La dilatazione del mobbing sulla consorte (dopo che il pacchetto azionario della  società finanziaria da cui dipendeva venne integralmente acquistato dall’IMI e suoi dirigenti ne divennero i gestori)

 

1.      E’ necessario integrare la mia storia di mobbing (da parte dell’Ente pubblico IMI SpA e di taluni suoi dirigenti di vertice ed esecutori collaterali) con il portare a conoscenza come  - per ritorsione e prosecuzione della persecuzione psicologica e delle vessazioni di cui ero stato fatto oggetto, in ragione di una discriminazione  fondata su “divergenze d’ideologia e per mia avversità al clientelismo, a tutela della correttezza ed imparzialità gestionale” -  il mobbing nato e praticato a mio danno nell’Ente IMI si sia esteso anche a danno di mia moglie, sola responsabile di essermi legata dal vincolo del matrimonio.

Ciò è avvenuto dopo l’acquisto da parte dell’IMI dell’intero pacchetto azionario della piccola Società finanziaria (con 40 dipendenti, esercente il factoring) ove Ella  aveva accettato di essere assunta nell’aprile 1985 a “part-time” (25 ore settimanali per 5 giorni alla settimana) in ragione delle concomitanti esigenze familiari e personali e dove aveva avuto modo di farsi apprezzare come Responsabile dell’Ufficio del Personale (tanto da meritare la qualifica di “ottimo” ed il riconoscimento economico di “scatti anticipati” d’anzianità da parte dell’Amm.tore Delegato e Direttore Generale da cui direttamente dipendeva). L’ingente lavoro la costringeva anche a totalizzare in un anno (1986) ben 480 ore di lavoro supplementare, cui tuttavia mai si sottrasse. L’inquadramento – dopo la piena responsabilità dell’Ufficio del Personale – in 1° cat. del ccnl credito si appalesava di lì a poco del tutto  inadeguato, ma ciò nonostante mia moglie più che lamentarsi di questo ambiva al necessario tempo libero da dedicare alla famiglia ed al rispetto aziendale della tipologia del  pattuito contratto a part-time, tanto da richiedere al Dr. Palotta (dirigente IMI distaccato a metà 1986 presso la consociata, dopo che l’IMI acquisì il totale possesso del pacchetto azionario rilevando quello dell’Iccrea) che il lavoro materiale di compilazione dei cedolini paga (e relativi versamenti fisco-previdenziali) venisse affidato ad uno studio di consulenza del lavoro, come facevano tutte le consociate IMI di minime o medie dimensioni. La proposta venne accolta nell’ottobre 1986, ma  evidentemente “obtorto collo” giacchè il dirigente IMI (dr. Palotta) – inesperto  e sotto estimatore delle problematiche che deve affrontare un responsabile di un Ufficio del Personale – non gradendo la sollecitazione al ricorso, per l’imponente mole materiale del lavoro  afferente gli stipendi, allo Studio esterno Cossu, concludentemente  le abbassò nel 1987 il giudizio di classifica per l’anno 1986 da “ottimo” a “buono”. Intanto il dr. Palotta rientrava all’IMI, al suo posto  nella società di factoring veniva assunto nel 1988 un nuovo Direttore Generale (il dr. Luzzatto Giuliani), che riconoscendo la qualità del lavoro dell’interessata, la sua autonomia e responsabilità, si fece promotore (nel novembre 1988) presso il Consiglio di Amministrazione di un adeguato inquadramento a Capo Ufficio di mia moglie quale Responsabile dell’Ufficio del Personale (quando invero nelle consociate minori dell’IMI  il “responsabile del Personale” riveste addirittura la qualifica di “funzionario” del credito). Ma la sua richiesta venne “stoppata” dall’Amministratore Delegato Dr. Martella (ex dirigente IMI, prepensionato) che si consultò con il dr. Palotta (ora asceso alla carica di Consigliere d’Amm.ne della  neo rinominata Società Spei Fatoring) sulla base della singolare (e discriminatoria) argomentazione, apposta di pugno e per inequivoca ripulsa sul pro-mermoria di proposta,  che “promozioni a personale a part-time non mi sembra che sia il caso!”. Anche il ripiegamento da parte del Direttore Generale a favore  di mia moglie (Alessandra Casagli) della speciale gratificazione “una tantum” di £. 2.500.000 venne bocciato da un vertice composto dal Vice Presidente dell’IMI dr. Falcone, dall’Amm.tore delegato (ex dirigente IMI) Dr. Martella e dal Consigliere d’amministrazione dr. Palotta (dirigente IMI). Inizia sostanzialmente da questo atto di diniego al riconoscimento di propri diritti d’inquadramento il mobbing di mia moglie da parte di dirigenti IMI, colleghi o ex colleghi del mal digerito marito. E le pratiche di mobbing e di discriminazione continuarono a danno dell’interessata, tramite la non applicazione del regime della  progressione di carriera per anzianità (contemplata dal Contratto Integrativo Aziendale del 1988) da cui resta esclusa solo mia moglie lavoratrice a part-time, colpevolizzata da tale scelta, nonostante le moderate proteste scritte rimaste – com’era costume della dirigenza IMI – senza riscontro alcuno. Quando poi nel febbraio 1991 la Spei Factoring  si ridusse d’organico a 20 dipendenti (per esodo incentivato), la responsabilità dell’Ufficio del Personale venne unificata in capo al Funzionario Sig.ra E. Savini N.  – Responsabile del Personale della Spei Leasing SpA, quella stessa che una sentenza della Pretura di Bari indica come orditrice di un disegno di “dimissioni estorte”a danno di un Capo Filiale locale – e mia moglie venne distaccata alle di lei dipendenze, vivendo un umiliate rapporto gerarchico fatto di esclusione dalle informazioni gestionali, dalle riunioni di servizio,  addirittura senza aggiornamento del programma del proprio PC  onde la responsabile potesse avere la scusante di  una non “assegnazione di lavoro” per incompatibilità del software (che doveva necessariamente Ella  stessa autorizzare  e richiedere  alle strutture informatiche aziendali a favore della subordinata). A mia moglie fu inferto il trattamento tipico del peggior mobbing, confinata nella dequalificazione, nella quasi totale inedia lavorativa, nell’emarginazione dal contesto gestionale e relazionale.

