- NOTA
- (1-3) RIPARTIZIONE
DELL'ONERE DELLA PROVA E CRITERl PER IL RISARCIMENTO DEL DANNO IN IPOTESI DI
DEMANSIONAMENTO: ESAME DELLA GIURISPRUDENZA
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- La Corte d'Appello di Firenze fa
piena applicazione del principio di ripartizione dell'onere della prova (art.
2697 c.c.): i fatti costitutivi della domanda devono essere provati
dall'attore; 5 fatti estintivi, modificativi, impeditivi, dal convenuto. Sulla
scorta di questa premessa, il giudice del gravame ha attribuito al lavoratore
ricorrente l'onere di provare le circostanze «inattività» o «progressivo
scemare dell'affidamento di compiti», fatti in cui si risolve il
demansionamento e che costituiscono il fondamento della domanda (cfr, Trib.
Treviso 30/4/01, in Rass. giur. lav. Veneto 2001,2,110), mentre ha
attribuito al datore di lavoro resistente l'onere di provare che il
demansionamento dipende da circostanze oggettive, che rendono ragionevole e
conforme a diritto la scelta effettuata, ossia il fatto impeditivo (cfr. Pret.
Milano 14/2/96, in questa Rivista 1996,743).
- Nel senso che l'illiceità
dell'atto del datore di lavoro, perché dettato da motivi antisindacali, debba
essere provata da chi ne deduce l'esistenza, v., ad esempio, Cass. 19/8/86 n.
5089, in Rep, Foro it. 1986, voce «Sindacati» n. 100; Pret. Roma
20/11/98, ivi/2000, stessa voce n. 126; Trib. Parma 1/10/84, in Giur, it. 1985,1,
2, 405, con nota di Ardau.
- In ipotesi di demansionamento la
ripartizione dell'onere della prova sull'an non ha occupato molto la
giurisprudenza, verosimilmente perché il lavoratore ricorrente avverte
l'esigenza di dimostrare il fatto del demansionamento, ricorrendo a un ampio dispiegamento
di mezzi istruttori (si vedano in proposito i rilievi di de Angelis,
«Interrogativi in tema di danno alla persona del lavoratore», in Foro it. 2000,1,1557).
- Dall'esame delle massime
giurisprudenziali si constata una maggior attenzione in tema di prova del danno
prodotto dal demansionamento.
- La ricerca porta a rilevare due
orientamenti giurisprudenziali: quello che esclude che dalla violazione
dell'art. 2103 c.c. derivi di per sé un danno, che sarà pertanto onere del
lavoratore, ancorché ricorrendo alle presunzioni semplici di cui all'art. 2729
c.c.: v. in tal senso Trib. Milano 10/6/2000, in Orientamenti 2000,367;
Trib. Milano 16710/98, ivi 1998,912; Trib. Milano 9/11/96, in questa Rivista
1997,360.
- L'altro orientamento sembra
invece accedere a un'applicazione meno rigida dell'art. 2697 c.c., e induce a
ritenere non necessari ai fini della prova del danno «particolari accertamenti
se non l'uso di nozioni di comune esperienza»: v. in questo senso Trib. Milano
12/3/01, in Orientamenti 2001,43; Trib. Milano 26/4/2000, ivi 2000,375;
alcune pronunce affermano anzi una sorta di automatismo, che induce ad
affermare l'intrinsecità del danno da demansionamento: v. Trib. Treviso 30/4/01
cit.; Trib. Milano 22/12/01, in questa Rivista 2002,377; per Trib.
Milano 4/5/01, ivi 2001,705, il danno da demansionamento costituisce un
«fatto notorio»; esclude la necessità della dimostrazione dell'effettivo
pregiudizio patrimoniale causato dal demansionamento Cass. sez. lav. 6/11/2000
n. 14443, in Arch. civ. 2001,180; in senso conforme cfr. Trib. Vicenza
20/7/2000, in Rass. giur. lav. Veneto 2000,2,51 ; Corte App. Milano
11/5/01, in Orientamenti 2001,256; a questo secondo indirizzo si è
attenuta la sentenza qui pubblicata.
- La distanza fra i due
orientamenti però è più formale che di sostanza.
- Occorre tenere presente che il
richiamo alle presunzioni semplici da parte delle pronunce che escludono ogni
automatismo fra demansionamento e danno non è foriero di quella rigidità nella
vantazione della prova che l'affermazione di principio pare contenere; specie
ove si consideri che proprio l'ari. 2729 c.c. rimette alla «prudenza del
giudice» la valutazione delle presunzioni. In definitiva la rigidità del
principio è mitigata nell'applicazione del potere discrezionale dei giudice e
nel caso concreto può giungere fino a sfumare in affermazioni proprie dei
precedenti richiamati per l'orientamento più favorevole al lavoratore: il punto
è efficacemente riassunto da Cass. sez. lav. 2/11/01 n. 13580, in Rep. Foro
it. 2001, voce «Lavoro (rapporto)», n. 753.
- A ciò si aggiunga che in modo
uniforme la giurisprudenza afferma la plurioffensività del demansionamento;
mentre la sentenza qui pubblicata parla di «danno d'ordine professionale e di
immagine», Cass. sez. lav. 14442/2000 sopra citata, parla di una «pluralità di
pregiudizi» riconducibile al demansionamento e Trib. Milano 17/3/01, in Orientamenti
2001,47, in particolare in motivazione p. 49, menziona, oltre alla
«professionalità», anche la «dignità» e ('«immagine» del lavoratore fra i beni
lesi dal demansionamento: si tratta cioè di risarcire un danno che non lede
solo beni patrimoniali del lavoratore, ma anche beni non patrimoniali o immateriali,
rispetto ai quali la prova del danno non può che essere ricollegata sulla
scorta (più che della comune esperienza) di un giudizio circa la rilevanza
giuridica di determinati interessi della parte lesa a contenuto non
patrimoniale, meritevoli di tutela risarcitoria, ancorché per equivalente; cfr.
in proposito de Angelis, «Interrogativi in tema di danno alla persona del
lavoratore», cit.
