i principi giurisprudenziali elaborati da questa Corte in tema di legittimo esercizio dello jus variandi. Egli mette in evidenza i dati indicativi della maggiore importanza, sia qualitativa che quantitativa delle mansioni di direttore dell'agenzia di coordinamento rispetto a quelle di direttore di agenzia di base, sottolineando anche la ben diversa misura delle relative di indennità di funzione; segnala come la stessa sentenza abbia accertato il trasferimento delle funzioni delle agenzie di coordinamento in capo alle filiali e non alle agenzie di base, ma abbia omesso di considerare che i compiti di queste ultime non siano stati incrementati sotto altro profilo; riporta testualmente una serie di dichiarazioni testimoniali, che afferma esser state totalmente pretermesse, e dalle quali emergerebbe la decisa riduzione di compiti da lui subita.

La società controricorrente contesta le argomentazioni suddette, premettendo che l'attribuzione delle mansioni di direttore dell'agenzia di base sarebbe frutto di esplicita scelta del T.. La controricorrente sottolinea: che la soppressione delle agenzie di coordinamento impone una valutazione necessariamente elastica delle mansioni, non potendosi pretendere l'assegnazione ad un ruolo ormai inesistente; che nel valutare l'equivalenza delle mansioni ha valore determinante il sistema di inquadramento collettivo, nel quale la direzione di Agenzia di Base di rilevante entità come quella assegnata al T., è ritenuta di specifica competenza di un Quadro Q1 come il ricorrente; che la professionalità legata ad una funzione non può essere ancorata a dati esclusivamente numerici e quantitativi, perchè in tal modo viene trascurata la diversa natura dei ruoli svolti nei due casi, prevalentemente burocratico quello delle agenzie di coordinamento, decisamente dinamico e produttivo quello delle agenzie di base.

Il motivo è fondato nei termini che seguono.

Con riguardo allo "ius variandi" del datore di lavoro, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che "il divieto di variazioni in "peius" opera anche quando al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori, sicchè nell'indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente, salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l'accrescimento delle sue capacità professionali. A tal fine l'indagine del giudice di merito deve essere volta a verificare i contenuti concreti dei compiti precedenti e di quelli nuovi onde formulare il giudizio di equivalenza, da fondare sul complesso della contrattazione collettiva e delle determinazioni aziendali. In particolare, le nuove mansioni possono considerarsi equivalenti alle ultime effettivamente svolte soltanto ove risulti tutelato il patrimonio professionale del lavoratore, anche nel senso che la nuova collocazione gli consenta di utilizzare, ed anzi di arricchire, il patrimonio professionale acquisito con lo svolgimento della precedente attività lavorativa, in una prospettiva dinamica di valorizzazione della capacità di arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze" (così, fra le più recenti, Cass. 30 luglio 2004, n. 14666; sostanzialmente nello stesso senso, tra le molte, Cass. 20 marzo 2004 n. 5651; 9 marzo 2004, n. 4790; 9 marzo 2004, n. 4773; 11 febbraio 2004, n. 2469; 11 dicembre 2003, n. 18984; 5 settembre 2003, n. 13000).

Non sembra necessario diffondersi troppo per mostrare come la ragione posta dalla Corte torinese a base della sua decisione, nella parte che ora interessa, diverga sensibilmente dal criterio enunziato. La Corte infatti non si è neppure impegnata come avrebbe dovuto, nell'accertare con precisione i contorni delle vecchie e delle nuove mansioni concretamente espletate dal T., ma, data per scontata la maggiore importanza di quelle precedenti, ha ritenuto di trovare nella loro comune appartenenza ad una medesima area di inquadramento la soluzione, negativa per il ricorrente, del problema che le era stato sottoposto. Quindi è mancato ogni riferimento alle risultanze delle prove né sono state utilizzate, nella prospettiva indicata da questa Corte nelle numerose sentenze sull'argomento, circostanze pur evidenziate dalla sentenza, quali l'attribuzione alle filiali dei compiti delle agenzie di coordinamento, dopo la loro soppressione, o le notevoli differenze nella indennità di funzione. Più in generale la sentenza impugnata, dopo aver motivatamente escluso il diritto del T. alla qualifica dirigenziale, non ha però esaminato se i compiti svolti dallo stesso durante l'esperimento delle Agenzie di coordinamento si caratterizzassero in termini tali che la successiva adibizione all'agenzia di base - integrasse una sostanziale diminuzione della professionalità concretamente acquisita. La totale mancanza del suddetto esame non ha consentito alla Corte di tenere conto, al fine di decidere della dequalificazione, della circostanza che le Agenzie di coordinamento erano state soppresse e di accertare quindi se per avventura la destinazione del T. a compiti meno qualificanti non costituisse l'unica alternativa al licenziamento per impossibilità di utilizzarne le prestazioni negli unici termini resi possibili dalla professionalità ormai acquisita dal dipendente.

Si impone quindi l'accoglimento del motivo in esame e la cassazione della sentenza in relazione ad esso affinché la questione della dequalificazione venga riesaminata alla luce del principio di diritto per cui "il divieto di variazioni in "peius" opera anche quando al lavoratore, nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori, sicché nell'indagine circa tale equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria ma è necessario accertare che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza del dipendente, salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e l'accrescimento delle sue capacità professionali. A tal fine l'indagine del giudice di merito deve essere volta a verificare i contenuti concreti dei compiti precedenti e di quelli nuovi onde formulare il giudizio di equivalenza, da fondare sul complesso della contrattazione collettiva e delle determinazioni aziendali. In particolare, le nuove mansioni possono considerarsi equivalenti alle ultime effettivamente svolte soltanto ove risulti tutelato il patrimonio professionale del lavoratore, anche nel senso che la nuova collocazione gli consenta di utilizzare, ed anzi di arricchire, il patrimonio professionale acquisito con lo svolgimento della precedente attività lavorativa, in una prospettiva dinamica di valorizzazione della capacità di arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze". Nell'applicazione di detto principio il giudice di rinvio terrà conto anche della situazione determinata dalla soppressione delle Agenzie di Coordinamento per i riflessi che questa è idonea a creare sulle possibili utilizzazioni del T. in relazione alla professionalità da questi raggiunta.

Il terzo motivo di ricorso, con il quale denunziando, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, del codice di procedura civile,violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c., illogicità e contraddittorietà della motivazione, il ricorrente lamenta che la Corte abbia ritenuto legittima la decurtazione dell'indennità di funzione omettendo di considerare che si trattava di indennità correlata agli aspetti qualitativi delle prestazioni svolte e alla capacità professionale acquisita, è da ritenere assorbito.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso, e dichiara assorbito il terzo;

rigetta il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Genova, anche per le spese.

Depositato in Cancelleria l' 11 aprile 2005

 

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