LAVORI ATIPICI E SALUTE MENTALE

 

Nei Paesi industrializzati la globalizzazione dell'economia, il mercato dominato dalle esigenze della domanda e l'innovazione tecnologica, segnando il declino del modello fordista, negli anni ottanta e novanta hanno determinato l’introduzione e la conseguente diffusione di nuove forme di lavoro denominate atipiche, finalizzate a soddisfare la richiesta di una maggiore flessibilità del mondo del lavoro in relazione alle richieste del mercato economico

 

di Famiani M. (*), Monti C. (*), Tomei G. (*)

 

Vengono definite atipiche «tutte quelle nuove forme d' impiego e di lavoro svolte con qualsiasi modalità, le cui caratteristiche si differenziano per uno o più aspetti da quelle definite standard; per standard si intendono, invece, gli impieghi basati sull'assunzione a tempo indefinito ed a tempo pieno da parte di un unico datore di lavoro, con metodi di organizzare il lavoro basati sull’ internalizzazione ed il coordinamento delle prestazioni entro i confini dell'organizzazione che le utilizza» [1] [2] [3].

L'introduzione di contratti di lavoro «non standard» ha modificato radicalmente gli aspetti psico-sociali correlabili al mondo del lavoro.

Come già accennato all'inizio, l'economia regolata dalle esigenze della domanda e l'imponente innovazione tecnologica hanno comportato una ristrutturazione dell'organizzazione aziendale e una minore necessità di impiego di risorse umane, fino a far assumere al lavoro la connotazione di «job on call», cioè di lavoro «a chiamata» o «su richiesta» e conseguentemente a breve termine, per il tempo strettamente necessario a soddisfare le richieste aziendali [4] [5] [6].

A dimostrazione di quanto appena asserito, vi è il documentato incremento negli ultimi dieci anni del ricorso a forme di contratto a breve termine o lavoro temporaneo [26].

Nella definizione di lavoro a breve termine rientrano i lavori interinali, i lavori occasionali, alcune forme di lavoro part-time, i lavori a progetto, i lavori intermittenti, i contratti di apprendistato, le borse di studio, i contratti di inserimento professionali, i lavori stagionali, gli week-end job, ecc.

L'innovazione tecnologica, inoltre, ha comportato una maggiore informatizzazione dei processi lavorativi, comportanti come conseguenze sia la riorganizzazione aziendale stessa che la nascita di nuove tipologie di lavoro come il lavoro a domicilio e il telelavoro.

Questa nuova rivoluzione, non solo concettuale, ha inevitabilmente contribuito all'insorgenza di un disagio psichico da lavoro nel lavoratore moderno abituato al concetto di lavoro a tempo indeterminato [4] [9].

Questo disagio psichico è stato sia quantitativamente che qualitativamente valutato in numerosi studi condotti in merito all'impatto delle nuove tipologie di lavoro nei confronti della salute dell'individuo, salute intesa nella sua più completa accezione di benessere psico-fisico [4].

Le cause del disagio psichico da lavoro lamentato devono essere ricercate, in modo particolare, nel concetto di forza lavoro come risorsa esterna all'azienda e utilizzata per il tempo strettamente necessario a raggiungere lo scopo per cui è stata assunta [4]. Nel panorama della nuova dimensione del lavoro il lavoratore a tempo determinato avverte fortemente il senso di precarietà della condizione lavorativa. Escludendo i casi in cui è il lavoratore per esigenze proprie a scegliere il lavoro a tempo determinato, il disagio psichico da lavoro del lavoratore precario è riconducitele, in confronto al lavoratore a tempo indeterminato, a cause di natura economica, ridotta ricompensa monetaria, ad un aumentato senso di precarietà e conseguente insicurezza della condizione lavorativa e ad un aumentato grado di insoddisfazione e disaffezione lavorativa [4] [10] [11]. L'evidenza di come aumenta il grado di insoddisfazione lavorativa nei lavoratori che maggiormente avvertono il senso di precarietà della condizione di lavoro è stata fornita da uno studio del 2004 intitolato «Tipologia di impiego e Salute» [9].

