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Mobbing: dallo stress
alla malattia
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“Una
persona può essere uccisa una volta sola, ma quando la si umilia la si
uccide ripetutamente.”
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Talmud
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Negli
ultimi anni, in tutte le società avanzate si è andato diffondendo un
fenomeno allarmante: il “Mobbing”. Il termine Mobbing deriva dal verbo
inglese “to mob” che significa assalire, aggredire, affollarsi attorno a
qualcuno, accerchiare. Il sostantivo mob dal latino “mobile vulgus”,
significa invece folla tumultuante, spesso nell’accezione dispregiativa di
gentaglia, banda di delinquenti. Il termine Mobbing discende dalla
tradizione etologica e solo in un secondo momento è stato introdotto in
psicologia. Nell’ottocento, Mobbing era un termine coniato dai biologi
inglesi per descrivere il comportamento degli uccelli, che difendevano il
loro nido con manovre di volo minacciose contro gli aggressori. Nel
novecento, l’etologo Konrad Lorenz lo ha impiegato per indicare un
comportamento di minaccia aggressiva (mobbing behaviour) da parte di un
gruppo di animali, generalmente di taglia inferiore, nei confronti di un
animale estraneo generalmente di taglia superiore e giudicato come
potenzialmente nemico. Il Mobbing è comunemente definito come una forma di
molestia o violenza psicologica sul posto di lavoro esercitata quasi
sempre con intenzionalità lesiva, ripetuta in modo iterativo con modalità
polimorfe; l’azione persecutoria viene esercitata attraverso comportamenti
aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori
gerarchici, per un periodo determinato arbitrariamente stabilito in almeno
sei mesi sulla base dei primi rilievi nord-europei, ma con ampia
variabilità dipendente dalla modalità di attuazione e dai tratti della
personalità dei soggetti, con la finalità o la conseguenza
dell’estromissione del soggetto dal luogo di lavoro. Le prime ricerche e
teorizzazioni sul Mobbing si devono ad Heinz Leymann, psicologo tedesco,
emigrato in Svezia, riconosciuto come il “padre” del Mobbing. L’anno di
boom fu il 1996, quando uscì il famoso numero della rivista europea di
psicologia del lavoro EAWOP interamente dedicata al Mobbing. In quello
stesso anno, iniziava ufficialmente la ricerca anche in Italia con
l’uscita del primo libro in lingua italiana, ad opera di Harald Ege
psicologo tedesco, discepolo del Prof. Leymann, attualmente considerato
uno dei più autorevoli studiosi in Italia. Piuttosto curiosamente,
tuttavia non fu Leymann il primo a mutuare il termine mobbing
dall’etologia per applicarlo al campo delle relazioni umane, bensì fu lo
svedese Heinemann che nel 1972 lo utilizzò per definire quei comportamenti
violenti tra adolescenti a scuola, che oggi si preferisce ricondurre al
termine “Bullismo”. Il Mobbing, del resto, era un fenomeno ben noto anche
prima che Leymann lo nomenclasse come tale. Nel 1976, infatti, la
ricercatrice americana Brodsky parlava a tutti gli effetti di Mobbing nel
suo libro “The harassed worker” (Il lavoratore molestato), dove con il
termine “harassement” definiva un comportamento consistente in ripetuti e
persistenti tentativi, messi in atto da un individuo al fine di
infastidire, esasperare, frustrare o indurre a una reazione un’altra
persona. Erede di questa tradizione è un’autrice francese Hirigoyen che
nel suo libro parla di molestie morali nella famiglia e nel lavoro (harcèlement
morale). Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna è molto diffuso un altro
termine che di Mobbing è praticamente sinonimo, anzi i due termini sono
usati spesso in modo intercambiabile: Bullying. Questo termine si deve ad
uno studioso britannico Field, e significa fare il prepotente, comandare,
tiranneggiare. Il Bullying indica un atteggiamento di prepotenza e di
prevaricazione, descrive un comportamento aggressivo che nasce
dall’intenzione deliberata di causare fastidio fisico o psicologico agli
altri, a volte si tratta di veri e propri atti di violenza fisica, quali
vandalismi e danni materiali e delinea un fenomeno generale, non limitato
esclusivamente al posto di lavoro e che può insorgere anche
occasionalmente. Di solito quando è usato come sinonimo di Mobbing appare
quasi sempre insieme alla fondamentale specificazione del contesto
lavorativo: si troverà quindi “workplace bullying” o “bullying at work”.
La più classica, celebre e altrettanto citata definizione di Mobbing è
comunque quella che Leymann diede nel 1996 e che così recita: “Il terrore
psicologico sul posto di lavoro o Mobbing consiste in una comunicazione
ostile e contraria ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da
uno o più persone principalmente contro un singolo individuo che viene per
questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa, e
qui costretto a restare da continue attività ostili. Queste azioni sono
effettuate con un’alta frequenza (definizione statistica: almeno una volta
alla settimana) e per un lungo periodo di tempo (definizione statistica:
per almeno sei mesi). A causa dell’alta frequenza e della lunga durata, il
comportamento ostile dà luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici e
sociali”. Secondo una recente definizione, Ege invece si esprime così: “Il
Mobbing è una guerra sul lavoro in cui, tramite violenza psicologica,
fisica e/o morale, una o più vittime vengono costrette ad esaudire la
volontà di uno o più aggressori. Questa violenza si esprime attraverso
attacchi frequenti e duraturi che hanno lo scopo di danneggiare la salute,
i canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la reputazione e/o
la professionalità della vittima. Le conseguenze psicofisiche di un tale
comportamento aggressivo risultano inevitabili per il mobbizzato”. Gli
elementi identificativi del Mobbing sono dunque:
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La
presenza di almeno due soggetti, il mobber cioè colui che esercita le
azioni mobbizzanti e il mobbizzato che è la vittima del Mobbing, che
entrano in contrasto tra di loro;
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•
L’attività vessatoria continua e duratura (almeno un episodio alla
settimana per almeno sei mesi);
-
• Lo
scopo di isolare la vittima sul posto di lavoro e/o di allontanarla
definitivamente perché diventata “scomoda” o comunque di impedirle di
esercitare un ruolo attivo sul lavoro.
