Solo risarcimento - e non parificazione retributiva - per il dirigente pubblico discriminato

 

Cass. 30 agosto 2010 n. 18857 – Pres. Vidiri – Rel. Nobile – Assessorato provinciale del lavoro della Regione Sicilia c.  C.G.

 

Fatto

 

Con ricorso del 28-11-2002 al Giudice del lavoro  del Tribunale di Ragusa C.G., dirigente superiore dell’Assessorato Regionale al Lavoro presso la Regione Siciliana dal 1-1-1986, nominato in data 3-12-2001 dirigente di 2^ fascia con preposizione all’Unità Operativa 2^ del Servizio Ufficio Provinciale del lavoro di Ragusa, esponeva di essere successivamente venuto a conoscenza della circostanza che ad altri dipendenti della medesima qualifica di 2^ o 3^ fascia erano stati attribuiti incarichi di preposizione e di responsabilità di taluni Uffici Provinciali del Lavoro ovvero Ispettorati Provinciali del Lavoro.

Il C. assumeva quindi di essere stato in tal modo ingiustificatamente discriminato, pur essendo di maggiori titoli, rispetto ai detti dipendenti, ai fini delle nomine in questione ed aggiungeva che il conferimento dei citati incarichi era stato posto in essere in mancanza di adeguata motivazione, in violazione della L.R. n. 10 del 2000, art. 9, che disponeva che “a seconda della complessità dell’attività da esercitare, l’incarico viene attribuito a dirigenti di prima o di seconda fascia e successivamente, per motivate esige di servizio, a dirigenti di III fascia”.

Il ricorrente chiedeva pertanto l’accertamento del suo diritto al conferimento della nomina e dell’incarico di direzione di Ufficio Provinciale del Lavoro  o di Ispettorato Provinciale del Lavoro, con la condanna dell’Amministrazione convenuta alla corresponsione del relativo trattamento giuridico e economico, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria.

L’Assessorato Regionale del Lavoro  si costituiva in giudizio e rilevava: che il contratto stipulato tra le parti in data 3-12-2001 risultava adeguatamente motivato “in riferimento alle varie disposizioni contrattuali ivi citate”; che le scelte inerenti ai soggetti cui conferire gli incarichi in parola dovevano comunque reputarsi fondate su un’ampia discrezionalità, stante il carattere fiduciario degli stessi; che nessun pregiudizio di tipo economico poteva ritenersi sorto in danno del ricorrente; che, anzi, proprio la stipulazione del contratto suddetto aveva recato ad essa convenuta un rilevante danno di natura patrimoniale; che, subito dopo la proposizione del ricorso, il ricorrente era andato in pensione, per cui doveva reputarsi inammissibile l’accertamento dell’aspettativa invocata; che tale circostanza ed il fatto che il contratto del 3/12/2001 era stato sottoscritto senza contestazioni, costituivano indici inequivoci della volontà di acquiescenza del ricorrente a quel tipo di contratto; che in ogni caso sarebbe stato necessario integrare il contraddittorio nei confronti dei soggetti ai quali era stato conferito l’incarico oggetto di aspettativa da parte del ricorrente.

La convenuta chiedeva pertanto il rigetto della domanda e spiegava domanda riconvenzionale intesa ad ottenere il risarcimento dei danni asseritamente sofferti.

Con sentenza in data 20-2-2004 il Giudice del lavoro  del Tribunale di Ragusa disapplicava gli atti di conferimento degli incarichi contestati e dichiarava il diritto del ricorrente al conferimento della nomina e dell’incarico di direzione di Ufficio Provinciale del lavoro ovvero di Ispettorato Provinciale del Lavoro, condannando l’Amministrazione convenuta all’attribuzione al predetto del relativo trattamento economico e giuridico, oltre agli interessi e alla rivalutazione monetaria.

L’Assessorato Regionale del Lavoro  proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con il rigetto delle domande di controparte.

Il C. si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Catania, con sentenza depositata il 26-10-2005, rigettava l’appello, confermando la pronuncia di primo grado e condannando l’appellante al pagamento delle spese.