Gli Autori traendo spunto dalle trasformazioni apportate al mercato del lavoro con l'introduzione di impieghi più flessibili, responsabili della diminuzione del senso di sicurezza della condizione lavorativa avvertita dal lavoratore moderno, si sono posti l'obiettivo di valutare lo stato di salute, sia da un punto di vista psichico che fisico, in due diversi campioni rappresentativi della popolazione lavorativa, costituiti rispettivamente da 15.968 e 21.703 lavoratori, di 15 differenti Paesi della Comunità europea [12].

Lo stato di salute psico-fisica è stato valutato in termini di soddisfazione lavorativa e stress, di affaticamento generale e mal di schiena mediante la somministrazione di questionari per i suddetti indicatori di salute [12]. I risultati così ottenuti sono stati inoltre rapportati al tipo di contratto, se a tempo indeterminato part-time o full-time, se a tempo determinato part-time o full-time, se lavoro autonomo, se piccoli imprenditori e se commercianti part-time o full rime. Dal confronto tra le due popolazioni studiate in tempi diversi, nel periodo tra novembre 1995 e gennaio 1996 per il campione di 15.968 unità (denominato ES 1995) e nel periodo tra marzo ed aprile 2000 per il campione di 21.703 unità (denominato ES 2000), è emerso che i lavoratori a tempo determinato riportavano una più alta percentuale di insoddisfazione lavorativa, ma più bassi livelli di stress rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato [12].

I risultati così ottenuti hanno trovato spiegazione nel fatto che i lavoratori con impieghi a tempo determinato avvertono maggiormente la precarietà del proprio impiego, ma al contempo, sono esposti per minor tempo, in relazione all'instabilità del lavoro stesso, ai possibili stressor psico-sociali connessi con l'attività lavorativa [12].

L'insicurezza della condizione lavorativa, come si evince dai dati presenti in letteratura è riconducibile sia alle ridotte possibilità di avanzamento di carriera, sia alla più difficile possibilità di ottenere promozioni in ambito aziendale che a frequenti cambi di mansione o trasferimenti in contesti lavorativi differenti [4] [9] [13]. Un aumentato turnover nelle mansioni lavorative potrebbe esporre il lavoratore a maggiori rischi per la salute e la sicurezza [4] [13].

Quest'ultima condizione trova riscontro e conferma nell' aumentata incidenza di infortuni sul lavoro per quanto riguarda la categoria dei lavoratori precari [3] [14]. Le possibili spiegazioni di questo aumento vanno ricercate nel fatto che i frequenti cambi nella tipologia della prestazione lavorativa, non consentono né un'adeguata formazione ed informazione sui rischi propri della realtà aziendale in cui si trova di volta in volta adibito, né un'efficace tutela sanitaria e né una acquisizione dì specifiche competenze tecniche [4].

Nei lavoratori a progetto e più estesamente in quelli parasubordinati ed occasionali in aggiunta alle motivazioni appena illustrate si aggiunge il prolungamento dell'orario di lavoro rispetto alla norma [18].

Come prova delle inadeguate condizioni di sicurezza in cui versano i lavoratori precari rispetto a quelli a tempo indeterminato, Benavides et al., studiando un campione di 15.146 lavoratori di età maggiore di 15 anni provenienti da 15 Paesi della Comunità europea hanno riscontrato che i precari, paragonati ai lavoratori con contratto di lavoro «standard», erano maggiormente adibiti a mansioni lavorative particolarmente più faticose (58% contro il 42%), erano più esposti ad alti livelli di rumore (38% contro il 29%) e svolgevano attività di tipo ripetitivo (46% contro il 36%) [14]. Un altro aspetto da non tralasciare, a spiegazione del disagio psichico del lavoratore precario derivante dall’aumentato turnover lavorativo è la difficoltà incontrata dal lavoratore nell'instaurare e nel gestire soddisfacenti e sempre nuovi contratti-rapporti relazionali con i colleghi di lavoro e con i diretti superiori [9]. I risvolti in termini di salute mentale dei lavori atipici erano stati evidenziati indirettamente nel 1990 in un lavoro presentato al 53° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale avente come oggetto della ricerca la verifica della prevalenza di disturbi psicologici addetti all'uso di videoterminali [7]. La valutazione di quest'ultima era stata condotta in rapporto alla tipologia sia della mansione lavorativa che del contratto, se occasionale o a tempo indeterminato. In merito a quest'ultimo aspetto, nei lavoratori occasionali, era stato riscontrato un significativo aumento degli stati depressivi, di autocritica elevata, sensazioni di vuoti di mente e mancanza di interesse o piacere nella vita sessuale [7].