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Naturalmente, non tutti i problemi sul lavoro costituiscono davvero
molestia morale, una dinamica ben diversa dai normali scontri e dai litigi
tra colleghi che si verificano episodicamente in ogni ambiente, ossia ciò
che viene comunemente definito come conflitto quotidiano. Quest’ultimo è,
infatti, spesso legato a fattori soggettivi del tutto estemporanei che
hanno influenza sull’umore e sul comportamento di ogni essere umano (un
litigio in famiglia un evento sfortunato, una scadenza improrogabile). Una
certa dose di conflittualità interpersonale in ufficio o in fabbrica è
fisiologica e generalizzata e può derivare da una condizione costante di
superlavoro o di cattiva organizzazione delle mansioni, oppure da
cambiamenti sostanziali della struttura, come ristrutturazioni o
privatizzazioni. La molestia morale è invece una vera patologia sociale
che si caratterizza per alcuni aspetti peculiari, come la continuità delle
aggressioni nel tempo, lo stillicidio di eventi persecutori,
l’intensificazione progressiva di attacchi che portano la vittima
all’isolamento, all’emarginazione, al disagio e alla malattia. Il Mobbing
si manifesta in moltissimi modi, ma il problema più grande è forse dovuto
al fatto che si presenta dietro una facciata normale: al principio sembra
tutto innocuo, si presenta come una catena di segnali e di eventi,
apparentemente scollegati tra loro, che nascondono una precisa,
progressiva strategia. L’attacco prima è surrettizio e subdolo, fatto di
allusioni, sguardi, battute; in questa fase è ancora difficile da
afferrare, da capire, da identificare; poi diventa sempre più palese e
violento determinando nel soggetto mobbizzato una insostenibilità
psicologica che conduce a un crollo psico-fisico, portando alla formazione
di quadri patologici psichiatrici e psicosomatici, in alcuni casi molto
gravi, che talvolta possono sconfinare nel tentativo di suicidio o, più
raramente, nell’aggressività verso altre persone. Leymann, nel tentativo
di analizzare in modo sistematico l’insieme delle azioni “mobbizanti”
osservate nella sua esperienza di lavoro, ha identificato una serie di 45
comportamenti riconducibili all’interno di cinque categorie di condotta
degli aggressori verso le vittime e che sono entrati a far parte del LIPT
(Leymann Inventory of Psychological Terrorism), questionario da lui ideato
per l’individuazione e la quantificazione del Mobbing nelle vittime e
tuttora ampiamente utilizzato nei paesi nord-europei:
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• LIPT
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1)
Attacchi alla comunicazione;
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- Il
capo limita le possibilità di esprimersi della vittima
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- Viene
sempre interrotto quando parla
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- I
colleghi limitano le possibilità di esprimersi
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- Si
urla o si rimprovera violentemente con lui
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- Si
fanno critiche continue sul suo lavoro
-
- Si
fanno critiche continue sulla sua vita privata
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- E’
vittima di telefonate mute o di minaccia
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- E’
vittima di minacce verbali
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- E’
vittima di minacce scritte
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- Gli
si rifiuta il contatto con gesti o sguardi scostanti
-
- Gli
si rifiuta il contatto con allusioni indirette
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2)
Attacchi alle relazioni sociali;
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- Non
gli si parla più
-
- Non
gli si rivolge più la parola
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- Viene
trasferito in un ufficio lontano dai colleghi
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- Si
proibisce ai colleghi di parlare con lui
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- Ci si
comporta come se lui non esistesse
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3)
Attacchi all’immagine sociale;
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- Si
sparla alle sue spalle
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- Si
spargono voci infondate su di lui
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- Lo si
ridicolizza
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- Lo si
sospetta di essere malato di mente
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- Si
cerca di convincerlo a sottoporsi a visita psichiatrica
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- Si
prende in giro un suo handicap fisico
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- Si
imita il suo modo di camminare o di parlare per prenderlo in giro
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- Si
attaccano le sue opinioni politiche o religiose
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- Si
prende in giro la sua vita privata
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- Si
prende in giro la sua nazionalità
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- Lo si
costringe a fare lavori umilianti
-
- Si
giudica il suo lavoro in maniera sbagliata e offensiva
-
- Si
mettono in dubbio le sue decisioni
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- Gli
si dicono parolacce o altre espressioni umilianti
-
- Gli
si fanno offerte sessuali, verbali e non
-
4)
Attacchi alla qualità della situazione professionale e privata;
-
- Non
gli si danno più compiti da svolgere
-
- Gli
si toglie ogni tipo di attività lavorativa, in modo che non possa più
nemmeno inventarsi il lavoro
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- Gli
si danno lavori senza senso
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- Gli
si danno lavori molto al di sotto della sua qualificazione professionale
-
- Gli
si danno sempre nuovi compiti lavorativi
-
- Gli
si danno lavori umilianti
-
- Gli
si danno compiti molto al di sopra delle sue capacità per screditarlo
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5)
Attacchi alla salute;
-
- Lo si
costringe a fare lavori che nuocciono alla sua salute
-
- Lo si
minaccia di violenza fisica
-
- Gli
si fa violenza leggera (esempio uno schiaffo) per dargli una lezione
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- Gli
si fa violenza fisica più pesante
-
- Gli
si causano danni per porlo in svantaggio
-
- Gli
si creano danni fisici nella sua casa o sul suo posto di lavoro
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- Gli
si mettono le mani addosso a scopo sessuale
-
Il
criterio posto da Leymann per distinguere il fenomeno mobbing dagli
attacchi che si verificano nei normali conflitti quotidiani è basato, come
abbiamo detto, sui parametri temporali di durata e frequenza: una durata
di almeno sei mesi e una frequenza di almeno una volta alla settimana (Leymann
ha voluto precisare dei criteri statistici per cui non è possibile parlare
di mobbing nel caso di conflitti sporadici o di una singola azione
mobbizzante) sono indicativi di un fenomeno di violenza psicologica sul
luogo di lavoro.
-
Alcuni
studiosi hanno ampliato la lista dei 45 comportamenti descritti da Leymann,
in quanto ritengono che le azioni in causa possano essere molte di più. In
sintesi fare un lista completa ed esaustiva di tutte le strategie e azioni
mobbizzanti risulta impossibile, comunque risultano indicativi tutti quei
comportamenti che colpiscono l’individuo nella sua dignità personale,
morale e professionale, oltreché quelli che minano il suo equilibrio
psichico per indurlo in errore e renderlo inerme. Il mobbing è un fenomeno
in continua evoluzione, che si sviluppa secondo delle tappe ben precise,
in una continua escalation fino al punto finale che si conclude con
l’estromissione della vittima dal mondo del lavoro. Si possono
identificare due modelli principali, che hanno cercato di delineare il
processo, identificando le varie fasi che vi occorrono: il “Modello a 4
fasi di Leymann”, ideato per diagnosticare e descrivere il fenomeno nei
paesi scandinavi ed il ”Modello a 6 fasi di Ege”, che riprendendo il
modello di Leymann lo ha adattato alla realtà italiana che presenta delle
caratteristiche diverse rispetto a quella europea. Leymann ha teorizzato
il fenomeno distinguendo quattro fasi successive attraverso cui si
sviluppano le condotte di mobbing:
-
• Prima
fase: conflitto quotidiano
-
Nell’ambito dell’ambiente di lavoro si evidenzia un conflitto che si
manifesta attraverso una serie di attacchi, scherzi e meschinerie di vario
genere diretti verso la vittima e che le causano un certo malessere. Se il
conflitto, che a questo livello è molto difficile da rilevare, non viene
risolto, può dar luogo all’inizio del processo del mobbing.
