LE PROMOZIONI DI MERITO NEL SETTORE CREDITO

 

Sommario:

  1. La procedimentalizzazione contrattuale del potere promotivo aziendale

  2. L’orientamento giurisprudenziale consolidato

  3. Sanzioni  e misure riparatorie di promozioni illegittime

  4. Dotazione di sistemi gestionali per corrette valutazioni di merito comparativo

 

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1. La procedimentalizzazione contrattuale del potere promotivo aziendale

Per le promozioni nel settore del credito, gli agenti contrattuali (sia a livello direttivo che impiegatizio) hanno proceduralizzato criteri vincolanti e limitativi del potere discrezionale aziendale.

Criteri taluno dei quali, purtroppo, prefigurato -  ad es. dall’art. 57 ccnl 22 novembre 1990 e dal successivo del 22.6.1995, per il personale direttivo - in maniera eccessivamente evanescente (es., attitudine a ricoprire il grado), altri invece dotati di maggiore concretezza ed idoneità al riscontro oggettivo (es., capacità professionale, precedenti di lavoro e di carriera dell’interessato).

Va preliminarmente espresso il convincimento che le promozioni, sia degli impiegati alle superiori qualifiche sia dei funzionari nei gradi e fino alla qualifica di dirigente, concretizzano la fattispecie giuridica delle promozioni a scelta  aziendale per merito comparativo tra più candidati provvisti di idoneità di base. D’altra parte qualsiasi promozione, a nostro avviso, postula di per sé - per sottrarsi a fondati addebiti di parzialità o di clientelismo - il raffronto (cioè la comparazione) dei rispettivi meriti di più candidati, parimenti interessati all’avanzamento di carriera. Resta insindacabile invece, in capo all’azienda, la determinazione inerente al fatto di effettuare (o meno) le promozioni nonché la consistenza delle stesse, in ragione delle proprie specifiche esigenze organizzativo-funzionali.

Una volta che tuttavia l’azienda abbia autonomamente deliberato sull’an e sul quantum dei promuovendi, resta indiscutibilmente vincolata a sviluppare l’iter promotivo nel rispetto della metodologia del raffronto - in capo ai vari candidati - dei requisiti meritocratici contrattualmente convenuti (attitudine a ricoprire il grado, capacità professionale, precedenti di carriera e di lavoro).

 

2. L’orientamento giurisprudenziale consolidato

La tematica delle promozioni nel settore del credito - ed invero eminentemente in quello delle Casse di risparmio - ha ricevuto solo nell’ultimo decennio un corretto riconoscimento di rilevanza giuridica ad opera di meritorie enunciazioni di principio delle sezioni unite della Cassazione (a partire dalla storica Cass. n. 5688 del 2 novembre 1979, in Foro it. 1979, I, 2548). La S. Corte, dichiarando superato il precedente orientamento (di cui a sez. un. 10 febbraio 1975 n. 510) è giunta ad asserire che, in materia di progressione di carriera nel settore in questione, il dipendente non versa in una posizione avente la consistenza della mera aspettativa (sfornita pertanto di ogni tutela giuridica) ma in quella connotata da un vero e proprio diritto soggettivo. Diritto che attiene non tanto alla progressione di carriera in sé e per sé, quanto al fatto che le modalità strumentali - tramite cui l’azienda perviene all’individuazione dei promossi - siano indefettibilmente improntate a criteri di correttezza e buona fede (ex artt. 1175 e 1375 c.c.) nella veste dell’imparzialità valutativa.

Con una nutrita serie di decisioni che oramai concretizzano un orientamento consolidato (Cass. sez. un. n. 5800/1980 e n. 1/1980; Cass. 27 maggio 1983 n. 3675, in Giust. civ. 1983, I, 2270 con nota di Meucci; Cass. 22 gennaio 1985 n. 1603, in Lav. prev. oggi 1985, 2402, ancora con nota di Meucci; Cass. 13 giugno 1987 n. 5226; Cass. 29 aprile 1993 n. 5026, in Giur. it. 1994, I, 1, 234; Cass. 10 gennaio 1994 n. 158, ibidem 1994, I, 1, 1761) la Cassazione ha stabilito i seguenti principi:

     a) l’obbligo aziendale di motivare la scelta promotiva, mediante una esternazione ai non promossi - che ne abbiano fatto richiesta - delle ragioni della loro esclusione, congiunta alla facoltà di cognizione egli atti formativi del procedimento promotivo che li ha interessati (purtroppo con esito negativo). Atti che, del tutto condivisibilmente, Cass. n. 1603/1985 si premura di precisare come “non possono rimanere interna corporis dell’azienda”. Il tutto affinché sia consentito agli esclusi di valutare come e perché il datore di lavoro - investito del compito neutrale della scelta meritocratica - ha operato ed eventualmente convenire con le conclusioni aziendalmente raggiunte ovvero dissentire da esse, senza che il non promosso, per rendersi conto delle motivazioni datoriali, debba acriticamente investire la magistratura, in un’ottica di esasperazione dei rapporti tra impresa e dipendente, suscettibile di risolversi a favore di quest’ultima a causa delle intuitive remore psicologiche del prestatore di lavoro ad intraprendere un’azione giudiziaria che - anche qualora fosse di mero accertamento - viene interpretata dall’azienda come frattura inemarginabile all’interno del rapporto di lavoro subordinato.

