Riferimento al “decisum” per parametrare l’onorario del legale al valore effettivo della causa

 

1. Nell'antichità l'assistenza legale era gratuita (mandatum = contratto gratuito), potendo essere remunerata a titolo di mera gratitudine (honorarium)[1].

Salva diversa pattuizione scritta, oggi i compensi degli avvocati - d'ufficio o di fiducia, non vi è differenza alcuna - per i diritti e gli onorari sono regolati per legge dalla Tariffa Professionale Forense approvata con Decreto del Ministero della Giustizia 8 aprile 2004, n. 127; altri metodi di remunerazione sono previsti dalla legge 248/2006 attuativa del cd. decreto Bersani.

Quest’ultima regolamentazione prevede che si possa concordare tra legale e cliente un importo fisso onnicomprensivo (a forfait), o variabile a seconda dell'esito della vertenza (patto di quota lite).

Vi sono dunque tre sistemi di tariffazione:

a)a percentuale sull'esito della causa (patto di quota lite);

b)a forfait (sia come somma unica ma anche come somma annuale);

c)secondo la tariffa forense.

In assenza di accordi si applica la tariffa forense: le spese legali che possono essere richieste dal legale prescelto variano tra un minimo ed un massimo per ogni attività professionale resa dall'avvocato, a seconda delle circostanze del caso concreto (difficoltà, impegno richiesto, importanza, condizioni patrimoniali dell'assistito, ecc.).

L'entità dei compensi, determinati secondo una tabella che fissa un minimo ed un massimo per ogni attività svolta, nel diritto civile dipende dal “valore della causa”, nel diritto penale dall'autorità giudiziaria competente (giudice di pace, tribunale corte di assise, ...).

Le principali voci di una parcella sono raggruppate in diritti (remunerazione per l'attività materiale) ed onorari (remunerazione per l'attività intellettuale); così, ad esempio, l'avvocato che va in udienza può chiedere sia la remunerazione per l'attività materiale (partecipazione fisica) che per quella intellettuale (cioè aver fatto valere le ragioni del cliente).

Ai diritti ed agli onorari vanno inoltre aggiunti gli esborsi (cioè le spese vive), le spese generali (12,5% secondo l'art.14 D.M.127/04), il contributo previdenziale del 4% e l'I.V.A. al 20%. L'importo viene quantificato dall’avocato nella cd. notula (o proforma o preavviso) senza rilievo fiscale, mentre la fattura viene emessa a pagamento effetuato.

Riepilogando le voci della parcella sono costituite da:

- diritti (fissi nel loro ammontare ed aumentano in base al valore della causa);

- onorari (per ogni scaglione di valore hanno un minimo ed un massimo);

- 12,5 % rimborso forfettario spese generali (segreteria, luce, materiale consumabile, ...);

- spese (imponibili I.V.A. e non imponibili: bolli, copie in tribunale, ...);

- 4 % contributo previdenziale cassa avvocati che garantisce loro la pensione;

- 20 % I.V.A.

Se viene adottato il sistema remuneratorio dell’attività del legale ancorato alla tariffa forense che si fonda sul “valore della controversia” – sistema che non è obbligatorio prevalendo su di esso gli eventuali accordi (scritti) tra le parti, cioè a dire le libere convenzioni intercorse fra cliente e avvocato – essenziale risulta l’individuazione di tale valore, giacché il costo della causa gravante sul cliente per effetto delle spese legali correlate a ciascuna delle attività svolte dal difensore e specificate nella tariffa forense (studio controversia, consultazioni col cliente, redazione ricorso, assistenza in udienza, assistenza ai mezzi di prova disposti dal giudice, ecc.), varia in relazione alla riconduzione del “valore della causa” in uno o in un altro degli scaglioni tariffari definiti (tra un minimo e un massimo) nella tariffa forense.

Si comprende pertanto l’importanza di una corretta individuazione del “valore della causa”.