-
•
Seconda fase: inizio del mobbing e del terrore psicologico
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Questa
fase è anche definita “maturazione del conflitto” in quanto le aggressioni
diventano continuative e sistematiche, la vittima viene sempre più isolata
e viene creato a suo carico il “mito negativo”. Qualsiasi forma di difesa
della vittima risulta inutile, cosicché sperimenta la propria incapacità,
ritrovandosi sempre più in uno stato cronico di ansietà in cui si
evidenziano patologie a carico del sistema psicosomatico. Qui la maggior
parte delle vittime è costretta a ricorrere ad un sostegno farmacologico
ed a protratte assenze dal lavoro per prevenire gravi ricadute.
• Terza fase: errori ed abusi anche non legali dell’Amministrazione del
personale
-
A
questo punto il caso è diventato di interesse dell’amministrazione del
personale che preoccupata dalle continue assenze del lavoratore, del suo
calo qualitativo e quantitativo nelle prestazioni e ascoltate le voci
negative che circolano sul suo conto (ormai stiamo parlando di una persona
che ha perso le sue energie creative e si vede costretta ad usare la poca
forza che le resta per resistere e cercare di non soccombere del tutto)
preferisce porsi dalla parte dei persecutori non dando alcun credito alle
lamentele della vittima. La vittima non viene ascoltata, il più delle
volte subisce ulteriori denigrazioni e le calunnie circolanti sul suo
conto continuano ad espandersi: in questa fase la vittima è sola ed è
stata ormai etichettata: “la colpa del suo malessere è solo sua, è lei la
pazza!”. Ormai l’ambiente è nelle mani dei mobber e l’esame con la vittima
non potrà che dare dei risultati negativi verso di essa.
-
•
Quarta fase: esclusione dal mondo del lavoro
-
E’ la
fase conclusiva di questo processo che vede l’estromissione della vittima
dal mondo del lavoro. Le dimissioni volontarie o coatte del lavoratore non
rappresentano purtroppo la soluzione definitiva dei suoi mali, nel senso
che il più delle volte le conseguenze di questa devastante aggressione
psicologica subita si protrarranno ancora a lungo e lasceranno nella
vittima dei residui molto spiacevoli.
-
Vi sono
una serie di fenomeni che si riscontrano solitamente a questo stadio nella
vittima:
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trasferimento ad altra sede o continui spostamenti
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demansionamento ad attività di minore importanza
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prepensionamento
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- messa
in invalidità
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periodo di lunga malattia o ricovero in clinica psichiatrica
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sviluppo di manie ossessive e presenza persistente di pensieri intrusivi
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sviluppo di comportamenti criminali a seguito di una forte carica
aggressiva
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suicidio
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-
uccisione dell’aggressore
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Harald
Ege, invece nel modello a sei fasi, delinea la peculiarità del mobbing
italiano, che presenta delle caratteristiche diverse rispetto a quello dei
Paesi scandinavi: oltre alle sei fasi, individua una pre-fase che
definisce “Condizione Zero” ed il fenomeno del “Doppio Mobbing.
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• La
“Condizione Zero”
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Si
tratta di una situazione che è normalmente presente nella realtà italiana
e del tutto sconosciuta nella cultura nordeuropea: il conflitto
fisiologico, normalmente presente ed accettato nelle nostre aziende e che
non è ancora mobbing, però costituisce un terreno fertile al suo sviluppo.
E’ un conflitto generalizzato che vede tutti contro tutti, c’è una lotta
spietata per la sopravvivenza, una competitività sempre maggiore, anche se
non c’è ancora una vittima cristallizzata. Non è ancora definita una
chiara volontà di distruggere, ma solo il desiderio di elevarsi sugli
altri. Tale conflitto non è del tutto latente e si manifesta con una serie
di accuse, piccole ripicche, diverbi e discussioni che ogni tanto emergono
all’interno degli ambienti di lavoro. I rapporti personali tra colleghi
sono normalmente inesistenti o improntati su una gelida cortesia formale.
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• La
prima fase: il conflitto mirato
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In
questa prima fase del mobbing si è individuata una vittima e la
conflittualità si dirige ora verso di essa. Non si tratta più di una
conflittualità fisiologica stagnante, ma si mettono in moto una serie di
azioni distruttrici dirette verso l’avversario con l’obiettivo di “fargli
le scarpe”. Il conflitto si sposta dal piano oggettivo verso quello
emotivo-personale, non più limitato al campo del lavoro, ma investendo
anche la vita privata della vittima.
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• La
seconda fase: l’inizio del mobbing
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In
questa fase vediamo come gli attacchi del mobber non causano ancora delle
vere e proprie malattie sulla vittima, ma le procurano un senso di disagio
e fastidio. La vittima percepisce un clima lavorativo fatto di tensioni e
silenzi e comincia ad interrogarsi su tale mutamento. “Che cosa sta
accadendo?” è l’interrogativo che si pone la vittima, ma purtroppo il più
delle volte non è ancora consapevole di essere stata scelta come bersaglio
da “far fuori a tutti i costi”.
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• La
terza fase: primi sintomi psicosomatici
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La
vittima comincia ad accusare problemi di salute perlopiù sotto forma di
malattie psicosomatiche con problemi alla sfera digestiva, disturbi nella
concentrazione e nella memoria, emicranie, disturbi del sonno, senso di
ansia generalizzato e persistente, tensioni varie, sentimento di
insicurezza e labilità emotiva.
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• La
quarta fase: errori ed abusi dell’amministrazione del personale
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A
questo punto il caso di mobbing è diventato pubblico e spesso viene
altresì favorito dagli errori di valutazione dell’amministrazione del
personale che, insospettita dalle frequenti assenze per malattia della
vittima, trova più comodo richiamare la persona con contestazioni e
provvedimenti disciplinari che andare a scovare il vero motivo di queste
assenze ripetute.
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• La
quinta fase: serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima
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In
questa fase il mobbizzato è in preda alla disperazione, solitamente è
sotto terapia farmacologica per poter in qualche modo far fronte ai suoi
malesseri, compie errori sempre più frequenti e si convince sempre più di
essere una nullità e che tutto ciò che sta accadendo è colpa sua: questa
errata convinzione di “auto-attribuzione di colpa” non fa altro che
condurlo sempre più verso il baratro favorendo il gioco degli aggressori.
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• La
sesta fase: esclusione dal mondo del lavoro
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Questa
fase rappresenta l’epilogo della storia di mobbing, che generalmente vede
l’uscita della vittima dal mondo del lavoro, o tramite dimissioni
volontarie, licenziamento o ricorso al prepensionamento o anche attraverso
esiti più traumatici come lo sviluppo di manie ossessive, suicidio,
omicidio o la vendetta sul mobber. Anche questa fase è preparata dalla
precedente in quanto la depressione in cui è incorsa la vittima la porta
spesso ad atti estremi; il mobbizzato non ha più le forze per combattere,
gli risulta molto difficile continuare a rimanere quotidianamente a
contatto con gli aggressori ed ha sviluppato delle vere e proprie manie
che non si alleviano neppure al riparo tra le mura domestiche. E’ la fine.