Tale obbligo di motivazione dell’esclusione dal novero dei promossi - esclusione non tanto isolatamente considerata quanto in rapporto alla preferenza accordata ad altri candidati suscettibili di comparazione con l’escluso - costituisce, peraltro, uno stimolo verso la dismissione da parte aziendale di oscurantiste prassi (o certezze) di insindacabilità, perpetuatesi all’insegna dell’autoritario quanto desueto principio del “fidati di me”. Principio da tempo posto più in crisi che in discussione in tutte le comunità (da quella familiare a quella di lavoro a quella politica) sia per effetto del processo di scolarizzazione sia in conseguenza dell’acquisito senso critico e di dignità individuale, correlato alla complessiva crescita della società civile.

E’ quindi del tutto naturale che il cittadino-prestatore di lavoro esiga, civilmente e con maturità, di confrontare le proprie personali aspettative ed i propri individuali convincimenti (in ordine alla progressione di carriera) con quelli raggiunti, con una panoramica più vasta, dall’organo o ufficio di gestione aziendale delle risorse umane, tenuto - in un’ottica di trasparenza e di rispetto dei principi di democrazia - a fornire i richiesti chiarimenti.

E la richiesta è tanto più pressante, motivata e comprensibile in quanto alla caduta verticale di disponibilità del cittadino ad accordare fiducia cieca ed incondizionata ad Enti od organismi (pubblici e privati) gestori delle proprie aspettative, interessi o diritti soggettivi, si coniuga, nella fattispecie promotiva, il sacrificio di tali interessi a beneficio diretto di soggetti in concorrenza professionale, talora bonaria, talora esasperata;

     b) addizionalmente l’obbligo aziendale di motivazione si impone, secondo la magistratura, non solo per autoconsapevolezza dei singoli ma anche per consentire all’autorità giudiziaria - eventualmente investita della controversia - di poter esercitare il diritto/dovere di riscontro circa la conformità del comportamento gestionale aziendale ai principi generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. (qualificati dalla S. Corte “clausole generali o cornice del sistema giuridico, strutturate da fondamenti e direttive etico-sociali che si traducono sostanzialmente nel dovere d’imparzialità”) nonchè ai criteri o requisiti contrattualmente proceduralizzati, in tema di promozioni per merito comparativo.

Al riguardo la Cassazione è giunta a precisare che il sindacato del giudice ordinario adito dal privato dipendente possiede le stesse caratteristiche di ampiezza e di penetrazione di quelle del giudice amministrativo adito dal pubblico dipendente, potendo anche il primo magistrato pervenire al riscontro in capo all’azienda dell’eventuale “eccesso di potere”, figura “non incompatibile con l’esercizio di un potere privato, atteso che, per quanto ampia possa essere la discrezionalità, questa non può essere svincolata da regole certe che ne impediscano il mutamento in incontrollato arbitrio, pregiudizievole per i dipendenti“ (così, Cass n. 1603/1985, cit.). Ciò implica che l’azienda, in concreto, non si potrà esimere sia dal rispettare l’ordine di prevalenza interno ai prestabiliti fattori contrattuali - desumibile, secondo la magistratura, dall’ordine di sequenza assegnato agli stessi nella formulazione contrattuale (talché nell’art. 57 sopracitato, in primis avrà maggior peso l’attitudine a ricoprire il grado, poi la capacità professionale e così via) - sia dal realizzare tale scala di valori tramite, di norma, una differenziata ponderazione aritmetica dei vari fattori in questione. Ponderazione che dovrà rispondere a criteri di razionalità ed essere azionata, in maniera uniforme e generalizzata, per tutti i vari candidati oggetto dello scrutinio nella tornata promotiva.

 

3. Sanzioni  e misure riparatorie di promozioni illegittime

Irrazionalità o disarmonie valutative sono state ritenute dalla magistratura elementi concludentemente indiziari di un procedimento promotivo non correttamente dispiegato o realizzato, cosicché la sola evidenziazione al magistrato, da parte dell’escluso, di una differenziata valorizzazione - in capo al soggetto promosso - degli eguali o minori “precedenti di lavoro” (e simili), ha portato la S. Corte a ritenere soddisfatto l’onere minimale della prova in capo all’attore (ex art. 2697 c.c.) ed a pretendere dall’azienda una circostanziata dimostrazione dell’integrale correttezza del proprio neutrale operato gestionale, atta a dissolvere il fondato rilievo  o sospetto di scorrettezza da parte della complessiva prevalenza o assorbimento (di una tale erronea valutazione del singolo requisito) ad opera della ponderazione attribuita al resto dei fattori contrattuali concorrenti, nell’ordine, alla valutazione comparativa del merito. Al riguardo la Cassazione ha asserito che “il dovuto adempimento all’obbligo del datore di lavoro di effettuare corrette operazioni valutative e comparative deve ritenersi non provato, quando l’assegnazione dei punteggi discrezionali non risulti motivata né siano successivamente manifestate le ragioni delle diverse quantificazioni”, con la consequenziale affermazione di principio per cui “la prova del nesso causale tra inadempimento del datore di lavoro all’obbligo di corrette valutazioni comparative e mancata promozione si risolve nella prova della perdita di una probabilità di promozione pari ad una ragionevole certezza” (così, Cass. n.158/1994, cit.).

