Demansionamento di un dirigente  bancario e risarcimento danni

Tribunale di Torino (sezione lavoro, 1° grado) 21 marzo 2003 – Giud. Grassi – Apostolo Gaetano (avv. Berti) c. Sanpaoloimi SpA (avv. Borsotti, Bonamico, Maresca)

Demansionamento di un dirigente di azienda di credito – Conseguente caduta in sindrome depressiva, con attacchi di panico, ecc. – Responsabilità risarcitoria aziendale per il danno professionale, biologico, morale, per spese mediche documentate e  per invalidità temporanea assoluta – Sussistenza – Scontata prevedibilità datoriale delle conseguenze dannose della dequalificazione inflitta, ex art. 1225 c.c. – Conseguente condanna al risarcimento  danni a favore del ricorrente.

 

Per quanto concerne il danno da demansionamento, osserva il Giudice che l'effettiva attività demansionata è durata circa tre mesi (1); parte ricorrente chiede che il danno si estenda anche al periodo di malattia, ma la tesi non può essere accolta. Durante l'assenza per malattia scattano altri danni, e cioè quelli sopra quantificati, senza che all'assenza possa imputarsi una “deprofessionalizzazione”; a riprova della inaccoglibilità della tesi attorea può considerarsi che, altrimenti, a fronte di una qualunque assenza determinata da una inadempienza datoriale, ad esempio un infortunio sul lavoro, il lavoratore potrebbe cumulare i danni normalmente riconosciuti a tale titolo ad un ipotetico danno da “demansionamento”, per il fatto di essere stato assente, a causa, appunto, di una inadempienza datoriale. Alla luce di tale considerazione, ritiene dunque il Giudice di dover liquidare in via equitativa, tenuto conto del livello culturale e professionale del dipendente, € 2.000 per ogni mese di effettiva dequalificazione, e cioè in complesso € 6.000 ( tre mesi effettivi per € 2.000).

