Demansionamento di un dirigente bancario e risarcimento danni
Tribunale di Torino (sezione lavoro, 1° grado) 21 marzo 2003 – Giud. Grassi – Apostolo Gaetano (avv. Berti) c. Sanpaoloimi SpA (avv. Borsotti, Bonamico, Maresca)
Demansionamento di un dirigente di azienda di credito – Conseguente caduta in sindrome depressiva, con attacchi di panico, ecc. – Responsabilità risarcitoria aziendale per il danno professionale, biologico, morale, per spese mediche documentate e per invalidità temporanea assoluta – Sussistenza – Scontata prevedibilità datoriale delle conseguenze dannose della dequalificazione inflitta, ex art. 1225 c.c. – Conseguente condanna al risarcimento danni a favore del ricorrente.
Per quanto concerne il danno da
demansionamento, osserva il Giudice che l'effettiva attività demansionata è
durata circa tre mesi (1); parte
ricorrente chiede che il danno si estenda anche al periodo di malattia, ma la
tesi non può essere accolta. Durante l'assenza per malattia scattano altri
danni, e cioè quelli sopra quantificati, senza che all'assenza possa imputarsi
una “deprofessionalizzazione”; a riprova della inaccoglibilità della tesi
attorea può considerarsi che, altrimenti, a fronte di una qualunque assenza
determinata da una inadempienza datoriale, ad esempio un infortunio sul lavoro,
il lavoratore potrebbe cumulare i danni normalmente riconosciuti a tale titolo
ad un ipotetico danno da “demansionamento”, per il fatto di essere stato
assente, a causa, appunto, di una inadempienza datoriale. Alla luce di tale
considerazione, ritiene dunque il Giudice di dover liquidare in via equitativa,
tenuto conto del livello culturale e professionale del dipendente, € 2.000 per
ogni mese di effettiva dequalificazione, e cioè in complesso € 6.000 ( tre mesi
effettivi per € 2.000).
Occorre solo osservare, ai
sensi dell'art. 1225 c.c., che il datore di lavoro deve rispondere per tutti i
danni di cui sopra, poiché la lesione e le disfunzioni lamentate devono considerarsi conseguenza immediata
e diretta della inadempienza datoriale; inoltre il datore
di lavoro non poteva non essere consapevole della notevole dequalificazione delle mansioni
affidate all'Apostolo nei mesi centrali dell'anno 2000; le conseguenze di tale
inadempienza del resto non potevano certo considerarsi del tutto imprevedibili
poiché l'Apostolo ha reagito con una
manifestazione
patologica di tipo non gravissimo, e comunque sufficientemente preventivabile, alla luce della sua età, del suo
inquadramento professionale, della
partecipazione
emotiva con la quale egli ha sempre corrisposto alle aspettative datoriali, nonché dell'investimento
"esistenziale" (in questo caso il termine è senz'altro utilizzabile...) che il ricorrente
riponeva nello svolgimento della sua
attività
lavorativa.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato
presso la Cancelleria della Sezione Lavoro il 21 maggio 2001, si costituiva in
giudizio il rag. Gaetano APOSTOLO, citando quale convenuta la propria datrice
di lavoro, SANPAOLO IMI, ed esponendo: di essere stato assunto dalla banca
convenuta il 20 giugno 1966 con mansioni di aiuto contabile; di aver svolto poi
la sua attività lavorativa in mansioni varie, sempre incrementando la propria
professionalità, operando sia in Torino che in altre parti d'Italia, sino ad
essere nominato dirigente nell'Aprile 1989; di essere stato incaricato,
dall'ottobre 1994, di svolgere le funzioni di Responsabile del Settore Gestione
e Risorse del servizio tecnico, a cui seguiva, nel 1996, anche l'investitura a
Responsabile del settore della Sicurezza Fisica della sede centrale e di tutti
i punti operativi di Italia; di aver svolto regolarmente la sua attività
lavorativa, sino a quando, nell'ottobre 1999, suo superiore diveniva il sig.
