Il preavviso nel rapporto di lavoro
   

Sommario:

1.        Il preavviso come istituto nell’interesse della parte che subisce il recesso

2.        Efficacia “reale” del preavviso. Conseguenze

3.        Rinunziabilità al preavviso lavorato solo dalla parte che subisce l’iniziativa del recesso

4.        Intimazione del preavviso solo dopo il conseguimento dell’età per la pensione di vecchiaia

5.        Riflessi pensionistici dell’indennità sostitutiva del preavviso (in luogo del preavviso effettivamente lavorato); 

6.        Sospensione del decorso del preavviso per intervenuta malattia

 

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1.Il preavviso come istituto nell'interesse della parte che subisce il recesso.

La nostra legislazione lavoristica ha previsto che la maggior parte dei casi di risoluzione del rapporto di lavoro sia accompagnata dall'istituto del preavviso. Infatti ad eccezione delle ipotesi di:

a) recesso per giusta causa ex art. 2119 c.c. (cioè per evento o comportamento che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto e che, pertanto, non ammette preavviso);

b) risoluzione consensuale o convenuta ad una certa data o età, quest'ultime funzionanti quali cause di risoluzione automatica del rapporto ed, al tempo stesso, garanti di una stabilità relativa (alle quali non sono assimilabili, pacificamente, le ipotesi di libero recesso, ex art. 4, 2° co., L. n 108/'90 a carico della  lavoratrice ultrasessantenne, in possesso dei requisiti pensionistici (60 anni) che non si sia avvalsa del diritto di opzione, per la protrazione fino al massimo dei 65 anni, a norma della legislazione in tema di prosecuzione del rapporto);

tutte le altre forme di recesso, sia ad nutum (ex art. 2118 c.c. e art. 4, comma 2, L. n. 108/'90) sia per giustificato motivo (ex art. 3 L. n. 604/'66) debbono essere caratterizzate dall'intimazione del preavviso, ad iniziativa della parte recedente.  Il preavviso assolve ad una specifica funzione: quella di "attenuare le conseguenze pregiudizievoli dell'improvvisa cessazione dei rapporto per la parte che subisce l'iniziativa del recesso" (così, per tutte, Cass. 22 luglio 1977, n. 2897).  Sebbene sia stata massicciamente affacciato, nella passata giurisprudenza, la tesi secondo la quale il preavviso dovrebbe assolvere ad una funzione contemporaneamente bilaterale e, quindi, dovrebbe soddisfare congiuntamente gli interessi di entrambe le parti del rapporto, prevale esattamente (in dottrina e nella più recente ed autorevole giurisprudenza) l'opinione per cui l'istituto in questione è "imposto nel solo interesse di colui che subisce il recesso, a tutela delle sue legittime aspettative: esso consente al lavoratore licenziato di disporre del tempo necessario per trovare un nuovo lavoro (tant'è che a livello dei principali ccnl sono stati previsti appositi permessi orari, n.d.r.) ed all'imprenditore di evitare che le dimissioni di un dipendente abbiano a turbare l'organizzazione dei lavoro, permettendogli di rimpiazzare adeguatamente e tempestivamente il lavoratore licenziatosi" (rectius, dimessosi, n.d.r.; così, ancora, Cass. n. 2897/1977, cit.).

 

2. Efficacia "reale" del preavviso - Conseguenze.

Pertanto essendo finalizzato ad evitare che l'estinzione del rapporto di lavoro, determinata da un atto discrezionale di una sola delle parti, si traduca in eccessivo pregiudizio per l'altra, il preavviso si pone come condizione di liceità del recesso.  Nel senso, tuttavia, che in difetto sorge l'obbligo - a carico della parte recedente senza preavviso - di corrispondere (ex art. 2118 c.c.) all'altra “una indennità equivalente alla retribuzione che gli sarebbe spettata per il periodo di preavviso" non lavorato.  Chiaramente il vocabolo "retribuzione" è stato usato dal legislatore atecnicamente, in via parametrica, e, quindi, per determinare la misura dell'indennità spettante sia al lavoratore che al datore di lavoro, cui sia stato intimato il recesso senza preavviso (rispettivamente per licenziamento e dimissioni).

Va subito precisato che la sostituzione del preavviso con l'indennità corrispondente non è stata ritenuta legittima alternativa (nonostante la piana dizione legislativa) né facoltà azionabile unilateralmente dalla parte recedente: ciò in considerazione del c.d. "carattere reale" e non meramente obbligatorio dell'istituto.  In buona sostanza è stato convincentemente asserito che, essendo il preavviso posto nell'interesse della parte non recedente (c.d. receduta), l'offerta dell'indennità sostitutiva (in alternativa al preavviso lavorabile) non dà luogo alla cessazione del vincolo contrattuale, a meno che la parte receduta non sia consenziente, consenso che può desumersi anche concludentemente per effetto dell'accettazione incondizionata e senza riserve dell'indennità in questione [1].

Qualora la parte receduta non sia disponibile ad accettare la c.d. monetizzazione del preavviso e la correlativa risoluzione istantanea del rapporto (poiché ha, ad es., interesse alla sua prosecuzione in vista di beneficiare di un maturando scatto di anzianità o dei miglioramenti economici da rinnovo contrattuale), la parte recedente può comunque in ogni caso rifiutare la prestazione offertale per il periodo di preavviso, corrispondendo l'indennità sostitutiva, ma, in tal caso, il rapporto si risolve con l'ultimo giorno di scadenza del preavviso altrimenti lavorabile. Ne consegue che, considerandosi - agli effetti delle conseguenze indennitarie - fittiziamente in vita il rapporto (per tutto il periodo di preavviso che la parte receduta si è dichiarata interessata ad effettuare in servizio), il lavoratore beneficerà degli attesi miglioramenti medio tempore sopravvenuti. Essi naturalmente comporteranno un conguaglio dell'indennità "provvisoriamente" corrisposta, la quale verrà quindi integralmente computata nella base per il trattamento di fine rapporto ex art. 2120 (quale novellato dalla L. n. 297/'82), trattandosi di erogazione latamente retributiva, corrisposta, anche se non corrispettivamente, in dipendenza del rapporto di lavoro medesimo o comunque alla retribuzione in tutto assimilabile (per non danneggiare il lavoratore) in quanto prende il posto, in virtù dell'efficacia reale del preavviso, di un trattamento corrispettivo che gli è stato impedito di percepire [2].

Poiché, in costanza di preavviso persistono le reciproche obbligazioni ed i diritti connessi allo svolgimento del rapporto, ne discende che, qualora durante il corso dello stesso (in quanto lavorato) si verifichi un fatto od un comportamento di così rilevante gravità da non consentire la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto, il datore di lavoro (o il lavoratore, a seconda dei casi) potrà recedere per giusta causa ai sensi dell'art. 2119 c.c. (conf.  Cass. 29 aprile 1976, n. 1650).  Nell'ipotesi delineata si verifica, pertanto, la sostituzione ad una precedente forma estintiva (ad es. al recesso per giustificato motivo con preavviso) di un'altra causale risolutiva (il recesso per giusta causa).  Naturalmente la prospettata teoria dell'efficacia reale del preavviso (in contrapposizione alla tesi che ne sostiene la natura di obbligazione alternativa rispetto all'indennità sostitutiva) non è condivisa pacificamente né in dottrina né in giurisprudenza [3]; al momento si può, tuttavia, asserire che sia ancora quella che ottiene adesioni dal più ampio fronte degli operatori del diritto, tanto da poter essere presentata quale posizione dottrinale e giurisprudenziale prevalente.

 

3.Rinunziabilità al preavviso lavorato solo dalla parte che subisce l'iniziativa del recesso.

Una questione molto dibattuta in giurisprudenza è quella che concerne la legittimità o meno di clausole contrattuali contemplanti la dispensa ex post - con indennizzo e non - dal preavviso ad opera della parte che ha subito l'iniziativa del recesso (c.d. receduta).

Dopo un vivace contrasto, intorno agli anni '70, tra magistratura di merito e della S. Corte, si può dire di essere giunti alla conclusione della legittimità di tali clausole sulla base delle argomentazioni di cui alla sentenza n. 1257 dei 13 marzo 1978 (e successive) della Cassazione, secondo la quale: "la normativa del preavviso non è derogabile in favore del recedente, perché ciò comporterebbe nocumento al contrapposto diritto della parte non recedente nel cui interesse la norma è dettata; ben diversa è invece l'ipotesi di una disciplina contrattuale collettiva che, fermo restando l'obbligo del preavviso per la parte ad esso tenuta per legge, preveda la facoltà delle parti contraenti di disciplinare, nel modo da esse ritenuto più conforme ai propri interessi, gli aspetti economici connessi con lo scioglimento del contratto di lavoro e, più particolarmente, preveda la facoltà della parte non recedente di dispensare ex post quella recedente dagli obblighi derivanti dal preavviso.  Pienamente legittima perciò deve ritenersi la clausola contrattuale che non dispensa affatto in via preventiva il recedente dall'obbligo del preavviso, ma prevede la facoltà della parte non recedente di troncare il rapporto senza indennizzo per il periodo di preavviso non compiuto".

