LA MIA STORIA DI MOBBING LUNGA 20 ANNI

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UN ISTITUTO DA RIFONDARE

 

Le vicende degli ultimi mesi non possono essere liquidate come incomprensibili, come farebbe un disattento od un indifferente qualunque.  Tanto meno da un sindacato che - quale organo deputato a visioni globali e solidaristiche oltre che ad analisi di lungo respiro - ha il dovere morale di tentare di fornirne una interpretazione.

E la nostra interpretazione degli eventi porta dritta alla conclusione che quanto è avvenuto, ed è in corso, risulta ispirato da un preciso intendo reazionario ed oscurantista.  Volto sia a scatenare gli uni contro gli altri nel comune ambiente di lavoro sia a mortificare negli anziani, nei più dediti e nelle migliori energie giovanili, coscienza ed esercizio responsabile dei propri diritti.

In questo disegno ordito dai burocrati di sempre - si inserisce la "coraggiosa" decisione dell'ultima ora del Segretario Generale (o di chi é stato tramite) di negare alla Cooperativa, la sera, per la mattina, l'Assemblea sociale, con l'effetto auspicato e sortito di un'inevitabile occupazione dell'atrio, accompagnata da ironici applausi scrosciati sulle teste del Presidente e del Direttore Generale.

Come se ce ne fosse poi bisogno, nella direzione di accrescere la rabbia e la demotivazione si muovono le recenti, dispendiose assunzione di esterni Responsabili del Personale di buon comando e di solida inesperienza specifica nel settore credito e di Responsabili di Uffici studi (con funzionari al seguito o a seguire) i cui rispettivi risultati sono tutti quanti da vedere,  anche in termini di raffronto con chi li ha preceduti.  All'interno, verso generazioni che hanno visto illanguidire speranze ed aspettative, sono state sempre più lesinate minimali attribuzioni di gradi, assegni o incentivazioni di merito.  Non vorremmo essere facili o cattivi profeti, ma la musica degli anni passati sembra essere già nell'aria per la gran massa e soccorrono, quale unico rimedio alla rabbia inconsulta, solo esodi e scivoli, invocati a gran voce da personale sempre più deluso per le mortificazioni inflittegli dal vertice e sempre meno disponibile fisiologicamente ad alzare la testa per reagire o denunciare prevaricazioni, angherie, immotivati sorpassi, spartizioni e clientelismi.  Hanno sperimentato nel tempo e sulla loro pelle come chi reagisce civilmente venga fatto segno di emarginazioni, ghettizzazioni e finanche di sottrazione di incarichi e di lavoro qualificante, mentre chi si appecorona ai superiori di turno riceve giudizi sperticati, proposte,  gradi e mance.

Numerose sono le vittime di una vecchia gestione che si sperava fosse stata lasciata alle spalle con l'arrivo del nuovo Direttore Generale, Dr. Masera.

A tutti coloro che negli anni hanno subito prevaricazioni ed ingiustizie continuiamo ad assicurare tutta la nostra  solidarietà ed il nostro impegno propositivo al cambiamento, sempre dispiegato a tutti i livelli di responsabilità gestionale dell'Ente senza tuttavia apprezzabili ricadute in termini di umana rispondenza alle attese del Sindacato e degli iscritti.

Tra questi fa ritorno il Dr. Meucci, recentemente rivalutato dopo 15 anni di vicissitudini troppo note per essere riprese.  E vi fa ritorno a causa di una sostanziale rimozione dall'incarico ad opera degli scherani di una pallida e tremula Direzione generale, spaventata ed in mano al burocrate di sempre che ne decide e ne cadenza il passo. Una Direzione generale che dobbiamo, a pieno titolo, qualificare deludente, insicura, iraconda e che ha creduto erroneamente di poter menare il can per l'aia o dileggiarci giocando di “sponda” sulle proprie ineludibili responsabilità, attribuendo, ora ad uno ora ad altri, carenze ed inconcludenze. Secondo i fatti a noi noti, dopo 2 mesi e mezzo di attribuzione dell'incarico al Dr. Meucci, lo stesso gli viene tolto in concomitanza singolare e a seguito di una lettera inviata dalla RSA Fabi al D.G. in cui si insinua che l'iscrizione del collega alla CIDA (in tempi remoti - 1974 - e prima ancora della nostra costituzione in IMI) e poi al nostro Sindacato, possa costituire potenziale causa di parzialità o condizionarne l'imparzialità nella funzione (*).