Firpo, venendo nominato come suo vicario il dott. Pagliaro, persone che si
caratterizzavano ben presto per una critica sistematica dell'operato di tutto il personale della Divisione Immobiliare,
nell'ambito della quale era inserita l'attività del ricorrente, favorendo il
“pettegolezzo e il doppiogiochismo”, che divenivano assai diffusi; che essi
inoltre avevano dotato (rectius: adottato, n.d.r.) la prassi di
scavalcare i vari responsabili di settore, fra cui il ricorrente, dando
incarichi “ad personam” ad alcuni collaboratori, all’insaputa dei loro diretti
superiori; che quale primo atto significativo il Firpo, senza alcun preavviso
né consultazione, aveva privato l'Apostolo del capo della sua Segreteria
Operativa, la sig.ra Spadoni; che anche il dott. Pagliaro cominciava a
rivolgersi al ricorrente in modo brusco e dispotico, anche in presenza di
subalterni; che si verificava in sostanza una consistente diminuzione delle sue
mansioni, venendo in proposito elencati una serie di compiti che, in
progressione temporale, erano tolti dal complesso delle responsabilità in
precedenza assegnate al ricorrente; che la situazione generale della funzione
di Facility Management e quella personale dell'Apostolo avrebbero avuto
l'effetto di causare in quest'ultimo crisi di panico, vomito, stress, etc.,
determinando addirittura atteggiamenti insofferenti del ricorrente persino nei
confronti della propria figlia di 9 anni; che attorno al Giugno 2000, senza
alcun preavviso, il ricorrente veniva trasferito presso la Divisione Rete
Filiali Italia, nell'ambito di un progetto denominato “Modelli Organizzativi di
rete” e messo alle dipendenze di un responsabile che aveva la qualifica di
dirigente di pari grado rispetto allo stesso Apostolo; che in sostanza
quest'ultimo si era trovato confinato in un ufficio isolato rispetto agli
altri, senza più alcuna delle responsabilità che a lui quale dirigente
competevano, senza potersi più avvalere della collaborazione di alcun
dipendente, e con incarico di svolgere mansioni esclusivamente esecutive, come
fare il censimento degli immobili, anche attraverso la predisposizione di mere
tabelle; che, con le nuove mansioni a lui affidate, l'Apostolo non riceveva più
posta dell'ufficio, non firmava più nessun atto rilevante, non riceveva
circolari interne, non aveva più alcuna facoltà di spesa, veniva
definitivamente privato delle deleghe di cui in precedenza godeva, trascorrendo
una giornata lavorativa vuota di impegni e che si consumava nella lettura dei
giornali o poco più; che a causa del comportamento datoriale egli aveva quindi iniziato un lungo periodo di malattia; che dopo alcuni mesi di
sua assenza era stato addirittura sgomberato
il suo ufficio, con spostamento anche dei suoi effetti personali. Sulla base di tali dati di fatto, ritenendo dì dover
imputare ; al comportamento datoriale tutti i problemi fisici, psicologici e
familiari accusati dal ricorrente, quest'ultimo formulava nei confronti della
società convenuta domanda di condanna al risarcimento dei danni patrimoniali,
biologici, non patrimoniali, esistenziali e morali (se al Giudice non ne è
sfuggito qualcuno), derivanti dall'illecita condotta della convenuta, assumendo
le conclusioni di cui in epigrafe. Si costituiva in giudizio la società
convenuta, ricapitolando le modifiche intervenute pro tempore negli
organigrammi del servizio tecnico e provveditorato, e comunque negando che al
ricorrente, sino all’11 giugno 2000, fossero state modificate le mansioni che
egli già svolgeva da alcuni anni, o che le medesime avessero subito variazioni
significative, contestando punto per punto tutta la congerie di episodi
elencati in ricorso a supporto della tesi dello svuotamento delle mansioni dirigenziali
fino ad allora espletate, prima che del settore assumesse la responsabilità il
Firpo. Affermava inoltre la Banca convenuta che il 12 giugno 2000 il ricorrente
veniva assegnato alla Divisione Rete Filiali Italia, con il compito di
collaborare ad uno specifico progetto specialistico denominato "Modelli
organizzativi di rete", progetto che richiedeva, per il suo studio e la
sua redazione, una grande professionalità, anche in questo caso non essendosi
verificata alcuna dequalificazione professionale, come viceversa preteso in
ricorso. Venivano inoltre criticate, sotto il profilo processuale e
sostanziale, tutte le pretese formulate dall'Apostolo, e attinenti ai più vari
aspetti della sua vita di relazione, sociale, familiare, professionale,
patrimoniale, esistenziale, morale, etc... . Anche le conclusioni di parte
convenuta sono riportate in epigrafe.