Sono stati forniti spunti interessanti per valutare la correlazione «lavoro al videoterminale-disturbi psicologici», non solo in funzione delle caratteristiche intrinseche della mansione stessa, ma anche in relazione ad altri stressor ricollegabili alla complessa condizione lavorativa del videoterminalista, come le condizioni ambientali dell'ufficio, le responsabilità derivanti dalla mansione, la scarsa soddisfazione derivante dal lavoro ecc.[7].

In particolare i videoterminalisti con contratto di lavoro occasionale, qualora vengano impiegati in mansioni non comportanti rapporti con l'utenza e pertanto svolte in un contesto di isolamento sociale, mostrano disturbi psichici cinicamente rilevanti come disturbi di personalità associati sia ad ansia che a sintomi fobici [7]. Allo stato attuale delle cose ed in linea di principio con quanto finora enunciato, la maggior parte degli A.A. riportano che l'insoddisfazione e la precarietà lavorativa possono essere definiti quali stressor di natura psico sociale in grado di determinare effetti negativi sulla salute mentale del lavoratore atipico inteso con l'accezione di flessibile [3] [5] [10] [11] [13] [16] [17] [18] [20] [21] [22].

Lo stressor insoddisfazione lavorativa è considerato essere un importante fattore predittivo per l'insorgenza di disturbi psichiatrici di natura di tipo depressivo. A conferma di questo nesso associativo una studio (review-metanalisi) del 2005 ha evidenziato come l'insoddisfazione lavorativa si correla positivamente con disturbi psichici come l'ansia, la depressione, ridotti livelli di autostima ed il burnout [23]. Per il raggiungimento delle conclusioni di cui sopra, Farangher et al. hanno passato in rassegna più di 500 studi, pubblicati dopo il 1970, aventi come oggetto della ricerca l'insoddisfazione professionale e la valutazione sullo stato di salute, complessivamente in 250.000 lavoratori [23].

Nei lavori presi in esame dagli Autori ed inclusi nella metanalisi poi redatta, il grado di soddisfazione  lavorativa è stato quantificato mediante appositi metodi di valutazione sotto forma di questionari e successivamente messo in correlazione con i rispettivi indicatori di benessere sia psichico che fisico [23].

Come indicatori di salute sono stati scelti il grado di depressione, il grado di ansia, il grado di autostima, la presenza di burnout e la presenza di disturbi psicosomatici, come mal di testa, vertigini, disturbi muscolari e la presenza di disturbi caridiovascolari, e muscoloscheletrici, tutti misurati con apposite scale di depressione ansia e stato di salute soggettivamente riferito [23].

Dai risultati così ottenuti gli Autori hanno concluso che l'insoddisfazione lavorativa dei lavoratori a tempo determinato può essere definita come un rischio specifico per la salute mentale ed il benessere psico-fisico del lavoratore [23]. L'influenza, invece, dello stressor precarietà-insicurezza della condizione lavorativa è stata quantificata in una ricerca effettuata su 10.308 impiegati pubblici britannici di età compresa tra i 35 ed i 55 anni [24].

Lo studio in esame, condotto in più fasi ha evidenziato come un cambiamento da un contratto di lavoro a tempo determinato a un contratto di lavoro a tempo indeterminato e viceversa ha come esito rispettivamente una riduzione e un aumento del tasso di morbilità psichiatrica misurata attraverso il questionario della salute generale (GHQ) e l'Indice di Depressione [24].

Analoghe considerazione sono risultate da un ulteriore studio del 2003 che ha evidenziato una significativa associazione tra sensazione di insicurezza lavorativa, ansia e depressione [25].

Il campione a riguardo, selezionato tra 9.033 residenti di due città del sud est dell'Australia era costituito da 1.188 impiegati di età compresa fra i 40 ed i 42 anni, con qualifica di manager, specialisti in tecnologie informatiche, dottori, avvocati, infermieri, impiegati pubblici, dei quali il 55% delle unità campionarie era costituito da uomini, il 67 % erano laureati, l’81 % erano sposati, l’84 % avevano un contratto full-time, il 49% occupava posizioni manageriali, circa il 16% aveva un ruolo da supervisore ed il restante 15% svolgeva compiti non manageriali [25].