Alla vittima non resta ora che uscire dal campo di battaglia e quello che
la aspetta il più delle volte sarà una lunga convalescenza, mentre nei
casi di disperazione più seri arriva purtroppo a compiere atti estremi
(suicidio).
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1.1 IL MOBBIZZATO E LE SUE REAZIONI
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Fin dall’inizio dei suoi studi, Leymann affermò categoricamente che, in
base ai risultati, non ci sono tipi di personalità inclini ad essere
mobbizzati e che il Mobbing può accadere a chiunque e può colpire in
qualsiasi momento. Nel Mobbing tutti possono essere colpiti,
indipendentemente dal loro carattere, dal loro tipo di lavoro, dal sesso e
dalla loro posizione gerarchica. Tuttavia, esiste secondo il
neuropsichiatra Gilioli, una “soglia individuale di resistenza alla
violenza psicologica”, capace di indurre una condizione di Mobbing, che è
possibile esprimere come funzione d’intensità della violenza, tempo di
esposizione, tratti della personalità. Ci sono delle caratteristiche
individuali o situazionali che possono favorire l’insorgenza o la
diffusione del Mobbing. Ma al contrario di quanto si pensi, la vittima di
molestie morali sul lavoro non è necessariamente una persona dal carattere
debole, un “perdente nato”. Anzi le vittime designate possono essere le
più svariate, per esempio negli ambienti di lavoro piatti, dove c’è una
sorta di complicità fra mediocri finalizzata a non creare competizione, a
volte ad essere colpito è il lavoratore più brillante, capace e creativo,
quello che in qualche modo si diversifica dal gruppo a cui appartiene. Il
gruppo infatti, tollera difficilmente comportamenti diversificati rispetto
ai valori medi ed in particolare le persone che vogliono fare di più, fare
meglio, proporre; oppure al contrario le persone che hanno capacità
lavorative ridotte e che quindi si attestano sui rendimenti inferiori alla
media. Spesso, la vittima è soltanto l’ultimo arrivato, colpevole di avere
rotto una precedente dinamica di clan molto chiusa; talvolta è una persona
originale, che non accetta gli standard del gruppo, che veste in modo
eccentrico, che ha idee politiche o convinzioni religiose particolari.
Proseguendo ad essere colpito, è il lavoratore onesto, quello che non
accetta regole clientelari e paramafiose che vigono nel gruppo, e di
conseguenza chi non collabora o si estranea, è facilmente sottoposto a
trattamenti di emarginazione, di esclusione, di dequalificazione, di
eliminazione dal gruppo con la tecnica del Mobbing. In alcune occasioni,
la vittima designata invece è quella che ha inclinazioni sessuali diverse
(per esempio il gay in un ufficio di maschi); in altre è il disabile con
handicap fisici, psichici o sensoriali, si tratta di soggetti deboli e
quindi più facilmente colpiti da trattamenti di esclusione, di esclusione,
di ghettizzazione. L’analisi condotta da Gilioli, dimostra che nella
maggior parte dei casi, il bersaglio è un lavoratore con un forte
investimento psicologico sul suo lavoro, che ama la sua professione e
proprio per questo vive con dolore una condizione di discriminazione e di
emarginazione. Sarebbe quindi, un grave errore credere che la vittima sia
per natura un sottomesso. Infine è importante sottolineare, che la
condizione di preesistenza di disturbi neuro-comportamentali nel
mobbizzato non esclude l’esistenza di un nesso eziologico tra l’ambiente
lavorativo e la patologia psichiatrica derivata. Al contrario, occorre
verificare da un punto di vista medico-legale che esista un nesso di
causalità tra l’ambiente lavorativo e il peggioramento del quadro clinico
del soggetto, evidenziando eventuali ulteriori concause significative, o
fattori eziopatogenici. Il lavoratore, vittima di Mobbing, viene
continuamente umiliato, offeso, isolato, e ridicolizzato anche per quanto
riguarda la vita privata. Il suo lavoro viene deprezzato, continuamente
criticato, o addirittura sabotato, svuotato di contenuti; il soggetto
viene privato degli strumenti necessari a svolgere l’attività (sindrome
della scrivania vuota) o viceversa sovraccaricato di lavoro e di compiti
impossibili da portare materialmente a termine o inutili; ma tali da
provocare o acuire i sentimenti di frustrazione o impotenza (sindrome
della scrivania piena). Il suo ruolo viene declassato, le sue capacità
personali e professionali messe fortemente in discussione. Nel mobbizzato
sono state evidenziate tre costanti che lo caratterizzano:
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• L’autocolpevolizzazione
iniziale;
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• La
solitudine con cui è vissuta la situazione;
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• La
svalutazione personale.
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La
prima reazione che scatta nella mente di chi subisce il terrorismo
psicologico è l’autocolpevolizzazione: la vittima si chiede in che cosa,
quando e dove ha sbagliato nell’attività professionale o nei rapporti con
i colleghi; tende ad attribuire a se stesso la responsabilità delle sue
difficoltà di adattamento all’ambiente lavorativo e inizia così il senso
di colpa per non riuscire ad essere migliore e quindi inattaccabile. Un
altro sentimento, che affiora subito dopo è quello della solitudine: la
vittima pensa quasi sempre di essere l’unica persona al mondo a subire
questo tipo di aggressione e non riesce neppure ad immaginare quanto il
fenomeno possa essere diffuso, e non sa, che altri milioni di persone, in
tutto il mondo, si trovano nella stessa spirale. Infine, si arriva ad una
specie di depersonalizzazione, cioè una fase in cui la persona non
riconosce più se stessa (“io non sono più io”), ad un senso di
inadeguatezza per il proprio ruolo lavorativo, ad una perdita
dell’autostima, del valore della propria persona e della propria immagine
sociale; la vittima diventa incapace di reagire, rimane immobile di fronte
alle vessazioni crescenti. Dal punto di vista delle relazioni sociali, il
soggetto vive una condizione di isolamento che gli causa gravi difficoltà
anche nei rapporti con la famiglia, con il partner, con gli amici. Harald
Ege ha stilato un elenco di 18 tipologie di vittime: i tratti delineati in
questa lista vogliono semplicemente fornire un aiuto alla lettura di
alcune caratteristiche riscontrate nei mobbizzati, ma non hanno
assolutamente la pretesa di etichettare il mobbizzato tipo:
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1. il
distratto: è colui che non si accorge che la situazione è cambiata attorno
a sé e non riesce a fare una valutazione critica del nuovo contesto;
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2. il
prigioniero: è colui che seppur riconosciuto il fenomeno non riesce a
tirarsene fuori e si lascia trascinare dagli eventi (è incapace di
trovarsi un altro lavoro rimanendo così incatenato in quello attuale);
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3. il
paranoico: è colui che vede mostri dappertutto, non si fida di nessuno,
tanto da creare un clima di tensione perenne al lavoro, che può culminare
con delle azioni mobbizzanti dei colleghi nei suoi confronti;
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4. il
severo: è colui che ha delle regole molto rigide, il suo stile è
autoritario tanto da creare problemi nei rapporti coi colleghi che possono
finire per mobbizzarlo per “dargli in qualche modo una lezione”;
-
5. il
presuntuoso: è il classico tipo che si sopravvaluta, così spesso i
colleghi possono arrivare a mobbizzarlo per dimostrargli che invece non è
il migliore di tutti;
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6. il
passivo e dipendente: colui che è molto servile e non dice di no a
nessuno, tanto che può costituire un piacevole divertimento mobbizzarlo;
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7. il
buontempone: è una persona sempre allegra che fa divertire i colleghi,
alla stregua del passivo; per questo suo modo di porsi rischia di
diventare il buffone del gruppo;
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8.