Al riguardo può dirsi che sia stata operata una sottile (quanto valida) distinzione in tema di disponibilità ed indisponibilità dei diritti, affermando che la regola generale dei conferimento dei preavviso nell'interesse della parte receduta non può essere derogata dalle parti contraenti in via preventiva, atteso che risulterebbero frustate funzionalità e struttura dei preavviso così come configurate dal legislatore.  Tuttavia se l'istituto dei preavviso appartiene al novero dei diritti inderogabili del prestatore sottratti alla disponibilità delle parti, "rientra invece nella libera disponibilità dei contraenti la regolamentazione dei successivi profili economici connessi allo scioglimento del rapporto" (così Cass. n. 1257/1978, cit.).

Alla luce dei sopra riferiti principi della prevalente giurisprudenza, condivisi dalla più autorevole dottrina [4], sono da considerarsi illegittime le clausole - di cui agli artt. 62, co. 3, del ccnl 11.7.’99 per i quadri direttivi ed il personale delle aree professionali del credito e 27 del ccnl 1.12.2000 per i dirigenti del credito - laddove lasciano spazio ad una scelta discrezionale delle aziende (cioè a dire prescindono dal consenso del lavoratore) circa l'alternativa del preavviso lavorabile o dell'indennità sostitutiva "in difetto", id est in caso di indisponibilità aziendale verso la soluzione, più favorevole al lavoratore, del preavviso lavorabile.

 

4. Intimazione del preavviso solo dopo il conseguimento dell'età per la pensione di vecchiaia.

Il preavviso è dovuto, come in precedenza abbiamo visto, in qualsivoglia fattispecie di risoluzione del rapporto, salva la risoluzione per giusta causa ex art. 2119 c.c. e la risoluzione ad epoca o età predeterminate, fungenti da clausole di risoluzione automatica del rapporto ed al tempo stesso da clausole di stabilità relativa, nel senso dell'essere preclusive di iniziative unilaterali e discrezionali di risoluzione del rapporto.

Sul punto specifico la S. Corte ha asserito che solo quando una certa età (normalmente quella pensionabile) garantisca il lavoratore – tramite clausola di stabilità convenzionale preclusiva della risoluzione anticipata del rapporto -  dai rischi del recesso discrezionale, la stessa può fungere  al tempo stesso da condizione di risoluzione automatica del rapporto, senza necessità di intimazione di preavviso [5].

Invero, secondo il condivisibile orientamento della Cassazione, in tale fattispecie si realizza un equo contemperamento degli interessi (o dei sacrifici) delle due parti, in quanto se dal lato del prestatore si verifica la perdita del preavviso o dell'indennità sostitutiva, nonché la perdita della sospensione degli effetti della risoluzione al verificarsi di una delle cause previste dall'art. 2110 c.c., dal lato del datore di lavoro si verifica la compressione temporale (fino a quella determinata età) del diritto di recesso ad nutum, bilanciando il sacrificio dell'altro contraente.  Solo in presenza di queste caratteristiche atte a configurare una clausola di stabilità relativa (alla quale non è equiparabile una prassi aziendale concretizzante solo uso negoziale e non normativo) è ammissibile la risoluzione ipso iure (e senza preavviso) del rapporto al raggiungimento di una data epoca o età (conf., per tutte, Cass. 10 .11. 1981, n. 5964; Cass. 20.3.1998,n. 2986, cit.; cfr. anche  Cass. 2.3.1999, n. 1758 [6].

In mancanza di tale clausola contrattuale (inequivocamente espressa) -  irreperibile nel contratto del settore credito innanzi menzionato - , il raggiungimento dell'età per il pensionamento di vecchiaia (i 60 per la donna e i 65 anni per l’uomo, così stabiliti ex L. n. 724/1994 ) non esonera l'azienda dal conferimento del preavviso. Salvo che  – per il caso della sola donna - non sia stata esercitata opzione  per la prosecuzione fino al massimo dei 65 anni, ai sensi degli artt. 6 L. n. 54/'82 e n. 407/'90 le quali contemplano espressamente che la cessazione del rapporto prolungato (fino al massimo dei 5 anni, ex art. 1, comma 2°, D.L.vo 30.12.1992, n. 503) per esercizio di opzione, "avviene senza obblighi di preavviso per alcuna delle parti".

La risoluzione del rapporto con preavviso deve pertanto essere intimata e l'intimazione aziendale deve essere manifestata una volta superata -  per la sola donna -  la predetta età pensionabile dei 60 anni nel caso  sia interessata a  proseguire fino al massimo dei 65 anni, età superata la quale  non operano i divieti e gli oneri della legislazione vincolistica del recesso, consistenti nell'obbligo di motivazione e di giustificazione del licenziamento nonché nella sindacabilità giudiziale dello stesso.  Qualora, invece,  il licenziamento venga intimato  antecedentemente seppure con preavviso scadente per l'epoca del compimento dei 65 anni - come praticamente ed erroneamente ancora diverse aziende usano fare - (ancorché si sia, ed il caso vale solo per la donna, già  maturato il requisito del diritto a pensione ai 60 anni e non si sia, tuttavia, esercitato il diritto di opzione  per la prosecuzione fino al massimo dei 65 anni), si verte in fattispecie di licenziamento ingiustificato che rende illegittima l'iniziativa risolutiva e soggetto il datore di lavoro all'annullamento giudiziale dell'atto (con reintegrazione, secondo taluna giurisprudenza, prevalentemente di merito, del lavoratore nel rapporto ex art. 18 L. n. 300/'70) ed al concomitante pagamento della penale risarcitoria, non inferiore a 5 mensilità, di cui allo stesso articolo [7]. Da  più recente giurisprudenza  di Cassazione (elaborata in ordine a clausola collettiva del CCNL delle Poste Italiane) si ritiene, invece, che il licenziamento ante tempus – per effetto di risoluzione automatica alla massima anzianità contributiva dei 40 anni contrattualmente prevista - non realizzi la fattispecie del “licenziamento ingiustificato” implicante il richiamo dell’art. 18 Statuto dei lavoratori (con il beneficio della penale di 5 mensilità a vantaggio del lavoratore) ma realizzi la fattispecie del “licenziamento nullo o inesistente” per nullità ex art. 1418 c.c. della clausola contrattuale, con la conseguente ininterrotta protrazione del rapporto di lavoro, da considerarsi mai risolto o interrotto dalla comunicazione di recesso aziendale. Tale giurisprudenza -  in presenza di clausola contrattuale di risoluzione automatica (non rinvenibile nel settore credito) -  così si esprime: «Nella nuova regolamentazione legislativa (d.l. n. 487 del 1993, convertito in l. n. 71 del 1994) del rapporto di lavoro di diritto privato dei dipendenti dell’ente poste italiane, il contratto collettivo per tale categoria di personale non può derogare alle norme di legge imperative e quindi è nulla (ex art. 1418 c.c.) la previsione contrattuale, secondo cui (a partire dal 31 gennaio 1995) il rapporto di lavoro si risolve automaticamente (senza obbligo di preavviso o di erogare la corrispondente indennità sostituiva) al raggiungimento della massima anzianità contributiva, perché in violazione del principio secondo cui il rapporto di lavoro si può risolvere solo per licenziamento, per dimissioni, per mutuo consenso o per lo spirare dei termini per la ripresa del servizio previsti dall’art. 18, 5º comma, l. 20 maggio 1970 n. 300» (così Cass. 19 marzo 2001 n. 3909 [8].

Ancora va ricordato – per necessaria completezza – che giurisprudenza minoritaria e meno coerente oltrechè più risalente nel tempo, pur negando la legittimità della risoluzione intimata ante tempus, con preavviso scadente al compimento dei requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia (60° anno di età per la donna e 65 per l’uomo), ritiene tuttavia che "derivi per il lavoratore il (solo, n.d.r.) diritto all'indennità sostitutiva del preavviso", altrimenti negato [9].

 

5.Riflessi pensionistici dell’indennità sostitutiva del preavviso (in luogo del preavviso effettivamente lavorato).

Naturalmente  l’erogazione datoriale (con adesione del prestatore) dell’indennità sostitutiva del preavviso pone immediatamente fine al rapporto di lavoro ma, dal lato previdenziale, i pregiudizi sono minimizzati per effetto della equiparazione da parte Inps (sin dagli anni ’80) – tramite procedimento di finzione contabile – della contribuzione versata dal datore di lavoro (per assoggettamento ex lege dell’indennità sostitutiva) che si distribuisce lungo tutti i mesi per i quali è contrattualmente è prevista la corresponsione dell’indennità in sostituzione del preavviso lavorato.