Evidentemente vi sono o si tessono, a livelli che ci travalicano, trame che inquinano ed impediscono che trasparenza e correttezza possano trovare accesso e spazio nel nostro Istituto.  Qual’è il prezzo di questa "testa" fatta ricadere? Vogliamo a viva voce conoscere le reali motivazioni di un'operazione spregiudicata che non possiamo né vogliamo sottacere perché è un colpo durissimo assestato alla dignità, competenza, correttezza ed onestà individuale (in linea generale e di un nostro iscritto in particolare), terreno sul quale il Sindacato non può transigere né permettersi titubanze.

Assicuriamo sin da ora al Dr. Meucci tutta la nostra solidarietà, il nostro intervento o appoggio a tutti i livelli ed in tutte le sedi più opportune perché non si può consentire all'arroganza di pochi di sopprimere i diritti di tutti, siano di libertà di opinione, di iscrizione ad un sindacato o ad un partito politico, diritti che sono accordati a ciascuno dalla Costituzione nostra e di qualsiasi paese che aspiri a qualificarsi civile e democratico.

 

Roma, 17 maggio 1990

La Delegazione Aziendale Sindircredito Federdirigenti Cida dell’IMI

 

(*) Va sottolineato - per evidenziare la faziosità dell'addebito (segnalato al D.G. con lettera riservata!) nonché la carenza di comuni nozioni di convivenza civile e democratica dei rappresentanti pro-tempore della RSA Fabi (P. De Gregorio, F. Lippi, e altro) firmatari della lettera - che anche la figura istituzionale del massimo garante dell'imparzialità (il Giudice) aderisce legittimamente e  pacificamente alle correnti sindacal-professionali della giurisdizione (es. Magistratura indipendente, Magistratura democratica, Movimenti, Unità per la Costituzione, ecc.), senza che i legali dei ricorrenti si siano mai sognati di avanzare una richiesta di ricusazione per supposta "imparzialità", fondata sull'esercizio del suo diritto civile e costituzionale di associazione.

 

Comunicato della DSA Federdirigenticredito dell’IMI

Alla fine dello scorso mese di febbraio il collega Mario Meucci ha lasciato l'IMI, avvalendosi dell'incentivazione all’esodo anticipato, ed ha conseguentemente rassegnato le dimissioni dalla nostra Delegazione Sindacale rimanendo comunque in carica sino al termine del mandato, quale componente del Consiglio di Azienda e come Consigliere Nazionale con delega per il Gruppo IMI.
Di rilievo il curriculum del collega Meucci.
Studioso di Diritto del Lavoro, disciplina nella quale è noto, anche in campo universitario, per i numerosi contributi e pubblicazioni specialistiche diffusamente citate in ambito professionale.
Dopo aver ricoperto la funzione di Direttore Responsabile del Personale di un'azienda del Gruppo IRI con oltre 700 dipendenti, passò ad altri incarichi sempre di prestigio in altre aziende, tra le quali la Esso Italiana e l'Associazione  sindacale imprenditoriale del settore metalmeccanico.
A metà degli anni '70, a seguito di una ricerca affidata dall'IMI ad uno dei più importanti Studi di selezione manageriale, approdò al nostro Istituto come Responsabile della Formazione e delle Relazioni Sindacali.
Assunto con il grado di Funzionario, per non alterare iniziali equilibri interni, ma con l'impegno di riqualificarne successivamente la posizione, finì come molti nel “tritacarne”, non potendo in alcun modo assumere quel ruolo di autonomia propositiva e di dialettica costruttiva tra le parti che ha sempre rivendicato, rifiutando il ruolo di “yes man”, cosa che viceversa ha fatto la fortuna di altri.  Nei vent'anni successivi il quadro non è affatto cambiato rimanendo, al Responsabile delle Relazioni Sindacali, la mera funzione di megafono dei “sussurri” (e .... da non molto, anche delle... “grida”) che provengono dall'alto. Poco prima  della precipitosa uscita del Dr.  Nicola Schiavone, proveniente anche lui dall'esterno - che si era ben presto reso conto della mera funzione di facciata affidata al Responsabile del Personale - la Direzione Generale scelse il Dr. Meucci quale Responsabile anche  della Gestione e Sviluppo Risorse, ma l’apparato si attivò prontamente per privarlo dell’incarico, sconfessando di fatto il Vertice che lo aveva prescelto.
Quest'ultima azione, emblematica della reale distribuzione del potere all'interno dell’IMI (ma è anche così per quanto attiene la conduzione operativa e l'elaborazione delle linee strategiche dell'Istituto?), si è configurata come un vero e sostanziale accrescimento di “ruolo” al nostro Sindacato, che da quel momento ha beneficiato delle competenze e della qualificata impostazione dialettico/propositiva del Dr. Mario Meucci, cosa della quale siamo sinceramente grati.
Contiamo anche per il futuro sulla continua collaborazione di questo professionista nella strategia di messa a fuoco dei nostri obiettivi di migliorare il clima aziendale - nel pieno rispetto dei diritti e dei ruoli - e di trasformare l'IMI in un'azienda moderna (e qui anche a dispetto di chi non lo vuole perché perderebbe il "proprio giardinetto") capace, nel rispetto degli investimenti degli azionisti e delle logiche di mercato, di individuare nelle risorse umane la valenza primaria per soddisfare gli obiettivi attesi.
Roma, 11 marzo 1997
Delegazione Sindacale Aziendale Sindirigenticredito dell’IMI

