In tema di infortuni sul lavoro
Le due decisioni della sezione lavoro della Cassazione – rispettivamente n. 1109
del 1 febbraio 2000 e n. 4433 del 7 aprile 2000 (integralmente in Lav. e
prev, Oggi, 2000, p. 1437 e 1440 rispettivamente) – apparentemente difformi in quanto giungono, in ipotesi che
potrebbero (ma non sono) similari, a conclusioni di segno opposto, sono, in
realtà ispirate dagli stessi presupposti giuridici.
La massima della prima (n.
1109/2000) così recita: “Ricorre l’occasione di lavoro – che dà luogo ad
infortunio risarcibile – solo quando l’attività lavorativa esponga il
prestatore d’opera ad un rischio diverso da quelli gravanti sulla generalità
della popolazione o aggravi quest’ultimi in misura non trascurabile, pur non
richiedendosi che esso sia quello tipico della specifica attività lavorativa, e
non essendo per contro sufficiente che l’infortunio avvenga in luogo di lavoro
o nel tempo del suo svolgimento (in fattispecie, sulla base dei principi
suesposti, è stata esclusa l’indennizzabilità dell’infortunio accaduto ad una
dipendente in orario di lavoro, scivolata su un lapis mentre rientrava al suo
posto dopo aver eseguito fotocopie richieste dal suo dirigente)”.
La
massima della seconda (n. 4433/2000), afferma: “Poichè qualsivoglia attività
professionale implica, oggi e vieppiù in futuro, in assenza di adeguate
strutture di supporto una dinamica di comportamenti manuali e di connessi
rischi intrinseci, che il legislatore del 1965 neppure poteva immaginare
(telefonia cellulare, fax, strumenti informatici e di duplicazione, ecc.) è riconducibile al concetto di “occasione di
lavoro” - per effetto di rischio
generico aggravato – la caduta dell’avvocato che si recava, attraversando il
pavimento sconnesso del corridoio a seguito di lavori di ristrutturazione in
corso, nel locale ove era ubicata la fotocopiatrice per fotocopiare documenti
necessari per ilo svolgimento del proprio lavoro.
Sussiste
infatti la responsabilità del datore di lavoro qualora il nesso di causalità,
richiesto da dottrina e giurisprudenza per la configurabilità dell’infortunio
sul lavoro ossia tra prestazione lavorativa e sinistro, sia tale che l’evento
dipenda dal rischio inerente ad un atto intrinseco a quelle prestazioni, o
comunque strettamente connesso o prodromico con il compimento delle medesime
(riconosciuto ricorrente, nel caso di specie, a causa della pavimentazione
insidiosa dei locali che il legale doveva percorrere a cagione e per
l’espletamento della sua attività di professionista alle dipendenze dell’ente datore
di lavoro).
Entrambe
ritengono non riconducibile alla nozione legislativa di “occasione di lavoro” –
che legittima l’indennizzabilità dell’infortunio – i rischi generici, cioè a
dire quelli in cui sono suscettibili di incorrere i normali cittadini, nonché
tutti gli altri eventuali rischi cui è esposto il lavoratore nell’ambiente di
lavoro che “non siano suscettibili, per la loro varietà, di apposite
misure di prevenzione e sottratti ad ogni possibilità di controllo del datore
di lavoro” (così esplicitamente Cass. n. 1109/2000).
In
buona sostanza entrambe – come la maggioranza delle decisioni della Suprema
corte – ritengono irrilevante (per) e
non strutturante il nesso di causalità il mero fatto dell’essersi l’infortunio
verificatosi nell’ambiente e nei locali di lavoro e/o nell’orario di lavoro,
non riconoscendo alcuna valenza al fattore “topografico e/o cronologico”,
quando l’infortunio non è dipendente da un rischio insito nella prestazione
principale o ad essa riconducibile per effetto di espletamento di incombenze accessorie e strumentali alla
prestazione tipica, ovvero il rischio generico (tipico del normale cittadino)
non si trasforma in “rischio aggravato” in ragione di particolarità ambientali,
di negligenze datoriali, di misure prevenzionali non assunte dal datore di
lavoro e simili.