- La giurisprudenza è concorde nel
proporre criteri equitativi per la liquidazione del danno riconducibile al
demansionamento.
- A tale orientamento si è
attenuta anche la sentenza qui pubblicata; in proposito senza alcuna pretesa di
completezza, si richiamano: Cass. sez. lav. 1/6/02 n. 7967, in Rep. Foro It. 2002,
voce «Lavoro (rapporto)» n. 195; Cass. sez. lav. 2/1/02 n. 10, ivi 2002, stessa
voce n. 30; Cass. 13580/01 cit; Cass. sez. lav. 20/1/01 n. 835, in Mass. giur. lav. 2001,1014, con nota di Vallebona;
Cass. 14443/2000 cit.; Trib. Milano 4/5/01 cit; Pret Milano 1/3/99, in Orientamenti
1999,88; Pret Milano 19/2/99, in questa Rivista 1999,375.
- Il parametro di riferimento
pacificamente usato in giurisprudenza per determinare il risarcimento del danno
da demansionamento è costituito dalla retribuzione; il problema nasce al
momento della concreta liquidazione, caso per caso: in altri termini la domanda
è di «quanta» retribuzione si deve tener conto ai fini della determinazione
dell'importo da corrispondere al lavoratore demansionato.
- Il danno patrimoniale viene
liquidato con riferimento alla retribuzione percepita durante il periodo di demansionamento:
v., ad esempio, Pret Milano 11/1/96, in questa Rivista 1996, 741.
- Qualora siano stati presi in considerazione altri aspetti
del danno, il medesimo è stato liquidato con misure diverse, nelle quali trova
espressione il noto potere discrezionale conferito al giudice dall'art. 1226
c.c.
- Ha commisurato il risarcimento
all'intera retribuzione mensile, ad esempio, Pret. Roma 1/4/99, in Lav.
prev. oggi 2000,1238, con nota di Meucci;
ha invece escluso che il danno possa essere commisurato all'integrale
retribuzione mensile, peraltro in un'ipotesi di lavoro a tempo parziale, Cass.
sez. lav. 835/01 citata.
- Alcune decisioni hanno
determinato il quantum sulla base della metà della retribuzione: v., ad
esempio, Pret. Milano 14/2/96, in questa Rivista 1996, 743; Pret. Milano
16/9/94, ivi 1995,143; Trib. Milano 22/11/97, in Orientamenti 1997,975
suggerisce di non superare, di norma, la metà della retribuzione nella
liquidazione del danno da demansionamento, rilevando come la retribuzione non
rappresenti il corrispettivo della sola capacità professionale.
- A questa misura del risarcimento
si è attenuta anche la sentenza qui pubblicata, la quale si segnala per lo
sforzo compiuto per rendere ostensibile il criterio di equità applicato: il
giudice fiorentino infatti ha tenuto contò anche dello stato di dissesto
economico-finanziario del datore di lavoro.
- Altre decisioni hanno liquidato
il danno con percentuali minori della retribuzione: Trib. Milano 6/5/02 cit. e
Pret. Milano 1/3/99, in Orientamenti 1999,88, hanno preso a base, ad
esempio, il quaranta per cento della retribuzione; Corte App. Milano 11/5/01
cit. ha ritenuto equo assumere a base della liquidazione il venti per cento
della retribuzione, mentre la stessa Corte milanese, con altra sentenza dell'11/5/01,
anch'essa in Orientamenti 2001,261, ha applicato il dieci per cento
della retribuzione; ha applicato il quindici per cento della retribuzione Corte
App. Milano 5/6/01, in questa Rivista 2001,1007.
- È opportuno ricordare che il
tema del demansionamento concernente i giornalisti ha dato luogo a un indirizzo
giurisprudenziale con tratti specifici: v. in proposito la nota di F. Bernini,
«La dequalificazione del giornalista», in calce a Trib. Milano 26/6/02, in
questa Rivista 2002,639; nonché Cass. sez. lav. 7/7/01 n. 9228, ivi 2001,999.
- Il danno è stato escluso
nell'ipotesi di demansionamento di breve periodo o nel caso del lavoratore
ormai prossimo alla pensione, ovvero ancora quando il dipendente svolge
mansioni di basso profilo: v., ad esempio, Trib. Milano 2674/2000 cit.; Trib.
Milano 16/10/98, in Orientamenti 1998,912.
- Va infine segnalato che l'azione
di risarcimento del danno per violazione dell'alt. 2103 c.c. è soggetta a
prescrizione decennale, trattandosi di illecito contrattuale, come ricordato,
ad esempio, da Pret. Milano 11/1/96 cit.
- 2 II
conferimento di procure speciali ai dipendente per la rappresentanza della
società datrice di lavoro, ovvero la loro revoca, sono questioni che compaiono
spesso nelle controversie in cui si discute di demansionamento.
- L'irrilevanza di tali
conferimenti e/o revoche - confermata anche nella fattispecie qui pubblicata -
è da ravvisare, soprattutto in ipotesi di mansioni non direttive, nella
circostanza che specifici incarichi di rappresentanza della società datrice di
lavoro esulano, per lo più, dal contenuto tipico che caratterizza e qualifica
le mansioni del dipendente.
- marco
orsenigo
- (pubblicata in
Riv. crit. dir. lav. 2/2003, p. 354)