Diritti sindacali d’informazione
e condotta antisindacale
Sommario:
1.
Premessa
2.
I
diritti sindacali di informazione di fonte collettiva e legislativa
3.
La
tesi prevalente della ricorrenza della condotta antisindacale nella violazione
dei diritti sindacali d’informazione di fonte contrattuale
4.
Conferme
dal legislatore, dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito e di legittimità
*****
1.
Premessa
La
recente sentenza n. 7347 del 17 aprile 2004 della sezione lavoro della
Cassazione (v. allegato) che ha affermato la sussistenza di “comportamento
antisindacale” nel rifiuto di un’azienda di credito (per l’occasione il
Banco di Sicilia SpA) di adempiere all’obbligo contrattuale pattuito in ordine
al diritto di comunicazione alle RSA degli straordinari dei dipendenti, ci
fornisce l’occasione per una trattazione organica – nei limiti delle
esigenze di sintesi – dei diritti sindacali di informativa di fonte legale e
contrattuale, con analisi della natura e tipologia delle inadempienze.
2.
I
diritti sindacali di informazione di fonte collettiva e legislativa
E’
nota la ripartizione del contratto collettivo di lavoro in due componenti: la
c.d. «parte normativa», disciplinante i diritti (e i doveri) che strutturano
il rapporto individuale di lavoro, destinata
cioè a regolare i rapporti tra dipendente ed azienda e la c.d. «parte
obbligatoria» del ccnl, composta dalle norme che contemplano le obbligazioni
tra gli agenti negoziali del contratto e, quindi, prevedono di norma obblighi e
diritti reciproci per le
associazioni imprenditoriali e sindacali firmatarie
del ccnl ovvero per i loro
organismi aziendali.
I
diritti sindacali di informazione e/o consultazione sono, pertanto,
riconducibili alla «parte obbligatoria» del ccnl e si è molto discusso se la
violazione o l’inadempimento aziendale a questi diritti costituisca condotta
antisindacale, reprimibile con lo speciale procedimento disposto dall’art. 28
dello Statuto dei lavoratori.
Va
premesso, per necessaria comprensione del lettore, che l’art. 28 (rubricato «Repressione
della condotta antisindacale») così recita: «qualora
il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare
l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di
sciopero, su ricorso degli organismi locali
delle associazioni nazionali che vi abbiano interesse, il
pretore…qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma,
ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la
cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti».
I
diritti all’informazione ed alla consultazione del sindacato e/o delle sue
strutture introaziendali (R.s.a. o Consiglio di fabbrica o d’azienda,
delegati, ecc.) si è imposto nei rinnovi contrattuali della fine degli anni
‘60 e si è via via incrementato, passando da semplice diritto di «sapere» a
diritto propedeutico e strumentale al confronto ed all’intervento sindacale,
teso a condizionare (in una trattativa spesso informale più che formale) le
determinazioni e le scelte gestionali aziendali. In numerosi contratti il
diritto all’informativa (auspicabilmente preventiva, ma anche ex post
per le materie nelle quali le aziende abbiano rifiutato indiretti
condizionamenti e particolarmente nei settori caratterizzati da carenza di
potere delle OO.SS.), è previsto in ordine:
a)
alla «misura e consistenza degli straordinari», al fine di
condizionarne il ricorso aziendale una volta superata una certa soglia;
b)
in tema di «conferimento in appalto» di lavorazioni in precedenza
svolte in azienda ovvero accessorie e strumentali al ciclo produttivo, cioè a
dire prima di procedere a quello che ora si definisce «outsourcing» o «esternalizzazione»;
c)
in tema di ristrutturazioni
aziendali, concentrazioni, scorpori, fusioni ecc., suscettibili di determinare
riflessi sull’occupazione e quindi mobilità o messa in Cig dei lavoratori in
esubero, e simili;
d)
in tema di «andamento occupazionale», «nuove assunzioni», «interventi
di formazione», «attuazione di misure di sicurezza a favore dei lavoratori»,
ecc.
All’informazione
ed alla consultazione pattuita in contratto tra le parti contraenti si aggiunge
quella di fonte legislativa.
