Legge Regione autonoma Friuli Venezia Giulia sul mobbing

 

LEGGE REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA  8 aprile 2005, n. 7.

Interventi regionali per l'informazione, la prevenzione e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dalle molestie morali e psico-fìsiche nell'ambiente di lavoro.

(Pubblicata sul Bollettino Ufficiale della regione Autonoma Friuli Venezia Giulia n. 15 del 13.4.2005)

 

Art. 1 (Finalità)

1. La Regione Friuli Venezia Giulia, secondo i principi enunciati negli articoli 2, 3, 4, 32, 35, 37 e 41 della Costituzione, persegue lo sviluppo della cultura del rispetto dei diritti della persona e la tutela della sua integrità psico-fisica, il miglioramento della qualità della vita e delle relazioni sociali nell'ambiente di lavoro e il contrasto dell'esclusione sociale.

2.  Ai sensi dell'articolo 5 dello Statuto speciale e dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, con la presente legge la Regione intende contribuire ad accrescere la conoscenza del fenomeno delle molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro, denominato fattispecie di «mobbing», a ridurne l'incidenza e la frequenza, e a promuovere iniziative di prevenzione e di sostegno a favore delle lavoratrici e dei lavoratori che si ritengono colpiti da azioni e comportamenti discriminatori e vessatori protratti nel tempo.

Art. 2 (Progetti contro le molestie morali e psico-fisiche sul posto di lavoro)

1.  Per le finalità di cui all'articolo 1, l'Amministrazione regionale promuove la realizzazione di progetti contro le molestie morali e psico-fisiche sul posto di lavoro che possono essere presentati da:

a) Enti locali, singoli o associati, anche in convenzione con associazioni di volontariato e organizzazioni non lucrative di utilità sociale che documentino comprovata esperienza;

b)  associazioni di volontariato, associazioni senza fini di lucro e di utilità sociale, organizzazioni sindacali, che abbiano maturato competenze specifiche in materia di molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro e organizzazioni datoriali di categoria, che operino in regione e che si avvalgano o collaborino con personale qualificato con pluriennale e documentata competenza nella materia.

2. I progetti di cui al comma 1 possono prevedere l'attivazione di appositi centri di sostegno e di aiuto nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori, denominati «Punti di Ascolto».

3.1 Punti di Ascolto sono accreditati dall'Amministrazione regionale sulla base di un Regolamento, sentita la Commissione consiliare competente, da adottarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge.

Art. 3 (Punti di Ascolto)

1.  I Punti di Ascolto istituiti ai sensi dell'articolo 2, comma 2, devono garantire la presenza di personale con le qualifiche professionali di cui al comma 4, mantenere rapporti costanti con le strutture pubbliche competenti in materia di prevenzione e sicurezza sul posto di lavoro e con l'I.N.A.I.L., fornire ogni utile informazione alla Commissione regionale per le politiche attive del lavoro integrata in materia di molestie morali e psico-fisiche sul lavoro, di cui all'articolo 4.

2. I Punti di Ascolto svolgono le seguenti attività:

a) effettuano colloqui con le lavoratrici e i lavoratori in condizioni di disagio al fine di verificare l'eventuale sussistenza di una situazione di malessere psico-fisico della lavoratrice o del lavoratore, legata a molestie o altre forme di pressione psicologica, di cui la lavoratrice o il lavoratore lamenta di essere oggetto, riservando particolare attenzione alle situazioni verificatesi in contesti in cui si siano evidenziati infortuni sul lavoro;

b) promuovono l'organizzazione di corsi di formazione e aggiornamento di operatrici e operatori qualificati per affrontare problematiche di disagio psico-fisico sul luogo di lavoro;

e) forniscono all'Osservatorio regionale sul mercato del lavoro, di cui all'articolo 3 della legge regionale 11 dicembre 2003, n. 20 (Interventi di politica attiva del lavoro in situazioni di grave difficoltà ocupazionale), ogni rilevazione utile all'analisi del fenomeno in regione.

3. I Punti di Ascolto nello svolgimento della loro attività possono avvalersi dell'apporto di esperti, anche in rapporto di convenzione.