Occorre solo osservare, ai sensi dell'art. 1225 c.c., che il datore di lavoro deve rispondere per tutti i danni di cui sopra, poiché la lesione e le disfunzioni lamentate devono considerarsi conseguenza immediata e diretta della inadempienza datoriale; inoltre il datore di lavoro non poteva non essere consapevole della notevole dequalificazione delle mansioni affidate all'Apostolo nei mesi centrali dell'anno 2000; le conseguenze di tale inadempienza del resto non potevano certo considerarsi del tutto imprevedibili poiché l'Apostolo ha reagito con una manifestazione patologica di tipo non gravissimo, e comunque sufficientemente preventivabile, alla luce della sua età, del suo inquadramento professionale, della partecipazione emotiva con la quale egli ha sempre corrisposto alle aspettative datoriali, nonché dell'investimento "esistenziale" (in questo caso il termine è senz'altro utilizzabile...) che il ricorrente riponeva nello svolgimento della sua attività lavorativa.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con ricorso depositato presso la Cancelleria della Sezione Lavoro il 21 maggio 2001, si costituiva in giudizio il rag. Gaetano APOSTOLO, citando quale convenuta la propria datrice di lavoro, SANPAOLO IMI, ed esponendo: di essere stato assunto dalla banca convenuta il 20 giugno 1966 con mansioni di aiuto contabile; di aver svolto poi la sua attività lavorativa in mansioni varie, sempre incrementando la propria professionalità, operando sia in Torino che in altre parti d'Italia, sino ad essere nominato dirigente nell'Aprile 1989; di essere stato incaricato, dall'ottobre 1994, di svolgere le funzioni di Responsabile del Settore Gestione e Risorse del servizio tecnico, a cui seguiva, nel 1996, anche l'investitura a Responsabile del settore della Sicurezza Fisica della sede centrale e di tutti i punti operativi di Italia; di aver svolto regolarmente la sua attività lavorativa, sino a quando, nell'ottobre 1999, suo superiore diveniva il sig. Firpo, venendo nominato come suo vicario il dott. Pagliaro, persone che si caratterizzavano ben presto per una critica sistematica dell'operato di tutto il personale della Divisione Immobiliare, nell'ambito della quale era inserita l'attività del ricorrente, favorendo il “pettegolezzo e il doppiogiochismo”, che divenivano assai diffusi; che essi inoltre avevano dotato (rectius: adottato, n.d.r.) la prassi di scavalcare i vari responsabili di settore, fra cui il ricorrente, dando incarichi “ad personam” ad alcuni collaboratori, all’insaputa dei loro diretti superiori; che quale primo atto significativo il Firpo, senza alcun preavviso né consultazione, aveva privato l'Apostolo del capo della sua Segreteria Operativa, la sig.ra Spadoni; che anche il dott. Pagliaro cominciava a rivolgersi al ricorrente in modo brusco e dispotico, anche in presenza di subalterni; che si verificava in sostanza una consistente diminuzione delle sue mansioni, venendo in proposito elencati una serie di compiti che, in progressione temporale, erano tolti dal complesso delle responsabilità in precedenza assegnate al ricorrente; che la situazione generale della funzione di Facility Management e quella personale dell'Apostolo avrebbero avuto l'effetto di causare in quest'ultimo crisi di panico, vomito, stress, etc., determinando addirittura atteggiamenti insofferenti del ricorrente persino nei confronti della propria figlia di 9 anni; che attorno al Giugno 2000, senza alcun preavviso, il ricorrente veniva trasferito presso la Divisione Rete Filiali Italia, nell'ambito di un progetto denominato “Modelli Organizzativi di rete” e messo alle dipendenze di un responsabile che aveva la qualifica di dirigente di pari grado rispetto allo stesso Apostolo; che in sostanza quest'ultimo si era trovato confinato in un ufficio isolato rispetto agli altri, senza più alcuna delle responsabilità che a lui quale dirigente competevano, senza potersi più avvalere della collaborazione di alcun dipendente, e con incarico di svolgere mansioni esclusivamente esecutive, come fare il censimento degli immobili, anche attraverso la predisposizione di mere tabelle; che, con le nuove mansioni a lui affidate, l'Apostolo non riceveva più posta dell'ufficio, non firmava più nessun atto rilevante, non riceveva circolari interne, non aveva più alcuna facoltà di spesa, veniva definitivamente privato delle deleghe di cui in precedenza godeva, trascorrendo una giornata lavorativa vuota di impegni e che si consumava nella lettura dei giornali o poco più; che a causa del comportamento datoriale egli aveva quindi iniziato un lungo periodo di malattia; che dopo alcuni mesi di sua assenza era stato addirittura sgomberato il suo ufficio, con spostamento anche dei suoi effetti personali. Sulla base di tali dati di fatto, ritenendo dì dover imputare ; al comportamento datoriale tutti i problemi fisici, psicologici e familiari accusati dal ricorrente, quest'ultimo formulava nei confronti della società convenuta domanda di condanna al risarcimento dei danni patrimoniali, biologici, non patrimoniali, esistenziali e morali (se al Giudice non ne è sfuggito qualcuno), derivanti dall'illecita condotta della convenuta, assumendo le conclusioni di cui in epigrafe. Si costituiva in giudizio la società convenuta, ricapitolando le modifiche intervenute pro tempore negli organigrammi del servizio tecnico e provveditorato, e comunque negando che al ricorrente, sino all’11 giugno 2000, fossero state modificate le mansioni che egli già svolgeva da alcuni anni, o che le medesime avessero subito variazioni significative, contestando punto per punto tutta la congerie di episodi elencati in ricorso a supporto della tesi dello svuotamento delle mansioni dirigenziali fino ad allora espletate, prima che del settore assumesse la responsabilità il Firpo. Affermava inoltre la Banca convenuta che il 12 giugno 2000 il ricorrente veniva assegnato alla Divisione Rete Filiali Italia, con il compito di collaborare ad uno specifico progetto specialistico denominato "Modelli organizzativi di rete", progetto che richiedeva, per il suo studio e la sua redazione, una grande professionalità, anche in questo caso non essendosi verificata alcuna dequalificazione professionale, come viceversa preteso in ricorso. Venivano inoltre criticate, sotto il profilo processuale e sostanziale, tutte le pretese formulate dall'Apostolo, e attinenti ai più vari aspetti della sua vita di relazione, sociale, familiare, professionale, patrimoniale, esistenziale, morale, etc... . Anche le conclusioni di parte convenuta sono riportate in epigrafe.

