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Legittimità per il
partecipante al colloquio di effettuare registrazione all'insaputa, per
fini di giustizia
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Consiglio
di Stato, sez. VI (giurisdizionale) – 28 giugno 2007 n. 3796 – Pres.
Varrone - Università degli studi di Roma “La Sapienza” (avv.ti Torchia, Di
Nitto) c. Giovanni F. (avv.ti Scoca, Police)
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Registrazioni fonografiche per fini di giustizia – Legittimità –
Illegittimità di sanzioni disciplinari.
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La
registrazione fonografica di un colloquio svoltosi tra presenti ad opera di
un soggetto che ne sia partecipe, quantunque eseguita clandestinamente,
costituisce una forma di memorizzazione di un fatto storico del quale
l’autore può disporre legittimamente, anche ai fini di prova nel processo ai
sensi dell’art. 234 c.p.p. E’ evidente allora, che un comportamento diretto
ad ottenere una prova documentale legittimamente utilizzabile in sede
processuale, non può comportare l’applicazione di una sanzione disciplinare,
in quanto, altrimenti, si arriverebbe all’assurdo risultato di sanzionare un
atto che costituisce legittimo esercizio del diritto di azione e di difesa
in giudizio (ex art. 24 Cost.).
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Anche ad
ammettere che la norma dell'art.
89 lett. d) r.d. n. 1592/1933
intenda
tutelare il decoro dell’Università e non, come pure sembra emergere dal suo
tenore letterale, la dignità e l’onore dei professori, nel caso di specie,
come correttamente rileva la sentenza impugnata, la lesione dei beni
protetti è stata provocata non dal fatto in sé delle registrazioni, ma da
quanto è riferito nei colloqui registrati. In altri termini, ciò che in
questa vicenda ha leso l’immagine dell’Università non è stato il fatto che
un docente registrava colloqui (avuti con altri docenti e con studenti) al
fine di precostituirsi una prova da spendere in sede penale. Il decoro e la
reputazione dell’Istituzione universitaria sono stata lesi semmai dalla
notizia che all’interno della struttura universitaria esistevano “giochi di
potere” e “lotte di successione” (di cui vi è ampia traccia nella richiesta
di archiviazione del p.m. e nella successiva ordinanza di archiviazione).
“Giochi di potere” e “lotte di successione” ai quali l’odierna appellata non
era probabilmente estranea (come emerge ancora dalla richiesta e
dall’ordinanza di archiviazione), ma che certo non hanno avuto causa nei
comportamenti sanzionati dal provvedimento disciplinare impugnato. Anzi, in
tale contesto, la circostanza che l’Università abbia inteso sanzionare
soltanto alcuni dei soggetti che hanno partecipato ai predetti “giochi di
potere” è sintomo di un sicuro sviamento nell’esercizio del potere
disciplinare.
FATTO E
DIRITTO
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1.
Con decreto rettorale n. G 117481 del 28 giugno 2005, il Rettore
dell’Università La Sapienza di Roma contestava al prof. F. di aver fatto
“ricorso sistematico alla registrazione di colloqui tra professori o di
consessi accademici, nonché di studenti frequentatori della Clinica
odonotoiatrica effettuati all’insaputa e senza il consenso degli
interlocutori in violazione palese delle norme relative al trattamento dei
dati personali cui sono tenuti anche i soggetti privati” e “di aver posto in
essere comportamenti gravemente scorretti nei confronti di colleghi tali da
ledere la dignità e l’onorabilità dei medesimi oltre che lesivi del decoro e
dell’immagine dell’istituzione universitaria”. Successivamente, con Decreto
Rettorale n. 5301 del 28 febbraio 2006, al prof. F. veniva irrogata per i
fatti contestati la sanzione disciplinare della sospensione dall’ufficio e
dallo stipendio per la durata di mesi uno.
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2.
Il T.a.r. Lazio, con la sentenza impugnata ha annullato la sanzione
disciplinare, accogliendo il ricorso proposto dal prof. F. . In particolare,
secondo il Giudice di primo grado il provvedimento di irrogazione della
sanzione disciplinare risulta viziato sotto il profilo della violazione ed
errata applicazione del disposto degli artt. 87 e 89 R.D. 31 agosto 1933, n.
1592, posto che il comportamento del professore non integrerebbe nessuna
delle fattispecie di cui all’art. 89, comma 1, r.d. n. 1592/1933.
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3.
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello l’Università degli Studi di
Roma “La Sapienza” deducendo i seguenti motivi:
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1) Error
in iudicando. Erroneità della sentenza nella parte in cui ritiene che il
comportamento del prof. F. non integri la fattispecie di cui all’art. 89
lett. c) r.d. n. 1592/1933;
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2) Error
in iudicando. Erroneità della sentenza nella parte in cui ritiene che il
comportamento del prof. F. non integri la fattispecie di cui all’art. 89
lett. d) r.d. n. 1592/1933. Si è costituito in giudizio il prof. F.
chiedendo il rigetto dell’appello.