 

2. L’individuazione del “valore della causa” è disciplinato dalla Tariffa forense ai fini delle spese legali  che il Giudice porrà a carico del soccombente (art. 6, comma 1) nonché del corrispettivo  dell’attività professionale svolta dal proprio difensore, gravante sul cliente (art. 6, comma 2 e 4).  

Quanto agli onorari da porre a carico del soccombente, l’art. 6, comma 1 della Tariffa dispone che: «1. Nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del Codice di Procedura Civile, avendo riguardo nei giudizi per azioni surrogatorie o revocatorie, all'entità economica della ragione di credito alla cui tutela l'azione è diretta, nei giudizi di divisione, alla quota o ai supplementi di quota in contestazione, nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata». Il rinvio per relationem al codice di procedura civile concerne gli artt. 10-15 afferenti al valore della causa ai fini dell’individuazione del Giudice competente alla trattazione, ove, esemplificativamente per la rivendicazione di somme di denaro o di beni mobili, l’art. 14 precisa che: «Nelle cause relative a somme di danaro o a beni mobili, il valore si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall'attore».

Quanto agli onorari a carico del cliente e a beneficio del suo difensore, il comma 2 dell’art. 6 della Tariffa forense precisa: «2. Nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, può aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando esso risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del Codice di Procedura Civile» [(cioè a dire  quando vi sia sostanziale divergenza tra la somma formalmente domandata in ricorso (quid disputatum) e la spettanza effettiva identificantesi nella somma giudizialmente stabilita (quid decisum)]; e il comma 4 specifica che: «4. Nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, per la determinazione del valore effettivo della controversia, deve aversi riguardo  al valore dei diversi interessi perseguiti dalle parti».

La Cassazione a sezioni unite n. 19014 dell’11 settembre 2007[2] – nell’ottica di risolvere un contrasto di giurisprudenza  in ordine  all’onorario dell’avvocato della parte vittoriosa  da porre a carico della parte soccombente - ha statuito il seguente principio: «Ai fini della condanna al rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia  di cui alle Tariffe forensi va fissato sulla base del disputatum (ossia di quanto richiesto dalla parte attrice nell'atto introduttivo del giudizio), tenendo però conto che, in caso di accoglimento solo parziale della domanda, il giudice deve considerare il contenuto effettivo della sua decisione (criterio del decisum), cioè deve proporzionare le spese legali all’importo monetario realmente ottenuto dalla parte vittoriosa, a prescindere dalla superiore entità del valore delle richieste versate in ricorso».

Il principio di correlazione al decisum (piuttosto che al virtuale disputatum), in caso di accoglimento solo parziale del “domandato”, è – a nostro avviso - estensibile e utilizzabile pacificamente anche per l’individuazione del valore della controversia (di cui alla Tariffa forense) ai fini della liquidazione dell’onorario richiesto dal legale al cliente parzialmente vittorioso.

A tale conclusione si giunge (primariamente) sulla base dell’art. 6, comma 2 della Tariffa forense  (ritenuto dalla Cassazione  un correttivo del criterio di cui al comma 1) - che prevede il ricorso al decisum (cioè all’effettività del risultato monetario conseguito, piuttosto che al virtuale domandato, id est al quid disputatum) per la liquidazione dell’onorario all’avvocato da parte del cliente parzialmente vittorioso. Come già detto, ma è opportuno ripeterlo, il comma 2 dell’art. 6 della Tariffa forense così recita: «Nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, può aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando esso risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile», cioè da quello domandato nel ricorso. Solo nel caso di accoglimento integrale del domandato, stante la coincidenza del quid decisum con il quid disputatum, il valore della controversia  risulterà pari al domandato e individuerà lo scaglione di propria pertinenza della Tariffa forense.