La relazione tra insicurezza del posto di lavoro e salute mentale è stata valutata attraverso la misurazione di variabili assunte ad indicatori dello stato di salute sia psichico che fisico come la depressione, l'ansia, la «salute fisica soggettivamente riferita» e la misurazione dello sforzo richiesto sul lavoro (job strain) e la precarietà del posto di lavoro (job insecurity) [25].

Successivamente le attività lavorative in base ai livelli di job insecurity sono state rispettivamente suddivise in categorie con basso moderato alto livello di insicurezza e rapportate agli indicatori di salute di cui sopra [25]. Dalla correlazione statistica, calcolata mediante il test del Chi Quadro è derivato che l'insicurezza lavorativa è fortemente associata con tutti e quattro gli indicatori di salute [25].

In seguito alla correzione dei risultati per sesso, titolo di studio, stato civile, affettività negativa, contratto part time, gravi malattie, morte di un familiare e difficoltà relazionali persisteva comunque una più rimarchevole associazione tra l'insicurezza lavorativa e la depressione e stato di salute riferito [25]. Le conseguenze dell'instabilità lavorativa, derivante da contratti di lavoro atipici come gli impieghi a tempo determinato, sulla salute mentale sono state oggetto di uno studio pubblicato nel 2004 da Virtaten et al. [11]. Questo lavoro, in veste di studio prospettico, ha analizzato la mobilità lavorativa, in associazione alla condizione di salute riferita dal lavoratore ed al distress psicologico, in 1.670 impiegati pubblici finlandesi che all'inizio dello studio (1998) avevano un contratto di lavoro a tempo determinato [11].

Alla popolazione oggetto della ricerca è stato fornito in due diversi periodi (1998-2002) uno stesso questionario indagante sia lo stato di salute generale che il grado di distress psicologico in relazione agli eventuali mutamenti delle condizioni del contratto di lavoro avvenuti tra il 1998 ed il 2002 [11].

Dai risultati così ottenuti è emerso che la prospettiva di un lavoro più stabile, veniva accompagnata da un decremento del rischio di distress psicologico [11]. Tale prospettiva faceva riferimento al fatto che nel 2002 il 45% degli impiegati rispetto al 13 % nel 1999 assisteva alla trasformazione del proprio contratto di lavoro da temporaneo a tempo indeterminato.

I sopraccitati Autori, al fine di fare punto sulla situazione nel panorama letterario riguardante il lavoro temporaneo e la salute in generale, nell'accezione di benessere sia fisico che psichico, hanno analizzato 27 studi in materia effettuando una analisi differenziata per cinque differenti indicatori di salute:

1) stato psicologico,

2) condizione di salute generale (includendo i tassi di mortalità),

3) disturbi muscoloscheletrici,

4) infortuni sul lavoro,

5) assenza dal lavoro per malattia [26].

Per verificare se l'associazione tra lavoro temporaneo e i tassi di «psychological morbility» era attribuibile alla condizione di precarietà lavorativa, per ciascuno studio preso in considerazione è stata specificata la tipologia di impiego analizzata [26].

È risultato che 11 dei 18 lavori dimostravano una chiara associazione con un aumento del tasso di «psychological morbility» [26]. Erano soprattutto i lavori stagionali, a progetto, occasionali ed atipici a presentare una maggiore associazione [26].

La relazione tra lavoro precario e risvolti sulla sfera  psico-sociale è stata messa in evidenza anche da uno studio condotto su 39 dipendenti di 2 hotel a cinque stelle [18].

Il campione analizzato era composto da 39 lavoratori, 17 femmine e 22 maschi, 26 con contratto a tempo indeterminato e 13 lavoratori con contratto di lavoro occasionale, tutti di età compresa tra 19 e 61 anni [18]. Ad ognuno dei partecipanti allo studio è stato fornito un questionario composto da 6 domande in merito alle personali considerazioni sul proprio stato di benessere psico-fisico ed ai vantaggi e/o svantaggi derivanti dalla tipologia del proprio contratto di lavoro [18].