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Alla
pubblica udienza del 27 aprile 2007, la causa è stata trattenuta per la
decisione.
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4.
L’appello è infondato.
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5.
Con il primo motivo di appello l’Università degli Studi di Roma “La
Sapienza” censura la sentenza del T.a.r., laddove questa ha escluso che la
condotta del prof. F. sia riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 89
lett. c) r.d. n. 1592/1933, che punisce, sotto il profilo disciplinare,
l’abituale irregolarità di condotta dei professori universitari.
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5.1.
Al riguardo, i Giudici di primo grado hanno osservato che la condotta tenuta
dal prof. F. non può rilevare in sede disciplinare poiché “non vi è dubbio
che tale irregolarità non possa essere ravvisata nel comportamento del
ricorrente che, così come riconosciuto dalla giurisprudenza della
Cassazione, ha operato una legittima forma di memorizzazione di un fatto
storico utilizzabile anche ai fini di prova processuale nell’ambito di un
eventuale giudizio penale”.
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5.2.
Secondo l’appellante, tale ragionamento è erroneo in quanto non tiene conto
dell’esistenza nel nostro ordinamento del c.d. principio dell’autonomia
della valutazione disciplinare, “in virtù del quale deve essere riconosciuto
che un fatto penalmente irrilevante possa avere invece conseguenze
disciplinari, anche di notevole rilievo, giacché sono diversi i criteri e i
parametri con i quali quello stesso fatto deve essere valutato in sede
disciplinare”. Applicando tale principio, sarebbe allora indubbia la
rilevanza disciplinare del comportamento contestato al prof. F.
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5.3.
Il motivo è infondato.
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Non c’è
dubbio che nel nostro ordinamento valga il principio dell’autonomia della
valutazione disciplinare (invocato dall’appellante). Nel caso di specie,
tuttavia, il T.a.r. non ha violato tale principio: la sentenza impugnata ha
infatti, escluso la rilevanza disciplinare (ai sensi dell’art. 89 lett. c)
r.d. n. 1592/1933: abituale irregolarità di condotta) del comportamento
posto in essere dal prof. F. , non semplicemente perché ha ritenuto tale
comportamento penalmente irrilevante, ma, più precisamente, perché ha
ravvisato nella condotta contestata al ricorrente l’esercizio di un diritto,
segnatamente del diritto di difesa riconosciuto dall’art. 24 Cost. (che
comprende, ad avviso dei Giudici di primo grado, anche il diritto di
raccogliere prove legittime utilizzabili in un eventuale giudizio penale).
Secondo i giudici di primo grado, in altre parole, quello posto in essere
dal prof. F. non è soltanto un comportamento penalmente lecito, ma un
comportamento privo del connotato dell’antigiuridicità in quanto posto in
essere in presenza di una causa di giustificazione, ovvero nell’esercizio di
un diritto.
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5.4.
Ora, è noto che le cause di giustificazione (sebbene previste in gran parte
nel codice penale) siano espressione di principi generali dell’ordinamento,
e, come tali, valgono ad escludere che il comportamento posto in essere in
loro presenza possa essere foriero di conseguenze negative non solo in sede
penale, ma anche in altri settori dell’ordinamento (e, quindi, per quel che
qui più rileva, in ambito disciplinare). Del resto, quando il legislatore ha
voluto ricollegare conseguenze “negative” al fatto posto in essere in
presenza di una causa di giustificazione lo ha detto espressamente, come è
accaduto, ad esempio, per lo stato di necessità che, ex art. 2046
c.c. può, comunque, dar luogo ad un obbligo di indennizzo. Il problema,
quindi, non è tanto se sia stato violato il principio della autonomia della
valutazione disciplinare, in quanto anche la valutazione disciplinare, per
quanto autonoma, non può che arrestarsi, per il principio di non
contraddizione, a fronte di un comportamento posto in essere nell’esercizio
di un diritto. Il vero punctum pruriens consiste nello stabilire se
sia corretta, a monte, l’affermazione contenuta nella sentenza, secondo cui
il comportamento contestato al prof. F. rappresenti una forma legittima di
esercizio del diritto di difesa, in particolare, per usare le parole della
sentenza impugnata “una legittima forma di memorizzazione di un fatto
storico utilizzabile anche ai fini di prova processuale nell’ambito di un
eventuale giudizio penale”.
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5.5.
Il Collegio ritiene che la conclusione cui è giunto il T.a.r. possa essere
condivisa alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale (richiamato nella
sentenza impugnata e più volte ribadito dalla Cassazione penale) secondo cui
la registrazione fonografica di un colloquio svoltosi tra presenti ad opera
di un soggetto che ne sia partecipe, quantunque eseguita clandestinamente,
costituisce una forma di memorizzazione di un fatto storico del quale
l’autore può disporre legittimamente, anche ai fini di prova nel processo ai
sensi dell’art. 234 c.p.p. E’ evidente allora, che un comportamento diretto
ad ottenere una prova documentale legittimamente utilizzabile in sede
processuale, non può comportare l’applicazione di una sanzione disciplinare,
in quanto, altrimenti, si arriverebbe all’assurdo risultato di sanzionare un
atto che costituisce legittimo esercizio del diritto di azione e di difesa
in giudizio (ex art. 24 Cost.).