4. Presso ogni singola Azienda sanitaria, nell'ambito dei rispettivi S.P.S.A.L., è istituito un Punto di Ascolto e assistenza, per le lavoratrici e i lavoratori, composto almeno dal seguente personale, dipendente dell'Azienda sanitaria o in convenzione all'uopo stipulata dall'Azienda sanitaria medesima:

a)   un medico specialista in medicina del lavoro;

b)   un medico specialista in medicina legale;

e)   uno psicologo o medico specialista in psichiatria;

d)   un giuslavorista esperto in materia di lavoro.

Art. 4 (Azioni contro molestie morali e psico-fisiche sul lavoro della Commissione regionale per le politiche attive del lavoro)

1. La Commissione regionale per le politiche attive del lavoro, di cui all'articolo 2 quater della legge regionale 14 gennaio 1998, n. 1 (Norme in materia di politica attiva del lavoro, collocamento e servizi all'impiego nonché norme in materia di formazione professionale e personale regionale), svolge le seguenti funzioni contro le molestie morali e psico-fisiche sul lavoro:

a)   esamina e valuta i progetti di cui all'articolo 2 da ammettere a finanziamento regionale;

b)   promuove studi e ricerche sul fenomeno delle molestie morali e psico-fisiche sul luogo di lavoro, analisi delle sue molteplici espressioni, anche alla luce della letteratura scientifica con i migliori livelli di evidenza, della recente giurisprudenza e delle esperienze maturate in altri Paesi;

e)   promuove campagne di informazione e di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, anche in collaborazione con enti, istituzioni e associazioni no profit;

d)   propone programmi di formazione delle operatrici e degli operatori dei Punti di Ascolto, nonché dei lavoratori dipendenti, dei dirigenti e delle parti sociali, responsabili degli uffici del personale delle aziende pubbliche e private;

e)   effettua consulenze nei confronti degli organi regionali e di soggetti pubblici e privati che intendano adottare progetti o sviluppare iniziative di prevenzione.

2. Per l'esercizio delle funzioni di cui al comma 1, la Commissione regionale per le politiche attive del lavoro è integrata dai seguenti componenti:

a)   il direttore centrale competente in materia di lavoro o suo delegato;

b)   il direttore centrale competente in materia di sanità o suo delegato;

e)   la Presidente della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna o sua delegata;

d)   il Difensore civico o suo delegato;

e)   un rappresentante della Direzione regionale del lavoro-sede periferica del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

f)    un medico del lavoro, un sociologo, uno psicologo o psicoterapeuta del lavoro, un avvocato giuslavorista scelti dall'Amministrazione regionale nell' ambito del personale dipendente del Servizio sanitario regionale e dei nominativi forniti dai rispettivi ordini o associazioni professionali.

3.  La Commissione regionale per le politiche attive del lavoro integrata in materia di molestie morali e psico-fisiche sul lavoro può costituire al suo interno gruppi di lavoro per la trattazione di specifiche problematiche.

Art. 5 (Funzioni dell'Osservatorio regionale sul mercato del lavoro. Modifiche dell'articolo 3 della legge regionale 20/2003)

1.  Dopo il comma 1 dell'articolo 3 della legge regionale 20/2003 è inserito il seguente:

«1 bis. L'Osservatorio svolge altresì, in base agli indirizzi forniti dalla Commissione regionale per le politiche attive del lavoro integrata ai sensi dell'articolo 4, comma 2, della legge regionale 8 aprile 2005, n. 7, attività dirette a migliorare la conoscenza delle problematiche che concorrono a determinare il fenomeno delle molestie morali e psico-fisiche sul luogo di lavoro e a definire idonee misure di prevenzione del medesimo.».

2. Al comma 2 dell'articolo 3 della legge regionale 20/2003, dopo la lettera g), sono aggiunte le seguenti:

«g bis) effettua studi e ricerche sul fenomeno delle molestie morali e psico-fisiche sul luogo di lavoro, anche alla luce della letteratura scientifica con i migliori livelli di evidenza, della recente giurisprudenza e delle esperienze maturate in altri Paesi;

g ter) raccoglie i dati inerenti i casi trattati dai Punti di Ascolto e dai Punti di Ascolto e assistenza previsti dalla normativa regionale in materia di informazione, prevenzione e tutela dalle molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro;

g quater) effettua studi di possibili correlazioni con gli infortuni sul lavoro.».

3.  Al comma 3 dell'articolo 3 della legge regionale 20/2003, dopo le parole «comma 2» sono inserite le seguenti: «, lettere da a) a g),».