La controversia veniva inizialmente istruita in alcune udienze comprese tra il 19 settembre 2001 e il 23 aprile 2002, resesi necessarie per consentire alle parti di elaborare un faticoso tentativo di conciliazione, e per escutere numerosi testimoni. All'ultima udienza di cui sopra il Giudice, dopo la discussione emetteva sentenza non definitiva, disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio. Dopo la consulenza tecnica del dott. Marcello Milano il Giudice decideva la lite in via definitiva all'udienza dell'8.3.2003.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il CTU, dott. Marcello Milano, in esito alle indagini peritali formulava le seguenti conclusioni:

«Letti gli atti di causa e la documentazione medica;

Esaminata la documentazione prodotta dalle parti;

Visitato il periziato, discussi tutti i dati raccolti, riassunti, relativi ai fatti per cui è causa,

Ritengo di poter rispondere ai quesiti posti dall'Ill.mo Signor Giudice dr. Maurilio Grassi, nel seguente modo:

il signor Apostolo Gaetano è affetto da un disturbo dell'adattamento con Umore Depresso (sec. DSM IV R 309.0).

L'accertato comportamento datoriale - demansionamento dal giugno 2000 all'ottobre 2000 - ha svolto ruolo di concausa nell'insorgenza della patologia.

Non vi sono elementi di certezza o di alta probabilità per affermare la prevedibilità dell'evento, in base a quanto ragionevolmente conoscibile da parte datoriale, con riferimento alla personalità e/o patologie dell'interessato; poteva tuttavia essere previsto un cambiamento in senso peggiorativo della qualità della vita, in relazione alla precedente “vita lavorativa” del ricorrente. Tale peggioramento della qualità della vita non è quantificatile quale danno biologico e potrà essere eventualmente risarcito in via equitativa dall’Ill.mo Sig. Giudice.

Quanto diagnosticato è riconducibile al demansionamento e alla situazione di stress correlata alla vicenda giudiziaria. Normalmente il Disturbo dell'Adattamento con Umore Depresso si risolve nel giro di 6 mesi dopo la cessazione del fattore stressante o delle sue conseguenze. Se il fattore stressante o le sue conseguenze persistono anche il disturbo dell'adattamento può persistere.

Tenuto conto dell'età del soggetto e dei suoi tratti di personalità è abbastanza attendibile che il Disturbo da adattamento con Umore Depresso persista anche una volta cessati i fattori stressanti e le sue conseguenze.

Tale patologia, qualora perduri, potrà comportare il riconoscimento di un danno biologico permanente intorno ad un 4-5% (quattro-cinque per cento); ha comportato una inabilità temporanea al lavoro specifico di 592 gg. ed una incapacità biologica temporanea di 365 gg. a parziale al 25% e di 227 gg. a parziale al 10%.

Sono da rimborsare spese sostenute e documentate per un importo di Lire 300.000 pari ad € 154,94. Non si ritengono necessarie spese future per cure psicoterapiche tenuto conto da un lato che il soggetto non ne ha mai sostenute o quanto meno non le ha documentate e dall'altro che non è stata mai posta indicazione in tal senso da parte dello psichiatra curante. Delle predette conclusioni sono stati informati i Consulenti delle Parti».

Il Giudice non ha motivo per discostarsi dalle risultanze della perizia, abbondantemente motivate e che paiono corrette sotto il profilo logico e giuridico.

Non resta quindi che richiamare sotto il profilo dell' an debeatur quanto già esposto nella precedente sentenza non definitiva, e sotto il profilo quantificativo, procedere secondo i criteri che seguono.

Per quanto riguarda il danno biologico, ritiene il Giudice di dover senz'altro aderire alla quantificazione effettuata dal CTU, e di dover in proposito rifarsi alle tabelle del Tribunale di Milano, criterio che le parti non hanno contestato, e che risulta tuttora adottato dalla prevalente giurisprudenza.