 

Appello alla solidarietà
(lettera aperta ai Colleghi della delegazione Sindacale Sindirigenticredito IMI dopo le mie dimissioni dall'IMI SpA)

Cari Colleghi,
            ho letto il Vostro Comunicato di commiato dell’11 c.m. e, nel ringraziarVi per la riconoscenza manifestatami, sento il dovere di indirizzarVi talune considerazioni d’interesse  generale.
            1. Dopo aver deciso di lasciare, con il 28 febbraio c.a., la compagine dei “lavoratori attivi” per infoltire quella dei “pensionati”- determinazione cui sono  stato sospinto non tanto dall’età quanto dal disagio, sempre meno sopportabile, di non riconoscermi nell’azienda in cui sono a suo tempo entrato fiducioso oltreché per effetto del fastidio di essere confinato da anni in una frustrante condizione di dequalificazione e di demansionamento sconfinata in forzata inattività -  mi auguro vivamente  che le future Delegazioni facciano tesoro del senso di compattezza e di comunione intellettual/emotiva che ha caratterizzato le Delegazioni nelle quali sono stato presente e le cui caratteristiche operative intendo con la presente pubblicizzare nei suoi sintetici quanto positivi tratti caratterizzanti e differenziali rispetto alle passate esperienze.
             In tali Delegazioni ho avuto la fortuna di concorrere a delineare la linea di politica sindacale aziendale, sostenuto da quel senso etico che ha sempre ispirato la mia azione (in coerente adesione con i miei convincimenti morali) e che - in perfetta consonanza con i più stabili componenti  di tali strutture - ha improntato di autonomia e di dialettico antagonismo il ruolo delle Delegazioni sindacali aziendali, almeno a  partire dal 1990 in poi.
            2. Va infatti ricordato che la struttura aziendale del Sindacato dei direttivi dell’IMI si è costituita - in aggiunta alle RSA delle storiche Confederazioni impiegatizie preesistenti sin dal 1971 - verso la fine del 1980, spiccatamente con intenti di autotutela del corpo dirigenziale contro temute, traumatiche, iniziative di rimozione o accantonamento ad opera di Presidenti designati dall’esterno dopo le dimissioni dell’Ing. Cappon sull’onda della pubblica sfiducia nei confronti dell’alto management interno a causa del dissesto dell’Ente per i dissennati finanziamenti alla Sir di Rovelli.
            La prima Delegazione sindacale aziendale, non a caso, vedeva presente nel suo seno e con ruolo di Presidente un Dirigente di elevato livello, a testimonianza di esigenze di “interventismo diretto” onde non delegare ad altri la pressante tutela della categoria dei direttivi di vertice pubblicamente sfiduciati e considerati, a ragione, colpevoli di acquiescenza o sudditanza verso le decisioni incontrastate dei massimi gestori aziendali.
            Sfumato il pericolo di ritorsioni dei Presidenti esterni (Schlesinger, prima, Arcuti poi) sul “top management” aziendale, le successive Delegazioni non assisteranno più alla presenza del rappresentante dei dirigenti e risulteranno sempre strutturate da funzionari delegati, tuttavia, a far da “testa di ponte” anche per la rimimetizzata classe dirigenziale.
            Pur nelle mutazioni, le posizioni di fondo delle Delegazioni sindacali aziendali del Personale direttivo, nel periodo 1981-’87 saranno quasi sempre appiattite su quelle aziendali ed il loro ruolo, quando non gregario, sarà ispirato ad una visione consociativa con l’azienda, alla cui Direzione generale (rimasta in sella nonostante la corresponsabilità nei finanziamenti Sir) verranno rivolte richieste (rectius, istanze) per il tramite di lettere riservate, raramente pubblicizzate nelle bacheche sindacali, come vuole invece una logica ed un’ispirazione democratica (accolta solo successivamente).