La controversia veniva
inizialmente istruita in alcune udienze comprese tra il 19 settembre 2001 e il
23 aprile 2002, resesi necessarie per consentire alle parti di elaborare un
faticoso tentativo di conciliazione, e per escutere numerosi testimoni.
All'ultima udienza di cui sopra il Giudice, dopo la discussione emetteva
sentenza non definitiva, disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione
del giudizio. Dopo la consulenza tecnica del dott. Marcello Milano il Giudice
decideva la lite in via definitiva all'udienza dell'8.3.2003.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il CTU, dott. Marcello Milano, in esito alle indagini
peritali formulava le seguenti conclusioni:
«Letti gli atti di causa e la documentazione medica;
Esaminata la documentazione
prodotta dalle parti;
Visitato il periziato,
discussi tutti i dati raccolti, riassunti, relativi ai fatti per cui è causa,
Ritengo di poter rispondere
ai quesiti posti dall'Ill.mo Signor Giudice dr. Maurilio Grassi, nel seguente
modo:
il signor Apostolo Gaetano è
affetto da un disturbo dell'adattamento con Umore Depresso (sec. DSM IV R 309.0).
L'accertato comportamento
datoriale - demansionamento dal giugno 2000 all'ottobre 2000 - ha svolto ruolo
di concausa nell'insorgenza della patologia.
Non vi sono elementi di
certezza o di alta probabilità per affermare la prevedibilità dell'evento, in
base a quanto ragionevolmente conoscibile da parte datoriale, con riferimento
alla personalità e/o patologie dell'interessato; poteva tuttavia essere
previsto un cambiamento in senso peggiorativo della qualità della vita, in
relazione alla precedente “vita lavorativa” del ricorrente. Tale peggioramento
della qualità della vita non è quantificatile quale danno biologico e potrà
essere eventualmente risarcito in via equitativa
dall’Ill.mo Sig. Giudice.
Quanto diagnosticato è
riconducibile al demansionamento e alla situazione di stress correlata alla
vicenda giudiziaria. Normalmente il Disturbo dell'Adattamento con Umore
Depresso si risolve nel giro di 6 mesi dopo la cessazione del fattore
stressante o delle sue conseguenze. Se il fattore stressante o le sue
conseguenze persistono anche il disturbo dell'adattamento può persistere.
Tenuto conto dell'età del
soggetto e dei suoi tratti di personalità è abbastanza attendibile che il
Disturbo da adattamento con Umore Depresso persista anche una volta cessati i
fattori stressanti e le sue conseguenze.
Tale patologia, qualora perduri, potrà comportare il riconoscimento di
un danno biologico permanente intorno ad un 4-5% (quattro-cinque per cento); ha
comportato una inabilità temporanea al lavoro specifico di 592 gg. ed una
incapacità biologica temporanea di 365 gg. a parziale al 25% e di 227 gg. a parziale al 10%.
Sono da rimborsare spese
sostenute e documentate per un importo di Lire 300.000 pari ad € 154,94. Non si
ritengono necessarie spese future per cure psicoterapiche tenuto conto da un
lato che il soggetto non ne ha mai sostenute o quanto meno non le ha
documentate e dall'altro che non è stata mai posta indicazione in tal senso da
parte dello psichiatra curante. Delle predette conclusioni sono stati informati
i Consulenti delle Parti».
Il Giudice non ha motivo per
discostarsi dalle risultanze della perizia, abbondantemente motivate e che
paiono corrette sotto il profilo logico e giuridico.
