RISARCIMENTO DANNI DA MOBBING E PRESCRIZIONE
 
Trib. Venezia (sezione lavoro, 1° grado) 15 gennaio 2003 – Giud. Ferretti - MARUSSO GIULIO (avv. Tonolo, Muccio) c. CASSA DI RISPARMIO DI VENEZIA S.P.A. (avv. Ivancich)
 
Mobbing – Risarcimento di danni rivendicato dopo 10 anni dalla cessazione del comportamento mobbizzante – Intervenuta prescrizione ordinaria – Danno biologico da angina pectoris e ischemia insorto successivamente al decorso della prescrizione – Risarcibilità se riconosciuto causalmente dipendente dai comportamenti mobbizzanti prescritti.
 
Il mobbing è quel “comportamento, reiterato nel tempo, da parte di una o più persone, colleghi o superiori della vittima, teso a respingere dal contesto lavorativo il soggetto mobbizzato che a causa di tale comportamento in un certo arco di tempo subisce delle conseguenze negative anche di ordine fisico da tale situazione” avente l’effetto di farne derivare la responsabilità del datore di lavoro discendente dall’obbligo posto a suo carico dall’art. 2087 c.c. di tutelare il dipendente in un ottica complessiva di tutela psicofisica.
L’accertamento dei fatti come emersi in istruttoria conduce ad accertare che il comportamento adottato dalla convenuta Carive nei confronti del ricorrente può essere qualificato come mobbing in relazione alla durata del fenomeno e alla pluralità di atti e provvedimenti tendenti ad indurre nel destinatario situazioni di disagio, difficoltà, disistima verso se stesso quali sono stati la privazione di poteri normalmente conferiti alla posizione professionale,il trasferimento “punitivo” e la squalificazione professionale, la vigilanza eccessiva, il demansionamento, gli atteggiamenti umilianti.
Il fenomeno è cessato con il 1986; da questa data, dunque, il ricorrente poteva far valere (con inizio della decorrenza della prescrizione ex art 2935 c.c.) il diritto al risarcimento dei danni conseguenti a quel comportamento illecito e immediatamente prodottisi nella sua sfera giuridica in termini di danno patrimoniale, di lesione della sua personalità morale, di danno biologico per le malattie verificatasi,di perdita di chances. Egli ha proposto azione nel 1998 e pertanto per tali danni sono decorsi i termini (decennali) di prescrizione.
Solo per il danno biologico da malattia nuova insorta (nel 1989) in un momento successivo al termine del comportamento illecito, come già detto, il termine di prescrizione decorre dal verificarsi dell’evento lesivo e, pertanto, richiamata la CTU già eseguita, deve accertarsi il diritto del ricorrente al risarcimento del danno biologico conseguente alla angina pectoris e alle altre manifestazioni ischemiche diagnosticate nel 1989 a condizione che, nel prosieguo di istruttoria, ne sia dimostrato il nesso eziologico con i comportamenti mobbizzanti esaminati.
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il ricorrente, premesso di avere lavorato alle dipendenze della società convenuta dal 30/6/57 fino al pensionamento del 21/1/90, esponeva che il datore di lavoro prese a tenere comportamenti persecutori nei suoi confronti a partire dal 10/2/80, allorché egli fu trasferito come gerente presso l’Agenzia di Annone Veneto e sottoposto al potere direttivo di un funzionario sig. Berlin - con cui anni prima aveva avuto un grave alterco - il quale pose in essere atteggiamenti ostili ed ostruzionistici nei suoi confronti fino ad attribuirgli la nota di qualifica di “sufficiente” per l’anno 1980 a fronte del giudizio “distinto” ottenuto nei tre anni precedenti. Nel novembre 80 il ricorrente venne ingiustamente trasferito, quale caporeparto, alla Esattoria di S Donà di Piave, senza il suo consenso e in violazione del CCNL, con un incarico in progressiva estinzione, completamente diverso dall’attività fino ad allora svolta, avulso dalla sua preparazione professionale e, per di più, comportante una riduzione della retribuzione. Per effetto di tale trasferimento il ricorrente cadeva in depressione e si ammalava manifestando i sintomi delle patologie che sarebbero successivamente divenute permanenti (crisi ipertensiva di natura emozionale, stato d’ansia con elementi depressivi reattivi). Nel periodo successivo al trasferimento continuarono i comportamenti persecutori dei superiori e, in particolare, del vice-gerente dell’esattoria, da cui il ricorrente dipendeva, che si lamentava continuamente delle prestazioni del ricorrente presso la direzione generale e del direttore della filiale di S. Donà di Piave che giunse a tenere verso il ricorrente atteggiamento ingiurioso cacciandolo in data 22/12/81 con violenza dalla direzione della filiale. In