Va detto che  con circ. n.  53635 del 17 aprile 1987, l’Inps – a fronte dell’iniziale equiparazione a tutti gli effetti dell’anzianità dell’indennità sostitutiva del preavviso al preavviso lavorato – che aveva occasionato lo spostamento dell’epoca di percezione della pensione di anzianità alla fine dei mesi (virtuali) corrispondenti alla integrale liquidazione  dell’indennità sostitutiva del preavviso (che, in realtà, avviene in un unica soluzione) rispetto all’epoca di cessazione del rapporto e di presentazione della domanda di pensione, accolse l’orientamento della Cassazione- nel frattempo sollecitata dalle lamentele di coloro che si trovavano postergata l’epoca di  corresponsione della pensione di anzianità -  e modificò il proprio comportamento operativo, giustappunto con la  Circ. Inps n. 53635 A.G.O./99 del 17 aprile 1987, nella quale così si espresse:

«A mente dei criteri stabiliti dal Consiglio di Amministrazione con deliberazione n. 63 del 4 maggio 1974 e diramati con circ. 365 C. e V. - n. 53517 Prs. - n. 15451 O. del 19 agosto 1974, i contributi dovuti sulla indennità sostitutiva del preavviso ai sensi dell'art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153 sono frazionati per i singoli periodi cui il preavviso si riferisce e sono parificati, a tutti gli effetti, a quelli versati in costanza di rapporto di lavoro.

L'attuazione di tale principio - fondato, come è noto, sulla presunzione della persistenza del rapporto di lavoro oltre la data della effettiva cessazione della prestazione lavorativa - ha comportato, quali riflessi ai fini pensionistici, il differimento della decorrenza della pensione di anzianità ed il divieto di cumulo della pensione con la retribuzione in corrispondenza dei periodi di riferimento della indennità stessa.

Si è peraltro consolidato in questi ultimi anni un diverso orientamento giurisprudenziale in occasione di numerosi giudizi vertenti sulla valutazione ed i conseguenti riflessi dell'indennità sostitutiva del preavviso in relazione alla pensione di anzianità.

Le sentenze della Corte di Cassazione (es. nn. 33 del 6.1.1982 e 4974 del 5.10.1984) affermano che la corresponsione dell'indennità sostitutiva del preavviso, avente natura risarcitoria e non retributiva, non può comportare la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre la cessazione definitiva della prestazione lavorativa e che, quindi, non ha rilievo preclusivo ai fini del perfezionamento delle condizioni per il diritto alla pensione di anzianità.

Il Supremo Collegio argomenta, infatti, che il periodo per il quale sia stata erogata l'indennità di mancato preavviso non può essere equiparato ad un periodo di attività lavorativa retribuita né tale equiparazione - e, quindi, la persistenza giuridica del rapporto di lavoro -  può essere fondata sulla considerazione che l'emolumento in parola sia assoggettato a contribuzione e che il valore dei contributi assicurativi conseguentemente versati sia scaglionato lungo tutto l'arco del periodo di mancato preavviso, trattandosi, nella specie, di una finzione contabile mediante la quale un periodo astrattamente configurabile ai soli fini della determinazione della misura della indennità in argomento viene assimilato ad un periodo di lavoro effettivamente prestato e quindi coperto di contribuzione.

Identificata, in tal modo, la natura risarcitoria dell'indennità sostitutiva del preavviso e ritenuto, quindi, che la ripartizione nell'intero periodo abbia unicamente valore contabile, la Corte medesima conclude per la inammissibilità di una parificazione del periodo di preavviso, sostituito dalla relativa indennità, alla persistenza dell'attività lavorativa come causa preclusiva del diritto alla pensione di anzianità.

In conformità al principio emerso in sede giurisprudenziale ed ai fini della corretta applicazione dello stesso si forniscono le seguenti istruzioni.

1) modalità di accreditamento dei contributi.

Per quanto concerne la valutazione dell'indennità sostitutiva del preavviso ai fini contributivi, dalla Corte di Cassazione non viene posto in discussione il principio della frazionabilità della indennità medesima : restano, conseguentemente, confermati i criteri stabiliti, sul punto specifico, con la richiamata delibera consiliare n. 63 del 4 maggio 1973 e le disposizioni applicative contenute nella citata circolare n. 365 C. e V. - n. 53517 Prs. - n. 15451 O. del 19 agosto 1974, p. 1 e p. 3, cpv. 1° e 2°.

2) pensione di anzianità.

Come avanti precisato, in caso di corresponsione dell'indennità sostitutiva del preavviso, la risoluzione del rapporto di lavoro deve intendersi verificata in coincidenza con la cessazione della effettiva prestazione lavorativa. Risultando, in tal modo, soddisfatta la condizione della mancata prestazione di attività lavorativa alle dipendenze di terzi richiesta dall'art. 22, 1° comma, lett. e) per l'acquisizione del diritto alla pensione di anzianità, la decorrenza della prestazione stessa, qualora sussistano tutte le altre condizioni di legge, deve essere fissata al primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della relativa domanda anche se ricadente nel periodo al quale si riferisce l'indennità sostitutiva del preavviso.

La contribuzione versata sull'indennità in argomento per periodi successivi alla decorrenza della pensione dà luogo alla liquidazione di un supplemento a norma dell'art. 7 della legge 23 aprile 1981, n. 155 ».

 

5. Sospensione del decorso del preavviso per intervenuta malattia.

In argomento, un cenno merita anche la questione dell'insorgenza della malattia nel corso dello spiegamento del preavviso.

Ai sensi del comma 2' dell'art. 2110 c.c., la malattia, l'infortunio, la gravidanza ed il puerperio sospendono l'efficacia dell'atto di recesso e la parte se ne riappropria una volta superato l'evento o (se questo si protrae nel tempo) una volta decorso il periodo contrattualmente previsto per la conservazione del posto ovvero definito dagli usi o secondo equità.

Naturalmente l'effetto sospensivo sul decorso del preavviso ad opera di evento morboso (e la conseguente protrazione del rapporto per la durata della malattia) cessa qualora durante la malattia emerga una giusta causa che legittimi, ex art. 2119 c.c., la risoluzione istantanea del rapporto.

Sull'efficacia sospensiva dei preavviso ad opera di malattia, la giurisprudenza della S. Corte è oramai consolidata, mentre sono da registrare in dottrina taluni motivati dissensi in relazione agli effetti di incontrollabile spostamento della data di estinzione del rapporto, in conseguenza dell'evento suddetto.  La S. Corte ha, al riguardo, assunto un orientamento univoco, ripetuto in diverse decisioni ed esplicitato nei seguenti termini: "il comma 2° dell'art. 2110 c.c., riguardante tra l'altro la prosecuzione del rapporto ed il divieto di licenziamento durante il periodo di malattia, è diretto ad assicurare al lavoratore un trattamento economico ed assistenziale durante la malattia, e si estende anche al l'ipotesi in cui sia stata esercitata da una delle parti di facoltà di recesso e penda il periodo di preavviso" (così, per tutte, Cass. n. 4915/1983). “Tale periodo rimane pertanto sospeso fino alla guarigione del lavoratore o fino alla scadenza del periodo di comporto; perdurando, medio tempore, il rapporto di lavoro, ad esso debbono applicarsi tutte le norme di legge o di contratto collettivo, eventualmente più favorevoli al lavoratore entrate in vigore durante il decorso del termine del preavviso" (così, per tutte, Cass. n. 451/1981; Cass. 27.6.2003 n. 10272; Cass. 30.8.2004 n. 17334, cit. in nt.1).

Anche la questione circa la sospensione o meno del preavviso - al sopravvenire di malattia - in caso di dimissioni, è stata risolta nell'identico senso della sospensione del preavviso in caso di licenziamento: cioè sulla base dell'oggettività dell'evento malattia, interruttivo, in ogni caso, dello svolgimento del rapporto, a prescindere dalla parte che assume l'iniziativa a carattere rescissorio.  La conclusione appare convincente e condivisibile, perché qualora si fosse negato alla malattia efficacia interruttiva del preavviso dato dal dimissionario, si sarebbe privato la parte receduta (nel cui interesse è posto il preavviso medesimo), e cioè il datore di lavoro, di questo periodo di tempo di prestazione lavorativa del dimissionario, eventualmente necessario per l'effettuazione delle consegne ad altro lavoratore e per la conseguente adeguata sostituzione. Il principio dell'interruzione del preavviso per sopravvenuta malattia è operativo altresì nell'ipotesi di licenziamento per età pensionabile (così, per tutte, Cass. n. 4624/1980), con effetti pratici (invero talora perversi), quali quello dello spostamento - tanto più incisivo quanto più sapiente - dell'epoca di risoluzione del rapporto, preventivata dall'azienda.