            Alla stessa concezione - oltreché all’esigenza di non attivare posizioni difformi ed ostili delle RSA impiegatizie - rispondeva la totale assenza di Comunicati sindacali delle DSA dei direttivi (destinati all’affissione ed alla pubblica cognizione interna) critici o contestatari di un’autocratica gestione aziendale delle risorse umane (e non solo di queste).
            Non mancarono, in questo primo quinquennio, le ricompense individuali da parte aziendale, tramite il conferimento a taluno della DSA di incarichi e qualifiche prestigiose (anche extra IMI) e, anche se qualche altro lasciò l’Azienda per soluzioni esterne, si peritò indubbiamente di ricercare l’assenso della potente Direzione generale dell’epoca.
            Non difettarono, peraltro, le eccezioni, rappresentate da funzionari sindacalmente scomodi, costretti - data la sanzione aziendale dell’immobilismo in carriera - a  dimettersi dall’IMI, senza alcun rimpianto da parte del management interno.
            Chi scrive, all’epoca era formalmente responsabile delle relazioni sindacali per conto dell’Istituto, non coinvolto in alcun processo decisionale di vertice e ridotto, pertanto - anche perché selezionato dall’esterno da fiduciari del dignitosamente dimissionario Presidente Ing. Cappon - ad una pura funzione segretariale di fissazione di appuntamenti per gli incontri dei vari Capi del Personale con le aggressive e non condizionate OO.SS. delle sigle sindacali impiegatizie.
            Incontri cui partecipava con ruolo di mero uditore, mentre era addirittura estraniato da quelli fra la Direzione Generale e le DSA del Sindacato dei direttivi. Prassi questa che lo indusse a non considerarsi, a buona ragione, interlocutore antagonista della sigla dei direttivi e, pertanto, a non avvertire in alcun modo l’inopportunità dell’iscrizione, nel 1982, al predetto Sindacato, peraltro in conformità alla pregressa iscrizione, sin dal 1974, alla Fndai-Cida, quale ex dirigente industriale responsabile per l’Area del personale.
            3. Con l’uscita per limiti di età del vecchio Direttore Generale “padre-padrone” dell’Ente e la sua sostituzione dall’esterno (Banca d’Italia) con il Dr. Masera, il ruolo della Delegazione sindacale del Personale direttivo fu improntato immediatamente ad un  carattere rivendicativo, probabilmente nell’intento di compensare la nullità delle preesistenti acquisizioni ed ottenere dal neo-arrivato soluzioni equitative e benefici inutilmente richiesti al predecessore,  da quest’ultimo non concessi e mai fattivamente perseguiti con intransigenza dalle DSA, in ragione di un intrinseco timore riverenziale del sindacato dei direttivi (come degli altri, peraltro) che accrebbe ed ingigantì le qualità autoritarie  - e di dispensatore di benefici ai soli suoi fiduciari - del preesistente Direttore Generale.
            In ragione del mio spirito democratico, ostile al clientelismo ed alla mortificazione (subita sulla pelle) dei criteri della professionalità ed imparzialità valutativa, nonchè portatore della convinzione che il ruolo del Servizio del Personale è quello di assicurare la giustizia introaziendale e non di gestire, da commessi, gli interessi di bottega del Direttore Generale,  esprimo l’avviso di essere stato investito  all’epoca dalle RSA impiegatizie e dalla  DSA dei direttivi (fra le quali erano nel frattempo intercorse intese tattiche più che vere e proprie convergenze ideologiche) del compito di rappresentare - fermo restando la mia posizione antagonista ma, al tempo stesso, la mia impostazione imparziale e trasparente - le loro rivendicazioni sindacali  alla neo Direzione Generale che, edotta delle mie pregresse vicissitudini, aveva mostrato di apprezzare la mia collaborazione all’insegna anche di una competenza professionale esternata in plurime pubblicazioni scientifiche.