l’ipocondriaco: è quello che tende sempre a lamentarsi, niente gli va mai
bene ed esprime agli altri il peso della sua sofferenza, tanto da creare
fastidio ai colleghi che possono isolarlo mobbizzandolo;
9. il vero collega: è la persona onesta, efficiente che tutti vorrebbero
come amico, però questo suo modo troppo sincero di porsi può creargli dei
problemi, specialmente se denuncia apertamente qualche azione scorretta di
qualche collega: così facendo si scava la fossa!
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10.
l’ambizioso: è colui che è costantemente impegnato nella scalata al
successo e cerca di conquistarsi una posizione attraverso le sue
prestazioni (esempio colui che si porta il lavoro a casa). Tale
atteggiamento scatena l’invidia dei colleghi, specialmente del
carrierista, colui che brama tanto il potere e si sente minacciato dalla
personalità dell’ambizioso che dimostra di avere tante doti;
-
11. il
sicuro di sé: è colui che crede nelle sue capacità e si muove con
determinazione, tanto da scatenare l’invidia di molti colleghi;
-
12. il
camerata: è colui che va d’accordo con tutti, è loquace, ama organizzare
feste e riunire le persone: questa “sua socievolezza” può facilmente
scatenare l’invidia dei colleghi meno dotati o più insicuri;
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13. il
servile: è colui che cerca sempre di fare contento il capo e per far ciò
non esita ad accusare gli altri: in questo modo diventa una buona preda di
mobbing;
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14. il
sofferente: è colui che tende alla depressione ed all’insoddisfazione,
tanto da finire con l’essere una facile vittima come il paranoico, perché
tutti si stancano di lui;
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15. il
capro espiatorio: è la valvola di sfogo di ogni gruppo e solitamente è
rappresentato dalla persona più debole;
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16. il
pauroso: è colui che ha timore di tutto e di tutti e non riesce a
percepire concretamente la realtà, tanto da infondere un clima di ansia
attorno (come avviene per il paranoico anch’esso viene isolato, perché
stare al suo fianco è molto difficile);
-
17. il
permaloso: è una persona ipersensibile con la quale bisogna stare attenti
a qualsiasi parola, perché può prendersela: alla fine si finisce per
isolarlo;
-
18.
l’introverso: è una persona con difficoltà nei rapporti interpersonali,
tanto che il suo atteggiamento può venire travisato dai colleghi che
pensano stia esprimendo un segno di ostilità nei loro confronti.
-
Da
questa lista si nota come le persone più a rischio di mobbing abbiano
cristallizzato alcune caratteristiche di personalità che possono dare
fastidio ai colleghi di lavoro che, in gruppo o da soli, possono decidere
di mettere in atto delle strategie persecutorie nei loro confronti. Anche
la psicoanalisi si è addentrata nella descrizione della personalità del
mobbizzato, cercando di delineare quelle caratteristiche che l’hanno fatta
diventare tale: la vittima è tale in quanto è stata designata dal mobber,
si può dire che si è trovata nel momento sbagliato ad incrociare la vita
dell’aggressore. Spesso la vittima non appare del tutto innocente, tanto
che alcuni psichiatri definiscono la sua condizione “meritata”, in quanto
ritengono che certi suoi tratti di personalità, come la timidezza, la
passività ed il servilismo, possano aver attirato gli attacchi del mobber.
Purtroppo una vittima che è stata scelta o designata ha ben poche vie di
scampo, in quanto, dal momento che è stata avvistata comincia la sua lunga
battaglia. Due sono i possibili comportamenti del mobbizzato, uno
improntato alla sottomissione passiva, l’altro alla reazione attiva. La
vittima che reagisce passivamente in una prima fase, ancora non vuole
accettare di essere in una situazione di Mobbing, e tenta di continuare
normalmente la sua vita lavorativa quotidiana in ufficio. Tuttavia, anche
quando col passare del tempo, si accorge che qualcosa è cambiato nel
rapporto con una certa persona o con un certo gruppo di persone, la
vittima continua a giustificare il comportamento dell’aggressore, pensando
che abbia subito terribili traumi in tenera età. La manipolazione sulle
vittime ingenue riesce ancora meglio, se si tratta di un aggressore, cui
la vittima aveva precedentemente concesso fiducia e contratto con lui uno
stretto legame. La reazione del mobbizzato, di fronte ad accuse
ingiustificate non è il contrattacco, ma il dubbio sulla bontà del proprio
operato, e la conseguenza è un aumento degli sforzi per soddisfare il
persecutore. Le vittime rimangono paralizzate all’interno di queste
relazioni, incapaci di fuggire dal loro aggressore, pur soffrendo
terribilmente e manifestando disturbi sempre più gravi. Alla base di
questo incatenamento psicologico c’è il meccanismo del condizionamento,
infatti, in questi individui esistono dei residui infantili che cercano la
dipendenza risultando più vulnerabili di altri, e per la paura di essere
abbandonati rimangono dove sono, senza riuscire a reagire, aspettando che
la giustizi prima o poi trionfi. La vittima così, invece di difendersi si
pone in uno stato di isolamento comunicativo con il mondo esterno, e si
chiude sempre di più in se stessa, per paura di sbagliare qualsiasi
iniziativa o decisione. Anche agli occhi dei familiari, nel mobbizzato si
sviluppa la paura di diventare un “fallito”. La vittima che reagisce
invece attivamente, prova a difendersi all’inizio con mezzi limitati, in
seguito disperatamente, con tutti i mezzi disponibili. Egli indirizza
prima l’attenzione dei colleghi, verso le azioni del mobber, in modo da
avere degli alleati o dei testimoni per una eventuale accusa, ma spesso
questa azione può volgersi a svantaggio della vittima stessa; i colleghi
potrebbero mettersi, infatti, dalla parte del mobber, e fare il suo gioco
che tende alla stigmatizzazione della vittima, che viene accusata di
essere elemento di disturbo per l’armonia del gruppo. Purtroppo le regole
del Mobbing sono dettate dal mobber, e non dal mobbizzato , che potrebbe
quindi aggravare la sua posizione con qualsiasi cosa decida di fare. La
vittima attiva è costretta a rassegnarsi al fatto che da sola non uscirà
mai dalla situazione di Mobbing, e si rende conto della necessità di
ricorrere ad un aiuto al di fuori del posto di lavoro. La vittima passiva
invece, al contrario, non solo, non capisce che ha bisogno d’aiuto
esterno, ma addirittura tende a rifiutarlo.