Dalle risposte date è emerso che i dipendenti con contratto di lavoro occasionale riferivano maggiori difficoltà nella gestione delle relazioni sociali, disturbi del sonno oltre che ad un aumento del grado di affaticamento fisico, scorretta alimentazione e difficoltà nel praticare sport o qualsiasi altra attività ricreativa [18]. Non si può tralasciare di menzionare quelle forme di impiego che si discostano dal concetto di lavoro standard non per la tipologia contrattuale, ma per le caratteristiche della modalità con cui vengono condotte [1]. In questa tipologia rientra a pieno titolo il telelavoro definibile come un insieme di attività svolte con caratteristiche di sistematicità in un luogo dedicato a distanza dalla sede centrale di riferimento e con l'utilizzo continuativo di strumenti telematici [1] [27]. Tralasciando il riferimento a studi che attestano l'opportunità che questa tipologia di lavoro, frutto dell’informatizzazione delle realtà lavorative, ha concesso in modo particolare ai soggetti diversamente abili di inserirsi nel mondo del lavoro, cortocircuitando le difficoltà pratiche che la disabilità stessa comporterebbe loro, si è focalizzata l'attenzione sugli effetti del telelavoro sulla salute mentale. Mentre non sono molti gli studi che hanno indagato quantitativamente questa correlazione, non mancano invece lavori atti a delineare i possibili rischi connessi con la tipologia di lavoro in esame [28].

Tali rischi vanno ricercati nell'isolamento sociale e fisico, nelle scarse relazioni intrecciate con gli altri colleghi di lavoro, nelle condizioni di superlavoro accompagnate da ridotte pause e nella demotivazione lavorativa che può insorgere per la lontananza dal contesto lavorativo [1] [27] [28]. I rischi sopramenzionati potrebbero compromettere il benessere psichico del lavoratore a tal punto da determinare un maggior rischio di sviluppare disturbi di natura psichica come la depressione, ma questo nesso causale rimane una ipotesi, in assenza di dati statisticamente significativi e misurazioni oggettive al riguardo [28]. In conclusione si può affermare che il lavoro atipico, per i risvolti che determina sulla vita  psico-sociale del lavoratore, può essere in grado di determinare la comparsa di disturbi psichici, ad esempio ansia e depressione. Quest'ultime possono essere considerate la chiara manifestazione del disagio psichico vissuto dal lavoratore in risposta agli adattamenti che si trova costretto ad affrontare per far fronte alle continue trasformazioni lavorative che le caratteristiche del nuovo mercato del lavoro gli impongono.

Una considerazione a parte può essere avanzata per il telelavoro. Dal momento che l'isolamento sociale è riconosciuto essere un rischio specifico del telelavoro [1] [27], quanto riportato per videoterminalisti adibiti a mansioni condotte in assenza di interlocutore, potrebbe essere esteso anche ai telelavoratori.

Il nostro gruppo di lavoro sta effettuando studi su indicatori biologici precoci che potrebbero essere utili anche per identificare gruppi di lavoratori atipici esposti a stressor [29][30][31][32]. Si riportano le conclusioni della metanalisi di Virtaten et al. del 2005. Gli Autori hanno sottolineato che prima di confermare la relazione esistente tra lavoro a tempo determinato e salute, è necessario: [26]

1) definire in modo esauriente le diverse tipologie di lavoro a tempo determinato; [26]

2) condurre ulteriori ricerche sul meccanismo mediante il quale il lavoro a tempo determinato si correla con un tasso di «psychological morbility» [26];

3) delineare il contesto psico-sociale in cui vive il lavoratore a tempo determinato e la storia lavorativa dello stesso; [26]

4) descrivere meglio il panorama del mercato del lavoro da un punto di vista sia del rischio di disoccupazione al quale può andare incontro il lavoratore «temporaneo» che dell'aspetto legale ed organizzativo della tutela della salute e sicurezza dello stesso [26].

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(*) Cattedra, Scuola dì Specializzazione in Medicina del Lavoro e Corso di Laurea in Tecniche della Prevenzione negli Ambienti e Luoghi di Lavoro Università degli Studi di Roma «La Sapienza»: Ordinario, Direttore e Presidente Prof. Francesco Tomei.

 

Sono state omesse le note

(fonte: Consulenza n. 36/2005, Buffetti ed., p.58 e ss.)