Tale osservazione porta Cass. Su n. 19014/2007  a statuire che:«Insomma una lettura coordinata del duplice criterio del primo comma dell'art. 6 (quello del disputatum e quello del decisum) con quello del secondo comma (il “valore effettivo, della controversia”) fa emergere il principio fondante, sotteso a questa disciplina regolamentare, che è quello dell'adeguatezza e proporzionalità degli onorari all'attività professionale svolta …». Concludendo che: «Quindi sulla base di un'interpretazione sistematica dell'art. 6, primo e secondo comma, della Tariffa civile, il disputatum nel momento iniziale della lite non è risolutivo, dovendo tenersi conto poi dell'effettiva decisione (il decisum) del giudice che fissa la dimensione reale della lite stessa». Precisando poi che:«Insomma il riferimento dell'art. 6 al valore della controversia determinato a norma del codice di procedura civile riguarda l'ipotesi in cui la domanda sia accolta integralmente e quindi ci sia corrispondenza tra disputatum e decisum. Ma se la domanda è accolta solo parzialmente si impone sempre un adeguamento degli onorari all'effettiva portata della controversia che è quella espressa dal decisum». Aggiungendo anche che: «La regola del decisum vale anche per i gradi successivi; ossia, se in grado d'appello si controverte solo su una parte della somma originariamente richiesta, è questo il disputatum del giudizio di impugnazione e sarà il decisum (ove favorevole all'attore in tutto o in parte soccombente in primo grado) a fissare il valore della causa in appello. Questa "riduzione" del valore della causa è coerente sia con il criterio del "decisum", che esprime una generale esigenza di adeguatezza delle spese di lite all'effettiva importanza della lite stessa, sia con il criterio generale dell'art. 5 della Tariffa civile che fa riferimento - oltre che alla “natura” e al “valore” della controversia, all’”importanza” e al "numero" delle questioni trattate - anche specificamente al "grado" dell'autorità adita. Quindi il fatto che nel giudizio di impugnazione il thema decidendum si sia ridotto non può non incidere sulla natura e sull'importanza della questione; pertanto si riduce anche il disputatum (come regola), che concorre con il decisum (come eccezione) - al pari del giudizio di primo grado - nel caso di attribuzione solo parziale del bene della vita oggetto della lite».

 

3. Enfatizzando l’autonomia del rapporto intercorrente tra avvocato e cliente in ordine all’onorario, dalla liquidazione del medesimo ad opera del giudice in sentenza[3] nonché il fatto che i principi di diritto, quantunque a carattere generale, sono stati affermati dalla precitata sentenza di Cassazione in fattispecie  vertente in ordine all’onorario dell’avvocato del ricorrente  parzialmente vittorioso da porre a carico della parte soccombente, si è tentato di circoscrivere alle sole spese legali giudizialmente definite e poste a carico del soccombente, l’obbligo di riferimento  al decisum – per l’individuazione del valore della controversia – in luogo del disputatum (cioè del domandato).

Trattasi di tentativo tanto irragionevole quanto concettualmente inaccoglibile.

Non si vede infatti la ragione per cui – trattandosi di applicare in concreto le stesse Tariffe forensi – solo il Giudice dovrebbe essere vincolato dal criterio del “decisum” in luogo del “domandato” ai fini della liquidazione in sentenza  dell’onorario da porre a carico del soccombente, mentre il legale del cliente vittorioso dovrebbe essere pienamente libero di parametrare al “quid disputatum” il proprio onorario (se eccedente per impegno quanto già posto a carico del soccombente) nei confronti del proprio assistito. Tenuto anche conto che l’avvocato può avere interesse a gonfiare il “domandato” in ricorso (quid disputatum) convincendo, augurabilmente  in buona fede, lo sprovveduto cliente che la causa gli frutterà un certo, elevato ammontare (che il magistrato ridimensionerà drasticamente in sentenza tramite il cd. “decisum”), proprio al fine di parametrare la liquidazione del compenso ad uno scaglione tariffario più elevato e quindi più remunerativo, con l’effetto intuitivo di “gestire” in proprio il suo corrispettivo. Ipotesi non astratta ma delineata in concreto da Cass. 31 maggio 2010, n. 13229[4].