Non resta quindi che
richiamare sotto il profilo dell' an debeatur quanto già esposto nella
precedente sentenza non definitiva, e sotto il profilo quantificativo, procedere
secondo i criteri che seguono.
Per quanto riguarda il danno
biologico, ritiene il Giudice di dover senz'altro aderire alla quantificazione
effettuata dal CTU, e di dover in proposito rifarsi alle tabelle del Tribunale
di Milano, criterio che le parti non hanno contestato, e che risulta tuttora
adottato dalla prevalente giurisprudenza.
In proposito, tenuto conto
del fatto che il ricorrente, al momento del demansionamento, aveva 54 anni di
età, il danno, che secondo le tabelle deve considerarsi compreso fra € 3.220 e
€ 4.238, può essere equitativamente quantificato in €
4.000 attuali secondo il parametro equitativo che, in quanto tale, può già comprendere in sé la rivalutazione della somma alla data odierna, se si
tiene conto che i parametri impostati nelle
tabelle di Milano si rifanno alla data dell’1.1.2002. Per quanto concerne il
danno morale, poiché per prevalente giurisprudenza tale danno viene compreso
fra un quarto e la metà del danno biologico, tale componente risarcitoria può
essere quantificata in € 1.500,00, sempre individuati secondo il loro potere
d'acquisto attuale.
L'inabilità temporanea è
stata quantificata nella consulenza tecnica ed ad essa può quindi farsi
riferimento per ricavarne gli aspetti quantitativi; il CTU ha ritenuto di poter
valutare il 25% di temporanea per 365 giorni e il 10% per i residui 227 giorni;
calcolando il valore del risarcimento del danno giornaliero per invalidità
temporanea assoluta in € 40, se ne ricava che devono riconoscersi 10 € al
giorno per 365 giorni (25%) e 4 € al giorno per 227 giorni (10%); le moltiplicazioni danno
un risarcimento del danno al 25% pari a € 3.650 e al 10% pari a € 908.
Ritiene il Giudice di non
poter riconoscere il danno "esistenziale", una delle numerose
componenti che la giurisprudenza, sempre in cerca di nuove voci, estrapola da
quello che costituisce, secondo questo Giudice, un danno già intrinseco sia a
quello biologico sia a quello morale, nella logica del resto di quanto già
statuito con la sentenza n. 911/99 della Suprema Corte di Cassazione, e sulla
falsariga di quanto può ricavarsi dalla massima della sentenza n. 15449/2002,
che sottolinea come il pregiudizio “esistenziale” costituisca una componente
del danno non patrimoniale o morale.
Per quanto concerne il danno
da demansionamento, osserva il Giudice che l'effettiva attività demansionata è
durata circa tre mesi; parte ricorrente chiede che il danno si estenda anche al
periodo di malattia, ma la tesi non può essere accolta. Durante l'assenza per
malattia scattano altri danni, e cioè quelli sopra quantificati, senza che
all'assenza possa imputarsi una “deprofessionalizzazione”; a riprova della
inaccoglibilità della tesi attorea può considerarsi che, altrimenti, a fronte
di una qualunque assenza determinata da una inadempienza datoriale, ad esempio
un infortunio sul lavoro, il lavoratore potrebbe cumulare i danni normalmente
riconosciuti a tale titolo ad un ipotetico danno da “demansionamento”, per il
fatto di essere stato assente, a causa, appunto, di una inadempienza datoriale.
Alla luce di tale considerazione, ritiene dunque il Giudice di dover liquidare
in via equitativa, tenuto conto del livello culturale e professionale del
dipendente, € 2.000 per ogni mese di effettiva dequalificazione, e cioè in
complesso € 6.000 ( tre mesi effettivi per € 2.000).