In sintesi la Corte territoriale, rigettava le eccezioni di carenza di interesse e di acquiescenza riproposte dalla appellante e, pur riconoscendo “l’insussistenza di un diritto al conferimento di incarico dirigenziale”, affermava nel contempo la necessità della “esplicitazione delle ragioni su cui si fonda la scelta della P.A., sia pure attraverso una integrazione postuma delle motivazioni poste dall’Amministrazione a fondamento delle proprie scelte, al fine di evitare che la ampia discrezionalità di cui gode l’Amministrazione nella materia in questione possa tramutarsi in arbitrio”; e ciò “vieppiù nel caso di specie” alla luce della L.R. n. 10 del 2000, art. 10, comma 6, che per la attribuzione dell’incarico a dirigenti di 3^ fascia richiede le “motivate necessità di servizio” (certamente non integrate dall’inadeguato assunto dell’Assessorato secondo cui le proprie determinazioni sarebbero state provocate dalle condizioni di salute del ricorrente).

La Corte di merito, sul riconoscimento del trattamento economico proprio del personale di 2^ fascia, titolare di incarico corrispondente, con l’indennità spettante alla stregua del contratto collettivo regionale, affermava, poi, che la condanna al suddetto trattamento era “consequenziale alla illegittimità della condotta posta in essere dall’Amministrazione in relazione al conferimento degli incarichi dirigenziali in questione” ed infine, per quanto riguardava gli accessori, rilevava che la statuizione del primo giudice andava letta coerentemente al disposto di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36, nel senso di condanna alla corresponsione degli interessi e, se di maggiore importo, della rivalutazione.

Per la cassazione di tale sentenza l’Assessorato Regionale del Lavoro  ha proposto ricorso con un unico motivo.

Il C., in data 23-7-2009, ha depositato procura all’avv. Guglielmo Rustico , che ha partecipato alla discussione.

 

Diritto

 

Con l’unico motivo l’Assessorato Regionale del Lavoro , denunciando vizio di motivazione, in sostanza deduce che la Corte d’Appello contraddittoriamente “ha dapprima affermato che non sussiste un diritto soggettivo all’assegnazione di incarichi dirigenziali e poi ha condannato l’Amministrazione al conferimento dell’incarico”, così ingerendosi in una scelta di esclusiva competenza di quest’ultima.

Inoltre il ricorrente lamenta, comunque la insufficienza della motivazione al riguardo, in quanto seppure “per assurdo, dovesse ritenersi che la Corte di Appello avesse effettivamente il potere di condannare l’Amministrazione al conferimento dell’incarico dirigenziale”, i giudici avrebbero dovuto motivare sulle “ragioni per le quali la scelta del conferimento dell’incarico sarebbe dovuta ricadere proprio sulla persona del sig. C.”.

Il motivo è fondato e va accolto.

Evidente è la contraddizione contenuta nell’impugnata sentenza che, da un lato, ha ritenuto condivisibile l’assunto dell’Assessorato circa l’insussistenza di un diritto al conferimento di incarico dirigenziale e, dall’altro, rilevata la necessità della esplicitazione delle ragioni su cui si fonda la scelta della P.A., “vieppiù” nel caso di specie in virtù della L.R. n. 10 del 2000, art. 10, comma 6, ha confermato la pronuncia di primo grado.

Decisione questa che aveva dichiarato “il diritto del C. all’incarico di Direzione di Ufficio Provinciale del Lavoro  od Ispettorato Provinciale del Lavoro” e condannato “l’Amministrazione resistente ad attribuire a C.G. Il trattamento giuridico e economico proprio del personale dirigenziale di li fascia, titolare di incarico corrispondente, nonché l’indennità spettantegli in base alle disposizioni di cui al contratto collettivo regionale di lavoro del personale dirigenziale della Regione Siciliana e sulla base delle disposizioni contenute nel c.d. Accordo Ponte di cui al ricorso, relativamente alla retribuzione accessoria del personale dirigenziale di 2^ fascia titolare di corrispondenti incarichi, oltre interessi e rivalutazione a far data dalla maturazione del diritto al di del soddisfo” (in tal modo riconoscendo sia il diritto al conferimento dell’incarico dirigenziale sia l’intero trattamento corrispondente).