Il tentativo di circoscrivere, alle sole spese legali a carico del soccombente, il “valore” della causa emergente dal “decisum” non appare affatto condivisibile, tenuto conto che le Sezioni unite hanno affermato che  il criterio del “decisum”  «vale a proporzionare gli onorari all'effettiva consistenza della lite» Tanto più che l’art. 6, comma 2, della Tariffa forense ha recepito l’esigenza e l’opportunità  che le spese legali a carico del cliente possano essere fondate sull’effettività  del valore della controversia  quando questo sia sostanzialmente difforme dal “domandato” virtuale (cd. quid disputatum). Argomentazione fatta propria sin dal 1998 da Cass., sez. II, 17 febbraio 1998 n. 1660, secondo cui:«È sostanzialmente conforme al disposto delle norme codicistiche in tema di determinazione del valore della causa la decisione del conciliatore […] secondo la quale, ai fini della liquidazione dei diritti di procuratore e degli onorari al difensore, è opportuno far riferimento al decisum, e non al disputatum; riferimento, cioè, alla somma in concreto ritenuta rispondente al valore effettivo della controversia dall'autorità giudiziaria adita […] e non anche al valore della domanda quale risultante dalla pretesa formulata con l'atto introduttivo di quel giudizio».

Chiaramente in caso di rigetto della domanda, non esiste un “decisum”  di segno positivo, talché potrebbe inferirsi dai dissenzienti, al fine di inficiare l’adozione del criterio del “decisum”, che si potrebbe giungere all’assurdo di legittimare l’assenza di compenso per il difensore.

A tale rilievo strumentale si oppone la considerazione che il criterio del “decisum” per individuare il “valore-causa” vale solo per l’ipotesi di accoglimento parziale del “disputatum” (o domandato) –valore ricondotto dal decisum del Giudice alla sua effettività -, mentre in caso di rigetto della domanda, la prestazione professionale del difensore andrà comunque e sempre compensata dal cliente, sia  sulla base di un’equa e corretta valutazione  dell’impegno professionale del difensore dispiegato nella controversia (atteso che la prestazione dell’avvocato è un’obbligazione di mezzi e non di risultato), ovvero individuando come “valore-causa” il cd. domandato iniziale. Adottando quest’ultimo criterio – che è quello suggerito dalla vecchia giurisprudenza antecedente al rilievo conferito da Cass. Su n. 19014/2007 al “decisum”, indicato quale criterio atto ad individuare l’effettivo valore della causa in caso di accoglimento parziale che abbia ridimensionato il disputatum – potrebbe giungersi all’incongruenza  che il difensore cui è stata rigettata integralmente la domanda percepisca un compenso maggiore di quello del difensore che ha consentito al cliente un accoglimento parziale.

Pertanto, non potendosi pretendere di fornire criteri atti a realizzare la cd. “quadratura del cerchio”, appare preferibile, in questa ipotesi di integrale soccombenza, ricorrere pragmaticamente ad un criterio equitativo consensuale tra avvocato e cliente per la liquidazione dell’onorario, com’è prassi che in effetti avvenga.

Cass. Su n. 10904/2007 ha infine concluso: «Il principio di adeguatezza e proporzionalità, sopra affermato, impone una costante ed effettiva relazione tra la materia del dibattito processuale e l'entità degli onorari per l'attività professionale svolta. Espressione di questa concreta adeguatezza si è già visto essere il criterio del decisum che prevale su quello del disputatum; è il decisum che dà la misura dell'effettiva portata della controversia e quindi del suo “valore”. E da tale principio si è tratta l'ulteriore inferenza che, ove nei successivi gradi del giudizio la materia del contendere si concentri solo su una parte della domanda […] il valore della controversia nel grado deve tener conto di questa riduzione della materia del contendere e quindi si concentra nel disputatum, salvo cedere il passo al criterio del decisum nel caso di accoglimento parziale dell'impugnazione».