 

Roma, 21.10.2004

Mario Meucci

 


 

[1] Conf.  Pret.  Milano 18 agosto 1980, in Or. giur. lav. 1980,904; Cass. 21 luglio 1984, n.4301, in Not. giurisp. lav. 1984,601; Cass. 8 agosto 1983, n. 5925, ibidem, 1983, 351. Più di recente Cass. 30.8.2004 n. 17334 (Pres. Senese,  Rel. Cataldi) in Lav.giur. 2005, 283, secondo cui: «In mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto al preavviso comporta la prosecuzione dello stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine di preavviso (che peraltro rimane sospeso in caso di sopravvenuta malattia del lavoratore, comunque non oltre il termine del periodo di comporto). Accordo che può essere comprovato anche sulla base di un unico comportamento tacito concludente come quello costituito dall' accettazione senza riserva da parte del lavoratore dell' indennità di mancato preavviso (Cass. 6 agosto 1987 n. 6769; 7 ottobre 1975 n. 3190). Al principio dell'efficacia reale del preavviso si è sostanzialmente attenuta la successiva giurisprudenza (Cass. 21 novembre 2001 n. 14646) che ha collegato la cessazione immediata del rapporto solo ad un accordo tra le parti (Cass. 29 giugno 1999 n. 8256; 21 giugno 1994 n. 5596; 10 febbraio 1989 n. 831; 13 dicembre 1988 n. 6798)».

[2] Conf.  Vallebona, Il trattamento di fine rapporto, ecc., in Giust. civ. 1982,11, 378.

[3] Per una trattazione più ampia delle posizioni,  vedi Meucci, Il rapporto di lavoro nell’impresa, Edizioni Scientifíche Italiane, Napoli 1991, 187 e ss.

[4] V. per tutti, Pera, La cessazione del rapporto di lavoro, Cedam 1980,53 e in Diritto del lavoro, Cedam 1991, 533-534.

[5] Così Cass. 20 marzo 1998, n. 2896, in Not. giurisp. lav.  1998, 331, con nota di precedenti conformi.

[6] Secondo Cass. n. 1758/1999 in Not. giurisp. lav. 1999, 349 (ed in precedenza,  Cass. 25 luglio  1994, n. 6901, ibidem 1994,  772) mancherebbe  nell’ordinamento qualsiasi delega legislativa alla contrattazione collettiva per derogare “convenzionalmente” – anche con clausole di stabilità relativa del rapporto -  alle tassative ipotesi legali di risoluzione del medesimo (con il corrispondente divieto di pattuire una ‘certa età’ come condizione di risoluzione automatica del rapporto ed al tempo stesso  fungente da garanzia di stabilità relativa del medesimo).  Essa ha sancito la nullità, ex art. 1418 c.c., della clausola del ccnl dell’Ente Poste che fissa al 40° anno di contribuzione la risoluzione automatica e senza preavviso del rapporto di lavoro, in quanto contra legem. Dalle argomentazioni svolte se ne deve desumere che l’esonero dal preavviso  per raggiunta età risolutiva del rapporto (anagrafica o contributiva) potrebbe riscontrarsi esclusivamente nella previsione legale di raggiungimento dell’ età per la pensione di vecchiaia (65 anni) o  per l’epoca (anteriore) di estinzione del termine definito dall’opzione esercitata dal dipendente per il raggiungimento della massima anzianità contributiva (ex art. 6 L,. n. 54/’82 e art. n.407/’90), termine comunque non eccedente il 65 anno di età. La massima della decisione così recita: «Nella nuova regolamentazione legislativa (d.l. n. 487 del 1993, conv. in l. n. 71 del 1994) del rapporto di lavoro di diritto privato dei dipendenti dell’ente poste italiane, il contratto collettivo per tale categoria di personale - che non è autorizzato a derogare alla legge non essendo identificabile alcuna c.d. delegificazione della materia, ma solo privatizzazione del rapporto - non può innovare o derogare rispetto alle norme di legge imperative e quindi è nulla (ex art. 1418 c.c.) la previsione contrattuale, secondo cui (a partire dal 31 gennaio 1995) il rapporto di lavoro si risolve automaticamente (senza obbligo di preavviso o di erogare la corrispondente indennità sostitutiva) al raggiungimento della massima anzianità contributiva, con effetto dal giorno successivo al compimento di quaranta anni utili ai fini pensionistici, perché in violazione del principio (di natura inderogabile) secondo cui il rapporto si lavoro si può risolvere solo per licenziamento, per dimissioni, per mutuo consenso o per lo spirare dei termini per la ripresa del servizio previsti dall’art. 18, 5º comma, l. 20 maggio 1970 n. 300».

Successivamente è intervenuta Cass. 13. maggio 2000, n. 6175 (in Lav. giur. 2001, 55 con nota di Pellacani) che ha analogamente disposto per la nullità delle clausole contrattuali, (tuttavia sottraendo le Poste alla sanzione delle 5 mensilità ex art. 18 Stat. lav.), così esprimendosi: « Il rapporto di lavoro dei dipendenti dell’ente poste italiane, come tutti i rapporti di natura privatistica, è regolato dall’ordinaria disciplina civilistica anche con riguardo alle ipotesi di risoluzione; deve, pertanto, considerarsi nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c., per contrasto con norme imperative (codice civile, l. n. 604 del 1966 e l. n. 300 del 1970), l’accordo integrativo del c.c.n.l. per i suddetti dipendenti del 26 novembre 1994, nella parte in cui prevede la risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento della massima anzianità contributiva, dovendo escludersi che la contrattazione collettiva possa, in assenza di una norma che ciò espressamente consenta, prevedere cause estintive del rapporto a tempo indeterminato diverse rispetto a quelle già individuate e disciplinate dall’ordinamento (licenziamento, dimissioni, mutuo consenso ovvero verificarsi delle ipotesi di cui all’art. 18, 5º comma, l. n. 300 del 1970); ne consegue che l’eventuale comunicazione da parte del datore di lavoro di cessazione del rapporto al verificarsi del suddetto evento non costituisce licenziamento, ma risoluzione del rapporto per un fatto oggettivo, sicché alla fattispecie non è applicabile l’art. 18 l. n. 300 del 1970 nella parte relativa alla reintegra nel posto di lavoro, dovendo seguire alla nullità della suddetta clausola esclusivamente la declaratoria di prosecuzione del rapporto».

[7] V. per tutte, Cass. 1 settembre 1987, n. 7151, in Or. giur. lav., 1987, 1079 seguita poi da Cass. 30.5.1989, n. 2613, da Cass. 20.2.1990, n. 1238, da Cass. 30.7.1991, n. 8448, in Mass. giur. lav. 1991, 554 che si ricollegano ad un orientamento consolidato risalente a Cass. 11.5.1978, n. 2313, in Or. giur. lav. 1978, 1091; contra, isolatamente e non condivisibilmente, Cass. 16.5.1995 n. 5356, in Or. giur. lav. 1995, 649, subito smentita dalla posteriore Cass. 27.5.1995, n. 5977, in Dir. prat. lav. 1996, 118. Di recente, in sede di merito, per la nullità di clausole collettive di risoluzione automatica del rapporto al raggiungimento della massima anzianità contributiva dei 40 anni,  App.Bari, sez. lav. 4 aprile 2002 (est. Curzio), in Confronti e intese n.  191, p. 31, riguardante  ancora il ccnl di Poste Italiane Spa.

[8] Cass. 19 marzo 2001 n. 3909 può leggersi in Not. giurisp. lav. 2001, 473. In senso conforme, in precedenza, Cass. 20 maggio 1999 n. 4681, Cass. 4 giugno 1999 n. 5501, Cass. 7 giugno 1999 n. 5584, Cass. 17 giugno 1999 n. 6051, Cass. 28 giugno 1999 n. 6701 (inedite, per quanto consta).

[9] Così Cass. 18.12.1993, n. 12558, in Dir. prat. lav. 1994, 670; Cass. 1.2.1993, n. Il 86, ibidem 1993,1,801; Cass. 26 gennaio 1993, n. 933, ibidem, 1993, 1,801; Cass. 24 luglio 1991, n. 8306, in Mass. giur. lav. 1991, 555, Cass. 22 luglio 1991, n. 8182, in Giust. civ. 1992, I, 1535.