4.  Dopo il comma 3 dell'articolo 3 della legge regionale 20/2003 è aggiunto il seguente:

«3 bis. Per l'esercizio delle funzioni di cui al comma 2, lettere da g bis) a g quater), l'Osservatorio può avvalersi dell'apporto di esperti e della collaborazione di centri di ricerca pubblici e privati, nonché del personale esperto di cui si possono avvalere, anche in rapporto di convenzione, i Punti di Ascolto previsti dalla normativa regionale in materia di molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro.».

Art. 6 (Finanziamenti regionali)

1. Entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale, su proposta dell'Assessore regionale competente in materia di lavoro, sentita la Commissione consiliare competente, che si pronuncia entro trenta giorni dalla richiesta, approva il Regolamento per il finanziamento dei progetti di cui all'articolo 2, indicando le modalità di attuazione e i criteri, tra i quali quelli riguardanti i progetti di cui all'articolo 2, comma 1, che prevedano anche l'attivazione di Punti di Ascolto.

2. Gli adempimenti connessi all'attuazione degli interventi sono demandati al direttore centrale competen­te in materia di lavoro.

Art. 7 (Clausola valutativa)

1. Con cadenza biennale, la Giunta regionale, avvalendosi dell'Osservatorio regionale sul mercato del lavoro, informa il Consiglio regionale sull'attuazione della legge e sui risultati ottenuti al fine di prevenire e contrastare il fenomeno delle molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro.

2. Ai fini di cui al comma 1 la Giunta regionale presenta alla competente Commissione consiliare una relazione nella quale in modo documentato si illustrano:

a)   quali interventi sono stati realizzati sul territorio regionale e quali risultati qualitativi hanno raggiunto;

b)   in che misura i lavoratori si sono rivolti ai Punti di Ascolto e quali sono i risultati delle rilevazioni sulle percezioni e atteggiamenti prevalenti tra lavoratori e datori di lavoro sul fenomeno delle molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro;

e)  quale è stato il grado di attività e collaborazione dei soggetti, che intervengono sulla materia, considerati dalla presente legge.

Art. 8 (Norma finanziaria)

1. Per gli interventi previsti dall'articolo 2 è autorizzata la spesa di 100.000 euro per l'anno 2005 a carico dell'unità previsionale di base 9.2.320.1.2972 dello stato di previsione della spesa del bilancio pluriennale per gli anni 2005-2007 e del bilancio per l'anno 2005, con riferimento al capitolo 3002 (2.1.142.2.08.02) che si istituisce nel documento tecnico allegato ai bilanci medesimi alla rubrica n. 320 - Servizio n. 208 - Lavoro -con la denominazione «Interventi regionali contro le molestie morali e psico-fisiche sul lavoro».

2.  All'onere di  100.000 euro derivante dal comma 1, si provvede mediante storno di pari importo dall'unità previsionale di base 1.3.320.1.1899 dello stato di previsione della spesa del bilancio pluriennale per gli anni 2005-2007 e del bilancio per l'anno 2005, con riferimento al capitolo 8550 del documento tecnico allegato ai bilanci medesimi, intendendosi corrispondentemente ridotta la relativa autorizzazione di spesa per l'anno 2005.

3. Le spese relative al funzionamento della Commissione regionale per le politiche attive del lavoro integrata in materia di molestie sul lavoro, di cui all'articolo 4, fanno carico all'unità previsionale di base 52.2.320.1.2969 dello stato di previsione della spesa del bilancio pluriennale per gli anni 2005-2007 e del bilancio per l'anno 2005, con riferimento al capitolo 5012 del documento tecnico allegato ai bilanci medesimi.

4.  Gli oneri derivanti dall'applicazione dell'articolo 3 della legge regionale 20/2003, come integrato dall'articolo 5, fanno carico all'unità previsionale di base 9.2.320.1.2972 dello stato di previsione della spesa del bilancio pluriennale per gli anni 2005-2007 e del bilancio per l’anno 2005, con riferimento al capitolo 8007 del documento tecnico allegato ai bilanci medesimi.

La presente legge regionale sarà pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge della Regione.