            Ma la vecchia burocrazia autocratica, dopo essere riuscita ad avocare al Segretario Generale la responsabilità della gestione del Personale, aver reperito, per umiliare gli interni, un giovine Capo del Personale dalla Fininvest ed aver creato addirittura una Direzione centrale per il personale e l’organizzazione - cioè a dire aver frapposto tra le OO.SS. interne ed il Direttore Generale (Capo del Personale per Statuto) ben tre strutture diaframmatiche distanziatrici e diluitrici dei contatti e dei rapporti - ritenne opportuno rimuovere lo scrivente dalla neo attribuita posizione di “responsabile della gestione risorse e relazioni sindacali”, mascherando il provvedimento punitivo di un’ invisa impostazione ideologica con l’isolamento in incarichi di studio, confezionati ad hoc, del tutto provvisori ed estemporanei,  conclusisi nell’arco di alcuni mesi.
            Fu allora, nel 1990, che lo scrivente maturò la decisione di sottrarsi ad un programmato stritolamento, con l’entrare a far parte della DSA del Sindacato direttivo, nelle cui elezioni - sotto l’influenza della pubblica ingiustizia subita oltreché per stima nutrita in ordine a professionalità e competenza - ottenne le più numerose preferenze dai Colleghi.
            4. Le DSA che si succedettero dal 1990 in poi furono pertanto caratterizzate da un intento “revanchista”, da una netta autonomia rispetto all’azienda, se non addirittura da una pervicace contrapposizione frontale e quotidiana nei confronti di qualsiasi determinazione unilaterale o provvedimento aziendale non rispettoso della dignità e dell’imparzialità comportamentale.
            Al metodo “carbonaro” delle passate DSA si sostituì - con piena condivisione della maggioranza dei componenti delle DSA -  la politica della massima trasparenza, attraverso l’affissione di tutte le lettere e Comunicati indirizzati all’Azienda ed ai suoi massimi organi decisionali, di cui furono fatti puntualmente partecipi i Colleghi, dai quali le Delegazioni ricevettero reiterate manifestazioni di consenso in ordine alla nuova linea di condotta.
            Agli immotivati dinieghi aziendali - in precedenza ingoiati - si rispose per la prima volta con azioni giudiziarie, devolvendo alla magistratura l’accertamento della fondatezza dei nostri maturati convincimenti e delle analisi compiute con specifica competenza e professionalità.
             Sulla nostra scia si posero le RSA impiegatizie. Insomma, nel giro di pochi anni, la DSA del Sindacato dei direttivi acquisì una sua identità, fu temuta per autonomia e competenza specifica e costituì punto di riferimento anche per le preesistenti RSA impiegatizie con le quali si realizzarono, su temi di comune interesse, convergenze intellettuali ed operative, superando in azienda ostracismi derivanti da contrapposizioni a livello dei  rispettivi Sindacati nazionali.
            I timorosi della linea di contrapposizione e di pubblica stigmatizzazione e denuncia di incondivisi comportamenti gestionali aziendali, uscirono dalle rinnovate DSA per realistica preoccupazione  di pregiudizio alla carriera e queste DSA si strutturarono con un “nocciolo duro” impersonato eminentemente dal Presidente Firinu e dallo scrivente in veste di Vice Presidente, sempre confortati comunque dalla solidarietà del resto dei componenti.
            Il Sindacato dei direttivi, tramite le RSA o DSA, si ramificò nel resto delle aziende del Gruppo IMI - grazie principalmente ad una meritoria opera di proselitismo di cui si sobbarcò il Presidente Firinu - e si creò un nucleo di coordinamento sindacale per le Società del Gruppo, nei confronti della cui strategia la DSA della Capogruppo fece sempre  scuola di formazione e di indirizzo.
            5. Questo il bilancio delle acquisizioni e dei progressi compiuti.
            Incerte restano le prospettive future anche perché non si sono viste - nel frattempo - energie giovanili disposte a raccogliere il testimone di un impegno di abnegazione, di solidarietà, di rinuncia all’individualismo ed al carrierismo sfrenato.