 

 

Ancora sull'efficacia reale del preavviso e indennità sostitutiva

 
1. Genesi e considerazioni sugli effetti della teoria dell’efficacia reale del preavviso
1.1.Problematica in ordine al computo nel preavviso (oggetto di dispensa) dei ratei delle mensilità differite e di ferie maturabili con l’anzianità
 
Per comprendere il fondamento della tesi della “efficacia reale del preavviso” [(elaborata dal quel finissimo giuslavorista bolognese quale fu G. F. Mancini (in “Il recesso unilaterale e i rapporti di lavoro, Il recesso ordinario”, Milano 1962), ed accolta da una ultratrentennale giurisprudenza di Cassazione)] è necessario partire dall’ assioma - non revocabile in dubbio – secondo cui il preavviso corrisponde ad un interesse della parte cd. receduta (che ha cioè subito l’iniziativa del recesso: il lavoratore nel caso del licenziamento, il datore di lavoro, nel caso delle dimissioni).
Nell’opera sopracitata  (pag. 311 e segg.) F. Mancini afferma: «resta, infatti, da chiedersi come operino [i limiti temporali posti al recesso ordinario attraverso l'imposizione dell'obbligo del preavviso], in quali modi si realizzi la loro funzione sospensiva dell'efficacia dell'atto... La dottrina tedesca e, in parte, quella italiana... si sono poste da tempo tali domande e hanno isolato due modi di cui la legge si vale per "limitare" il recesso... Nel primo caso - al cui riguardo si parla di "efficacia reale" della norma che prevede il limite - il potere di recesso è da quest'ultimo qualificato nella sua essenza, non è, per così dire, concepibile senza dì esso, onde prescinderne all'atto di dichiarare la propria volontà di estinzione, significa esercitare non già quel potere, ma un potere diverso che al dichiarante non è attribuito: ovvio, pertanto, che al relativo negozio si applichi la sanzione di nullità o, sussistendone i presupposti, il trattamento sostitutivo dell'articolo 1339, col risultato di sospenderne l'efficacia per tutto il periodo previsto dalla clausola (di preavviso, stabilità, ecc.) che in esso automaticamente si inserisce. Tutto all'opposto, per contro, nella seconda ipotesi in cui la norma istitutiva del limite ha mera efficacia obbligatoria: dal limite, invero, il potere di recesso è ora pienamente autonomo, così che se lo si esercita in tronco il negozio è valido e subito efficace, mentre al suo autore s'impone solo l'obbligo di indennizzare la controparte per il danno causatole dalla intempestiva cessazione». E più avanti l'Autore prosegue: «V’è una ipotesi... in cui stabilire quale strada abbia scelto il legislatore ha fondamentale importanza nonché teorica, pratica: esso è il caso del rapporto di lavoro con particolare riguardo al preavviso che sì collega col negozio di licenziamento. Il motivo principale... può sintetizzarsi osservando come dalla prosecuzione di quello il prestatore abbia per solito tutto da guadagnare... È vero... che perpetuandosi il rapporto, verrà differito il dies a quo del termine per l'impugnazione delle rinunce e delle transazioni (articolo 2113), e che al prestatore si applicheranno tutti i favorevoli effetti derivanti sia dalla maggiore anzianità così conseguita, sia dall'eventuale sopravvenienza di leggi e di contratti collettivi sia, infine, dal verificarsi di eviti il cui rischio è trasferito sul datore di lavoro. Vantaggi dunque non indifferenti: vantaggi peraltro, di cui il prestatore godrà con sicurezza solo se la sospensione dell'efficacia del recesso si imponga alla controparte in forma più drastica che non sia quella dell 'obbligo, poiché in caso contrario - ed è qui il punto - che egli ne goda o non ne goda starà all'arbitrio della controparte, dipenderà dalla scelta cui essa addivenga tra adempimento dell'obbligo e sua violazione». A pag. 334 giunge alla seguente conclusione: «Siamo giunti così al termine della nostra ricerca e il risultato che avevamo di mira può dirsi ormai conseguito: risalendo la scala discesa fin qui, appare infatti evidente che, se l'indennità dell'articolo 2118, c.p.v., è dovuta dal solo datore, diviene legittimo individuarvi un'applicazione dei principi che reggono il risarcimento per mora accipiendi nel rapporto di lavoro; e se è dimostrato che il licenziamento senza preavviso configura un'ipotesi di mora accipiendi, sembra pure inevitabile concludere che, nel medesimo rapporto, la regola del preavviso ha efficacia reale». Con sfumature formalmente diverse ma sostanzialmente coincidenti sì esprime G. Ghezzi ne “La mora del creditore nel rapporto di lavoro”, Milano 1965, 154  e segg., secondo cui: «Pare ormai acquisito... il rilievo secondo il quale la funzione del preavviso... consiste... nell'incidere iure, cioè in modo diretto ed immediato, sul potere di sciogliere unilateralmente il rapporto giuridico, apponendo al negozio di recesso, un termine iniziale e sospensivo di efficacia» e ancora che: «... se il preavviso differisce gli effetti estintivi del recesso fino al decorso di un certo periodo..., ciò significa che il rapporto giuridico non si estingue, ma, al contrario, sopravvive e perdura sinchè il termine finale non venga raggiunto» e infine che «... l'articolo 2118, comma 2, con puntuale rispondenza al principio generale enunciato dall'ultimo comma dell'articolo 6 del regio decreto [n. 1824] del 1924, obbliga [il datore di lavoro] a corrispondere al lavoratore, le cui operae sono state illegittimamente rifiutate durante il periodo in parola, il lucro cessante integrale, senza che si possa operare deduzione di sorta» e successivamente, a pagina 265: «... la mora accipiendi..., se il contratto è a tempo indeterminato, non può spiegare effetti oltre il dies ad quem del periodo di preavviso...».
La teoria si fonda quindi sulla “mora del debitore” e, nel caso del datore di lavoro, sulla di lui “mora accipiendi” nei confronti della prestazione offertagli dal lavoratore,  e trova il suo riscontro fondato in una interpretazione evolutiva dell’art. 2118 c.c., ove si prevede che, in caso di mancato preavviso (lavorato) spetta “una indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso” (che sarebbe stato lavorato), ove “retribuzione” è considerato a ragione termine atecnico, stando ad indicare il “complessivo trattamento economico-normativo” che sarebbe spettato per il periodo di preavviso nel caso fosse stato lavorato.
L’equiparazione è stata effettuata in ragione della  preclusione - opposta  da  colui che esercita l’iniziativa di recesso  (sia in caso di licenziamento che di dimissioni) nei confronti di colui che subisce tale iniziativa -  di consentirgli di optare per l’alternativa fra il consentire lo spiegamento in servizio del  normale preavviso (lavorato o lavorabile) ed il negarlo, a propria discrezione o meglio ad libitum. Se il cd “receduto” (destinatario cioè del recesso ad iniziativa altrui) sceglie la soluzione di negare la cd. “lavorabilità” del preavviso (ipotizziamo, nel caso più frequente, in fattispecie di licenziamento ad nutum del dirigente o per giustificato motivo, per gli altri)  egli si si pone in condizione di mora accipiendi, e può liberarsi del lavoratore seduta stante solo sopportando l’onere economico conseguente alla permanenza virtuale del rapporto, con le obbligazioni sottostanti, fino alla scadenza del preavviso, di cui ha per scelta consapevole impedito al lavoratore (parte receduta intrinsecamente interessata ad una prestazione nel corso di esso) di fornire la prestazione.
Si tratta di un’applicazione che qualcuno etichetterebbe come “giustizialista”, ma dovremmo più correttamente qualificarla  “sanamente giustizialista”, perchè non si può lasciare indenni dalle conseguenze di una scelta (quella di non far prestare il preavviso lavorato a chi ha interesse a farlo, in caso di licenziamento, o all’azienda di pretenderlo lavorato in caso di dimissioni del prestatore) colui che per tal via comprime l’interesse della parte cd. “receduta”.
Spesso il datore di lavoro dispensa o esonera dal preavviso lavorato per motivi concretisssimi: perchè durante il preavviso il lavoratore avrebbe maturato uno scatto tabellare o uno scatto di anzianità con conseguenze di implementazione della retribuzione anche agli effetti del t.f.r., dei ratei di 13 e 14 mensilità, per non fargli maturare ratei di ferie, per evitare che sia costretto alla prosecuzione del rapporto, nei limiti del cd. comporto, se nel corso del preavviso lavorato il lavoratore cade in malattia o infortunio.
Se si sottrae diligentemente a quest’ultimi rischi mediante una immediata risoluzione del rapporto, sembra equa la soluzione che - quantomeno ai fini indennitari e della maturazione degli istituti di retribuzione diretta e differita e delle ferie – debba  considerare il rapporto virtualmente in essere (cfr. da ultimo Cass. 30.8.2004 n. 17334).
Così d’altra parte si comporta con una certa analogia lo stesso Inps dal lato previdenziale – sin dal 1980 – che pur considerando risolto alla data della percezione dell’indennità sostitutiva del preavviso il rapporto di lavoro, minimizza i pregiudizi previdenziali per effetto della equiparazione – tramite procedimento di finzione contabile – della contribuzione versata dal datore di lavoro (per assoggettamento ex lege dell’indennità sostitutiva del preavviso) che si distribuisce lungo tutti i mesi per i quali è contrattualmente prevista la corresponsione dell’indennità in sostituzione del preavviso lavorato.
A nostro avviso non si attualizza – come altri affermano superficialmente – alcuna disarmonia fra chi il preavviso lo lavora e chi ne è impedito, in quanto semmai una qual discriminazione  la compie  eventualmente “a monte” il datore di lavoro, quando fa la scelta del cd. “mancato preavviso”.
Secondo un Autore - sostenitore del reflusso dall’originaria “efficacia” reale ad una “efficacia meramente obbligatoria” (M. Viceconte, “La vicenda giuridica della c.d. efficacia reale del preavviso di recesso”, in Lav. prev. Oggi, 12/2004, 1865 e segg.), le cui considerazioni non incontrano il nostro consenso - il reflusso verso il preavviso come “obbligazione meramente alternativa”, sarebbe conseguito dalle seguenti osservazioni: «A seguito della crisi industriale della fine degli anni '80 e dell'inizio degli anni '90, cambiato il clima generale e la stessa visione dell'ordinamento del lavoro, ridisegnato e ridimensionato il favor del lavoratore subordinato (introduzione e riconoscimento della validità degli accordi peggiorativi, attenuazione delle tutele in genere, rivalutazione in particolare della volontà delle parti nel contratto) ci pare di scorgere un addensarsi statistico, gaussiano, delle sentenze che o richiamandosi al meccanismo del consenso delle parti, anche per fatti concludenti (Cass 22 luglio 1987, n. 6397, Orient. giur. lav., 1987, 1080; Cass. 30 luglio 1987, n. 6620 in Sett. giur., 1988, II, 369; Cass 6 agosto 1987, n. 6769 in Riv. it. dir. lav., 1988, II, 276; Cass 12 agosto 1987, n. 6903, in Giut., civ. Mass., 8-9, 1987; Cass.13 dicembre 1988, n. 6798, Giur. it., 1989 I, 1, 1890), o richiamandosi alla rinuncia del lavoratore (Cass. 23 gennaio 1987, n. 669) o semplicemente col ritorno all'originaria concezione dell' obbligazione alternativa (Cass.10 febbraio 1989, n. 831) mirano a contenere l'efficacia reale del preavviso con la conseguenza dell'estinzione immediata del rapporto all'intimazione del recesso». Tale riflusso sarebbe testimoniato nella recente giurisprudenza da Cass. 19 gennaio 2004, n. 741 (in Mass. giur. lav., 8/9, 2004, 601 segg., con nota di S. Bruzzone, sul punto  a pagina 603) che nella motivazione così afferma: «non è vero infatti che, in caso di recesso ad nutum, per addivenire alla cessazione immediata del rapporto, sia necessario il consenso del contraente non recedente. Non si dubita invero della efficacia cd. reale del preavviso, ove nel relativo periodo si presti l'attività lavorativa: in tal caso restano fermi i diritti e gli obblighi facenti capo alle parti. Viceversa, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, altrettanto immediatamente il rapporto si risolve, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva. Infatti l'articolo 2118 c.c. non fa cenno alla necessità del consenso della parte non recedente», opinione sconfessata successivamente a 7 mesi di distanza da Cass. 30 agosto 2004 n. 17334 (est. Cataldi) che ne ha riaffermato invece l’efficacia reale (cfr. 2.2.).
 