Orbene, come è stato più volte affermato da questa Corte – e va qui nuovamente enunciato “nel lavoro  pubblico privatizzato, alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo” (v. fra le altre Cass. 22-12-2004 n. 23760, Cass. 20-2-2007 n. 3929, Cass. 15-2-2010 n. 3451) mentre i dirigenti “non hanno alcun diritto soggettivo all’attribuzione, o a mantenimento, di un incarico dirigenziale essendo la nuova disciplina privatistica fondata sui principi della temporaneità e della fiduciarietà degli incarichi dirigenziali” (v. Cass. 6-4-2005 n. 7131). “L’intera materia degli incarichi dirigenziali è retta dal diritto privato e l’atto di conferimento è espressione del potere di organizzazione” (v. Cass. 22-2-2006 n. 3880), rispetto al quale “la posizione soggettiva del dirigente aspirante all’incarico non può atteggiarsi come diritto soggettivo pieno, bensì come interesse legittimo di diritto privato, da riportare, quanto alla tutela giudiziaria, nella più ampia categoria dei “diritti” di cui all’art. 2907 cod. civ.. La tutela di tale posizione giuridica soggettiva, affidata al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, non è dissimile da quella già riconosciuta al partecipante ad una procedura di selezione concorsuale adottata dal datore di lavoro privato ed è estesa a tutte le garanzie procedimentali di selezione previste dalla legge (nel caso in esame dalla L.R. Siciliana n. 10 del 2000, art. 9) e dai contratti collettivi” (v. Cass. 22-2-2006 n. 3880).

Al riguardo, vanno, quindi richiamate le regole in materia di limiti interni dei poteri attribuiti al privato datore di lavoro , i quali si delineano in relazione a previsioni, normative o contrattuali, che sanciscono le prescrizioni dell’esercizio del potere discrezionale, sul piano sostanziale o su quello procedimentale, precetti questi suscettibili di essere integrati e precisati dalle clausole generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.). Del resto le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che, nell’ambito del rapporto di lavoro privatizzato, alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, i Giudice ordinario sottopone a sindacato i poteri esercitati dall’amministrazione nella veste di datrice di lavoro, sotto il profilo dell’osservanza delle regole di correttezza e buona lede, siccome regole applicabili anche all’attività di diritto privato alla stregua dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost. (v. Cass. S.U. 26-6-2002 n. 932, Cass. S.U. 25/11/2003 n. 18017, Cass. S.U. 23-1-2004 n. 1252, cfr. da ultimo anche Cass. 30-9-2009 n. 20979).

Pertanto, con riferimento a tutti gli atti preliminari sono configurabili posizioni di interesse legittimo di diritto privato suscettibili di tutela giurisdizionale in forma risarcitoria, “detto risarcimento postula, però, l’allegazione e la prova a carico del lavoratore circa la lesione dell’interesse legittimo suddetto, nonché del danno subito dal lavoratore, in dipendenza dell’inadempimento di obblighi gravanti sull’amministrazione, senza che la pretesa risarcitoria possa essere fondata sulla lesione del diritto al conferimento dell’incarico dirigenziale, insussistente in assenza del contratto stipulato con l’amministrazione” (v. Cass. 23/2/2007 n. 4275).

Del resto, come pure è stato precisato, il dirigente aspirante all’incarico, poiché non vanta un diritto soggettivo pieno, bensì soltanto un interesse legittimo di diritto privato a conseguire l’incarico stesso, non può pretendere la retribuzione corrispondente (v. Cass. 22-6-2007 n. 14624).

La sentenza impugnata, che, con motivazione contraddittoria, in sostanza ha finito col disattendere tali principi, va cassata con rinvio alla stessa Corte di Appello di Catania in diversa composizione, la quale provvedere, con adeguata motivazione, attenendosi ai detti principi, statuendo anche sulle spese di legittimità.

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Catania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2010

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