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6.
Parimenti è infondato è il secondo motivo di appello, volto a censurare la
sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il comportamento del
prof. F. non integri la fattispecie di cui all’art. 89 lett. d) r.d. n.
1592/1933, che punisce quei docenti che compiono “atti in genere, che
comunque ledano o la dignità o l’onore del professore”. Il T.a.r. ha
rilevato “come, da un lato, la motivazione dell’impugnato provvedimento
sanzionatorio non attenga in alcun modo alla lesione delle dignità e
dell’onore di professori universitari, quanto piuttosto dell’Università in
quanto tale; dall’altro, che in ogni caso nessuna lesione alla dignità ed
all’onore né di professori universitari, né dell’Università in quanto tale
può ravvisarsi nei fatti contestati al ricorrente”. Sotto tale ultimo
profilo, il Giudice di primo grado, in particolare ha affermato che l’art.
89 lett. d) non può trovare applicazione in quanto “l’addebito contestato al
ricorrente non può di per sé importare la lesione del bene protetto dalla
norma, dovendosi, semmai, individuare il fatto lesivo nel contenuto delle
registrazioni che, tuttavia, non può che addebitarsi ai singoli
interlocutori e non già all’odierno ricorrente”. L’appellante censura tali
affermazioni sotto deducendo: - che lo scopo finale dell’art. 89 lett. d)
sia quello di punire, sotto il profilo disciplinare, quei comportamenti che,
essendo direttamente contrari alla dignità e all’onore del professore che li
pone in essere, finiscono per incidere in maniera negativa sul decoro e
sull’immagine dell’istituzione universitaria alla quale il docente
appartiene. A differenza di quanto sostiene il T.a.r. , dunque, il bene
protetto dalla norma è il “decoro delle istituzioni universitarie”, le quali
hanno interesse a che i propri docenti non si macchino di comportamenti
inopportuni; - che, nel caso di specie, il comportamento contestato al prof.
F. ha profondamente leso il decoro dell’Università come sarebbe dimostrato
dagli articoli relativi alla vicenda apparsi sui quotidiani e dalle
impressioni negativi (ricavabili in particolare dalla lettura della
richiesta di archiviazione) che i P.M. che hanno condotto le indagini hanno
avuto dell’ambiente dell’Università. Anche tale motivo, come si diceva, è
infondato.
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6.1.
In primo luogo, come si è sopra ricordato, il comportamento contestato al
prof. F. rappresenta espressione del diritto di difesa (avendo egli raccolto
prove per suffragare la successiva denuncia penale), il che, per le stesse
ragioni sopra esposte, vale ad escluderne la rilevanza disciplinare anche ai
sensi dell’art 89 lett. d) r.d. n. 1592/1933.
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6.2.
Inoltre, anche ad ammettere che la norma intenda tutelare il decoro
dell’Università e non, come pure sembra emergere dal suo tenore letterale,
la dignità e l’onore dei professori, nel caso di specie, come correttamente
rileva la sentenza impugnata, la lesione dei beni protetti è stata provocata
non dal fatto in sé delle registrazioni, ma da quanto è riferito nei
colloqui registrati. In altri termini, ciò che in questa vicenda ha leso
l’immagine dell’Università non è stato il fatto che un docente registrava
colloqui (avuti con altri docenti e con studenti) al fine di precostituirsi
una prova da spendere in sede penale. Il decoro e la reputazione
dell’Istituzione universitaria sono stata lesi semmai dalla notizia che
all’interno della struttura universitaria esistevano “giochi di potere” e
“lotte di successione” (di cui vi è ampia traccia nella richiesta di
archiviazione del p.m. e nella successiva ordinanza di archiviazione).
“Giochi di potere” e “lotte di successione” ai quali l’odierna appellata non
era probabilmente estranea (come emerge ancora dalla richiesta e
dall’ordinanza di archiviazione), ma che certo non hanno avuto causa nei
comportamenti sanzionati dal provvedimento disciplinare impugnato. Anzi, in
tale contesto, la circostanza che l’Università abbia inteso sanzionare
soltanto alcuni dei soggetti che hanno partecipato ai predetti “giochi di
potere” è sintomo di un sicuro sviamento nell’esercizio del potere
disciplinare.
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7.
Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello deve essere respinto.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre la compensazione delle
spese di giudizio.
P.Q.M.
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Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente
pronunciando, respinge l’appello indicato in epigrafe.
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Spese del
giudizio compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita
dall’Autorità amministrativa.
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Presidente
CLAUDIO VARRONE, Consigliere Segretario ROBERTO GIOVAGNOLI, MARIA RITA
OLIVA.
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Il
Direttore della Sezione MARIA RITA OLIVA
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DEPOSITATA
IN SEGRETERIA Il 28/06/2007
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