conseguenza di tale episodio il ricorrente veniva ricoverato per eritrodermia psoriasica con stato depressivo reattivo durato 40 giorni. Per l’anno 1981 il ricorrente, pur non avendo ricevuto alcun richiamo, ricevette la nota di qualifica “insufficiente” che gli provocava un’ennesima crisi ipertensiva; la nota veniva poi mutata in quella di “sufficiente” per non privare il ricorrente del premio di rendimento. Il 10/5/82 il Marusso veniva nuovamente trasferito presso la filiale di S. Donà di Piave senza indicazione di mansioni venendo impiegato, con modalità vessatorie, (in piedi, senza sedia né scrivania, per 8 ore al giorno ) quale sportellista senza autorizzazione alla firma di assegni circolari al pari di un neo assunto e chiamato altresì a svolgere mansioni inadeguate alla sua anzianità quali: mettere la carta carbone sugli stampati, inserire pratiche in segreteria, fare da dattilografo ad un collega di grado inferiore per redigere contratti. Lo svolgimento di tali degradanti mansioni portava il ricorrente ad avere crisi ipertensive e a subire dal 17/10 al 21/11/83 un nuovo ricovero per eritrodermia psoriasica, di natura nervosa, nonché in data 26/1/84 un ricovero per tachicardia presso il P.S. dell’ospedale di San Donà.
Nel 1984, a seguito di intervento del sindacato, il ricorrente venne addetto alla gestione mutui in Segreteria ove continuavano tuttavia le vessazioni quali rimproveri ad alta voce con tono aspro e senza ammettere repliche davanti a colleghi e clienti della banca, l’uso di matita blu e rossa per apporre vistose correzioni sugli atti preparati dal ricorrente allo scopo di ridicolizzarlo, l’affissione al muro di alcuni moduli compilati dal Marusso e contenenti presunti errori segnati in lapis; detti episodi portarono ad una ulteriore crisi ipertensiva il 27/11/85 con un primo sintomo di angina pectoris. Le crisi si ripeterono il 21/5/86 e il 2/5/88.
Nel 1988 per il cambiamento dei vertici della filiale ebbero fine i comportamenti vessatori nei confronti del ricorrente che potè essere destinato dall’ottobre 88 ad un incarico confacente quale quello di addetto ai riesami; tuttavia il lungo periodo di stress e tensione psico-fisica comportò l’insorgere di una cardiopatia ischemica culminata con operazione di by-pass effettuata nel 1995 associata a psoriasi e a problemi psichici.
In relazione alle vicende esposte il sig. Marusso lamentava di avere subito un danno patrimoniale per la subita dequalificazione operata in suo danno con il trasferimento dal settore credito al settore esattoria di lire 7.889.080 quale differenza retributiva per l’anno 1981 poi ripercossasi nei 9 anni di lavoro successivi con un danno complessivo di L. 71.001.720.
Lamentava inoltre la cristallizzazione dal 1980 in poi della propria carriera in quanto, in assenza delle evidenziate condotte persecutorie, con alta probabilità egli poteva diventare funzionario sin dal 1981 con incremento retributivo non inferiore a L. 10 milioni l’anno per un danno complessivo di L. 264.000.000 oltre alle ripercussioni sul TFR e sul trattamento pensionistico.
Chiedeva ancora il risarcimento dei danni subiti ai sensi dell’art. 2087 c.c. a causa dei comportamenti attivi dei singoli autori delle prescrizioni vessatorie nonché delle omissioni colpevoli dell’Istituto, sin dall’inizio al corrente delle vicende personali del ricorrente. Allegava di avere subito un danno biologico, derivante dall’insorgere di una grave forma di ipertensione con problemi cardiaci, di una grave depressione e di una grave forma di psoriasi, danno che quantificava in complessive L. 240.000.000.
Si costituiva ritualmente la società convenuta eccependo la prescrizione delle domande attoree e contestando la ricostruzione dei fatti compiuta dal ricorrente nonché la fondatezza delle domande. Rilevava in particolare la intervenuta prescrizione del risarcimento danni da demansionamento, che si sarebbe verificato nel 1980 con il trasferimento del Marusso al servizio esattoria ovvero nel 1982 con il suo trasferimento presso la filiale di San Donà di Piave con ampio decorso del termine sia quinquennale che decennale, non soggetto a sospensione per effetto della tutela reale del rapporto di lavoro del ricorrente né ad interruzione ad opera delle lettere inviate dal ricorrente in quanto sprovviste dei connotati minimi necessari alla loro efficacia interruttiva. Anche la domanda di risarcimento del danno biologico era prescritta essendo il comportamento denunciato dal ricorrente iniziato 18 anni prima della proposizione della domanda e cessato 10 anni prima della notifica del ricorso medesimo.