 

Data a Trieste, addì 8 aprile 2005

 

Legittimità costituzionale della legge Regione autonoma Friuli Venezia Giulia sul mobbing

 

Corte cost. 22 giugno 2006 n. 239 – Pres. Marini – Red. Amirante – Giudizio di legittimità della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 8 aprile 2005, n. 7 (Interventi regionali per l'informazione, la prevenzione e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dalle molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro

 

Ritenuto in fatto

    1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 8 aprile 2005, n. 7 (Interventi regionali per l'informazione, la prevenzione e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dalle molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro), in riferimento agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, all'art. 117, secondo comma, lettere g) ed l), e terzo comma, e all'art. 118, primo comma, della Costituzione.

    In particolare, per quel che riguarda le censure riferite all'art. 117, secondo comma, lettere g) ed l), Cost., il ricorrente osserva come l'art. 1, comma 2, della legge regionale, intenda definire il mobbing con l'espressione «molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro», utilizzando, altresì, nell'art. 1, comma 1, le parole “esclusione sociale”, così evidenziando una tale indeterminatezza definitoria da rimettere ad organi amministrativi il potere di integrare i contenuti normativi, anzi di sostituirsi al legislatore statale, che sarebbe competente a dettare la nozione di mobbing. Questa sarebbe molto più ampia di quella di “molestia”, come definita nell'art. 2, par. 2, della direttiva n. 76/707/CEE del Consiglio, come sostituita dall'art. 1 della direttiva n. 2002/73/CE, che riguarda soltanto il comportamento indesiderato connesso al sesso di una persona.

    Tuttavia la normativa europea rivelerebbe come l'applicazione delle norme sia affidata al giudice e non ad incontrollabili apparati amministrativi o ad altrettanto incontrollabili associazioni di volontari o sindacali. In tale ultimo senso sono invece dettate le previsioni dell'art. 2, relative ai “progetti” presentati da dette associazioni, che possono prevedere dei punti di ascolto, con compiti istruttori, i quali mantengono rapporti con le strutture pubbliche competenti.

    Dubbi suscita nel Presidente del Consiglio anche il punto di ascolto ed assistenza istituito presso ogni ASL, in ragione della previsione di convenzioni suscettibili di attivare incarichi esterni (come quello ad un giuslavorista, e non a due, ipotesi che parrebbe più corretta al ricorrente in quanto implicherebbe la possibilità di un contraddittorio).

    Ciò posto e premesso di aver proposto analoghi ricorsi avverso leggi delle Regioni Abruzzo e Umbria, il ricorrente, in ordine all'ipotizzato contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost., sostiene che la censurata normativa non si limita a dettare una disciplina di dettaglio nelle materie di competenza concorrente della tutela della salute e della tutela e sicurezza del lavoro. Il Presidente del Consiglio evoca, infine, anche un profilo di possibile eccesso dai limiti statutari, in riferimento agli artt. 4, 5 e 6 dello statuto speciale, non essendo la legge censurata riconducibile a nessuna delle materie ivi elencate e non potendo neppure essere qualificata come esercizio di competenza integrativa ed attuativa in mancanza di collegamento con  principi fondamentali.

    Tali argomentazioni sono state ribadite in una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, ove il ricorrente sottolinea come la legge impugnata non si sia affatto astenuta dal formulare una propria definizione di mobbing, ma abbia, al contrario, fatto riferimento a nozioni «proprie» quale «molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro» (o «sul posto di lavoro»), «comportamenti discriminatori e vessatori protratti nel tempo», «qualità [...] delle relazioni sociali», ed «esclusione sociale». L'aggettivo «sociale» sarebbe stato utilizzato per mettere in ombra la sostanza civilistica, attinente cioè ai rapporti contrattuali (anche per quanto disciplinati da contrattazione collettiva) genericamente ipotizzati dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, il cui contenuto finirebbe col finanziare con denaro pubblico patronati ed associazioni di volontariato, perché – presentato un «progetto» – svolgano una attività sostanzialmente amministrativa destinata ad affiancarsi ai normali rimedi offerti dall'ordinamento in caso di illeciti contrattuali.

    E' facile prevedere – a parere dell'Avvocatura – che i soggetti privati finanziati saranno portati ad enfatizzare l'accreditamento ad essi attribuito, a promuovere (mediante professionisti legali «organici») l'instaurazione di controversie civili e ad ingerirsi nelle dinamiche interne di impresa e di apparati amministrativi (anche statali). Anche se non esclude che la Regione possa dotarsi di strumenti conoscitivi del «fenomeno» di che trattasi e neppure che essa possa tener conto del mobbing nell'organizzare talune strutture del Servizio sanitario, il ricorrente ritiene, tuttavia, che la legge impugnata vada oltre, quando – soprattutto all'art. 2 e all'art. 3, commi l, 2 e 3 – «accredita» operatori variamente motivati ad interferire nei rapporti civilistici (o addirittura nei rapporti non contrattualizzati con dipendenti statali).