Va infine sottolineato un dato ed un criterio assolutamente significativo per i suoi risvolti concreti  (specie nel contesto nostrano caratterizzato da decisioni rese a lunga distanza dal deposito del ricorso), asserito dalla Cassazione in varie occasioni, consistente nell’affermazione che «ai fini della liquidazione degli onorari spettanti all'avvocato nei confronti del cliente» e quindi del conseguente procedimento di riconduzione del “valore causa” entro gli scaglioni tariffari di cui alla Tariffa forense  -  sia che detto “valore” venga desunto dal cd “domandato” iniziale sia che venga desunto dal “decisum” del giudice - quella che deve essere presa in considerazione è la somma ipotizzata quale sorte capitale (per il caso del “quid disputatum”) o la sorte capitale effettivamente assegnata dalla  sentenza  al ricorrente vittorioso parziale (per il “quid decisum”), «senza che assumano rilievo, al riguardo, gli interessi e la rivalutazione maturati sulla somma capitale nelle more della controversia» (così Cass., sez. III, 19/4/2006 n. 9082; Cass. 7/6/2001, n. 7691; Cass., sez. II, 27/2/1998 n. 2172).

Viene esclusa, pertanto e correttamente, dalla composizione del “valore della causa” la somma accrescitiva, per indicizzazione in senso lato, della sorte capitale conseguente ai cd. accessori che maturano, dopo il deposito della citazione o del ricorso, per effetto del decorso del tempo, al cui conseguimento è estraneo in assoluto l’impegno professionale dell’avvocato. Ciò in piena armonia con il 2 comma dell'art. 10 c.p.c. secondo cui alla composizione del “valore della causa” si sommano alla somma capitale solo gli interessi “scaduti” antecedentemente alla proposizione (rectius, notificazione) della domanda, non già gli accessori maturati sulla somma capitale successivamente, fino all'esito finale (cfr. Cass., sez. III, 23/1/2002, n. 738). Fermo restando le riferite motivazioni di esclusione, Cass., 17/5/1991, n. 5579 ha, addizionalmente, così giustificato l’irrilevanza degli accessori ai fini della pretesa riconducibilità degli stessi nel “valore” della causa:«In tema di liquidazione, a carico del cliente, degli onorari di avvocato o procuratore, e per il caso in cui si faccia riferimento al valore effettivo della controversia, in quanto manifestamente diverso da quello presunto in base alle norme sulla competenza, anche tale valore effettivo va riscontrato con riferimento alla data della domanda, mentre le ragioni del creditore, in relazione alla svalutazione sopravvenuta dopo tale data, trovano adeguata tutela nell’applicabilità della tariffa forense in vigore al momento della cessazione dell’incarico (oltre che, eventualmente, nel concorso dei presupposti di cui all’art. 1224, 2º comma, c.c., nella risarcibilità del maggior danno)».

Mario Meucci

Roma 12/6/2011


[1] Così Canestrini, in http://www.canestrinilex.it/risorse/spese_legali.html da cui - per la chiarezza – abbiamo ripreso anche la successiva illustrazione dei sistemi di tariffazione, fino al punto 2.
[2] Leggibile  in http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=523 .
[3] Riaffermata recentemente da Cass., sez. I, 22/4/2010 n. 9633, leggibile in http://www.avvocatoandreani.it/notizie-giuridiche/visualizza.asp?t=la-liquidazione-degli-onorari-dell-avvocato-svincolata-dalla-decisione-sulle-spese-processuali-cassazione-sez-22-aprile-2010-9633&rn=2193705d6f04ff07b56d1de79188ab2d, secondo cui: «la distinzione tra il rapporto processuale nella causa patrocinata dal difensore ed il rapporto contrattuale interno (ex art. 2232 cod. civ. e segg.) corrente con il cliente, comporta altresì l’applicazione di criteri liquidativi diversi. (…) infatti,  gli onorari e i diritti sono indefettibilmente dovuti dal cliente indipendentemente dalla statuizione del giudice sulle spese giudiziali (…) . Vedi anche, L. Viola, Le spese processuali nella giurisprudenza recente, in http://www.altalex.com/index.php?idnot=46163 .[4] Leggibile in http://www.altalex.com/index.php?idnot=11383 con commento di R. Plenteda.

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