Eseguita CTU per accertare il momento di insorgenza delle malattie lamentate dal ricorrente, la causa veniva decisa con sentenza non definitiva del 15/2/2001 in ordine alla questione preliminare di prescrizione accertandosi la intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno per la asserita illegittima dequalificazione relativa al periodo anteriore al 15/7/88; la intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno per perdita di chanches relativo al periodo anteriore al 15/7/88; la intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno biologico derivante da angina pectoris e dalle altre manifestazioni ischemiche cardiache di origine professionale.
La causa proseguiva con l’assunzione delle prove testimoniali chieste dalle parti limitatamente alle circostanze di fatto ancora rilevanti e, autorizzato il deposito di note conclusive, veniva decisa in via non definitiva come da dispositivo letto alla udienza del 15/1/2003.
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
Come è ormai noto, il termine mobbing, impiegato per designare una forma di terrore psicologico realizzata sui luoghi di lavoro, nei confronti di uno o più lavoratori, da parte dei colleghi o dei superiori, deriva dal verbo to mob (affollarsi intorno a qualcuno, assalire tumultuando).
Una definizione completa del fenomeno è rinvenibile nel disegno di legge a firma del senatore Tapparo e da altri, titolato «tutela della persona che lavora da violenze morali e persecuzioni psicologiche nell'ambito dell'attività lavorativa» comunicato alla presidenza il 13 ottobre 1999, che così lo delinea: «Ai fini della presente legge vengono considerate violenze morali e persecuzioni psicologiche, nell'ambito dell'attività lavorativa, quelle azioni che mirano esplicitamente a danneggiare una lavoratrice o un lavoratore. Gli atti vessatori, persecutori, le critiche e i maltrattamenti verbali esasperati, le molestie sessuali, l'offesa alla dignità, la delegittimazione di immagine, anche di fronte a soggetti esterni all'impresa, ente o amministrazione (clienti, fornitori, consulenti), comunque attuati da superiori, pari grado, inferiori e datori di lavoro». Queste condotte, per integrare la nozione di mobbing, «devono mirare a discriminare, screditare o, comunque, danneggiare il lavoratore nella propria carriera, status, potere formale e informale, grado di influenza sugli altri, rimozione da incarichi, esclusione o immotivata marginalizzazione dalla normale comunicazione aziendale, sottostima sistematica dei risultati, attribuzione di compiti molto al di sopra delle possibilità professionali o della condizione fisica o di salute».
Il citato è solo un progetto di legge ma la giurisprudenza si è comunque sforzata di considerare il fenomeno da tempo studiato dalla psicologia del lavoro e di individuare gli strumenti giuridici, tra quelli esistenti, attualmente utilizzabili al fine di contrastarlo. Così in Cass. 7768/95 si sostiene che l'obbligo previsto dalla disposizione contenuta nell'art. 2087 c.c. “non è limitato al rispetto della legislazione tipica della prevenzione, ma — come si evince da una interpretazione della norma in aderenza a principî costituzionali e comunitari — implica anche il divieto di qualsiasi comportamento lesivo dell'integrità psico-fisica dei dipendenti, qualunque ne siano la natura e l'oggetto” mentre Cass 143/00 afferma che “qualora da un siffatto comportamento (lesivo della integrità psicofisica ) derivi un pregiudizio per il lavoratore, implicante la lesione del bene primario della salute o integrante quel tipo di nocumento che dalla dottrina e dalla giurisprudenza viene definito biologico, evidente è la responsabilità del datore di lavoro purché sia accertata l'esistenza di un nesso causale fra il suddetto comportamento, doloso o colposo, e il pregiudizio che ne deriva.” Più puntualmente in Trib Torino 11/12/99 viene qualificato come fatto notorio che “ nelle aziende accade qualcosa di simile al comportamento di alcune specie animali, solite circondare minacciosamente un membro del gruppo per allontanarlo, allorché il dipendente è oggetto ripetuto di soprusi da parte dei superiori e, in particolare, vengono poste in essere nei suoi confronti pratiche dirette ad isolarlo dall'ambiente di lavoro e, nei casi più gravi, ad espellerlo; pratiche il cui effetto è di intaccare gravemente l'equilibrio psichico del prestatore, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in sé stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talora persino suicidio.”; dalla sussistenza di condotte antigiuridiche imputabili a fatto e colpa del datore di lavoro e produttive di danni, si fa discendere l’obbligo risarcitorio.