 

RECENTI OPINIONI SULLA LEGGE BIAGI

 

Mercato del lavoro / Parla Tiziano Treu

(Ecco perché non si chiama legge Biagi)

L'Unione vuole abolire staff leasing, job on call e contratti d'inserimento

 

ROMA «Aboliremo lo staff leasing, il job on call, il contratto di inserimento. Semplificheremo: faremo un'unica forma di apprendistato, magari cambiandogli nome, che valga per tutti i contratti a causa mista (di formazione e di lavoro). Aumenteremo i contributi per il lavoro a progetto per evitare gli abusi». Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro del centro-sinistra spiega come l'Unione riformerà la legge Biagi in caso di vittoria alle prossime elezioni. «La prima iniziativa della legislatura sarà quella di diminuire il costo del lavoro attraverso una graduale parificazione della contribuzione: scenderà quella del lavoro subordinato - oggi al 33% - salirà quella del lavoro autonomo. Contestualmente creeremo nuovi ammortizzatoli per tutelare i lavori flessibili, si tratta di 4,5 miliardi di euro a regime».

 

Romano Prodi promette di riscrivere la legge Biagi, intanto le cooperative e Sergio Cofferati la applicano. Se andrete al Governo cambierete idea anche voi?

Un momento. Nessuno ha detto che la legge 30 è il diavolo. E nessuno si scandalizza se la utilizza il sindaco di Bologna. Noi non demonizziamo quel­le norme diciamo che alcune le riscriveremo, altre le aboliremo.

 

Eppure la legge Biagi viene considerata la coerente prosecuzione della legge Treu, da lei firmata. Dove sono le deviazioni?

Innanzitutto, mi rifiuto di chiamarla legge Biagi. E posso farlo in coscienza. Marco Biagi ha lavorato con me. Conoscevo le sue idee e credo siano state realizzate in modo diverso da quello che era il suo progetto. È una legge che non ha firmato e credo sia propagandistico e arbitrario chiamarla con il suo nome.

 

Lei non la chiamerà legge Biagi. Ma dove sono le anomalie?

L'obiettivo della legge 196 (Treu, ndr) è stato quello di regolare alcune forme di lavoro che esistevano ma erano in nero, come l'interinale. O anche il part-time. L'abbiamo fatto in modo mirato con l'obiettivo di inserire una flessibilità regolata e contrattualizzata. La legge 30 invece ha moltiplicato le forme contrattuali in modo confuso e, quindi, inutile oltre che pericoloso. La moltiplicazione dei contratti non porta moltiplicazione del lavoro ma della precarietà.

 

Quali dati ha per affermare che ha portato precarietà?

L'Istat dice che su 100 assunti a termine, dopo tre anni solo 21 hanno un posto fisso. Al Sud sono appena 5. E ora il dato sui contratti a tempo determinato si legge anche nello stock degli occupati non solo sui flussi. Segno che sta diventando strutturale. Questa è la precarietà o, se preferisce, il prolungamento della precarietà.

 

Mettere nuovi paletti rischia di riportare in nero quello che ora è legale?

Noi vogliamo evitare gli abusi, non la flessibilità. Per esempio: la reiterazione eccessiva dei contratti a tempo determinato. Pensiamo, quindi, di inserire dei deterrenti per evitare troppe proroghe. Sul part-time, invece, i cambiamenti di orario torneranno a essere materia di contrattazione collettiva e non lasciati agli accordi tra singolo lavoratore e impresa. Anche i contratti a progetto (gli ex-co.co.co.) vanno corretti.

 

Ma i co.co.co sono nati durante il Governo Dini.

No, esistevano dal 1973, noi portammo l'aliquota contributiva al 10% e a quel punto emerse tutto il mondo del lavoro atipico. E anche l'uso ipocrita che ne facevano le imprese usandolo, di fatto, per lavori subordinati ma con costi molto inferiori. La legge 30, istituendo il lavoro a progetto ha avuto un obiettivo lodevole, quello di evitare l'ipocrisia. Ma non sta funzionando. Infatti, abbiamo il lavoro a progetto nei cali center: questo è un abuso. Quello che faremo è avvicinare i costi a quello del lavoro subordinato in modo da non rendere conveniente l'abuso.

 

La riforma della legge cambierà il nome alla Biagi?

Si, si chiamerà con un numero. Come tutte le leggi.