Va
ricordato, ad esempio, che:
a)
l’art. 5 della L. n. 164/1975 (in tema di Cig straordinaria e
ordinaria) impone all’azienda un’informativa, nel caso di eventi
oggettivamente non evitabili che implicano sospensione di attività, nei
confronti degli «organismi rappresentativi» dei lavoratori;
b)
l’art. 9, L. n. 125/1991 (in tema di azioni positive per la parità
uomo-donna) prevede l’obbligo per le aziende con più di 100 dipendenti di
trasmettere alle R.s.a. (ed al consigliere nazionale di parità) un rapporto
informativo, distinto per sesso, in ordine all’organico, alle assunzioni, alla
formazione, alle promozioni, ai passaggi di categoria e di qualifica, ai
fenomeni di mobilità, ai licenziamenti, ai prepensionamenti nonché in ordine
alla retribuzione effettivamente percepita;
c)
l’art. 47 della L. n. 428/1990 (c.d. legge comunitaria) ha previsto
l’obbligo dell’azienda alienante ed acquirente d’informare le R.s.a., in
caso di «trasferimento d’azienda» ex art. 2112 c.c.;
d)
l’art. 4 della L. n. 223/1991 (in tema di licenziamenti collettivi)
dispone un obbligo di informativa preventiva e di consultazione delle R.s.a. (e
delle loro associazioni di categoria) nel caso in cui l’azienda intenda dar
corso alla procedura di mobilità del personale;
e)
l’art. 19 D. Lgs. n. 626/1994 (in tema di sicurezza sul lavoro) rende
destinatario di diritti di informazione e di consultazione il «rappresentante
per la sicurezza» eletto direttamente dai lavoratori.
Tanto
per limitarci alla legislazione nazionale, trascurando gli impulsi derivanti
dalle direttive comunitarie.
3.
La
tesi prevalente della ricorrenza della condotta antisindacale nella violazione
dei diritti sindacali d’informazione di fonte contrattuale
Mentre
non si è mai messo in dubbio che violazioni aziendali dei diritti sindacali (in
senso stretto come dei diritti di informazione e di consultazione) - riposanti
sulla carta costituzionale, sullo statuto dei lavoratori e sulla legislazione
ordinaria - concretizzino «comportamenti antisindacali» suscettibili di
sanzione ex art. 28 st. lav. (anche perché diverse leggi ordinarie, come
l’art. 47 L. n. 428/’90, lo hanno previsto espressamente), molto contrasto
vi è stato in ordine all’estensione della tutela ex art. 28 alle violazioni
dei diritti d’informativa e di consultazione di origine contrattuale ovverosia
pattizia.
I
sostenitori della tesi contraria, a livello dottrinario, hanno addotto
l’inopportunità di una «giurisdizionalizzazione» del conflitto sindacale
– cioè a dire l’inopportunità che violazioni di patti e contrasti tra
azienda e rappresentanze sindacali debbano sfociare nelle aule giudiziarie,
atteso che il sindacato può e deve
far valere le sue armi di offesa e di autotulela, nella forma dello sciopero e
della pressione sulla controparte - mentre
la minoritaria giurisprudenza di merito, dello stesso tenore, ha fatto leva
sull’analoga considerazione secondo cui «la propria immagine ogni sindacato se la deve costruire da sé e non è
consentito ricorrere al giudice invocando il rimedio speciale di cui all’art.
28 l. n. 300 del 1970, per sopperire con la forza legale dei provvedimenti
giudiziali al proprio difetto di forza per scarsa presenza tra i lavoratori o
per debole combattività dei propri aderenti o per crisi di credibilità verso
la base» (1).
Sulla
stessa posizione di non
riconoscimento di «antisindacalità» reprimibile ex art. 28 stat. lav. nei
confronti dei diritti sindacali di informazione, di fonte negoziale, si è
mantenuta la Cassazione (fino alla fine del 1989), sostenendo che «l’art.
28 riposa sulla violazione di norme
costituzionali, o quanto meno generali dell’ordinamento, non di diritti o
comunque di posizioni giuridiche di origine contrattuale” (2).
Una
prima incrinatura al muro granitico eretto dalla Cassazione per negare l’antisindacalità
di violazioni di diritti d’informazione riposanti su norme pattizie, è
rappresentata da Cass. 11 ottobre 1989 n. 4063 (3), la quale nello statuire
l’inesistenza di un comportamento antisindacale nel rifiuto aziendale di
fornire ad un sindacato le informazioni da questo pretese, asserì che il
principio in questione valeva «in difetto
di un obbligo che, in tal senso, sia imposto al datore di lavoro (da legge o
contratto) oppure risulti preparatorio o strumentale rispetto all’esercizio
dei diritti garantiti allo stesso sindacato nei confronti del datore di lavoro»,
lasciando chiaramente intendere che qualora il diritto di informazione fosse
convenuto in norme contrattuali ne sarebbe discesa, all’opposto ed
automaticamente, dichiarazione di antisindacalità.