Tra le più recenti pronunce, Tribunale Forlì 15/3/01 ha con maggiore compiutezza definito il fenomeno “mobbing” - richiamando i requisiti richiesti dalla psicologia del lavoro - come quel “comportamento, reiterato nel tempo, da parte di una o più persone, colleghi o superiori della vittima, teso a respingere dal contesto lavorativo il soggetto mobbizzato che a causa di tale comportamento in un certo arco di tempo subisce delle conseguenze negative anche di ordine fisico da tale situazione” per farne derivare la responsabilità del datore di lavoro derivante dall’obbligo posto a suo carico dall’art. 2087 c.c. di tutelare il dipendente in un ottica complessiva di tutela psicofisica; sostanzialmente nello stesso senso altra giurisprudenza evidenzia come la necessità della protezione della dignità umana nel sistema giuslavoristico discenda oltre che dal generale dovere posto a carico dell’imprenditore di adottare le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità del lavoratore (art. 2087 ) anche dalle regole di civiltà contenute nella Costituzione che “valorizza i criteri di solidarietà (art. 2), di tutela del lavoro (art. 4) , di eguaglianza sostanziale(art. 3, 2° comma), di tutela in favore di soggetti debolissimi (art. 37), per prevedere, infine, in una disposizione che riguarda l’esercizio dell’impresa (art. 41), il limite attinente l’utile sociale ed il rispetto della dignità umana.” (Trib Pisa 10/4/2002 )
Il giudicante ritiene, aderendo al riportato orientamento giurisprudenziale, che il fenomeno mobbing vada definito come in Trib. Forlì citata e che all’accertamento della sussistenza di un comportamento mobbizzante consegua la responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. e l’obbligo di risarcire tutti i danni provocati alla sfera psico-fisica del dipendente.
Il dr. Marusso ha denunciato i comportamenti tenuti da Ca.Ri.Ve., come indicati in ricorso, nel periodo 1980/1988 definendoli come vessatori e ha chiesto il risarcimento dei danni da dequalificazione, da perdita di chances e biologico.
La prima questione posta dalla società convenuta è quella della prescrizione del diritto azionato, questione che è stata risolta con la sentenza non definitiva 15/2/01 che ha dichiarato prescritti fino al 15/7/88 i singoli diritti risarcitori azionati. Con le note conclusive la difesa del ricorrente ha chiesto di rivedere la decisione adottata con la sentenza nr. 120/01 di questo Tribunale. Al riguardo va detto che il giudicante, oltre a non ritenere modificabile il decisum della citata sentenza che potrebbe essere riformato solo dal giudice di appello, ritiene peraltro condivisibile la statuizione posto che, anche considerando unitariamente il comportamento mobbizzante della convenuta – quale illecito contrattuale permanente – e unitariamente la domanda di risarcimento dei danni conseguenti a quel comportamento, dovrebbe comunque ribadirsi la intervenuta prescrizione essendo l’illecito generatore del danno (e il danno medesimo ) compiuto e concluso (come si dirà ) in periodo antecedente il decennio precedente la notifica del ricorso introduttivo. Anche con riferimento al danno da lesione personale il dies a quo di decorrenza della prescrizione si identifica con quello in cui la condotta illecita ha inciso nella sfera giuridica del danneggiato “salvo che non si manifestino nuove lesioni che costituiscano un’entità nuova e autonoma rispetto al danno manifestatosi in concomitanza con l’esaurimento dell’azione antigiuridica e si siano esteriorizzate in un momento successivo “ (cfr. Cass.7937/00, 5327/99 tra le tante).
Quanto alla fine del comportamento illecito, come si dirà meglio nel prosieguo, il ricorrente pur affermando che le vessazioni sono cessate nell’ottobre 1988 in realtà omette di allegare fatti o comportamenti mobbizzanti compiuti in suo danno dopo il 1986 con la conseguenza, per quanto ora detto, che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni (patrimoniale, professionale, da perdita di chances , esistenziale) conseguenti a quei comportamenti ha cominciato a decorrere dal 1986 ed è scaduto nel 1996 ad eccezione del danno biologico derivante dalla malattia (angina e altre manifestazioni ischemiche ) diagnosticata solo nel 1989. L’allegazione della sussistenza di un siffatto danno biologico per le malattie insorte in periodo non prescritto e originate dal mobbing comporta la necessità di esaminare e valutare il comportamento vessatorio denunciato.