 

2.   Chi mai potrebbe sostenere che il “mobbing” colpisca a caso  o per contagio alla maniera di un “virus influenzale” – ad iniziativa dello stesso corpo dirigenziale e dello stesso assetto proprietario -  il marito prima e la moglie poi (o contestualmente)? Non è più realistico intravedere, invece, in queste iniziative persecutorie una intenzionale strategia di “mobbing familiare” (lasciata all’iniziativa di diversi ma collegati esecutori nelle due sedi aziendali di uno stesso Gruppo societario, solo distanti logisticamente 500 mt. l’una dall’altra), per indurre entrambi i soggetti “scomodi” (uno in via diretta, l’altra per collegamento di coniugio) a “togliere il disturbo” dallo stesso Gruppo societario?

Chi scrive intanto a partire dal 1991 viveva una vita d’inferno, tra la depressione propria e le crisi di pianto della moglie reduce dalle mortificazioni d’ufficio.

Intanto continuavano le sollecitazioni  della responsabile del Personale (e superiore diretta di mia moglie), il funzionario Sig. ra E. Savini N. finalizzate ad ottenere dalla consorte  (l’inutile quanto inottenibile) consenso alla trasformazione del  rapporto a part-time in rapporto a tempo pieno, facendole intravedere che questo era  l’effettivo impedimento alla sua assegnazione di lavoro e alla sua progressione di carriera (quando invece se avesse abboccato la conseguenza sarebbe stata quella di essere emarginata in ufficio non già per sole 25 ore settimanali ma per le intere 37,30). Insomma le veniva fatto intravedere, per distrarla, un falso rimedio (la prestazione a tempo pieno in luogo della prestazione a part-time, quest’ultima indicata espressamente quanto incautamente dal lato giuridico quale fonte di “oggettiva discriminazione” da parte dei gestori del Gruppo IMI, indifferenti  ed ostili  alla nuova e più moderna tipologia di lavoro, legislativamente introdotta).

Che tutto fosse studiato ad arte lo testimonia il fatto che alla fine di questo indicibile trattamento mobbizzante (iniziato nel 1988 e durato fino al 31.12.1996) mia moglie fu avvicinata per un esodo incentivato all’età di 53 anni (con 7 anni di distanza dalla maturazione della ancora insicura età pensionabile dei 60), in concomitanza con l’incorporazione della  Spei Factoring ad opera della Spei Leasing  e dopo la prospettazione agli esuberanti di una allocazione in sedi lavorative extraregionali. Nel giugno del 1995 mia moglie si convinse della necessità di far causa alla Spei Factoring in liquidazione (ed in solido all’incorporante Spei Leasing), per le inadempienze di inquadramento rinvenibili nella “causa illecita” e “discriminante” del part-time (risultante anche da documentazione di pugno dei vertici aziendali) e si risolse poi, per por fine a questo mobbing psicologicamente insostenibile, a dimettersi (con incentivazione secondo bando aziendale e parametri generalizzati e non personalizzati) con la data del 31.12.1996.  Temendo la soccombenza nella vertenza instaurata, la Spei Leasing conciliò innanzi al giudice la causa in data  19 dicembre 1996 – onde non consentire alle lavoratrici del Gruppo IMI SpA (già destinatario di  un invito-diffida indirizzatogli dal Collegio Istruttorio del Comitato Nazionale Pari Opportunità con il parere del 30.11.1994)  di avvalersi di un precedente giudiziale sanzionatorio della discriminazione in carriera per scelta del “part-time”, – con l’erogazione di una somma di lordi 111 milioni (pressochè pari all’intero importo rivendicato nel ricorso, il che è sintomatico della fondatezza della rivendicazione ed indice d’ammissione della colpa aziendale).

Ancora  mia moglie sta attendendo la pensione, viviamo dignitosamente con la sole mie entrate da pensione di anzianità Inps, ma felici finchè Dio ci conserva la salute. Dobbiamo, peraltro, dare atto che il Gruppo IMI con la sua strategia di mobbing è riuscito a metterci entrambi a “riposo forzato” com’è nei tradizionali e sperimentati obbiettivi della  nota pratica che sta per essere sanzionata dalla legge  della Regione Lazio, da un’auspicabilmente emananda legge nazionale oltrechè dalle risoluzioni del Parlamento della stessa Unione Europea.

Mario Meucci

Roma, 3 dicembre 2001

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