Gli effetti dell’approvazione (in data 5.2.03) da parte della maggioranza governativa del DDL n. 848 B sul “mercato del lavoro”, qualificato “legge Biagi”

 

SISTEMA IN FRANTUMI, CONFLITTUALITA’ IN AUMENTO

di

Luciano Gallino

«Il Lavoro in frantumi» s’intitolava un libro del sociologo francese Georges Friedmann, uscito in Italia nel 1960. Il lavoro cui si riferiva Friedmann era quello ripetitivo, spezzettato in mansioni insignificanti, caratteristico dell'organizzazione tayloristica dell'epoca. Fosse ancor vivo, ora potrebbe scrivere un nuovo libro dallo stesso titolo, guardando non più ai contenuti del lavoro, bensì ai rapporti tra lavoratori e datori di lavoro, quali sono prefigurati nella legge delega appena approvata.

In realtà le deleghe concesse al governo sono almeno sei, né è dato sapere quali sorprese riserberanno i dispositivi d'attuazione degli interventi sul mercato del lavoro che ognuna di esse prevede. Per ora le caratteristiche più evidenti della legge sono la spinta che essa eserciterà in direzione di una marcata individualizzazione dei rapporti di lavoro, e di un ulteriore ampliamento della già vastissima tipologia dei lavori atipici: quelli che propongono al lavoratore una trentina di tipi di contratto, tranne quello a tempo indeterminato e ad orario pieno.

Dalla individualizzazione dei rapporti di lavoro, che in questa legge inizia moltiplicando i canali di avviamento al lavoro, potrà trarre qualche vantaggio la minoranza di coloro che sono molto giovani, e in possesso di capacità professionali scarse sul mercato del lavoro: beninteso, fintanto che sono giovani, e finché dura il momento in cui quelle capacità sono scarse. Ne riceverà invece serio svantaggio la maggioranza di coloro che a causa dell'età o della qualifica ordinaria si trovano in condizioni di sostanziale debolezza contrattuale non solo nei confronti della grande impresa, ma anche dell'artigiano, del piccolo imprenditore, del commerciante. Fu per trasformare simile debolezza in una forza relativa che nacque storicamente il sindacato. Il quale da questa legge delega esce, in prospettiva, non poco indebolito.

Da un lato perché organizzare una miriade di lavoratori titolari di contratti individualizzati è molto più arduo che non organizzare una massa di persone che cercano protezione nella stipula di contratti collettivi. Dall'altro, perché la frantumazione dei rapporti di lavoro fa sì che fra la massa dei lavoratori si sviluppino interessi materiali e ideali profondamente divergenti e sovente conflittuali, che sarà sempre più difficile rappresentare su ampia scala al fine di stipulare con la controparte soddisfacenti contratti collettivi.

Dalla parte dei lavoratori, è probabile che questa legge contribuisca nel breve periodo ad accrescere la quota dei lavoratori poveri, e, a lungo periodo, quella dei pensionati poveri. I lavoratori poveri sono coloro che pur lavorando una gran parte dell'anno, non guadagnano abbastanza per restare aldisopra della linea della povertà. Essi sono in aumento in tutti i paesi avanzati, in forza di processi analoghi a quelli che vediamo attuarsi in Italia: la pressione per il contenimento dei salari, altrimenti l'impresa si trasferisce in Indonesia o in Moldavia, unita alla deregolazione del mercato del lavoro, che sta tramutando l'occupazione di durata indeterminata e ad orario pieno in un privilegio riservato a una minoranza. Quanto ai pensionati poveri, sono quelli che, versando gli scarsi contributi che è possibile versare quando si passa da un lavoro a termine all'altro, magari con ampi intervalli tra i due, potranno contare su una pensione corrispondente grosso modo al trenta per cento d'uno stipendio medio. Come ha ricordato pochi giorni fa il presidente dell'Inpdap, uno dei maggiori enti previdenziali italiani.

Servisse almeno, il lavoro in frantumi, ad accrescere la competitività delle imprese. Ma neanche questo risultato è detto sia conseguibile in forza della legge in questione. Chi ha qualche pratica di organizzazione aziendale incontra sempre più spesso tecnici, quadri e dirigenti i quali cominciano a chiedersi se con il mercato del lavoro deregolato, che permette ad un'azienda di impiegare al proprio interno anche dieci o dodici imprese terze, ciascuna delle quali utilizza lavoratori atipici con dieci contratti differenti, non si sia ormai andati al di là delle buone pratiche organizzative. Con tanta varietà di aziende e di tipi di contratto, accade che il centro di controllo non riesca più a controllare segmenti essenziali del processo produttivo. In tal modo la deregolazione del mercato del lavoro, internalizzata nell’azienda, porta alla sregolazione dell’intera organizzazione. Da questa legge, ovvero dai suoi provvedimenti attuativi, i lavoratori hanno parecchio da temere. Forse anche gli imprenditori, prima di rallegrarsi, dovrebbero riflettere su quello che potrebbe succedere nella struttura organizzativa delle loro aziende quando si utilizzano quote sempre più ampie di lavoro in frantumi.

 

(pubblicato in “la Repubblica” dell’ 8.2.2003, p. 13)

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