Infine
la svolta della Cassazione, nel senso di estendere alla violazione dei diritti
d’informazione, di fonte negoziale, l’art. 28 st. lav. è rappresentata da
Cass. 23 marzo 1994, n. 2808 – singolarmente
trascurata da tutte le principali riviste giuridiche (4) -, la quale è giunta
ad affermare con grande modernità che «solo
un’informativa precisa e sistematica sugli straordinari previsti o richiesti (pattuita
nel ccnl metalmeccanici a favore delle R.s.a., n.
d. r.) consentiva, in quel settore, la
possibilità di controllo e di intervento che si inquadrano nelle generali
politiche dell’occupazione proprie del sindacato». Conseguentemente
l’inadempienza costituiva comportamento antisindacale, a nulla rilevando
l’inesistenza di una volontà aziendale o di uno specifico intento di nuocere
al sindacato, essendo sufficiente a configurare comportamento antisindacale
l’oggettivo riscontro di una condotta che, anche solo potenzialmente, risulti
lesiva degli interessi collettivi di cui sono portatrici le OO.SS., orientamento
che è stato recentemente fatto proprio dalle sezioni unite della Suprema corte,
con decisione (svalutativa dell’elemento intenzionale o soggettivo) n.
5295/1997(5).
Merita
dar conto che tramite la decisione n. 2808/1994 la Cassazione ha preso anche
posizione sulla prassi dei preposti
di una primaria industria metalmeccanica di «defiggere» ogni tanto dalle
bacheche sindacali i comunicati ritenuti «illegittimi», asserendo
perentoriamente il carattere antisindacale della prassi in questione, sulla base
della considerazione che «nessun potere
di ingerenza, tale da affidare al datore di lavoro il compito di
‘sfoltire’…le bacheche sindacali dalle affissioni, né, tantomeno, il
potere di stabilire la qualità del materiale affisso al fine di determinare,
secondo i casi, quale è ‘bene’ affisso e quale può essere ‘sfoltito’ o
defisso ad iniziativa dell’imprenditore, è derivabile dall’art. 25 legge
300 del 1970».»La qualificazione di pubblicazioni, testi e comunicati come
inerenti ‘a materie d’interesse sindacale e del lavoro’ è il cuore della
libertà di organizzazione ex art. 39 Cost., del diritto di sciopero (si pensi
alla proclamazione di scioperi di solidarietà o di scioperi politici, a
comunicazioni sulla sanità, ecc.), della stessa autonomia sindacale che non può
più esistere ove al datore di lavoro sia consentito di interferire nella
individuazione di quella inerenza». «Sola misura della ‘sindacalità’ di
un dato materiale è dunque la circostanza che esso abbia formato oggetto di
scelta, da parte del sindacato, posto che qualsiasi argomento può considerarsi
d’interesse sindacale ove il sindacato lo assuma ad oggetto della propria
azione e il solo limite che il datore di lavoro ha diritto di vedere rispettato,
a norma dell’art. 25 cit., è la provenienza dalle rappresentanze sindacali di
tutto ciò che compare negli appositi spazi da lui predisposti».
La
Cassazione, con la prima statuizione n. 2808/1994 -
innanzi riferita in ordine all’informativa sugli straordinari -
si allineava così alla preponderante giurisprudenza di merito espressasi
nel senso del riscontro del carattere antisindacale della violazione di diritti
d’informazione sanciti nel ccnl, correttamente considerati come strumentali
– tramite la previa conoscenza
– alla maggiore incisività del confronto (o trattativa) con la controparte,
e, quindi, strumentali all’attività sindacale, altrimenti pregiudicata dalla
mancata cognizione della situazione di fatto e delle motivazioni delle
determinazioni aziendali, suscettibili di sfociare –
ma solo dopo la consultazione sindacale e valutati i rilievi e
suggerimenti di quest’ultimo organismo – in decisioni aziendali operative.