LIMA PALMERINI

(fonte: Il sole-24 Ore, 5/10/2005, p. 17)

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INTERVISTA / MAURIZIO SACCONI

«La legge Biagi non si può abolire»

 

ROMA Ormai è uno dei temi più accesi della campagna elettorale tra l'Unione e il centro-destra. È stato Michele Tiraboschi, dalle pagine de «II Sole-24 Ore», a criticare le «ipocrisie» del centro-sinistra che da un lato annuncia l'abrogazione della legge Biagi, dall'altro la sta applicando (come, ad esempio, il Comune di Bologna, le cooperative). A Tiraboschi ha voluto replicare l’ex ministro del Lavoro Tiziano Treu (vedi «II Sole-24 Ore» di ieri) chiarendo cosa l'Unione abolirà e cosa invece cambierà in caso di vittoria alle prossime elezioni. «Non sarà facile cancellare la Biagi. Ci sono delle norme che ormai sono irreversibili. Come la fine del monopolio pubblico nel collocamento, come il nuovo contratto di apprendistato», è la contro-replica di Maurizio Sacconi, sottosegretario del Welfare.

 

Treu dice che è «propagandistico» averla  chiamata legge Biagi.

Sarebbe odioso se l'avessimo fatto senza la consapevolezza che era gradito alla famiglia e ai collaboratori più stretti di Marco. Le leggi spesso si intitolano ai vivi, a maggior ragione credo si possa fare quando l'autore ha dato la vita per un progetto di riforma. Ma io inviterei Treu a chiamare sia la sua legge sia la legge 30, "le leggi Biagi".

 

Le leggi Biagi? Ma Treu dice che non c'è continuità.

E invece sì. C'è la continuità dell'autore, Marco Biagi, su entrambi i provvedimenti legislativi. Una continuità evidente e documentata nei testi: molti provvedimenti che non volle adottare il centro-sinistra sono stati inseriti nella nostra legge. Ma c'è anche una coerenza politica: non è un caso che Fausto Bertinotti voglia abolire sia la Treu che la Biagi.

 

Ma Prodi non è Bertinotti.

Romano Prodi è più vicino alle posizioni di Bertinotti che di Treu. Prodi parla di una "generazione bruciata dalla Biagi".

 

Si prepara a vedere annullato il lavoro fatto in questi anni?

No, non penso si possa cancellare tutto. Alcune riforme hanno ormai radici forti. Parlo della Borsa lavoro che entro novembre sarà completamente operativa, con soggetti pubblici e privati che - in rete - faranno intermediazione tra domande e offerte di lavoro, Il monopolio pubblico nel collocamento è finito in modo irreversibile. Presto autorizzeremo anche alcune parti sociali, come Confindustria, ad operare nel mercato del lavoro. E sul nuovo apprendistato c'è stata una collaborazione proficua delle Regioni, al netto di alcune pigrizie e lentezze. L'Emilia Romagna, per esempio, ha fatto una buona legge.

 

Però salterebbero lo staff leasing, il job on call, il part-time sarà rivisto e corretto...

Ritengo che queste siano norme di "nicchia". Mi preoccupano, invece, i cambiamenti annunciati sul part-time: reintrodurre rigidità sarà un danno soprattutto per le donne e riporterà le imprese a una nuova diffidenza verso il contratto. Sullo staff leasing dico solo che Schroeder ha copiato la nostra norma. Peccato tornare indietro.

 

Ma siete riusciti a evitare gli abusi sugli ex co.co.co?

I nuovi contratti a progetto  - che hanno sostituito i co.co.co. - hanno avuto un effetto di ripulitura. Prenda il caso del Comune di Bologna: lì i co.co.co che non si sono trasformati in progetto sono rientrati nell'alveo del lavoro autonomo. Si dice che la sinistra ami talmente i poveri che vorrebbe produrli: così, vorrebbe trasformare i co.co.co in lavori subordinati di serie B. Invece sono autonomi. Non abbiamo ancora fatto partire la campagna ispettiva proprio per dare modo alle imprese di adeguarsi alla novità gradualmente.

 

I dati sulla precarizzazione del lavoro come li spiega?

Sono un falso. I contratti a termine si sono ridotti dello 0,6%.

 

Cosa lasciate di incompiuto. Gli ammortizzatoli?

Ma abbiamo speso tutti i soldi del Patto per l'Italia (750 milioni) per aumentare l'indennità di disoccupazione e finanziare le casse integrazioni in deroga.

 

Vuole dire che se vincerà il Polo non ci sarà nulla da completare?

La legislatura si è aperta con l'accordo Blair-Berlusconi sul mercato del lavoro: insisteremo ' sull'idea di dare protezione attiva al lavoratore sul mercato e non più sul posto di lavoro.