La
seconda decisione ben esplicita questo concetto quando fa presente che la
“caduta” dell’avvocato – a causa del pavimento insidioso, per effetto dei
lavori di ristrutturazione, del corridoio che il professionista doveva
attraversare senza alternative per raggiungere la stanza delle fotocopie – non
è assimilabile alla “caduta accidentale del dipendente nel luogo e durante
l’orario di lavoro, priva di nesso di causalità con le mansioni da disimpegnare”.
Al riguardo, a conferma dell’esclusione di quest’ultima fattispecie, dal
diritto d’indennizzo, essa fa espresso richiamo ad una nutrita serie di decisioni, tra cui Cass. n.10869/1995; Cass. n. 5019/1994;
Cass. n. 3744/1993. A tutte queste va aggiunta, ora, Cass. n. 1109/2000 – sopra
riportata – atteso che la S. corte ha ritenuto la caduta su di un lapis da parte della lavoratrice/segretaria
(comandata a far fotocopie dal proprio superiore) del tutto “accidentale”,
caratterizzata dal solo “rischio connesso agli spostamenti aziendali, che
incombe su chiunque si muova da un luogo ad un altro…, rischio che non era
reso, nella specie, quantitativamente maggiore dall’attività lavorativa
esplicata dall’infortunata” (così Cass. n. 1109/2000). “L’infortunata
– prosegue la S. corte nella precitata decisione – nel recarsi a fare la
fotocopia, trovavasi a fronteggiare un rischio (inciampo in un ostacolo
imprevisto e non percepibile) non diverso da quello che incombe su ogni altro
soggetto che si sposti a piedi in circostanze non caratterizzate
dall’incombenza a lei assegnata”.
Entrambe
le decisioni, pertanto, si conformano
ed aderiscono a quell’orientamento della Cassazione che “esclude che
costituisca infortunio sul lavoro la caduta senza alcun collegamento con
situazioni rinvenibili nell’ambiente di lavoro o nelle modalità della
prestazione lavorativa, in assenza di un nesso, sia pure mediato e indiretto,
tra lavoro e rischio, ma ricorrendo la semplice coincidenza cronologica e
topografica” (così Cass. n. 4433/2000).
Qualche
perplessità di disarmonia, in concreto,
tra il disconoscimento d’indennizzo per
la caduta per inciampo sul lapis di ritorno dalla fotocopiatura e l’opposto riconoscimento di indennizzo per
caduta dalle scale di un archivista dattilografo dell’Inail mentre si recava
presso l’ufficio del Capo area, al fine di eseguire il cambio di data sul
timbro in dotazione, suscita invero Cass. 2 giugno 1999, n. 5419 (che di
quest’ultima fattispecie si è occupata), al cui riconoscimento di “non
accidentalità” è pervenuta - tuttavia –
sulla base degli stessi principi giuridici asseriti nelle annotate decisioni,
affermando, anch’essa, in senso conforme, che: “l’occasione di lavoro
prevista dalla legge non implica necessariamente che l’infortunio avvenga
durante l’espletamento delle mansioni lavorative tipiche in ragione delle quali
è stabilito l’obbligo assicurativo, essendo indennizzabile anche l’infortunio
determinatosi nell’espletamento di prestazioni lavorative ad esse connesse, in
relazione ad un rischio non proveniente dall’apparato produttivo ma tuttavia
insito in un’attività prodromica e comunque strumentale allo svolgimento delle
mansioni”. Evidentemente, l’esigenza o la necessità dell’archivista di
recarsi presso il capo Area per cambiare la data del timbro in dotazione –
scendendo le scale dal primo piano al piano terreno e precipitando nel percorso
con danni all’anca e postumi del 20% di invalidità permanente – debbono aver convinto la Cassazione che tale
incombenza era strumentale ed accessoria alla prestazione principale di addetto
(con qualifica di archivista /dattilografo) alle apparecchiature elettriche
(videoterminali, fotocopiatrici,calcolatrici, ecc.) e che inoltre la necessità
del relativo disimpegno aveva implicato il “rischio aggravato” dello scendere le
scale per raggiungere il Capo
Area, considerato non rientrante tra i
rischi generici (tipici di chi si sposta normalmente nell’ambiente di lavoro),
a differenza di quanto invece ritenuto sia in sede di Pretura che di Tribunale
di Livorno, che avevano per l’appunto negato il diritto all’indennizzabilità
per riconducibilità della caduta alla categoria del “rischio generico”.
(nota pubblicata in Lav. prev. Oggi, n. 7/2000, p.
1444)
Mario Meucci
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