RECENSIONE DEL LIBRO

 

"Danni da mobbing e loro risarcibilità"

di Mario Meucci

Edizioni Ediesse srl (http://www.cgil.it/ediesse), Roma 2002 (pagine 528, euro 20)

 

Il volume di Mario Meucci si apre con un capitolo dedicato alla descrizione delle principali caratteristiche del fenomeno del mobbing nel rapporto di lavoro: un incipit certamente opportuno in considerazione del fatto che la materia studiata si presta, più di altre, a fuorvianti semplificazioni e/o a sottovalutazioni in termini di importanza e gravità (se non a facili ironie). In particolare, l’A. indica alcune possibili definizioni della condotta vessatoria e persecutoria (contenute, ad esempio, nelle numerose proposte di legge presentate in questi ultimi anni in materia e da ultimo nella recente legge della Regione Lazio n. 16/2002), insieme ad interessanti esemplificazioni concrete della medesima (si pensi alle ricorrenti “sindromi da scrivania vuota” o, viceversa, “piena”), ed al contempo individua le categorie di lavoratori comunemente più colpite (i “bersagli”), nonché i più ricorrenti effetti dannosi delle pratiche di mobbing sull'integrità psico-fisica delle vittime: un efficace quadro analitico, cui si accompagna il rilievo che una condotta del genere si presta a divenire strumento (in quanto persegua l’obiettivo di indurre più lavoratori alle dimissioni) anche di più ampie strategie imprenditoriali di riduzione del personale (p. 27).

         Il fatto che concreti esempi di condotte “mobbizzanti” si ravvisino di frequente nell’assegnazione dei lavoratori a mansioni dequalificate, se non addirittura nella costrizione alla forzata inattività, ha indotto l’A. ad analizzare nel dettaglio i limiti che la legge (così come reiteratamente interpretata dalla giurisprudenza) impone allo ius variandi del datore di lavoro, nonché gli effetti dell’uso illegittimo di tale potere, soffermandosi nello specifico sul conseguente danno alla professionalità del lavoratore "demansionato". L'attenzione al dato giurisprudenziale – proprio, nel complesso, dell’opera – è qui particolarmente evidente: interessanti sono soprattutto l’approfondimento relativo alla tesi della natura immanente (o in re ipsa) del danno alla professionalità – nelle sue componenti di pregiudizio alla capacità professionale ed alla dignità, reputazione e immagine professionali all’interno e all’esterno dell’azienda – in conseguenza di un’accertata pratica dequalificatoria (tesi confermata da una nutrita serie di sentenze, di legittimità e di merito, dettagliatamente richiamate dall’A. e integralmente riportate in Appendice, Sezione terza), nonché alla questione delle tecniche e delle misure di liquidazione, su base equitativa, del danno in parola.

I profili connessi al regime probatorio ed ai criteri di quantificazione del danno sono quelli privilegiati dall’A. anche nello svolgimento dell’indagine sulle altre categorie di danno alla persona che possono causalmente conseguire a condotte di mobbing (correlate o meno a pratiche dequalificatorie): anzitutto i pregiudizi allo stato di salute psico-fisica (il ben conosciuto danno biologico) ed altresì il danno morale (nei noti, ristretti limiti di cui all’art. 2059 c.c.). Accanto a tali voci di danno, in particolare in direzione del superamento della sovrautilizzazione del solo “contenitore” costituito dal danno biologico, l’A. colloca (e patrocina) la nuova e discussa figura del "danno esistenziale", attraverso la quale viene colto e valorizzato il nesso tra gli artt. 2, 3 e 41, II comma, Cost. e l’art. 2043 c.c. (e/o, in ambito giuslavoristico, l’art. 2087 c.c., nella parte in cui tutela il bene della “personalità morale” del lavoratore), riproponendo lo stesso schema originariamente pensato ed utilizzato con riferimento al danno biologico attraverso la lettura combinata dell’art. 32 Cost. e delle summenzionate norme codicistiche. Questa recente figura di danno – il cui ingresso nel nostro sistema risarcitorio, recentemente avallato expressis verbis dalla Corte di Cassazione, incontra l’«incondizionata condivisione» dell’A. (p. 156) – dovrebbe assolvere la funzione di «riempire uno spazio vuoto, ovvero un’intera area di danni privi, di fatto, di tutela risarcitoria», coincidente, in sostanza, con  quelle «ipotesi in cui l’atto illecito del terzo, pur non incidendo né sulla salute, né sul patrimonio della vittima, gli preclude lo svolgimento di attività non remunerative, sino ad allora abituali, le quali costituivano fonte di gratificazione soggettiva per il danneggiato» (p. 142).

         A completamento dell’esauriente trattazione della materia dei “danni da mobbing”, l’A. espone i principi-cardine della riforma «sperimentale» del danno biologico nella nuova disciplina degli infortuni e malattie professionali, sottolineandone in particolare i “punti critici” e giudicandola un’occasione mancata «per affrontare – in modo che non fosse soddisfacente per i soli interessi dell’Ente assicuratore – seriamente una spinosa problematica» (p. 164). Di sicura utilità, soprattutto per l’operatore pratico, è, infine, l’ultimo capitolo dell’opera, dedicato ad illustrare le regole vigenti in materia di imposizione fiscale e previdenziale delle somme riconosciute al lavoratore (giudizialmente o transattivamente) a titolo di risarcimento del danno.

         Una ricca appendice di documentazione (in cui il lettore può trovare leggi regionali, fonti comunitarie e straniere, intese contrattuali, i principali disegni di legge presentati in Parlamento negli ultimi 3 anni e numerose sentenze, di legittimità e di merito, suddivise in diverse sezioni tematiche) correda il volume e dà ulteriore conferma del rilievo sociale e giuridico ormai acquisito dal fenomeno del mobbing nel rapporto di lavoro, nonché della validità ed utilità dell'opera di Mario Meucci: da riguardarsi certamente come un contributo prezioso per chi voglia approfondire una materia dai contorni (e dalle implicazioni) non sempre agevoli da definire.

 

(Massimo Roccella, Ordinario di diritto del lavoro nell’Università di Torino)

 

(pubblicata in Lavoro e previdenza Oggi n. 2/2003, p.397)

 

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