Infine, occupandosi delle misure riparatorie degli inadempimenti o scorrettezze datoriali riscontrate nell’iter delle valutazioni comparative degli aspiranti alla progressione di carriera, la giurisprudenza della Cassazione come quella di merito ha mostrato preferenza verso la soluzione del risarcimento del danno per l’ingiustificatamente escluso, asserendo che “poichè il danno consiste nella perdita di chance, cioè nella perdita della possibilità di essere promosso, ai fini della sua quantificazione occorre prendere come base la differenza di retribuzione risultante tra la categoria nella quale si è attualmente inquadrati e quella nella   quale si sarebbe pervenuti in caso di promozione ed applicare ad essa una percentuale ragguagliata alla possibilità di promozione del dipendente, fino al 100% in caso di raggiunta certezza” (così, Pret. Roma 16 marzo 1993, in Dir. lav. 1994, 36, con nota di Laudo; conf. Cass. n. 5026/1994, cit., con nota di Musy, Sicilcasse ed il danno da perdita di una “chance”). E’ stata, invece, considerata difficilmente praticabile - se non nel caso in cui il giudice poteva semplicemente correggere errati punteggi aritmetici - la dichiarazione giudiziale di riconoscimento della promozione ingiustificatamente negata, in ragione del principio dell’incoercibilità delle prestazioni di fare (nemo ad factum cogi potest).

La tutela risarcitoria  è stata altresì prescelta dagli stessi legali degli esclusi, allo scopo di snellire l’iter della controversia, ridurre i tempi della decisione giudiziaria e sottrarsi alla laboriosità della chiamata in contraddittorio dei promossi, ex art. 102 c.p.c., in veste di controinteressati. Cosicché la pur sovente invocata nullità o invalidazione degli atti è stata prospettata al magistrato quale modalità strumentale, diretta a far discendere dall’accertamento giudiziale dei vizi invalidanti il semplice risarcimento di danno per l’indebitamente escluso, ma con contemporanea salvezza delle situazioni positive per i promossi. Soluzione transattiva dal lato giuridico, di fatto spesso soddisfacente ma, moralmente e sul piano dei principi (che i più sono propensi a dismettere), del tutto inappagante.

Infine si segnala, per completezza sull’argomento, che due non perspicue decisioni della Cassazione (n. 5965 e n. 5238 del 1987) hanno negato il diritto, sia ai singoli sia alle OO.SS. firmatarie del ccnl, alla cognizione preventiva della differenziata ponderazione aritmetica autonomamente assegnata dall’azienda ai vari fattori pattuiti per le promozioni, argomentando dalla carenza formale di una specifica previsione di informativa, alimentando così la propensione (al) e l’ampiezza del contenzioso giudiziario individuale.

 

4. Dotazione di sistemi gestionali per corrette valutazioni di merito comparativo

L’incisività delle misure riparatorie soprariferite impone alle Direzioni aziendali di dotarsi imprescindibilmente di un sistema organico ed esaustivo di valutazione periodica del personale, registrante per sintesi ma al tempo stesso meticolosamente, fatti significativi e giudizi sulla prestazione e sul potenziale dei lavoratori, in modo da poter dimostrare al dipendente ritenutosi discriminato dall’esclusione da una promozione o dall’assegnazione di un incarico più elevato, le superiori capacità, attitudini, esperienze e potenzialità del prescelto in sua vece, cioè a dire - in altri  termini - che l’escluso è obiettivamente inferiore rispetto al prescelto in tutti o nei più salienti fattori meritocratico-professionali contrattualmente codificati. E’ altresì necessario che le valutazioni  finalizzate alle promozioni vertano sui fattori (esclusivamente) pattuiti nei ccnl o nei regolamenti interni; che l’Azienda  rispetti la prevalenza assegnata ai vari fattori, al loro interno, da parte delle formule contrattuali normalmente attraverso l’ordine di sequenza dei fattori stessi (es., prima l’attitudine a ricoprire il grado, poi la capacità professionale, quindi i precedenti di carriera e di lavoro dell’interessato); che il rispetto della prevalenza sia testimoniato (preferibilmente) tramite una ponderazione aritmetica scalare che porti all’emersione di una graduatoria individuatrice dell’elenco dei promuovibili.

Ad ogni buon conto, i sistemi di valutazione comparativa del merito possono essere i più diversi (dai più elementari ai più sofisticati), purché idonei a dar convincentemente conto ai dipendenti, in caso di rimostranza, ed al magistrato - in sede di sindacato giudiziario - della correttezza dell’operato gestionale aziendale.

 

Mario Meucci

 

(pubblicato in Incontri, rivista del Sindirigenticredito , n. 4/1996)

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