LINA PALMERINI

(fonte: Il Sole-24 Ore,  6/10/2005, p. 23)

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La flessibilita spacca l'Unione

Treu salva la legge 30. Bertinotti: «Va abrogata». Prodi alla ricerca del compromesso

 

Si sono fatte vicine per l'Unione le primarie e sulle «cose importanti», quelle sulle quali «bisognerà trovare un compromesso» prima delle politiche del 2006, cominciano a sentirsi voci diverse. E diverse intonazioni.

Parte del sipario ieri si è alzato sulla questione lavoro, unico vero tavolo di trattativa aperto nel centro sinistra. L'ex ministro Treu, autore della omonima legge che introdusse il lavoro interinale e da molti considerata come l'anticipazione della legge 30, dalle pagine del Sole 24 ore spiega «noi non demonizziamo le norme della legge 30, alcune le riscriveremo altre le abrogheremo», aggiunge di «trovare lodevole l'obiettivo di quella legge, cioè di evitare l'ipocrisia» e corregge con un modesto «ma non Sta funzionando».

Toni completamente diversi per Fausto Bertinotti che tra le priorità del prossimo probabile governo di centro sinistra mette non solo l'abrogazione della legge 30, ma anche del pacchetto Treu e della normativa che ha liberalizzato i contratti a termine: «Il pacchetto Treu lo abbiamo votato anche noi nel tentati­vo di mettere dei paletti alla flessibilità, ma il sistema economico ha trasformato la flessibilità in precarietà. Oggi vogliamo cancellare tutte e tre le leggi e siamo disponibili a confrontarci con l'Unione. Per me non c'è nulla nella legge Biagi che possa essere salvato: è una normativa che crea solo un lavoro povero e precario». Il programma che il segretario di rifondazione comunista immagina per la coalizione è fatto di un'Italia «deprecarizzata», perché «quella della precarietà è la più grande questione dei nostri giorni».

Le posizioni  sono distanti, serve avvicinarle. Ed è (fisiologicamente) il candidato premier del centro sinistra Romano Prodi a tentare le prime prove di omogeneità. Al Professore re non piace l’uso indiscriminato di forme contrattuali precarie, che «stanno distruggendo una generazione». «I nostri giovani non riescono a metter su famiglia. E chi ha un contratto a progetto non è in grado di progettare un figlio», spiega Prodi con un gioco di parole. Ma non parla di abrogazione per la legge 30. Si limita a un «andrà profondamente rivista». Anche il rappresentante Ds al tavolo Cesare Damiano ammette di non seguire «lo slogan della cancellazione», ma sottolinea come urgente la necessità di far tornare l'idea che il lavoro a tempo indeterminato è la forma normale di lavoro. Per l'esponente della Quercia il ricorso alla flessibilità (sotto la quale raggruppare le diverse forme contrattuali) deve essere unicamente motivato dalla circostanza che «eccezionali richieste di mercato non riescono a essere soddisfatte dai lavoratori presenti nell’impresa». E per fare questo la ricetta è sinergica: ridurre degli strumenti con i quali si precarizza, reintrodurre lo sconto fiscale per le imprese che assumono a tempo indeterminato, rendere il costo del lavoro flessibile «maggiore o uguale» a quello del lavoro stabile. Ma «maggiore o uguale» non sono sinonimi. Per Paolo Ferrero di rifondazione comunista «è necessario che le prestazioni precarie costino di più delle altre. Devono essere non convenienti per le imprese». Ma l'intuizione di Treu è diversa, visto che l'ex ministro parla invece di «un avvicinamento tra i costi del lavoro a progetto a quello del lavoro subordinato». «Sul punto è del tutto evidente che non ci può essere un incontro a metà strada», commenta Ferrero, che aggiunge:«Sarà l'oggetto dei prossimi due mesi di discussione. Ma sono fiducioso, perché a differenza del '97, quando c'era chi voleva aumentare e chi voleva diminuire le forme di flessibilità oggi nell'Unione siamo tutti per una riduzione». Anche il segretario confederale della Cgil Paolo Nerozzi si dice ottimista sulla possibilità che si trovi una soluzione all'interno dell'Unione e ricorda: «Noi come sindacato abbiamo presentato cinque proposte a riguardo, ma tutte mirano all'abrogazione della legge 30».

GIOVANNA FERRARA

(fonte: Il Manifesto, 6/10.2005, p. 6)

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