In proposito, tenuto conto del fatto che il ricorrente, al momento del demansionamento, aveva 54 anni di età, il danno, che secondo le tabelle deve considerarsi compreso fra € 3.220 e € 4.238, può essere equitativamente quantificato in € 4.000 attuali secondo il parametro equitativo che, in quanto tale, può già comprendere in sé la rivalutazione della somma alla data odierna, se si tiene conto che i parametri impostati nelle tabelle di Milano si rifanno alla data dell’1.1.2002. Per quanto concerne il danno morale, poiché per prevalente giurisprudenza tale danno viene compreso fra un quarto e la metà del danno biologico, tale componente risarcitoria può essere quantificata in € 1.500,00, sempre individuati secondo il loro potere d'acquisto attuale.

L'inabilità temporanea è stata quantificata nella consulenza tecnica ed ad essa può quindi farsi riferimento per ricavarne gli aspetti quantitativi; il CTU ha ritenuto di poter valutare il 25% di temporanea per 365 giorni e il 10% per i residui 227 giorni; calcolando il valore del risarcimento del danno giornaliero per invalidità temporanea assoluta in € 40, se ne ricava che devono riconoscersi 10 € al giorno per 365 giorni (25%) e 4 € al giorno per 227 giorni (10%); le moltiplicazioni danno un risarcimento del danno al 25% pari a € 3.650 e al 10% pari a € 908.

Ritiene il Giudice di non poter riconoscere il danno "esistenziale", una delle numerose componenti che la giurisprudenza, sempre in cerca di nuove voci, estrapola da quello che costituisce, secondo questo Giudice, un danno già intrinseco sia a quello biologico sia a quello morale, nella logica del resto di quanto già statuito con la sentenza n. 911/99 della Suprema Corte di Cassazione, e sulla falsariga di quanto può ricavarsi dalla massima della sentenza n. 15449/2002, che sottolinea come il pregiudizio “esistenziale” costituisca una componente del danno non patrimoniale o morale.

Per quanto concerne il danno da demansionamento, osserva il Giudice che l'effettiva attività demansionata è durata circa tre mesi; parte ricorrente chiede che il danno si estenda anche al periodo di malattia, ma la tesi non può essere accolta. Durante l'assenza per malattia scattano altri danni, e cioè quelli sopra quantificati, senza che all'assenza possa imputarsi una “deprofessionalizzazione”; a riprova della inaccoglibilità della tesi attorea può considerarsi che, altrimenti, a fronte di una qualunque assenza determinata da una inadempienza datoriale, ad esempio un infortunio sul lavoro, il lavoratore potrebbe cumulare i danni normalmente riconosciuti a tale titolo ad un ipotetico danno da “demansionamento”, per il fatto di essere stato assente, a causa, appunto, di una inadempienza datoriale. Alla luce di tale considerazione, ritiene dunque il Giudice di dover liquidare in via equitativa, tenuto conto del livello culturale e professionale del dipendente, € 2.000 per ogni mese di effettiva dequalificazione, e cioè in complesso € 6.000 ( tre mesi effettivi per € 2.000).

Occorre solo osservare, ai sensi dell'art. 1225 c.c., che il datore di lavoro deve rispondere per tutti i danni di cui sopra, poiché la lesione e le disfunzioni lamentate devono considerarsi conseguenza immediata e diretta della inadempienza datoriale; inoltre il datore di lavoro non poteva non essere consapevole della notevole dequalificazione delle mansioni affidate all'Apostolo nei mesi centrali dell'anno 2000; le conseguenze di tale inadempienza del resto non potevano certo considerarsi del tutto imprevedibili poiché l'Apostolo ha reagito con una manifestazione patologica di tipo non gravissimo, e comunque sufficientemente preventivabile, alla luce della sua età, del suo inquadramento professionale, della partecipazione emotiva con la quale egli ha sempre corrisposto alle aspettative datoriali, nonché dell'investimento "esistenziale" (in questo caso il termine è senz'altro utilizzabile...) che il ricorrente riponeva nello svolgimento della sua attività lavorativa.

Per quanto riguarda gli esposti dei quali viene chiesto il rimborso, CTU ha riconosciuto fondata solo la pretesa del rimborso di Lire 300.000 attuali (€ 160,00) in relazione alla visita medica di cui alle fatture emesse il 5.1 e il 4.4.2001 dal dott. Savio.