I FATTI
1 - Risulta provato dalla istruttoria svolta che il dr. Marusso venne sottoposto, a partire dalla sua assegnazione all’agenzia di Annone Veneto quale gerente avvenuta il 10/2/80, a vessazioni, umiliazioni e angherie da parte dei suoi superiori: assegnato all’agenzia di Annone Veneto dopo avere operato, sempre quale gerente, presso l’agenzia di Noventa di Piave ed avere conseguito le note di qualifica di “distinto” nei tre anni precedenti il ricorrente trova come suo diretto superiore il dr. Berlin (direttore della Filiale di Portogruaro) “con il quale vi erano attriti sicuramente derivanti dal carattere delle due persone” (cfr. teste Cecconi ); il primo comportamento del suo nuovo superiore è di non accordare al Marusso l’autorizzazione a concedere fidi con ciò privandolo senza alcuna ragione né apparente né reale a) di un potere normalmente proprio di tutti i gerenti (cfr teste Cecconi ), b) di uno strumento necessario alla acquisizione e allo sviluppo della clientela (che è compito precipuo del gerente) e, di conseguenza, privandolo di uno dei mezzi di esplicazione della propria professionalità. Il teste Cecconi riferisce di ritenere che “se il ricorrente a settembre 1980 non aveva ancora avuto la facoltà di fido era perché il giudizio del suo superiore era negativo.” Dove potesse appuntarsi tale giudizio negativo proprio non è dato comprendere posto che per il 1979 il giudizio fu “distinto” e lo stesso Berlin propose per le note di qualifica relative al 1980 il giudizio di “buono” evidenziando come lati positivi la voglia di emergere e la predisposizione a trattare con il pubblico ed inoltre una normale capacità professionale e preparazione del ricorrente, una normale quantità di lavoro svolto, una normale capacità di decisione e di giudizio, senso economico e senso del rischio; il Berlin giudica, come lati negativi, la verbosità, il modo di trattare i collaboratori, la superficialità e il disordine. Non pare che gli aspetti negativi evidenziati dal Direttore di Filiale potessero avere valenza decisiva al fine dell’autorizzazione alla concessione di fidi anche in considerazione della valutazione positiva in ordine a “preparazione e capacità professionale “ che si legge nella scheda di valutazione. Né è da sottovalutare, ai fini della considerazione dell’atteggiamento assunto dal datore di lavoro nei confronti del ricorrente, la circostanza che, nonostante la proposta del Berlin (diretto superiore del Marusso ), il giudizio poi assegnato sia stato solo “sufficiente” – con quali argomentazioni non è dato sapere.
La difesa di Carive ha evidenziato che il 15/4/80 al Marusso venne contestato di avere concesso un finanziamento a tale sig. Mozzato Francesco con la fideiussione della sorella del medesimo ricorrente; è peraltro vero che a seguito delle giustificazioni fornite dal dipendente, Carive non ritenne di sanzionare il comportamento contestato evidentemente ritenendole esaustive. E al riguardo è rilevante sottolineare che tali giustificazioni riguardano l’aver ottenuto l’autorizzazione del vice direttore di filiale per il finanziamento garantito dalla sorella del ricorrente e che il rag. Saro ha confermato di avere autorizzato il finanziamento (cfr. lettera 29/4/80 ).
La convenuta si difende ancora affermando che presso l’agenzia di Annone e successivamente il dr. Marusso fu costantemente irrispettoso dell’orario di lavoro e disordinato nello svolgimento del suo lavoro; ma non si vede proprio come un tale comportamento possa influire sulla decisione di accordare o negare l’autorizzazione alla concessione dei fidi – e non piuttosto sul potere disciplinare datoriale - tanto più che almeno dei ritardi non si parla nelle note di qualifica.
Sta di fatto che Carive decide di trasferire il ricorrente e assegnarlo dal 19/11/80 al reparto Esattoria presso l’agenzia A di San Donà di Piave.
2 - In ordine a questo trasferimento (che costituisce il secondo atto di mobbing nella allegazione attorea ) il ricorrente ne afferma la illegittimità perché il provvedimento fu adottato in difformità con le previsioni contrattuali e perché gli fu imposta una dequalificazione mediante assegnazione a mansioni di ripiego non corrispondenti alla professionalità acquisita.
Il trasferimento da Annone a San Donà è stato sicuramente deciso (per quanto emerge dalla istruttoria ) in contrasto, anche se per ragioni diverse da quelle allegate in ricorso,con le previsioni di cui all’art. 83 delCCNL 1980 il cui 1° comma dispone che “Il trasferimento del lavoratore ad una unità produttiva situata in comune diverso può essere disposto dall’Istituto solo per comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive.” Carive nulla ha mai dedotto in ordine alla sussistenza delle previste esigenze tecniche organizzative e produttive se non il non aver il Marusso dato buona prova di sé e, come si è visto, tale giudizio pare quanto meno sproporzionato rispetto ai fatti risultanti in causa.
