Testimonianza diretta di una “mobbizzata” in ambito tecnologico

 

Sergio  Ruffolo - Aggressione (1979)

 

Sono una dei tanti mobbizzati nell’Ict, messi in mezzo a una strada, con figli da crescere, mutui e bollette sempre più care da pagare, dopo decine di anni dati senza risparmiarsi alle aziende. A differenza del comparto pubblico, dove si ha mezza giornata di tempo libero per frequentare altri ambienti e quindi sposarsi con chi fa un lavoro diverso dal tuo (minimizzando il rischio disoccupazione), noi informatici, che tante serate e notti e weekend abbiamo passato in ufficio o in trasferta da qualche cliente a far partire progetti, spesso ci sposiamo tra noi. E questo, dal 2002 ad oggi, sta avendo conseguenze drammatiche: intere famiglie messe in mezzo ad una strada, senza opportunità di ricollocarti, se hai più di 40 anni e un alto profilo.

L’unica possibilità è data dai contratti a breve termine, dove ti danno due soldi e in cambio le aziende hanno a disposizione il fior fiore del know how.

Il mio ex marito coordinava 250 persone in una multinazionale, come direttore tecnico: dopo il licenziamento nell’agosto 2004, dopo un anno di disoccupazione sbarcando il lunario facendo il parcheggiatore, e dando gli esami per fare il noleggio con conducente, ha trovato un lavoro: contratto rinnovabile di 3 mesi, e ti possono mandar via in ogni momento...

Vivo con molti sacrifici in una casa grande, riesco a pagare il mutuo solo grazie al mio compagno, ma ora, venendo meno il mio stipendio, oltre gli alimenti del mio ex marito, non potrò più cercare di preservare l’investimento immobiliare fatto, unico capitale che volevo provare a lasciare a nostro figlio, di soli 8 anni, dopo due vite di sacrifici, mia e del mio ex marito, anzi tre con quella del mio compagno.

La mia azienda mi sta facendo mobbing da due anni.

Ho portato anche lavoro all’azienda, ma inutilmente. Sono un quadro aziendale, costo tanto e l’azienda, se non margina su di te del 30 per cento, preferisce non darti lavoro e non prendere commesse.

Tante aziende del comparto Ict, se si fossero accontentate, non avrebbero chiuso o mandato a casa tante persone.

L’impatto sociale ed economico è fortissimo: io stanotte stavo per suicidarmi, stanca di questa lotta per la sopravvivenza, dopo aver studiato e lavorato una vita, dopo avermi fatto rovinare la salute (vedi ernie del disco a seguito di posture davanti al pc e massacranti trasferte: per un anno mi hanno costretto a fare 250 chilometri al giorno pur di non pagarmi l’albergo).

Mi ha fermato il pensiero del mio bambino.

Curare il mobbing con farmaci non serve a nulla: servono solo ad intontirti. Invece qui il cervello deve rimanere ben saldo, alla ricerca della via di uscita.

Ho già messo in preventivo di vendere la mia casa, di fare la colf o babysitter, di rinunciare ad una parte del Tfr (se e quando me lo daranno, li stanno dando in 6 mesi, perché i soldi li hanno usati…) per pagare l’avvocato.

Sto attendendo la lettera di licenziamento che dovrebbe arrivare tra non molto. Il giochetto è sempre lo stesso: apriranno un reparto fittizio, mi ci metteranno dentro, e poi venderanno l’azienda in crisi ad un’altra... tranne quel reparto che morirà con l’azienda.

Finché sono dentro all’azienda e non ho la lettera di licenziamento è meglio che si parli della mia storia senza fare nomi.

Ma che si sappia che ogni giorno mi prendono da una parte dicendomi quali sono le aziende a cui devo mandare il CV, dicendomi che io sarò una di quelle che metteranno nel ramo morto d’azienda, non dandomi lavoro quando, scorrendo gli annunci, ci sono decine di ricerche di consulenti di sistemi gestionali.

Togliendo la vita a me e, di conseguenza, a un bimbo di otto anni, poco a poco ogni giorno.

 

Roma, 22-10-2005

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