Ora
con la decisione n. 7347 del 17 aprile 2004, l’orientamento in ordine alla
natura antisindacale della mancata comunicazione degli straordinari alle OO.SS.
si rafforza e si consolida oltre, intuitivamente, ad essere analogicamente
estensibile ad altre inadempienze di
diritti contrattuali d’informativa pretermessi o inadempiuti dai datori di
lavoro. La Cassazione ha colto anche l’occasione per ricordare, a supporto
delle conclusioni raggiunte, un’altra serie di recenti sentenze (che
menzioneremo in prosieguo), conclusioni che si sintetizzano nella seguente
massima: « Ove la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva, nel
fissare i limiti massimi per il lavoro straordinario di ciascun dipendente,
preveda anche l’obbligo del datore di lavoro di informare il sindacato in
ordine al numero di ore di lavoro straordinario svolto dai dipendenti,
l'inottemperanza del datore di lavoro a quest'obbligo di informativa è idonea
ex se oggettivamente a costituire condotta antisindacale ed a legittimare, in
presenza degli altri presupposti di legge, il ricorso dei sindacato al
procedimento di repressione contemplato dall'art. 28 dello Statuto dei
lavoratori (legge n.300 del 1970)».
Per
sgombrare il campo dal dubbio che l’affermazione di principio costituisse
nuova o isolata affermazione, la Cassazione ha ricordato come recentemente la
stessa Corte (Cass., sez. lav., 7 marzo 2001, n. 3298, cit.) ha ritenuto lesivo
di prerogative sindacali riconosciute dalla contrattazione collettiva per gli
addetti all'industria metalmeccanica privata e, conseguentemente, ha ritenuto
legittima la costituzione in giudizio del sindacato ex art. 28 citato la mancata
comunicazione alle r.s.u. della decisione dell'imprenditore di far ricorso al
lavoro straordinario, con specificazione del numero dei lavoratori interessati,
del nome degli stessi, di quelli che avevano superato le quote esenti e di altre
informazioni pertinenti, nonché il rifiuto opposto dall'impresa alla richiesta
di prendere visione, da parte delle dette R.s.u., del registro infortuni. Ed in
senso conforme si è espressa Cass., sez. lav., 7 agosto 1998, n. 7779, cit.,
che ha ritenuto integrati gli estremi della condotta antisindacale in un caso in
cui un dirigente della polizia di stato aveva disposto i turni di lavoro
straordinario senza alcuna previa consultazione delle organizzazioni sindacali,
così come espressamente prescritto da un accordo sindacale. Ancor più
recentemente Cass. 11 novembre 2003 n.16976 ha ritenuto che costituisce
comportamento lesivo del diritto sindacale di informativa preventiva spettante
al sindacato di polizia il mancato rispetto, da parte dell'ente datore di
lavoro, dell'obbligo informativo a cadenza trimestrale desumibile, oltre che dal
d.lgs. 12.5.1995, n. 195, e dall'art. 25, lett. d), del d.P.R. 31.7.1995, n.
395, dall'Accordo Nazionale quadro del 12.6.1997, il cui mancato rispetto è
atto a limitare l'esercizio dell'attività sindacale concernente la
programmazione dello straordinario, del riposo compensativo e dei turni di
reperibilità.
Analogamente
Cass. 6 giugno 2003 n.9130 ha affermato in riferimento alla fattispecie del
trasferimento d'azienda che la violazione (obbligo di informazione del sindacato
ed il mancato svolgimento della procedura imposta dall'art. 47, legge n. 428 del
1990, configurano un comportamento che viola l'interesse del destinatario delle
informazioni, ossia il sindacato, e che, sussistendone i presupposti,
costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 legge n. 300 del 1970,
pur senza incidere sulla validità dei negozio traslativo.
4.
Conferme
dal legislatore, dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito e di legittimità
Infine,
un supporto di non poco conto alla tesi – oramai preponderante e potremmo dire
consolidata – dell’antisindacalità delle violazioni dei diritti sindacali
di fonte negoziale, è stata apportata, a suo tempo, dall’art. 7 della L. n.
146/1990 (sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali), che ha
stabilito che. «La disciplina di cui
all’art. 28 della l. n. 300/1970, si applica in caso di violazione di clausole
concernenti i diritti e l’attività del sindacato contenute negli accordi di
cui alla legge 23 marzo 1983 n. 93, e nei contratti di lavoro, che disciplinano
il rapporto di lavoro nei servizi pubblici essenziali di cui alla presente legge».
Disposizione che Ghezzi (6) ha definito di «(parziale)
interpretazione autentica» e che Garilli (7) ha, condivisibilmente,
ritenuto riconducibile alla volontà del legislatore di rispondere positivamente
«al quesito, posto già all’indomani
dello Statuto, circa la possibilità di sanzionare ex art. 28 il comportamento
del datore di lavoro non ottemperante agli obblighi previsti dai contratti
collettivi a favore dei sindacati dei lavoratori».