Così l’assegnazione al reparto Esattoria ha avuto una valenza “punitiva” e squalificante: secondo il teste Cecconi “se un gerente di agenzia viene trasferito al servizio esattoria questo dipende da un giudizio negativo sul suo operato. Il (l’attività del, n.d.r.) capo reparto del servizio esattoria è attività qualitativamente inferiore a quella di gerente di un’agenzia. Il passaggio dai servizi creditizi a quelli esattoriali e viceversa avveniva in positivo quando si voleva valorizzare un dipendente addetto alla esattoria e viceversa in negativo quando un dipendente del settore credito era valutato negativamente.” Sostanzialmente negli stessi termini si è espresso anche il teste Scantamburlo il quale riferisce “è di mia conoscenza che in Carive passare dal credito all’esattoria è considerato squalificante di norma”. Anche il rag. Trevisiol (allora Direttore della Filiale di San Donà di Piave ) annota nelle note di qualifica 1982 che le mansioni assegnate al ricorrente sono “mansioni di ripiego”.
Della valutazione negativa dell’operato del Marusso (che dovrebbe giustificare la squalificazione operata in suo danno dalla convenuta ) si è già detto. I presupposti di tale giudizio negativo emersi in corso di processo riguardano i continui ritardi e il disordine del Marusso: ma, a tutto riconoscere, non si capisce perché punire un dipendente per il mancato rispetto dell’orario di lavoro squalificandolo professionalmente e non invece ricorrendo al potere disciplinare. L’unica spiegazione plausibile è che il trasferimento dall’agenzia di Annone ai servizi esattoriali dell’agenzia di San Donà non è stata una conseguenza reattiva dell’operato negativo del dipendente ma esplicazione di una volontà vessatoria diretta a screditare professionalmente, umiliare nell’ambiente di lavoro il ricorrente che il Berlin aveva definito “soggetto che ha una considerazione di sé al di là di ogni ragionevole limite” (cfr. note qualifica 1980 ). Del resto gli studiosi del fenomeno mobbing hanno evidenziato come molto spesso le vittime non sono soltanto soggetti deboli ma lavoratori dotati di forte personalità o particolarmente zelanti.
Va ancora detto che è incontestabile che la funzione di capo reparto dell’Esattoria è contrattualmente inquadrata nel grado IV/1°, proprio del ricorrente, posto che sia le funzioni di gerente di agenzia di 2° categoria (quale era Annone Veneto all’epoca dei fatti di causa ) sia il capo reparto dei servizi esattoriali delle Filiali e agenzia A sono inquadrati dal CIA 81 nel grado IV/1°; tuttavia è altresì incontestabile che l’assegnazione di mansioni che, pur inquadrate nella stessa categoria o area professionale e stipendiale, assolutamente siano incongrue rispetto alla specifica professionalità acquisita dal dipendente (il Marusso operava da lungo tempo nel settore creditizio ) costituisce una dequalificazione sia sotto il profilo di un impoverimento della professionalità acquisita dal ricorrente in anni di servizio nel settore credito, sia sotto il profilo della impossibilità di ulteriormente arricchire quella professionalità già acquisita, sia sotto il profilo della immagine professionale del dipendente nel suo specifico ambiente di lavoro (cfr. ex plurimis Cass.11457/00, 10284/00).