    2.— Si è costituita in giudizio la Regione Friuli-Venezia Giulia, concludendo per il rigetto del ricorso sul rilievo che la legge impugnata non ha dettato norme interferenti con l'ordinamento civile e penale o con l'organizzazione statale, né aventi carattere di principio fondamentale nelle materie della tutela del lavoro e della salute, ma si è limitata a prevedere – e, in parte, a finanziare – attività di sostegno, di studio e di formazione al fine di diminuire l'incidenza delle molestie nei luoghi di lavoro, a tutela dei lavoratori.

    In particolare, la Regione eccepisce l'inammissibilità, per genericità, della prima censura là dove imputa all'art. 1 della legge in argomento la vaghezza e la inadeguatezza delle espressioni usate, contestando che la disposizione ponga una normativa in bianco, dato che il concetto di «molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro» è sufficientemente chiaro per guidare l'esercizio della discrezionalità amministrativa. Anche la seconda censura sarebbe inammissibile per genericità, non essendo indicato alcun parametro costituzionale e non risultando chiaro se si tratti di censura relativa alla legittimità piuttosto che al merito, con riguardo al quale la doglianza sarebbe non fondata, in quanto la previsione di progetti delle associazioni di volontariato contro le molestie morali e psico-fisiche sul posto di lavoro è perfettamente logica, dal momento che la tutela dei dipendenti, parti deboli del rapporto di lavoro, viene istituzionalmente svolta da quelle associazioni.

    Inoltre, l'art. 2 prescrive requisiti di competenza per le associazioni in questione e prevede che i progetti possano essere presentati anche da «organizzazioni datoriali di categoria»: come è ovvio, dato che la diminuzione dell'incidenza delle molestie è un interesse anche delle aziende e delle pubbliche amministrazioni. Il fenomeno del mobbing non si svolge infatti tra «controparti», ma riguarda in generale le dinamiche delle relazioni interpersonali negli ambienti di lavoro. D'altra parte anche l'elenco dei compiti dei «punti di ascolto», di cui all'art. 3, dimostra l'infondatezza del timore che la legge regionale voglia conferire a soggetti esterni poteri tali da «penalizzare» gli interessi dei datori di lavoro.

    Scarsamente comprensibile sarebbe poi la censura relativa alla presenza di un solo giuslavorista e l'auspicio della presenza di due giuslavoristi: non si tratta, infatti, di regolare una contrapposizione ideologica, né di organizzare una dialettica di tipo processuale, ma di fornire sostegno alle persone che ne hanno bisogno con professionisti competenti.

    Peraltro le questioni in cui viene evocato l'art. 117, secondo comma, lettere g) ed l), Cost., sarebbero inammissibili per omessa illustrazione dell'applicabilità degli evocati parametri alla Regione a statuto speciale. Nel merito, le stesse sarebbero infondate, quanto al primo profilo, perché nessuna norma della legge impugnata incide o può incidere sull'organizzazione degli uffici statali, essendo previste solo attività di studio, formazione e sostegno, pienamente rientranti nelle materie “tutela del lavoro”, “tutela della salute” e “formazione professionale”; quanto al secondo aspetto, non vi sarebbe alcuna incidenza «sui rapporti civilistici interpersonali, non soltanto di lavoro e di impresa», perché, infatti, la legge prevede attività «esterne» ai rapporti di lavoro, a fini di sostegno, studio e formazione, e non fa sorgere alcun obbligo a carico del datore di lavoro, né prevede alcun intervento degli organismi di sostegno nei luoghi di lavoro. Il fatto che le molestie possano dar luogo ad illeciti contrattuali non impedisce alla Regione di occuparsi delle conseguenze di esse e di cercare di prevenirle, nell'esercizio delle proprie competenze in materia di organizzazione amministrativa, tutela del lavoro, tutela della salute e formazione professionale.