2. Le posizioni in dottrina e in giurisprudenza sulla cd. “efficacia reale” del preavviso
La problematica  di cui al titolo 2. non è nuova.
2.1. In dottrina:
Oltre agli autori (Mancini e Ghezzi) innanzi menzionati, è stato brillantemente spiegato e detto con chiarezza cristallina, da altro eminente giuslavorista quale G. Pera [(in  “La cessazione del rapporto di lavoro”, in Enciclopedia Giuridica del Lavoro, diretta da Mazzoni – Padova 1980, vol.5,  49 e segg. - al Cap. VI “Preavviso” (ed esonero unilaterale tramite indennità sostitutiva)], quanto segue:
«La questione grossa che si è discussa in passato e che oramai può considerarsi risolta in un determinato senso, tanto che mi risparmio citazioni, è quella della “efficacia reale “ o no della regola del preavviso. Il capoverso dell'art. 2118 cod. civ. recita: “In mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso” (indennità di mancato preavviso). Suppongo che la persona del tutto ignara che legga un testo siffatto non abbia dubbi: la parte che recede o dà il preavviso (lavorato) oppure paga l'indennità sostitutiva, secondo una sua libera scelta; tratterebbesi, così, di un'obbligazione alternativa . Invece non è cosi; ed è appunto di qui che comincia, almeno in parte, il processo di disaggregazione di cui ho detto. Il preavviso, si dice in una consolidatissima giurisprudenza e nella dottrina ormai generalmente acquiescente, ha efficacia reale. Per potersi avere, giuridicamente (niente può impedire l'estromissione di fatto del lavoratore), la sostituzione del preavviso con l'indennità e, quindi, l'immediata estinzione del rapporto, è necessario che la parte receduta consenta a tanto; altrimenti, ove il receduto non consenta ed anche se vi sia l'immediata estromissione di fatto, il rapporto deve considerarsi giuridicamente estinto, con tutte le conseguenze, nel giorno che altrimenti sarebbe stato l'ultimo del preavviso lavorato.
La cosa può apparire paradossale, almeno ove si consideri la situazione nell'ipotesi di licenziamento: ti mandano via subito, risparmiandoti l'obbligo di lavoro per tre mesi e per giunta ti corrispondono la retribuzione che avresti percepito in quel periodo; ma cosa vuoi? Hai anche tutto il tempo libero per cercare un altro posto.
Sennonché vi possono essere per il lavoratore licenziato altre buone ragioni per pretendere di essere considerato giuridicamente in servizio per il periodo di preavviso, in situazioni che, rovesciando la posizione, possono muovere l'interesse contrario del datore di lavoro. Si può essere alla vigilia di un nuovo contratto collettivo che, presumibilmente, comporterà aumenti retributivi rilevanti ai fini della liquidazione del t.f.r.; può essere imminente la maturazione di un altro scatto di anzianità etc. Per tutto questo si comprende, con tutte le riserve possibili in ragione del testo di legge che pare inequivocabile, come si sia affermata la tesi dell'efficacia reale; tesi che, dopo lo statuto dei lavoratori del 1970, con la garanzia dell'esplicazione dei diritti sindacali nei luoghi di lavoro, è da considerarsi per altro verso rafforzata. Infatti, se il datore di lavoro è di fatto libero di non far accedere in azienda il lavoratore per la prestazione lavorativa, non può certo inibirgli, ad es., l’ingresso per poter partecipare ad un'assemblea del personale ex art. 20 statuto; un siffatto comportamento è qualificabile come antisindacale e può sboccare nello speciale procedimento di repressione di cui all'art. 28 legge n. 300 del 1970».
 