Lo
stesso autore ha poi precisato che
«il legislatore, volendo porre fine alle discussioni e alle conseguenti
notevoli incertezze aleggianti tra gli operatori del diritto, ha inteso
precipuamente riconoscere l’applicabilità dell’art. 28 anche alla
violazione dei diritti sindacali di origine contrattuale, ma, in linea con le
sue finalità settoriali – del resto maggiormente evidenti se si pensi che
l’art. 7 in parola non è inserito nel corpo dell’art. 28 -
tale applicabilità è stata espressamente prevista solo nell’ambito
delle zone oggetto del suo intervento. Per gli altri settori, sia pure
direttamente esclusi dall’intervento legislativo, la nuova disciplina non potrà
che condurre ad un rafforzamento dell’opinione maggioritaria…ed invero
qualora si circoscrivesse l’azione ex art. 28 per violazione dei diritti
sindacali contrattuali nell’ambito delle amministrazioni pubbliche e dei
datori di lavoro privati che erogano servizi pubblici essenziali, negandola in
tutti gli altri settori, ciò comporterebbe il sorgere di fondati dubbi di
legittimità costituzionale dell’art. 7 l. n. 146 del 1990».
Va
dato atto che questo, oramai maggioritario, orientamento è stato favorito da
una oculata quanto equilibrata
giurisprudenza di merito, nella quale fanno spicco e meritano menzione, nella
stessa materia della violazione dei diritti sindacali d’informazione, Pret. Roma 21 marzo 1995 (8), preceduta da Pret. Roma
26 luglio 1991 (9) nonché Pret. Roma 10 luglio 1997 (10) la quale in una
vertenza tra le OO.SS. ed un’azienda di credito ha così stabilito: «In caso di «esternalizzazione», cioè a dire di appalto ad enti o
società esterne all’area contrattuale del credito, di un «segmento di
lavorazione» (nel caso la «lavorazione della fase negoziatrice degli
assegni», n.d.r.), costituente attività
«complementare e/o accessoria» rispetto all’attività bancaria principale,
il diritto di informazione per gli organismi sindacali aziendali delle OO.SS.,
sancito dall’art. 148, 7° co., ccnl 19 dicembre 1994 per il settore credito -
configurante atto negoziale di procedimentalizzazione dei poteri imprenditoriali
– va inteso (non già quale mera comunicazione aziendale di decisioni
sostanzialmente già assunte, ma) quale informativa, finalizzata alla possibilità
di intervento del sindacato nell’iter di formazione della decisione stessa,
informativa che deve intervenire nella fase antecedente alla sottoscrizione del
contratto di appalto e deve essere idonea a consentire un costruttivo confronto
tra le parti. Il riscontrato inadempimento aziendale al riguardo attualizza
condotta antisindacale, reprimibile ex art. 28 stat. lav., ed implica
conseguentemente l’obbligo per l’azienda di rinnovare correttamente
l’informativa e, quale
conseguenza della rimozione degli effetti della condotta denunciata,
comporta l’inefficacia dei contratti di appalto stipulati per la
specifica attività».
Tornando
alla soprariferita decisione n. 7347/2004 della Cassazione, va altresì
evidenziato come la S. corte abbia completamente (e correttamente) svalutato i
tentativi aziendali (sposati dalla stessa Corte d’Appello di Siracusa) di
sottrarsi alla dichiarazione di antisindacalità dell’omissione datoriale,
consistenti nel sostenere che:
a)
la sedes materiae della pattuizione non era tanto la cd. parte
“obbligatoria” del ccnl - la
cui violazione dà luogo ad un pregiudizio pacificamente riconosciuto per le
OO.SS. in dottrina e in giurisprudenza - ma
la parte “normativa”, prevalentemente volta a sancire diritti (e doveri)
individuali per i singoli dipendenti;
NOTE
(1)
Così Pret. Lodi 18.2.1985, in Not.giurisp.
lav. 1985,2.
(2)
Così Cass. n. 2573/1980; Cass. n. 3263/1982; Cass. n. 5320/1988.
(3)
In Mass. giur. lav. 1989, 443.
(4)
In Riv.giur. lav. 1990, I, 151.
(5)
In Mass. giur. lav. 1997, 541.
(6)
In Riv.giur. lav. 1990, I, 151.
(7)
In Aa.Vv., Sciopero e servizi essenziali, Padova 1991, 195.
(8)
In
Lav. giur. 1995,
648.
(9)
In Foro it. 1992, I, 254.
(10)In
Lav. prev oggi 1998, 1617 ed ivi 1625
il commento di M. Meucci.
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