-
1.2 I LUOGHI DEL MOBBING
-
In Italia il Mobbing affligge maggiormente il settore pubblico rispetto a
quelle privato in questo ordine: Università, Industria, Enti parastatali,
Pubblica Amministrazione, Scuola, Sanità, Assicurazioni, Banche, Forze
Armate, Regioni, Comuni, Province, Enti privati. L’Università risulta
luogo principe del Mobbing in quanto la rigida gerarchia tradizionale,
legata alla modalità di gestione di una cattedra universitaria, legata
all’assoluto potere del cattedratico su tutti i dipendenti, facilita
l’insorgenza del Mobbing, qualora il “malcapitato” non si adegui a pensare
conformemente al capo o semplicemente arriva il favorito di turno. Tale
sistema sicuramente va contro l’idea di chi vede l’università come luogo
di scienza, di cultura e di diffusione del sapere. Ma, dal momento che
quello che dice il capo è legge e tutti sono costretti ad obbedire, chi
non si adegua al regime, viene perseguito, attraverso azioni mobbizzanti.
L’industria si è adeguata agli eventi socio-economici attuali, divenendo
luogo di scelte strategiche ed economiche che non coincidono più con il
rispetto del singolo lavoratore e con l’esaltazione delle sue capacità e
potenzialità e, possono essere alla base dell’insorgenza di fenomeni di
Mobbing. Gli Enti parastatali, le cui leggi e amministrazioni sono dettate
tanto dal privato quanto dal pubblico, creano delle condizioni contorte,
rendendo difficile la progressione delle carriere basate sui meriti,
favorendo così fenomeni di emarginazione che spesso configurano il
Mobbing. Nella Pubblica Amministrazione, un eccesso di burocrazia fondata
su una gerarchia conservatrice, costringe a prestazioni lavorative
monotone e ripetitive, spingendo i lavoratori a subire un Mobbing
verticale spesso motivato dal risparmio del denaro pubblico. Nella scuola,
le continue riforme e i continui cambiamenti nell’organizzazione e nei
programmi, le diversità di idee tra colleghi di lavoro favoriscono, anche
in questo luogo, la possibilità che ci sia il capro espiatorio di turno.
Anche nella sanità, le continue riforme del sistema sanitario,
l’introduzione del Direttore Manager nelle ASL e Ospedali che preferendo
la produttività alla qualità, può licenziare i sottoposti in nome di una
diversa gestione, facilitano l’istaurarsi del Mobbing. Nelle Assicurazioni
e Banche, ai dipendenti si richiedono prestazioni per cui occorrono tratti
di carattere opposti che vanno dall’ossessiva precisione, all’aspetto più
superficiale per vendere i loro prodotti. Tutto ciò può predisporre a
fenomeni di emarginazione e di conflittualità estrema. Nelle Forze Armate,
dove vige la rigidità di struttura del sistema e una gerarchia
verticistica, possono portare a strategie di espulsione dal sistema o
all’impedimento nell’avanzamento di carriera. Le Regioni, Comuni e
Province pretendono di governare tramite leggi ormai obsolete, lavoratori
oziosi; e se qualcuno vuole svolgere il proprio lavoro bene, può essere
soggetto a persecuzioni e molestie lavorative. Infine, negli Enti privati,
dove la competitività è elevatissima ed eccessiva, dove l’obbedienza al
capo deve essere assoluta, anche in assenza di regole chiare e prospettive
di carriera, l’ambiente lavorativo può costituire terreno fertile per lo
sviluppo di azioni mobbizzanti.
-
1.3 EFFETTI E CONSEGUENZE DEL “MOBBING” SULLA SALUTE
-
Il Mobbing è una pratica dannosa e realmente criminale, le sue intenzioni
sono dettate da sentimenti profondamente distruttivi verso gli altri e i
suoi esiti sono di portata sconvolgente. Le conseguenze del Mobbing si
ripercuotono essenzialmente sulla vittima, che subisce i danni maggiori
con problemi legati alla sua salute, al ruolo sociale ed all’identità
personale, subendo perdite relazionali ed economiche. La forte pressione
psicologica che caratterizza le azioni mobbizzanti, porta alla comparsa di
una serie di alterazioni del benessere complessivo che interessano
l’equilibrio socioemotivo, l’equilibrio psicofisiologico e il
comportamento manifesto, con maggior o minor intensità e localizzazione a
seconda delle caratteristiche individuali. Il mobbizzato, nel tempo arriva
a sviluppare diverse patologie soprattutto d’interesse psichiatrico; in
alcuni casi presenta una lunga serie di disturbi, somatizzazioni e vere e
proprie malattie che possono protrarsi per un lungo periodo o divenire
croniche ed irreversibili, raggiungendo anche quadri clinici di severa
gravità, che non cessano neppure con il venir meno della condotta
persecutoria. Gli effetti del Mobbing sulla salute si manifestano dopo un
intervallo di tempo variabile, con sintomi sia di natura prevalentemente
fisica o psicosomatica, sia di natura psichica.
-
I
principali disturbi a livello fisico o psicosomatico:
-
• a
livello degli occhi possiamo avere annebbiamento temporaneo della vista,
congiuntiviti;
-
• a
livello dermatologico si possono riscontrare eruzioni cutanee varie come
dermatosi, psoriasi, eritemi, allergie;
-
• nella
zona cervicale si manifestano cefalea muscolo-tensiva, cervicalgie,
vertigini, lipotimie;
-
• agli
arti si può soffrire di tremori, dolori muscolari e osteoarticolari,
astenia;
-
• a
livello dell’apparato digerente si verificano gastrite, pirosi, ulcera,
colon irritabile;
-
• a
livello dell’apparato cardiovascolare si può constatare tachicardia,
cardiopalmo, sincope, ipertensione e nei casi più gravi si può avere
infarto del miocardio;
-
• a
livello dell’apparato respiratorio si possono avere dispnea, senso di
oppressione, tosse, crisi asmatiche;
• a livello dell’apparato endocrino si rivelano disturbi tiroidei;
-
• a
livello del sistema immunitario si può verificare un abbassamento delle
difese dell’organismo e quindi una maggiore vulnerabilità a tutte le
malattie;
-
I
principali disturbi a livello psichico sono:
-
•
disturbi d’ansia tra cui attacchi di panico, ansia libera, fobie;
-
•
disturbi dell’umore che spaziano da reazioni aggressive esagerate con
marcata irritabilità a manifestazioni depressive;
-
•
disturbi dell’attenzione e della concentrazione con riduzione della
memoria;
-
•
disturbi del pensiero con fissazione del pensiero sul proprio problema
lavorativo, ossessività ideativa che ripercorre gli aspetti salienti di
quanto accade quotidianamente;
-
•
disturbi della sfera del sonno con risvegli multipli durante la notte,
insonnia, alterazioni del ritmo sonno-veglia;
-
•
modificazioni dell’alimentazione con anoressia e bulimia;
-
•
disturbi della sfera sessuale;
-
•
modificazioni del comportamento relazionale con il partner, la famiglia,
sul lavoro e in società, nelle persone predisposte si verificano o si
accentuano problemi legati all’abuso di alcol, droghe e farmaci;
-
•
alterazioni della personalità con quadri di depersonalizzazione fino alla
configurazione di atti estremi come il suicidio ed eventuali tentati
omicidi sui mobbizzati resistenti o per vendetta sui mobber;
Se gli stimoli stressanti induttori di patologia permangono o si
intensificano, i sintomi fin qui descritti possono organizzarsi in vere e
proprie sindromi sviluppando le più diverse patologie organiche, dalle
malattie autoimmuni fino alla insorgenza di tumori e di disturbi
psichiatrici inquadrabili allo stato attuale con il DSM IV (Manuale
diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Tra i disturbi
psichiatrici che possono derivare da una condizione di Mobbing possiamo
includere i seguenti: Disturbo dell’adattamento (DA), Disturbo acuto da
stress (DAS), Disturbo post-traumatico da stress (DPTS), Disturbi
dell’umore orientati prevalentemente verso un quadro di Disturbo
depressivo maggiore, Disturbi di personalità, Disturbi somatoformi,
Disturbi del comportamento alimentare, Disturbi correlati a sostanze,
Disturbi d’ansia comprendenti il Disturbo di panico (DAP) con e senza
agorafobie e il Disturbo d’ansia generalizzato (DAG). La diagnosi
differenziale deve essere posta con i Disturbi fittizi che raggruppano
persone che mostrano i più svariati sintomi perché hanno bisogno di
sentirsi malate, e con i Disturbi da simulazione che invece raggruppano
persone che in determinate circostanze esterne per ottenere un vantaggio
fingono i più diversi sintomi e/o malattie. Secondo uno studio clinico
condotto nel 1999, dalla Clinica del Lavoro di Milano diretto dal Prof.