Sulla base delle considerazioni di cui sopra, ritiene dunque il Giudice di dover condannare parte convenuta al pagamento delle seguenti somme, quantificate alla data odierna: € 4.000 a titolo di danno biologico; € 1.500 a titolo di danno morale; € 4.558 a titolo di invalidità temporanea; € 6.000 a titolo di risarcimento del danno da demansionamento.

Tali somme dovranno essere incrementate di rivalutazione monetaria e interessi legali solo dalla data della presente sentenza, tenuto conto che nella loro quantificazione attuale sono già stati tenuti presenti i parametri relativi a interessi e rivalutazione.

Alle somme di cui sopra dovrà aggiungersi il rimborso di € 160, sui quali rivalutazione e interessi dovranno essere calcolati dall'aprile 2001.

Le spese di lite possono essere compensate per metà, tenuto conto che le pretese attore risultavano molto più consistenti di quelle riconosciute in giudizio ma la residua metà deve essere in ogni caso addebitata alla parte convenuta, metà che si liquida in € 2,000 più Iva, cpa e successive occorrende (dì cui € 180 a titolo di spese generali, € 520 a titolo di diritti di procuratore ed il residuo a titolo di onorari di avvocato).

Le spese di CTU sono addebitate a parte convenuta in via definitiva.

P. Q. M.

Il Giudice del Tribunale Ordinario di Torino - Sezione Lavoro

Visto l'art. 429 c.p.c.

- condanna parte convenuta al pagamento in favore di parte ricorrente della somma netta di € 16.058,00 oltre rivalutazione ed interessi della presente sentenza ai saldo;

- condanna parte convenuta al rimborso delle somme di € 160,00, oltre rivalutazione dall'aprile 2001 al saldo;

- condanna parte convenuta alla rifusione di metà delle spese di lite, metà che si liquida in € 2.000,00 + Iva, cpa e successive occorrende;

- pone le spese di CTU a definitivo carico di parte convenuta.

Torino 8.3.2003 (dep. 21.3.2003)

 

(1)   Nota

 

Nella sentenza provvisoria depositata il 5 giugno 2002 il Giudice Grassi – dopo aver sottovalutato comportamenti aziendali (ante 2000) costituenti pacifica e concludente dequalificazione (mobbing, si direbbe) per il dirigente ricorrente (che si ipotizza contestabili in un eventuale fase di appello), sottovalutazione probabilmente radicata  nella convinzione, propria di molti magistrati estranei alle vicende aziendali, che vessazioni ed erosioni massicce di importanti prerogative professionali e/o gerarchiche  rientrino nei poteri di “flessibilità gestionale” dell’impresa e  nel dovere di “sopportazione”del prestatore, immanente ad una errata concezione del lavoro subordinato - così afferma (e lo si riferisce per comprensione piena dei lettori):

«...Anche solo in base alle dichiarazioni rese da Bramato Luciano è possibile osservare che le mansioni affidate all'Apostolo, dopo il giugno 2000, pur riguardanti studi molto delicati e innovativi, concernenti la riorganizzazione aziendale, tali senz'altro da poter essere considerati gratificanti dal teste Bramato, quadro direttivo presso la società convenuta, costituivano comunque una vera e propria dequalifìcazione professionale del ricorrente, il quale si trovava a dover effettuare semplicemente degli studi riguardanti dati di vario tipo che affluivano dal centro e dalla periferia, redigendo le corrispondenti tabelle, senza più avvalersi di nessun collaboratore, lavoro preordinato alla sistemazione di elementi conoscitivi di vario tipo per consentire agli organi superiori di valutare le decisioni da dover prendere in merito a tale riorganizzazione. Per quanto il lavoro potesse risultare stimolante per un quadro, tale non poteva apparire a chi, in precedenza, aveva gestito con ampi margini di autonomia un ufficio delicato come quello riguardante il settore amministrativo del Facility Management, avendo alle proprie dipendenze decine di collaboratori, e che veniva a trovarsi senza aver più a disposizione nemmeno una segretaria per l'eventuale dattiloscrittura di qualche documento. (omissis).