2.2. In giurisprudenza:
Recentemente ha riaffermato la teoria della “efficacia  reale” del preavviso, Cass. 30.8.2004 n. 17334 (Pres. Senese, Rel. Cataldi) -   in Lav.giur. 2005, 283 - secondo cui: «In mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata del rapporto, il diritto al preavviso comporta la prosecuzione dello stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine di preavviso (che peraltro rimane sospeso in caso di sopravvenuta malattia del lavoratore, comunque non oltre il termine del periodo di comporto). Accordo che può essere comprovato anche sulla base di un unico comportamento tacito concludente come quello costituito dall' accettazione senza riserva da parte del lavoratore dell' indennità di mancato preavviso (Cass. 6 agosto 1987 n. 6769; 7 ottobre 1975 n. 3190). Al principio dell'efficacia reale del preavviso si è sostanzialmente attenuta la successiva giurisprudenza (Cass. 21 novembre 2001 n. 14646) che ha collegato la cessazione immediata del rapporto solo ad un accordo tra le parti (Cass. 29 giugno 1999 n. 8256; 21 giugno 1994 n. 5596; 10 febbraio 1989 n. 831; 13 dicembre 1988 n. 6798)».
In precedenza, nello stesso senso e da vecchia data,  si registrano:  Pret. Milano 4 aprile 1979, in Or. giur. lav., 1979, 758; conf. Pret. Milano 18 agosto 1980, ibidem, 1980, 904; Cass. 19 dicembre 1981, n. 6733, in Riv. it. dir. lav., 1982, II, 751 con nota di Pirelli; Pret. Genova 27 settembre 1983, in Foro it.,1985, I, 2431, il cui orientamento comune così suona:  «Mentre l'obbligo del preavviso lavorabile non può essere preventivamente limitato o escluso dalla volontà delle parti, rientra invece nella loro libera disponibilità la regolamentazione dei successivi profili economici connessi allo svolgimento del rapporto, nel senso che, manifestato il recesso, le parti possono anticipare o posporre la cessazione del rapporto rispetto ai termine del preavviso lavorabile e regolarne gli effetti economici».
In definitiva la teoria dell’efficacia reale del preavviso comporta come conseguenza  il fatto che -  anche nel caso di licenziamento intimato con esonero (in tale periodo) dalla prestazione lavorativa e con il contestuale riconoscimento dell'indennità sostitutiva (e quindi non diversamente dal caso del c.d. “preavviso lavorato”)   - il rapporto (con le connesse obbligazioni) prosegue virtualmente a tutti gli effetti per l'intera durata del preavviso, salvo il consenso della parte che subisce il recesso all’immediata o anticipata risoluzione dello stesso (conf. Cass. 6 agosto 1987 n. 6769). Lo stesso effetto si verifica in senso (dovremmo dire) bilaterale, cioè a dire nella fattispecie in cui la parte destinataria dell’iniziativa di recesso sia l’azienda, raggiunta dalle dimissioni del lavoratore. Nel caso di carenza di consenso aziendale alla rinuncia del preavviso lavorato durante le dimissioni (es. per esigenze di effettuazione delle consegne), il rapporto prosegue virtualmente fino all’estinzione naturale del termine del preavviso, con la conseguenza che il lavoratore che preferisca sottrarvisi dovrà corrispondere all’azienda l’indennità sostitutiva calcolata computandovi (a proprio carico e quindi quale negatività per il proprio bilancio) i ratei  degli eventuali incrementi retributivi conseguenti ad un sopravvenuto rinnovo, quelli delle mensilità supplementari  e delle ferie maturande nell’arco del preavviso lavorabile ma non lavorato, per personalissima scelta di convenienza.
Concludendo sul punto, la suprema Corte - salvo rarissime eccezioni - è  decisamente orientata per la nullità delle clausole contrattuali di preventiva esclusione dal preavviso lavorato, sostituito dall'alternativa  pure e semplice della corresponsione dell'indennità sostitutiva, calcolata secondo i parametri retributivi fermi alla data del recesso. Quindi  l’indennità sostitutiva si legittima solo se il suo computo terrà conto di quanto retributivamente e normativamente interviene nell’arco di protrazione virtuale del preavviso fino all’epoca del termine naturale (inosservato per scelta della parte, dei cui oneri negativi -  sia  essa l’azienda che licenzia sia esso  il lavoratore che si dimette - dovranno farsi a loro volta carico).
La Cassazione peraltro ritiene invece che, fermo l'obbligo dell'intimazione del preavviso (lavorabile), le parti - sia individualmente sia tramite pattuizione degli agenti negoziali a livello contrattuale - possano legittimamente, ed ex post, disciplinare (in conformità, tuttavia, alla ratio secondo cui il preavviso è posto nell'interesse della parte che subisce l'iniziativa di recesso, cioè l'azienda in caso di dimissioni e il prestatore, in caso di licenziamento) gli aspetti di prestazione e/o economici del preavviso. L'orientamento può cosi sintetizzarsi, con le parole della Cassazione: «la normativa del preavviso non è derogabile in favore del recedente, perché ciò comporterebbe nocumento al contrapposto diritto della parte non recedente nel cui interesse la norma è dettata; mentre non può considerarsi legittima la disposizione di un contratto collettivo che esoneri il recedente dall'obbligo del preavviso, è invece del tutto legittima quella che, fermo restando tale obbligo, riconosce la facoltà per la parte non recedente di dispensare ex post il recedente dagli obblighi a lui derivanti dal preavviso (prestazione in servizio, n.d.r.), in quanto la disciplina degli aspetti economici connessi allo scioglimento del rapporto non è sottratta, sotto tale profilo, all'autonoma disponibilità delle parti, le quali in sede di contrattazione sia individuate che collettiva, possono perciò validamente pattuire la facoltà per il non recedente - che abbia ricevuto la comunicazione del preavviso - di troncare immediatamente il rapporto di lavoro, senza che ne derivi alcun obbligo di indennizzo per il periodo di preavviso non compiuto»(Cass. 13 marzo 1978, n. 1257, in Not. giur. lav., 1978, 326 e Cass. 21 gennaio 1982, n. 403, in Giust. civ., 1982,1, 1266).
Ne consegue che al lavoratore licenziato con erogazione aziendale dell’indennità sostitutiva del preavviso (in via unilaterale ed al posto del preavviso lavorato) spetta una “indennità” comprensiva di tutto quanto egli maturerebbe nel periodo che gli è stato impedito di prestare nella cd. ipotesi normale di preavviso lavorato (quindi ratei di 13 e 14 ma e i ratei di ferie nel frattempo maturandi in relazione alla maggiore anzianità per preavviso virtuale).
A questo specifico riguardo, in tema di  “non interferenza tra  ferie e preavviso”, l’art. 2109, ultimo comma, c.c. (che stabilisce  che,  nella fase in cui il rapporto entra in scadenza, non possano essere scontati come ferie i giorni di preavviso concessi ai sensi dell’art. 2118 c.c.) sta solo a significare – con dizione da tutti riconosciuta infelice - che il datore di lavoro non può pretendere di far fruire al lavoratore le ferie maturate nell’anno durante il periodo di preavviso, essendo il preavviso finalizzato anche alla ricerca di una nuova occupazione da parte del lavoratore licenziato, non compatibile con l’esigenza ricreativa delle ferie; nè il lavoratore dimissionario può pretendere, da parte sua, di fruire (scontare o computare) nel preavviso le proprie ferie residue in quanto vanificherebbe l’esigenza del datore di lavoro di ricevere una prestazione effettiva finalizzata al cd. passaggio delle consegne (conf. ex plurimis, R. Scognamiglio, Diritto del lavoro, Napoli 1990,  245).
 
3. Sospensione del decorso del preavviso per intervenuta malattia
In argomento, un cenno merita anche la questione dell'insorgenza della malattia nel corso dello spiegamento del preavviso.
Ai sensi del comma 2° dell'art. 2110 c.c., la malattia, l'infortunio, la gravidanza ed il puerperio sospendono l'efficacia dell'atto di recesso e la parte se ne riappropria una volta superato l'evento o (se questo si protrae nel tempo) una volta decorso il periodo contrattualmente previsto per la conservazione del posto ovvero definito dagli usi o secondo equità (cd. comporto).
Naturalmente l'effetto sospensivo sul decorso del preavviso ad opera di evento morboso (e la conseguente protrazione del rapporto per la durata della malattia) cessa qualora durante la malattia emerga una giusta causa che legittimi, ex art. 2119 c.c., la risoluzione istantanea del rapporto.
Sull'efficacia sospensiva del preavviso ad opera di malattia, la giurisprudenza della S. Corte è oramai consolidata, mentre sono da registrare in dottrina taluni motivati dissensi in relazione agli effetti di incontrollabile spostamento della data di estinzione del rapporto, in conseguenza dell'evento suddetto.  La S. Corte ha, al riguardo, assunto un orientamento univoco, ripetuto in diverse decisioni ed esplicitato nei seguenti termini: «il comma 2° dell'art. 2110 c.c., riguardante tra l'altro la prosecuzione del rapporto ed il divieto di licenziamento durante il periodo di malattia, è diretto ad assicurare al lavoratore un trattamento economico ed assistenziale durante la malattia, e si estende anche al l'ipotesi in cui sia stata esercitata da una delle parti di facoltà di recesso e penda il periodo di preavviso» (così, per tutte, Cass. n. 4915/1983). «Tale periodo rimane pertanto sospeso fino alla guarigione del lavoratore o fino alla scadenza del periodo di comporto; perdurando, medio tempore, il rapporto di lavoro, ad esso debbono applicarsi tutte le norme di legge o di contratto collettivo, eventualmente più favorevoli al lavoratore entrate in vigore durante il decorso del termine del preavviso» (così, per tutte, Cass. n. 451/1981; Cass. 27.6.2003 n. 10272; Cass. 30.8.2004 n. 17334).
Anche la questione circa la sospensione o meno del preavviso - al sopravvenire di malattia - in caso di dimissioni, è stata risolta nell'identico senso della sospensione del preavviso in caso di licenziamento: cioè sulla base dell'oggettività dell'evento malattia, interruttivo, in ogni caso, dello svolgimento del rapporto, a prescindere dalla parte che assume l'iniziativa a carattere rescissorio.  La conclusione appare convincente e condivisibile, perché qualora si fosse negato alla malattia efficacia interruttiva del preavviso dato dal dimissionario, si sarebbe privata la parte receduta (nel cui interesse è posto il preavviso medesimo), e cioè il datore di lavoro, di questo periodo di tempo di prestazione lavorativa  effettiva del dimissionario, eventualmente necessario per l'effettuazione delle cd. consegne ad altro lavoratore e per la conseguente adeguata sostituzione. Il principio dell'interruzione del preavviso per sopravvenuta malattia è operativo altresì nell'ipotesi di licenziamento per età pensionabile (così, per tutte, Cass. n. 4624/1980), con effetti pratici (invero talora perversi), quali quello dello spostamento - tanto più incisivo quanto più sapiente - dell'epoca di risoluzione del rapporto, preventivata dall'azienda.
 