Gilioli, in circa 1/5 delle vittime del Mobbing, la diagnosi posta è
quella di Disturbo post-traumatico da stress, dove viene individuato
l’evento traumatico con caratteristiche di minaccia di morte o minaccia
all’integrità fisica propria o di altri e con sentimenti di paura intensa,
di impotenza da parte del soggetto; nel contempo si osserva il pensiero
ossessivo sull’evento, la riduzione dell’affettività e dell’interesse con
depressione e infine il riscontro di uno stato tensione perpetua e di
iperallerta. Negli altri casi, oltre i 2/3 la diagnosi posta è stata
quella di Disturbo dell’adattamento, dove ritroviamo gli elementi
dell’evento quale fattore stressante, del notevole disagio o della
compromissione significativa del funzionamento sociale o lavorativo, cioè
la diagnosi appare essere quella di una forma meno intensa e senza
conseguenze croniche. Per concludere, circa 1/3 della casistica totale
esaminata è costituito da casi di patologia psichiatrica comune o di
patologia fittizia. Per comprendere meglio, è opportuno analizzare più
approfonditamente secondo i criteri diagnostici del DSM IV, le principali
sindromi che rappresentano le risposte psichiatriche a condizionamenti o
situazioni esogene in questo caso indotte da una condizione di Mobbing:
Disturbo dell’adattamento (DA), Disturbo acuto da stress (DAS), Disturbo
post-traumatico da stress (DPTS). Il Disturbo dell’adattamento è una
reazione disadattativa di breve durata in risposta ad un evento
stressante. I fattori stressanti possono essere singoli come la perdita di
un lavoro, un divorzio o multipli come la morte di una persona cara che
avviene contemporaneamente all’insorgenza di una malattia. Specifici stadi
dello sviluppo di un individuo, come l’inizio della scuola, il matrimonio,
la nascita di un figlio, l’insuccesso nel raggiungere mete lavorative, il
trasferimento in un nuovo ambiente, il pensionamento sono spesso associati
a un Disturbo dell’adattamento.
Criteri diagnostici per il disturbo dell’adattamento
-
A. Sviluppo di sintomi emozionali e comportamentali in risposta a uno o
più fattori stressanti che si manifestano entro tre mesi dall’inizio del
fattore, o dei fattori stressanti.
-
B.
Questi sintomi o comportamenti sono clinicamente significativi come
evidenziato da uno o l’altro de seguenti:
-
1.
grave disagio che va al di là di quanto prevedibile in base
all’esposizione al fattore stressante
2. compromissione significativa del funzionamento sociale o lavorativo
-
C. Una
volta che il fattore stressante (o le sue conseguenze) sono superati, i
sintomi non persistono per più di altri sei mesi
-
Specificare se:
-
Acuto:
se l’alterazione dura per meno di sei mesi
-
Cronico: se l’alterazione dura per sei mesi o più
-
I disturbi dell’adattamento sono codificati in base al sottotipo, che è
scelto secondo i sintomi predominanti.
Con ansia
-
Con
ansia e Con umore depresso
-
umore
depresso misti
-
Con
alterazione della condotta
-
Con
alterazione mista dell’emotività e della condotta
-
Non
specificato
-
___________________________________________________________________________
-
Il Disturbo acuto da stress e il Disturbo post-traumatico da stress
rientrano nella categoria dei Disturbi d’ansia. I pazienti per essere
classificati come affetti da un Disturbo post-traumatico da stress devono
avere vissuto eventi estremamente traumatizzanti come esperienze di
combattimento, catastrofi naturali, violenze, stupri e gravi incidenti; la
differenza con il Disturbo acuto da stress è nella durata dei sintomi che
per il DPTS deve essere superiore ad un mese, mentre per il DAS deve
essere meno di un mese.
-
-
Criteri
diagnostici per il disturbo post-traumatico da stress
-
A. La persona è stata esposta ad un evento traumatico in cui erano
presenti entrambe le caratteristiche seguenti:
-
1. la
persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o
eventi che hanno comportato la morte o una minaccia per la vita, oppure
una grave lesione, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri
-
2. la
risposta della persona comprendeva intensa paura, sentimenti di impotenza,
o di orrore.
-
B. L’evento traumatico persistentemente rivissuto in uno (o più) dei modi
seguenti:
-
1
.ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono
immagini, pensieri o percezioni.
2. ricorrenti sogni spiacevoli dell’evento.
-
3.
agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando ( ciò
comprende un senso di rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni ed
episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al
risveglio o in stato di intossicazione)
-
4.
intenso disagio psicologico all’esposizione a fattori scatenanti interni o
esterni che simbolizzano o assomigliano a un aspetto dell’evento
traumatico
-
5.
reattività fisiologica all’esposizione a fattori scatenanti interni o
esterni che simbolizzano, o assomigliano a, un aspetto dell’evento
traumatico.