            Ci è stata, infatti, sempre rinnovata, ad ogni elezione, una delega incondizionata a gestire il sindacato interno, ma non sappiamo quanto ciò sia ascrivibile a fiduciarietà e quanto, invece, a studiato disimpegno ed alla scelta opportunistica degli iscritti di non esporsi  e di lasciarci in prima linea nel confronto/scontro con l’Azienda, conosciuta come detentrice di una “memoria elefantesca”, attivata in special modo nelle tornate promotive e di conferimento delle gratificazioni di merito, sempre negate ai rappresentanti sindacali onde ripagarne l’atteggiamento critico e la contrapposizione.
            La mia uscita e quella di altri componenti, scadenzate e scaglionate nel giro di pochi anni, dal Sindacato interno per limiti di età, potrebbe (ma non dovrà assolutamente) coincidere con un futuro di “notte fonda” per le conquiste delle Delegazioni sindacali aziendali e dei lavoratori tutti.
            Caduti  nei rappresentanti aziendali i timori di una contestazione puntuale, sagace, mirata e professionalmente qualificata, la mentalità poliziesca dei traballanti “tigrotti” pasturati dall’azienda si sbizzarrirà nella produzione di proclami  ancor più pregni di regole illiberali e restrittive. L’alta Direzione intensificherà “la prassi che Focault individua con i verbi sorvegliare e punire . Correlativamente il consenso verrà perseguito facendo ricorso ad un fiorente uso degli strumenti di coercizione: dai privilegi agli adepti, alle ricompense agli arresi, dalle censure a chi resiste ai premi a chi si adegua” (Cessari, in Riv. it. dir. lav. 1983, I, 417, nt.30).
            Usciranno di scena le contrapposizioni giudiziali intraprese da noi  vecchi dirigenti delle ultime DSA oramai esenti  dal timore di poter peggiorare la propria condizione oltre la misura dell’esistente. All’inerzia ed all’incapacità di contrapposizione si sostituirà il vile mugugno, la demotivazione e la silenziosa non collaborazione: in buona sostanza si attualizzerà un generalizzato regresso ed imbarbarimento della condizione lavorativa e della già scadente politica del personale.
            Verrà, al momento opportuno, anche l’epoca della ribellione e della riscoperta della solidarietà che è stato il nostro patrimonio e la nostra stella polare. Ma intanto saranno  decorsi inutilmente alcuni decenni e si sarà sostituito al metodo di implementare la già ben avviata costruzione della “casa sindacale” quello del ricominciare a scavarne le fondamenta, ad ogni avvicendamento generazionale, soluzione che va, giustappunto, nella direzione degli obbiettivi di qualsiasi azienda che voglia perpetuare, con la narcotizzazione della dialettica sindacale, il proprio assolutistico, incondizionato ed insindacabile potere gestionale.
            Ci auguriamo che questa grigia previsione risulti smentita da una dimostrazione di maturità e di coraggio dei Colleghi, che queste considerazioni vogliono sollecitare a far uscire allo scoperto. La professionalità sindacale e la padronanza della materia giuslavoristica che  eventualmente faccia loro difetto potrà e dovrà essere conquistata con il tempo e con l’impegno di studio, comunque senza eccessivo sforzo in quanto basterà la misura minima sufficiente a non sfigurare nel confronto sul campo con l’attuale accentuato dilettantismo della maggior parte dei rappresentanti aziendali, ascrivibile a deliberata scelta dei Responsabili del Personale da parte dei vertici in chiave fido-esecutiva  piuttosto che su basi di professionalità specifica.
            Un sincero saluto a tutti i Colleghi e, oltre a Voi, ai Rappresentanti  delle altre sigle sindacali.
 
Roma, 13 marzo 1997 
Mario Meucci
                                                                                                  
(affissa nelle bacheche sindacali e pubblicata nella rivista “Incontri” n. 3/ del maggio-giugno 1997 con il titolo “Appello alla solidarietà”)   

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