4. Spettanza del preavviso (o indennità sostitutiva) per risoluzione al raggiungimento dell’età pensionabile
Tematica molto agitata in passato e oramai paficicamente risolta fin dalla metà degli anni ’90 è quella riferite nel titolo del presente punto 4.
In buona sostanza, nel caso di licenziamento dovuto al raggiungimento dell'età pensionabile intimato prima del compimento di tale età, la giurisprudenza ha accolto l'orientamento secondo il quale il periodo di preavviso decorre comunque dal raggiungimento da parte del lavoratore dell'età pensionabile anche se nella lettera di licenziamento era stata prevista una decorrenza diversa. Conseguentemente il lavoratore che - in mancanza di clausola contrattuale di automatica risoluzione del rapporto di lavoro - sia stato licenziato "ad nutum" prima del raggiungimento dell'età pensionabile, ma con decorrenza differita a tale momento, ha diritto all'indennità di mancato preavviso.
L’orientamento giurisprudenziale è desumibile e esplicitato nelle seguenti massime:
« Nel campo dei rapporti di lavoro di natura privatistica non opera l'automaticità del collocamento a riposo in relazione al raggiungimento del limite di età previsto dalla legge, come avviene invece nell'ambito del pubblico impiego, ma occorre sempre, per la risoluzione del rapporta il preavviso, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2118 e 2119 c. c. È pertanto nulla per contrasto con la suddetta normativa civilistica di carattere inderogabile, la clausola contrattuale  che esoneri il datore di lavoro dal preavviso nell'ipotesi di recesso per raggiunti limiti di età» [(così Cass. sez. lav. 25.7.1994 n. 6901 – Pres. Mollica – Est. Mileo (in Not. giur. lav. 1994, 772 ove  trovasi menzione di altre conformi); cui adde,  Cass. 27.5.1995, n. 5977, in Lav. prev. oggi, 1996, 1281]. Con la conseguente spettanza  sia nel caso di intimazione anticipata per iscritto della risoluzione del rapporto (normalmente in numero di mesi pari a quelli atti a far scadere il termine di preavviso in coincidenza con l’età pensionabile,  comunicazione cui la giurisprudenza riconosce non tanto valore di preavviso ma mero atto idoneo a ricordare la scadenza al lavoratore) sia nel caso di mancata intimazione, compete al pensionando l’indennità sostitutiva del preavviso (con tutti gli effetti virtuali di efficacia reale del medesimo al sopravvenire nel corso di benefici contrattuali et similia).
Lo stesso principio si desume da altra massima, la quale mette in luce, al tempo stesso, la deroga al principio soprariferito in presenza di  sola clausola pattizia o contrattuale di risoluzione automatica assistita da  clausola convenzionale di stabilità d’impiego (normalmente tipica del pubblico impiego o di taluni enti pubblici): « Al di fuori dell' ipotesi in cui la contrattazione collettiva contenga una clausola di stabilità relativa (preclusiva di licenziamento discrezionale fino ad una certa età, normalmente quella pensionabile nel pubblico impiego) ed al tempo stesso prevedente la risoluzione automatica (senza preavviso) del rapporto di lavoro al raggiungimento di detta età prestabilita del lavoratore, il conseguimento da parte di quest'ultimo dell'età pensionabile, se abilita successivamente il datore di lavoro a procedere al licenziamento ad nutum, non esonera lo stesso dal concedere il preavviso di licenziamento e, in difetto della relativa intimazione, dal pagamento della indennità sostitutiva» (così, Cass. sez. lav. 20 marzo 1998, n. 2986 - Pres. Pontrandolfi - Est Coletti, in Not. giur. lav. 1998, 331; più di recente Cass. 6.2.2004, n. 2339, Pres. Mattone,  rel. Vigolo, in Lav. e prev. oggi 2004, 531; conf. 30.7.1991, n. 8448 in Mass. giur. lav. 1991, 554; Cass. 20.2.1990, n. 1238, ivi, Mass.  Cass. 1990, 46, n. 159; Cass. 30.5. 1991, in Not. giur. lav. 1989, 582).
 
5. Spettanza dell’indennità sostitutiva del preavviso in caso di licenziamento illegittimo occasionante estinzione del rapporto
 
Un’altra affermazione di principio di estremo interesse in tema di preavviso è stata recentissimamente effettuata da Cass. del 14 giugno 2006 n. 13732 (Pres. Ravagnani, est. Miani Canevari, inedita a quanto consta), tramite la quale è stato affermato il successivo principio di diritto, devoluto all’applicazione del giudice di rinvio designato nella Corte d’Appello di Firenze, a seguito di cassazione della non condivisa statuizione della Corte d’Appello di Perugia, principio  secondo cui: « la violazione dell'obbligo di preavviso del licenziamento, stabilito dall'art. 2118 cod. civ., comporta; l'attribuzione della relativa indennità sostitutiva in tutti i casi in cui il licenziamento abbia determinato l'estinzione del rapporto, indipendentemente dal riconoscimento della indennità, risarcitoria di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8, nel testo sostituito dalla L. n. 108 del 1990, art. 2».
Con la sentenza soprariferita la S. corte riconosce la non correttezza della sentenza di merito che - affermata l'illegittimità del licenziamento irrogato al lavoratore (per violazione dell'art. 7 dello Statuto dei lavoratori) e attribuita quindi l'indennità risarcitoria prevista dal regime della c.d. tutela obbligatoria di cui all'art. 8 della legge n. 604/66 - aveva tuttavia negato il diritto del lavoratore all'indennità sostitutiva del preavviso, sostenendo che la stessa sarebbe connessa unicamente al recesso ex art. 2118 c.c. (cd. recesso ad nutum o discrezionale) e perciò suppostamente incompatibile, nella fattispecie decisa (azienda dimensionata aldisotto dei limiti di applicabilità dell’art. 18 l. n. 300/70), con l'ipotesi del licenziamento illegittimo in regime di tutela obbligatoria. Regime  che, prevedendo la indennità risarcitoria, comporterebbe (secondo la non  condivisa opinione della corte di merito) esclusivamente il diritto al risarcimento del danno, esaustivamente determinato dall'art. 8 della legge n. 604/66. Ad avviso della sentenza in esame emessa dalla Cassazione, tale principio, benché fatto proprio dalla stessa S.C. con la sentenza dell'8.2.2000, n. 1404, non può essere condiviso. Rileva infatti la Cassazione che la regola del preavviso di cui all'art. 2118 c.c. - la cui funzione, come chiarito anche dalle Sezioni Unite con la sentenza del 29.7.1994, n. 7914, non è quella di risarcire un danno in senso giuridico, ma  un danno in senso economico - si applica, in via generale, in tutti i casi in cui, fuori dall'ipotesi di giusta causa ex art. 2119 c.c., il recesso abbia determinato l'estinzione del rapporto.  Ad avviso della recentissima sentenza in commento, l'opposta impostazione non distingue, invero, le fattispecie in cui il licenziamento, seppur illegittimo, produce comunque l'estinzione del rapporto, da quelle in cui l'effetto estintivo è escluso dalla tutela di legge (per effetto della continuità giuridica del rapporto mai interrotto grazie alla tutela reale reintegratoria), tanto è vero che la sentenza n. 1404/2000 richiama come precedente conforme la sentenza n. 12366 del 5.12.97 che riguardava proprio il caso in cui il recesso, sebbene illegittimo, non aveva determinato l'estinzione del rapporto, essendo applicabile la cd. tutela reale. Nella fattispecie in cui si applica solo la tutela obbligatoria, invero, il licenziamento determina, appunto, l'estinzione del rapporto di lavoro e di conseguenza, a prescindere dal risarcimento del danno conseguente all'illegittimo recesso (cioè dalla monetizzazione indennitaria prevista dalla l. n. 108/’90 e graduata secondo l’anzianità di servizio) deve essere riconosciuto il diritto all'indennità sostitutiva del preavviso (in sede di merito, conf., in precedenza,  Trib. Milano 16/4/2003, est. Marasco, in D&L 2003, 789, con nota di G. Bulgarini d'Elci, Sul diritto all'indennità di mancato preavviso in caso di licenziamento illegittimo nell'area della tutela obbligatoria).

Mario Meucci

Roma, 12 febbraio 2007

 

(pubblicato in Consulenza, Buffetti ed., n.9/2007)
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