In sostanza dopo il giugno 2000, seppur nel brevissimo periodo intercorso tra il cambio di mansioni e il suo collocamento in malattia, l'Apostolo è stato senz'altro dequalificato, essendogli stati affidati compiti di studio e di elaborazione di dati  che, pur di rilevante importanza ai fini della definizione delle strategie aziendali, costituivano una deminutio del complesso dei poteri gerarchici, organizzativi e amministrativi che prima facevano capo al ricorrente.

Ritiene dunque il Giudice, sulla base delle considerazioni di cui sopra, di dover da un lato rigettare ogni pretesa attorea connessa all'ipotizzata dequalificazione per il periodo antecedente al giugno 2000, e dall'altro lato di dover invece dichiarare che egli è stato dequalificato dalla data di cui sopra, ordinando il suo ripristino in mansioni equivalenti a quelle svolte in precedenza, quale naturale conseguenza di quanto previsto dall'art. 2103 c.c.».

Ritornando alle angherie  perpetrate a danno del ricorrente dall'ottobre del 1999 in poi - e come detto in premessa sottostimate dal magistrato fino al giugno 2000 - va osservato che i vizi della sentenza provvisoria sul punto risiedono:

a) nell'aver da parte del giudice ritenuto attendibili le affermazioni testimoniali del mobber-primo superiore gerarchico (artefice di scientifici insabbiamenti di relazioni, di assegnazione di incarichi a subordinati del ricorrente, nella sua area di competenza e a sua insaputa, fidando nell'informativa da parte del mobber di secondo livello, ecc.), il tutto coperto dall'ammissione che "... il teste è indubbiamente la persona con la quale il ricorrente assume essere sorto un conflitto, ma le dichiarazioni rese...hanno trovato riscontro, nella parte in cui rilevano, in tutte le altre testimonianze acquisite, e quindi non vi è ragione per considerare inattendibile la testimonianza";

b) nel non aver stigmatizzato come intenzionale e doloso il "doppiogiochismo" del mobber-gerarchico di secondo livello (di provenienza dall'IMI e a noi ben noto), estrinsecantesi nella sottrazione di una dipendente del ricorrente (cui viene assegnata la responsabilità diretta di una porzione delle di lui competenze), l'affidamento ad altro ed all'insaputa del ricorrente della gestione dei beni artistici della banca, il sistematico negarsi ad ogni richiesta di colloquio, il tono arrogante, dispotico e denigratorio di rapportarsi, ecc. Anzi il giudice benevolmente lo assolve quando il teste Boratto afferma esplicitamente: "...ho talvolta riscontrato un certo disprezzo proveniente dal Pagliaro per il personale S. Paolo e quindi anche verso il rag. Apostolo (ovviamente il Pagliaro proveniva dall'IMI)", coprendone le magagne sostanzialmente all'insegna della precedente considerazione - attinente alla mancata informativa -  secondo cui "questa carenza, in tutta franchezza, sembra più riconducibile a qualche riscontrata difficoltà di comunicazione fra gli ex dirigenti IMI e gli ex dirigenti San Paolo, piuttosto che ad una deliberata condotta  tesa a dequalificare l'Apostolo". Eh, no! Chi ha un ruolo giudicante deve saper distinguere tra "involontarie dimenticanze" e orditi disegni o strategie di mobbing, poste in essere non episodicamente ma con sistematicità, come si sarebbe ben potuto desumere (non solo da parte nostra per diretta conoscenza dell'aiuto mobber) ma per  effetto dell'oggettivo susseguirsi delle vicende.