-
C. Esitamento persistente degli stimoli associati al trauma e attenuazione
della reattività generale (non presenti prima del trauma) come indicato da
tre (o più) dei seguenti:
-
1.
sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate al
trauma
-
2.
sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del
trauma
-
3.
incapacità di ricordare un importante aspetto del trauma
-
4.
riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività
significative
-
5.
sensazioni di distacco o estraniamento dagli altri
-
6.
affettività ridotta ( ad esempio incapacità di provare sentimenti d’amore)
-
7.
senso di diminuzione delle prospettive future
-
D. Sintomi persistenti di aumentata vigilanza (non presenti prima del
trauma) come indicato da due o più dei seguenti:
-
1.
difficoltà ad addormentarsi o mantenere il sonno
-
2.
irritabilità o scoppi di collera
-
3.
difficoltà a concentrarsi
-
4.
ipervigilanza
-
5.
esagerate risposte di allarme
-
E. La durata del disturbo è superiore ad un mese
-
F. Il
disturbo causa un disagio clinicamente significativo o un alterazione del
funzionamento sociale, lavorativo, o di altre aree importanti
-
Specificare se:
-
Acuto:
se i sintomi durano meno di tre mesi
-
Cronico: se i sintomi durano più di tre mesi
-
Specificare se:
-
a
esordio ritardato: se l’esordio dei sintomi avviene almeno sei mesi dopo
l’evento stressante.
-
___________________________________________________________________________
-
Criteri diagnostici per il disturbo acuto da stress
-
A. La persona è stata esposta ad un evento traumatico in cui erano
presenti entrambe le caratteristiche seguenti:
-
1. la
persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o
eventi che hanno comportato la morte o una minaccia per la vita, oppure
una grave lesione, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri
-
2. la
risposta della persona comprendeva intensa paura, sentimenti di impotenza,
o di orrore.
-
B. Durante o dopo l’esperienza dell’evento stressante, il soggetto
presenta tre ( o più) dei seguenti sintomi dissociativi:
-
1.
sensazione soggettiva di insensibilità, distacco, o assenza reattività
emozionale
-
2.
riduzione nella consapevolezza dell’ambiente circostante
-
3.
derealizzazione
-
4.
depersonalizzazione
-
5.
amnesia dissociativa
-
C. L’evento traumatico viene persistentemente rivissuto in almeno uno dei
seguenti modi ricorrenti immagini, pensieri, sogni, illusioni, flashback o
sensazioni di rivivere l’esperienza, oppure disagio all’esposizione a ciò
che ricorda l’evento traumatico
-
D. Marcato esitamento degli stimoli che evocano ricordi del trauma
-
E. Sintomi marcati di ansia o di aumentata vigilanza
-
F. Il disturbo causa un disagio clinicamente significativo o un’
alterazione del funzionamento sociale, lavorativo, o di altre aree
importanti, compromette la capacità del soggetto di perseguire compiti
necessari, come ottenere l’assistenza necessaria o mobilitare le risorse
personali riferendo ai familiari l’evento traumatico
-
G. Il disturbo dura da un minimo di due giorni a un massimo di quattro
settimane e si manifesta entro quattro settimane dall’evento traumatico
-
___________________________________________________________________________
-
Molto spesso al Mobbing si accompagna la parola stress. Leymann definì
infatti il Mobbing come un potente stressor sociale, ossia come fonte di
stress sociale. Il rapporto tra Mobbing e stress è stato confermato da una
ricerca effettuata nel 1996, dall’European Foundation for the Improvement
of Living and Working Conditions (un organismo dell’Unione Europea),
secondo la quale il 47% dei lavoratori che subiscono violenza morale viene
colpito da stress. Interessante è un’altra ricerca effettuata su 200
dirigenti d’azienda italiani e pubblicata nel 1999 dall’Istituto di
Medicina del Lavoro dell’Università di Palermo, che rivela che lo stress
da lavoro può creare “un anomalo deposito di grassi nel fegato” proprio
come se il soggetto abusasse di cibi grassi e di alcol, pur attuando una
alimentazione corretta. Ma cosa si intende per stress? Nel significato
originario stress è l’azione della forza che deforma un corpo.
L’introduzione del termine in medicina fa seguito agli studi del Bernard,
del Cannon e del Selye, che hanno dimostrato il ruolo delle componenti
corticale e midollare del surrene nelle reazioni di adattamento
dell’organismo a stimoli di diverso tipo. Più recentemente lo stress è
stato definito “come la risposta dell’organismo ad ogni richiesta di
modificazione effettuata su di esso”. La risposta in questione si
manifesta sia a livello fisiologico sia a livello comportamentale ed è
mediata da un’attivazione emozionale indotta da una valutazione cognitiva
del significato dello stimolo. Lo stress pur rappresentando una reazione
fisiologica, adattativa, caratteristica della vita, può assumere tuttavia
un significato patogenetico quando è prodotto sotto forma di microstimoli
quotidiani e ripetuti per lunghi periodi di tempo, provocando la rottura
degli equilibri e della capacità di adattamento dell’individuo, e portando
allo sviluppo di una patologia psico-somatica o di un disturbo
comportamentale. Ed è proprio questo, ciò che accade in situazioni di
Mobbing; la vittima infatti, a causa dei conflitti esasperati
nell’ambiente di lavoro, sarà sottoposta ad una permanente condizione
stressante, cioè ad una prolungata attivazione al di sopra dello stress
fisiologico che ne aumenterà notevolmente il rischio di conseguenze sulla
sua salute. Una situazione stressante protratta nel tempo tende a logorare
i meccanismi di coping della vittima, vale a dire che quelle strategie di
compenso che il nostro organismo normalmente mette in atto per
fronteggiare un singolo evento, divengono inconsistenti; ad elevate soglie
di attivazione, a causa dell’ansia che inevitabilmente si accompagna,
l’efficienza dell’individuo, cioè la qualità delle sue prestazioni, scade
sensibilmente. Questo, chiaramente, accade perché l’ansia non permette
all’individuo di mantenere quell’attenzione o quella concentrazione
necessarie per eseguire qualsiasi tipo di attività, soprattutto di tipo
lavorativo con una diminuzione della capacità produttiva anche del
60%-70%. In altre parole, il quadro che si prospetta in una situazione
conflittuale che va avanti da diverso tempo è quella di un individuo che
anche nel suo tempo libero, avrà la mente comunque impegnata a pensare
quali tipi di angherie dovrà sopportare la volta successiva che si recherà
al lavoro; il malessere lavorativo sarà diventato talmente pervasivo da
non lasciare spazio ad altro. All’isolamento lavorativo si aggiungerà
quello relazionale nel rapporto con la famiglia, gli amici con l’intera
società da cui rifugge perché si sente estraneo, inserito in un mondo che
non lo comprende. L’individuo attivo, professionalmente capace, inserito
in suo ambiente lavorativo e sociale, acquisisce una nuova identità,
l’identità dell’invalido con le conseguenze umane, sociali ed economiche
facilmente prevedibili. Nel deserto del Mobbing, l’individuo perde il
riconoscimento che sostiene il rispetto di sé, la solidarietà che
garantisce l’autostima e, infine, anche l’esperienza dell’amore che nutre
la fiducia.
-
-
Serena
De Nitto
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