Al servizio esattoria il Marusso rimane per circa un anno e mezzo durante il quale l’intento vessatorio del datore di lavoro (per il tramite dei suoi dirigenti ) continua a manifestarsi nel continuo controllo cui il ricorrente è sottoposto: ciò riferisce il teste Zuin che dichiara “ quando Marusso arrivò a San Donà il Pasinato (gerente dell’agenzia A ) spesso riferiva al direttore di Filiale Trevisiol sul comportamento del Marusso. Presumo che ciò sia avvenuto perché la Direzione voleva sapere come stava andando il ricorrente dato che era nuovo del servizio. Sicuramente sono stato io stesso richiesto da Trevisiol a nome di De Vivo (allora capo del personale) di monitorare il comportamento di Marusso e ciò ho fatto inviando informative scritte almeno tre volte”. Del resto che Marusso fosse un sorvegliato speciale risulta dalle note contenute nel fascicolo personale del ricorrente ove si rinvengono note di evidente risposta a richieste di sorveglianza. Tutto questo controllare da più parti un dipendente che fino a quel momento, sul piano operativo strettamente professionale, non aveva dato luogo a richiami o negligenze non pare rientri nel legittimo esercizio del potere datoriale di controllo tanto più che, quando Marusso lasciò i servizi esattoriali, “tutto era in ordine” riguardo alla gestione del servizio (cfr. teste Zuin ), segno che, professionalmente e contrariamente a quanto riferito dal teste Trevisiol, il ricorrente meritava una fiducia che i suoi superiori gerarchici non volevano accordargli verosimilmente a causa di quel caratteraccio cui ha fatto indiretto cenno il teste Cecconi. I testi Trevisiol, Zuin, Pasinato e Scantamburlo ribadiscono ancora i ritardi addebitati al Marusso durante il periodo di servizio in esattoria a giustificazione della necessità di tenere sotto controllo il ricorrente ma parte di essi riferisce anche che il ricorrente all’epoca soffriva di quella eritrodermia psoriasica denunciata in ricorso come conseguenza dei comportamenti vessatori del datore di lavoro. E’ quindi da chiedersi (in realtà lo afferma il teste Scantamburlo ) se non fossero piuttosto i ritardi una reazione (non corretta ma comprensibile ) allo stato di tensione, squalificazione e sfiducia nel quale il dipendente era da tempo costretto ad operare a causa dei fatti sin qui esaminati, fermo restando quanto già supra rilevato ovvero che la corretta risposta ad eventuali mancanze o inadempimenti del dipendente è costituita dal procedimento disciplinare con tutte le sue garanzie mentre non risponde ai principi di buona fede e correttezza, cui si devono attenere le parti nella esecuzione del rapporto di lavoro, l’esercizio di un controllo continuo e pressante anche avuto riguardo all’inquadramento del lavoratore nel massimo grado impiegatizio.
3 - Nel maggio 1982 il ricorrente torna finalmente nel settore credito e viene assegnato alla Filiale di San Donà con provvedimento privo della indicazione delle mansioni assegnate e inizialmente adibito a compiti di addetto allo sportello con modalità ancora una volta dequalificanti (questa volta anche con riferimento alle declaratorie professionali del CIA ) e umilianti: egli emetteva assegni circolari senza potere di firma, apponeva la carta carbone sugli stampati nonostante si trattasse di compito normalmente assegnato ai commessi e nonostante la presenza di due commessi in quella Filiale (cfr. teste Fusco), effettuava il pagamento effetti nonostante si trattasse di mansione normalmente svolta dai neo assunti (cfr. teste Marzola ). Tali mansioni sono ascrivibili al massimo al IV grado del CIA 1981 al quale appartengono gli impiegati che svolgono servizio cassa in ausilio al cassiere titolare presso le Sedi e Filiali.
Il periodo durante il quale il Marusso venne assegnato a compiti di sportelleria è determinabile in oltre un anno sulla base alle note di qualifica del 1983 ove si legge che nell’ultima parte dell’anno 83 il Marusso fu impiegato in segreteria fidi “ove svolge semplici lavori di corredo”. E’ dunque la stessa convenuta che riconosce il sottoutilizzo del dipendente!
4 - A partire dalla fine del 1983 il ricorrente passa alla segreteria fidi e ad un certo punto è addetto alle pratiche di mutuo delle quali si occupava dall’inizio alla fine ma era privo della procura alla firma del contratto che invece avevano colleghi di grado inferiore (cfr. Correr); la negazione della procura, di per sé fatto giuridicamente neutro, costituisce nel complesso della vicenda un ulteriore atto di compressione della personalità del ricorrente e della sua voglia di emergere nonché del suo prestigio nell’ambito lavorativo costringendolo a curare una pratica con l’esclusione del momento finale ed esterno. Ancora, in questo periodo si innesta la vicenda che ha dato luogo alla sentenza 267/87 a definizione del ricorso proposto dal Marusso per l’accertamento della illegittimità di una sanzione disciplinare inflittagli. Nella sentenza citata si legge “il Fiozzo (capoufficio ) aveva assunto atteggiamenti arroganti e di scherno nei confronti del convenuto (Marusso) – valga per tutti l’episodio della affissione sui muri dell’ufficio di alcuni moduli erroneamente compilati dal Marusso – e si capisce come l’ulteriore ingiustificato rimprovero, alla luce dei pregressi atteggiamenti arroganti e provocatori del Fiozzo, abbia innescato la reazione, censurabile nelle sue modalità, del Marusso “. Perdurano, quindi, anche in questo periodo atteggiamenti umilianti,provocatori, aggressivi di superiori e colleghi del ricorrente inquadrabili in quella logica con cui operano quelle specie animali, solite circondare minacciosamente un membro del gruppo per allontanarlo di cui si legge in Trib. Torino citata.