    La censura in relazione alla quale sono stati evocati gli artt. 4 e 5 dello statuto speciale sarebbe poi infondata, posto che, da un lato, la legge regionale n. 7 del 2005 regola materie assegnate dallo statuto alla competenza legislativa regionale (ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto; istruzione artigiana e professionale successiva alla scuola obbligatoria; igiene e sanità, assistenza sanitaria ed ospedaliera), e, dall'altro, alla Regione Friuli-Venezia Giulia si applicano, in base all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, le norme del Titolo V della parte seconda della Costituzione per essa più favorevoli, cioè quelle che prevedono la competenza concorrente in materia di “tutela del lavoro” e “tutela della salute” e quella che prevede la competenza regionale piena in materia di “formazione professionale”.

    Sarebbero altresì impropriamente evocati sia l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto le Regioni possono adottare norme legislative nelle materie di competenza concorrente senza attendere l'entrata in vigore delle leggi-cornice, sia l'art. 6 dello statuto (che affida alla Regione Friuli-Venezia Giulia competenza integrativa-attuativa in materia di “lavoro”), perché tale norma non forma più la base ed il parametro della competenza regionale in materia di “tutela del lavoro”, a seguito dell'entrata in vigore della legge cost. n. 3 del 2001 che ha corrispondentemente ampliato la potestà legislativa della Regione Friuli-Venezia Giulia.

    Sarebbe, infine, inammissibile la censura sollevata in riferimento all'art. 118, primo comma, Cost., per difetto di motivazione.

 

Considerato in diritto

    1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in riferimento agli artt. 4 e 5 dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia (approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1), all'art. 117, secondo comma, lettere g) ed l), e terzo comma, e all'art. 118, primo comma, della Costituzione, la legge della suindicata Regione 8 aprile 2005, n. 7 (Interventi regionali per l'informazione, la prevenzione e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dalle molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro), perché la materia oggetto della medesima non sarebbe prevista da alcuna norma statutaria e la sua disciplina sarebbe invasiva delle competenze legislative statali nelle materie dell'ordinamento civile e dell'ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali.

    Il ricorrente sostiene, altresì, che la legge impugnata attiene anche alla tutela della salute e alla tutela e sicurezza del lavoro, materie entrambe di competenza legislativa concorrente, e non si limita a dettare disposizioni di dettaglio.

    L'Avvocatura dello Stato, inoltre, a conforto delle proprie tesi richiama la sentenza di questa Corte n. 359 del 2003, con la quale fu dichiarata l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Lazio 11 luglio 2002, n. 16 (Disposizioni per prevenire e contrastare il fenomeno del mobbing nei luoghi di lavoro).

    Il ricorrente rileva che l'espressione «molestie morali e psico-fisiche» usata dal legislatore regionale, per la sua indeterminatezza, implica la successiva emanazione di atti amministrativi in materie riservate allo Stato. Inoltre la nozione di mobbing sarebbe molto più complessa rispetto a quella di molestie così come è definita anche dalla normativa comunitaria, dal momento che le molestie costituiscono soltanto uno dei modi in cui può attuarsi il mobbing.

    La legge censurata, infine, prevede la costituzione di organismi cui affidare compiti comportanti l'intrusione in non meglio definiti ambienti di lavoro, rendendo possibile l'invasione di organismi regionali in ambiti riservati allo Stato.

    2.— In via preliminare, si rileva l'ammissibilità del ricorso ancorché concerna un'intera legge, in quanto, come già ritenuto in casi analoghi (sentenza n. 359 del 2003 e sentenze ivi citate, nonché sentenza n. 22 del 2006), l'omogeneità della normativa in esame consente di individuare l'oggetto e le ragioni dello scrutinio richiesto.

    Ancora in via preliminare, si osserva che le modifiche introdotte dagli artt. da 66 a 70 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 9 agosto 2005, n. 18 (Norme regionali per l'occupazione, la tutela e la qualità del lavoro), agli artt. 3, 4, 5, 6, 7 e 8 della legge impugnata sono di natura terminologica e formale, tali, comunque, da non incidere sostanzialmente sul contenuto normativo delle disposizioni impugnate. Ne consegue che le questioni devono essere trasferite sulle nuove disposizioni (ordinanza n. 137 del 2004, sentenza n. 533 del 2002).

    3.— Nel merito, il ricorso non è fondato.

    Il richiamo alla sentenza n. 359 del 2003 non giova al ricorrente perché la legge della Regione Lazio, con la medesima pronuncia dichiarata illegittima, era sostanzialmente diversa dalla legge della Regione Friuli-Venezia Giulia, oggetto del presente scrutinio.

