[1] Pronunciate il 7 giugno 2008 in occasione di un convegno dei Giovani imprenditori e riportate nel bel libro di F. Colombo, La paga. Il destino del lavoro e altri destini, il Saggiatore, Milano 2009, p. 49.
[2] L’onorevole Sacconi è stato impreciso, al riguardo, anche quanto alla paternità. La legge 17 ottobre 2007, n. 188, in effetti, non è ascrivibile all’iniziativa del precedente ministro del Lavoro: il disegno di legge, di iniziativa parlamentare, era stato proposto dalla minoranza della maggioranza dell’epoca, ovvero dai parlamentari della Sinistra democratica.
[3] Si veda M.V. Ballestrero, «Recesso online: ovvero la nuova disciplina delle dimissioni volontarie», Lavoro e diritto, 2008, pp. 511 ss.
[4] Dall’art. 39, comma 10, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008, n. 133.
[5] L’art. 1 del d.lgs. 368/2001 ha abrogato la previgente regola dell’assunzione a tempo indeterminato e l’elenco delle causali legittimanti, in via di eccezione, la stipulazione di un contratto di lavoro a termine (il cosiddetto sistema della «lista chiusa», successivamente resa integrabile dal legislatore ad opera della contrattazione collettiva), che per quarant’anni avevano costituito capisaldi del diritto del lavoro, secondo quanto stabilito dalla storica legge 230/1962.
[6] Art. 1, comma 40, legge 24 dicembre 2007, n. 247.
[7] Chi fosse interessato ai particolari, davvero istruttivi, dell’intera vicenda,nonché a una valutazione d’insieme delle politiche del lavoro del governo Prodi, può leggere M. Roccella, «“Vorrei ma non posso”: storia interna della più recente riforma del mercato del lavoro», Lavoro e diritto, 2008, pp. 411 ss.
[8] Art. 21 d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. in legge 6 agosto 2008, n. 133.
[9] L’icastica rappresentazione è dovuta a L. Mariucci, «Il diritto del lavoro ondivago», Lavoro e diritto, 2009, p. 30.
[10] Si veda l’art. 39, commi 10 e 11, del d.l. 112/2008, conv. in legge n. 133/2008.
[11] Si veda l’art. 1, comma 143, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (recante «disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato»). Inutile chiedersi che cosa c’entri lo staff leasing con il bilancio dello Stato: sull’altare della precarietà si può ben immolare la coerenza sistematica dell’ordinamento giuridico (ancorché – va riconosciuto – il malvezzo di utilizzare le leggi finanziarie come una sorta di passepartout praticato da anni da governi di ogni colore).
[12] L’art. 49 del d.l. 112/2008 aveva infatti stabilito che, «al fine di evitare abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile, le amministrazioni […] non possono ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio»: nel suo spettro operativo, come si vede, apparivano destinate a rientrare tutte le tipologie di lavoro atipico (e non solo le assunzioni a termine in senso stretto).
[13] Si veda l’art. 17, comma 26, lett. b e c, del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, conv. in legge 3 agosto 2009, n. 102.
[14] A. Fenoglio, «Il lavoro a termine di nuovo nell’occhio del ciclone: osservazioni sulla legge 3 agosto 2009, n. 102», Rivista giuridica del lavoro, I, 2010, pp. 178 s. Si tenga conto, oltre tutto, che è invece stata lasciata ferma la norma che ai pubblici dipendenti, assunti illegittimamente a termine, non consente in nessun caso di ottenere, in via sanzionatoria, la conversione a tempo indeterminato del proprio rapporto di lavoro, potendo il giudice riconoscere loro solo un risarcimento del danno (peraltro secondo criteri rispetto ai quali sussiste notevole incertezza, che il legislatore non ha mai ritenuto opportuno dissipare).
[15] Astrattamente sino ad oggi consentite dal carattere imprescrittibile dell’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro. Solo sulla carta però: soltanto chi ha una visione molto, molto astratta dei rapporti sociali può supporre, infatti, che nel mondo reale possa normalmente accadere che un lavoratore precario pianifichi a tavolino di attendere per anni prima di contestare in giudizio l’illegittimità del proprio contratto a termine, contando di lucrare sulla lievitazione nel tempo dell’importo del risarcimento del danno. Soltanto chi ha una visione molto, molto astratta del mondo reale non può essere sfiorato dall’idea che normalmente è la parte forte (nella specie il datore di lavoro) a dimostrare una certa propensione all’abuso dei tempi del processo; non certo quella debole (nella specie il lavoratore), sempre gravata dalla quotidiana necessità di reperire mezzi di sostentamento.
[16] D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
[17] D.lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
[18] Ancora una volta nel contesto dell’impagabile d.l. 112/2008.
[19] Art. 14 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
[20] Dall’art. 41, comma 11, del d.l. 112/2008, sul punto poi ripreso e consolidato dal d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
[21] Dal d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66.
[22] Come recita l’art. 31 del d.d.l. 1167.
[23] Le dichiarazioni dell’onorevole Cazzola sono riportate su il manifesto del 9 aprile 2010.
[24] Appare, dunque, davvero come una presa in giro la previsione, anch’essa in discussione al Senato, secondo cui l’onere della prova della decadenza dell’impugnazione graverebbe sul datore di lavoro.
[25] Su contenuti e implicazioni della proposta di «contratto unico» basti rinviare a quanto già detto sulle colonne di questa rivista. Si veda T. Boeri, M. Roccella, «Dialogo sui precari e il contratto unico», MicroMega, n. 1/2009, pp. 111 ss.
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