5 - Nel 1987 si pongono le premesse per un miglioramento della situazione del ricorrente che, rimanendo alla segreteria fidi, viene addetto alla istruttoria di fidi particolari e poi ai riesami dei fidi della Filiale di San Donà (cfr. note qualifica 1987 e seguenti nonché dichiarazione Marusso resa alla udienza 15/1/03 ). Da questo momento – è anche da pensare che la sentenza 267/87 vi abbia influito – cessano i comportamenti vessatori in danno del ricorrente il quale viene adibito a mansioni di suo gradimento come riconosce egli stesso e come testimonia Del Turco. Il ricorrente sostiene che tali ultime mansioni, pur di suo gradimento, non erano però consone al suo grado. Questa è solo un’affermazione priva di riscontro e di fondamento atteso che, in mancanza di ulteriori allegazioni in fatto e in diritto (inesistenti in ricorso e nelle memorie successive ), la posizione del ricorrente sembra ricollegabile al mancato svolgimento di funzioni di capo ufficio o capo reparto sulla scorta dell’inserimento di queste sole funzioni nel grado IV/1° da parte del CIA senza considerare che l’art. 16 del CIA 81 (la cui vigenza negli anni successivi al 1987 non è peraltro dimostrata in causa ) determina i posti in organico di capo ufficio e capo reparto ed attribuisce il grado ai dipendenti preposti ai singoli uffici o reparti ma certamente non esclude che il grado IV/1° sia attribuibile anche a mansioni, di contenuto professionale equivalente, diverse da quelle di capo ufficio o capo reparto.
In conclusione l’accertamento dei fatti come emersi in istruttoria conduce ad accertare che il comportamento adottato dalla convenuta nei confronti del ricorrente può essere qualificato come mobbing in relazione alla durata del fenomeno e alla pluralità di atti e provvedimenti tendenti ad indurre nel destinatario situazioni di disagio, difficoltà, disistima verso se stesso quali sono stati la privazione di poteri normalmente conferiti alla posizione professionale, il trasferimento “punitivo” e la squalificazione professionale, la vigilanza eccessiva, il demansionamento, gli atteggiamenti umilianti.
Il fenomeno è cessato con il 1986; da questa data, dunque, il Marusso poteva far valere (con inizio della decorrenza della prescrizione ex art 2935 c.c. ) il diritto al risarcimento dei danni conseguenti a quel comportamento illecito e immediatamente prodottisi nella sua sfera giuridica in termini di danno patrimoniale, di lesione della sua personalità morale, di danno biologico per le malattie verificatasi,di perdita di chances: in ordine a tale ultimo profilo di danno val la pena rilevare come il ricorrente si sia limitato ad affermare la lesione alla progressione in carriera verso la qualifica di funzionario derivante dall’illegittimo demansionamento subito nel 1980 (trasferimento ai servizi esattoriali di San Donà), senza peraltro allegare alcun dato o circostanza dalla quale desumere, nè in termini di alta probabilità né in termini di tempo, che egli avrebbe avuto effettive o molto probabili possibilità di divenire funzionario. Di conseguenza non è possibile stabilire se il danno ci sia stato – e, vertendosi in ambito di responsabilità contrattuale sussiste l’onere del lavoratore di dimostrare il nesso di causalità tra l’evento lesivo e il comportamento del datore di lavoro. Solo per il danno biologico da malattia nuova insorta in un momento successivo al termine del comportamento illecito, come già detto, il termine di prescrizione decorre dal verificarsi dell’evento lesivo e, pertanto, richiamata la CTU già eseguita, deve accertarsi il diritto del ricorrente al risarcimento del danno biologico conseguente alla angina pectoris e alle altre manifestazioni ischemiche diagnosticate nel 1989 a condizione che, nel prosieguo di istruttoria, ne sia dimostrato il nesso eziologico con i comportamenti mobbizzanti esaminati.
Spese al definitivo.
Dispone separatamente per il prosieguo di istruttoria.
P.Q.M
 
Il Giudice, non definitivamente pronunciando, cosi' provvede:
Accertata la illegittimità dei comportamenti di cui in motivazione, tenuti dalla società convenuta nei confronti del ricorrente fino al 1985, per l’effetto la condanna a risarcire al ricorrente il danno biologico conseguente alle patologie “angina pectoris” e “altre manifestazioni ischemiche cardiache manifestatesi successivamente al 15/7/88 ove ne sia dimostrata l’origine professionale.
Dispone separatamente per il prosieguo.
Spese al definitivo.
 
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