    Con la sentenza citata, questa Corte – dopo aver premesso che il mobbing, unitariamente considerato dalle scienze sociali, ma privo di una specifica disciplina statale, è fenomeno complesso connotato da una pluralità di aspetti, alcuni dei quali ricondotti dai giudici comuni sotto le previsioni dell'art. 2087 del codice civile – rilevò che esso, con riguardo alla condotta degli autori dei comportamenti vessatori e ai rapporti tra datore di lavoro e lavoratore, inerisce anche all'ordinamento civile, mentre per i profili concernenti le conseguenze patologiche sulla vittima di per sé considerate è attinente alla tutela della salute e alla tutela e sicurezza del lavoro. La definizione del mobbing contenuta nella legge citata era onnivalente e la Regione Lazio aveva reso manifesto che essa attuava il proposito di intervenire «nelle more dell'emanazione di una disciplina organica dello Stato in materia».

    La constatazione che la legge regionale, fondata su un'autonoma definizione del complesso fenomeno sociale, lo disciplinava in molteplici suoi aspetti, alcuni dei quali rientranti in competenze dello Stato, fu quindi alla base della dichiarazione di illegittimità costituzionale.

    La legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 7 del 2005, oggetto del ricorso in esame presenta, invece, elementi di analogia – come fa rilevare lo stesso ricorrente – con la legge della Regione Abruzzo 11 agosto 2004, n. 26 (Intervento della Regione Abruzzo per contrastare e prevenire il fenomeno mobbing e lo stress psico-sociale sui luoghi di lavoro), passata indenne attraverso lo scrutinio di costituzionalità (sentenza n. 22 del 2006).

    Anche nel caso in esame la legge censurata non formula una definizione del mobbing con valenza generale, ma ha riguardo soltanto ad alcuni suoi aspetti non esorbitanti dalle competenze regionali ordinarie e ancor meno da quelle statutarie della Regione Friuli-Venezia Giulia, la cui violazione il ricorrente evoca in via subordinata, ma sulle quali la stessa Regione ritiene ormai prevalere il nuovo riparto di competenze. L'incompletezza della definizione, anche con riguardo alle nozioni di diritto comunitario, è quindi correlativa al carattere parziale e volutamente non esaustivo della regolamentazione legislativa regionale (come si evince dagli atti consiliari contenenti i lavori preparatori della stessa legge regionale).

    Se, poi, l'inesistenza di una definizione generale dovesse condurre la Regione all'emanazione di atti amministrativi esorbitanti dalle proprie competenze o, comunque, contrastanti con parametri costituzionali, per la repressione di tali fenomeni, come questa Corte ha già affermato, l'ordinamento appronta gli opportuni rimedi di giustizia costituzionale e comune (sentenza n. 22 del 2006). Quest'ultimo rilievo vale anche a motivare l'infondatezza delle censure concernenti la genericità delle previsioni della legge riguardo ai paventati interventi nei luoghi di lavoro, all'eventuale accertamento di casi di mobbing ed all'istituzione di “punti di ascolto” presso le ASL.

    Si deve, infatti, considerare che, anche al di fuori del controllo incidentale di legittimità costituzionale, vale il principio secondo il quale una disposizione di legge non può essere dichiarata illegittima soltanto perché tra le varie opzioni interpretative e applicative se ne possa ipotizzare qualcuna lesiva di norme costituzionali.

    In conclusione, anche per l'impugnata legge della Regione Friuli-Venezia Giulia può ribadirsi ciò che si è ritenuto riguardo alla legge n. 26 del 2004 della Regione Abruzzo, e cioè che «essa non ha oltrepassato i limiti della competenza che già questa Corte ha riconosciuto alle Regioni quando ha affermato che esse possono intervenire con propri atti normativi anche con misure di sostegno idonee a studiare il fenomeno in tutti i suoi profili ed a prevenirlo o limitarlo nelle sue conseguenze».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 8 aprile 2005, n. 7 (Interventi regionali per l'informazione, la prevenzione e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dalle molestie morali e psico-fisiche nell'ambiente di lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), all'art. 117, secondo comma, lettere g) ed l), e terzo comma, e all'art. 118, primo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2006.

 

Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2006.

(Torna alla Sezione Mobbing)