Quello che folkloristicamente colpisce, poi, chi scrive è l'aver casualmente "ritrovato" in questa vicenda giudiziaria un "tristo figuro", quel tal Pagliaro, con il quale abbiamo forzatamente convissuto al Servizio del Personale (2) nella Sede centrale dell'IMI di Roma, subendone tutte le variegate iniziative vanificatrici di ruolo e di funzioni (similmente al ricorrente rag. Apostolo) - per insofferenza alla nostra assunzione (avvenuta trasparentemente tra 42 candidati ad opera della Soc. GEA di Milano specializzata nella selezione dei quadri e dirigenti aziendali, investita dall'IMI di mandato di ricerca per offerta pubblica di posizione sul "Corriere della sera") - da noi inutilmente segnalate al management aziendale. E lo ritroviamo ancora in pieno "spiegamento di attività" - come si dice militarmente, "in servizio permanente effettivo" - in quel di Torino ("il lupo perde il pelo ma non il vizio"). Da parte nostra non nutriamo dubbio alcuno sulla  assoluta fondatezza  e veridicità degli addebiti di "doppiogiochismo"e di "mobbing" rivoltigli dal rag. Apostolo. Le sue note predisposizioni al "terrorismo psicologico" e al ruolo di "aiutante/luogotenente"  nelle iniziative di vessazione e persecuzione psicologica di colleghi e subordinati a lui invisi o percepiti come concorrenziali - sia per attirarsi le simpatie dei Superiori sia a titolo gratuito, perché patologicamente autogratificanti - appaiono, dalla lettura dello svolgimento del  presente processo, essere rimaste tuttora integre a distanza di  oltre un ventennio e ci richiamano alla memoria un "Comunicato" sindacale di Cgil-Cisl-Uil dell'IMI del 1979 che per primo le denunciò pubblicamente, comunicato il cui contenuto essenziale riteniamo istruttivo riportare qui di seguito: 

« COMUNICATO
Incapace di spaventare alcuno in Sede, la Direzione del Personale cerca sbocchi di consolazione in periferia. Pagliaro ha effettuato a Bari una singolare missione: intimidire l'unica iscritta confederale di quella Sede Regionale. Forte con i deboli, ma fino a un certo punto, tant'è che lo abbiamo saputo.
Materia dell'intervento era la richiesta avanzata dalla nostra collega di beneficiare del diritto alla rotazione nella mansione previsto dal Contratto Nazionale di Lavoro. Ricordiamo, per inciso, che il dr. Questa (neo Capo del Personale), ha vantato come propria innovazione organizzativa la consuetudine di formalizzare per iscritto gli atti correnti del Servizio del Personale, che in passato erano oggetto di impalpabili procedure verbali. Ebbene il luogotenente di Questa è ritornato ai vecchi metodi, mostrando tutta l'ambiguità di un presunto nuovo corso nella conduzione del personale.
Prolungandosi la crisi di vertice dell'Istituto, le fazioni della Direzione si fronteggiano cercando proseliti all'interno e all'esterno. Mentre Saracini ricerca fuori del palazzo di Viale dell'Arte rassicurazioni alle sue paure e incoraggiamenti alle sue speranze, il dr. Questa - per affrancarsi dall'ingombrante tutela di Bollino - cerca di costruire suoi personali punti di forza. Leve di questa ambiziosa politica sono il controllo dell'organizzazione attraverso Pagliaro (un vero, proprio luogo di fuga dai rapporti sindacali), il governo della formazione professionale e l'arruolamento di nuovi quadri da usare come mezzi di pressione su un probabile Presidente di provenienza esterna (Prof. Schlesinger). -(omissis)-
Una situazione di crescente tensione e disagio fra i lavoratori è inevitabile. Ma sarà una grande occasione di crescita se i colleghi diffideranno delle “serenate efficientistiche” di Questa e di quelle paternalistiche di Saracini difendendo la propria professionalità in piena autonomia e libertà concettuale.
Roma 26 novembre 1979
Cgil-Cisl-Uil dell’IMI »

(2) Ivi assunto  il 6/11/'67 previe insistenti segnalazioni fatte pervenire al Presidente IMI dell'epoca Avv. Siglienti da più fronti e specificatamente in sequenza cronologica dai: Sen. T. Spasari, nell'ottobre '66; Dr. B. Somaschini, segretario particolare del Ministro per i lavori pubblici, nel novembre '66; On. M.M. Guadalupi, sottosegretario di stato al Ministero della Difesa, prima nell'ottobre, poi nel novembre e nel dicembre '66; avv. D. Antoniozzi, sottosegretario di stato per l'Agricoltura e Foreste, nel gennaio '67.

Roma, 6 maggio 2003

M.M.

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