Occorre solo osservare, ai
sensi dell'art. 1225 c.c., che il datore di lavoro deve rispondere per tutti i
danni di cui sopra, poiché la lesione e le disfunzioni lamentate devono considerarsi conseguenza immediata e diretta della
inadempienza datoriale; inoltre il datore
di lavoro non poteva non essere consapevole
della notevole
dequalificazione delle mansioni affidate all'Apostolo nei mesi centrali
dell'anno 2000; le conseguenze di tale inadempienza del resto non potevano
certo considerarsi del tutto imprevedibili poiché l'Apostolo ha reagito con una manifestazione patologica di tipo non gravissimo, e comunque sufficientemente preventivabile, alla luce della sua età, del suo inquadramento
professionale, della partecipazione emotiva con
la quale egli ha sempre corrisposto alle aspettative datoriali, nonché dell'investimento "esistenziale" (in questo
caso il termine è senz'altro utilizzabile...)
che il ricorrente riponeva nello svolgimento della sua attività lavorativa.
Per quanto riguarda gli
esposti dei quali viene chiesto il rimborso, CTU ha riconosciuto fondata solo la pretesa del rimborso di Lire 300.000
attuali (€ 160,00) in relazione alla visita medica
di cui alle fatture emesse il 5.1 e il 4.4.2001 dal dott. Savio.
Sulla base delle
considerazioni di cui sopra, ritiene dunque il Giudice di dover condannare parte convenuta al pagamento delle seguenti somme, quantificate
alla data odierna: € 4.000 a titolo di danno biologico; €
1.500 a titolo di danno morale; € 4.558 a titolo di invalidità
temporanea; € 6.000 a titolo di risarcimento del danno da demansionamento.
Tali somme dovranno essere
incrementate di rivalutazione monetaria e interessi legali solo dalla data della presente sentenza, tenuto conto che nella loro
quantificazione attuale sono già stati tenuti
presenti i parametri relativi a interessi e rivalutazione.
Alle somme di cui sopra
dovrà aggiungersi il rimborso di € 160, sui quali rivalutazione
e interessi dovranno essere calcolati dall'aprile 2001.
Le spese di lite possono
essere compensate per metà, tenuto conto che le pretese attore risultavano molto più consistenti di quelle riconosciute in
giudizio ma la residua metà deve essere in
ogni caso addebitata alla parte convenuta, metà che si liquida in € 2,000 più Iva, cpa e successive occorrende (dì cui € 180 a
titolo di spese generali, € 520 a titolo di
diritti di procuratore ed il residuo a titolo di onorari di avvocato).
Le spese di CTU sono
addebitate a parte convenuta in via definitiva.
P. Q. M.
Il Giudice del Tribunale
Ordinario di Torino - Sezione Lavoro
Visto l'art. 429 c.p.c.
- condanna parte convenuta
al pagamento in favore di parte ricorrente della somma netta di € 16.058,00
oltre rivalutazione ed interessi della presente sentenza ai saldo;
- condanna parte convenuta
al rimborso delle somme di € 160,00, oltre rivalutazione dall'aprile 2001 al
saldo;
- condanna parte convenuta
alla rifusione di metà delle spese di lite, metà che si liquida in € 2.000,00 +
Iva, cpa e successive occorrende;
- pone le spese di CTU a
definitivo carico di parte convenuta.
Torino 8.3.2003 (dep. 21.3.2003)
(1) Nota
Nella sentenza provvisoria depositata il 5 giugno 2002 il Giudice
Grassi – dopo aver sottovalutato comportamenti aziendali (ante 2000)
costituenti pacifica e concludente dequalificazione (mobbing, si
direbbe) per il dirigente ricorrente (che si ipotizza contestabili in un
eventuale fase di appello), sottovalutazione probabilmente radicata nella convinzione, propria di molti
magistrati estranei alle vicende aziendali, che vessazioni ed erosioni massicce
di importanti prerogative professionali e/o gerarchiche rientrino nei poteri di “flessibilità
gestionale” dell’impresa e nel dovere
di “sopportazione”del prestatore, immanente ad una errata concezione del lavoro
subordinato - così afferma (e lo si riferisce per comprensione piena dei
lettori):
«...Anche solo in base alle dichiarazioni rese da Bramato Luciano è possibile osservare che le mansioni affidate all'Apostolo, dopo il giugno 2000, pur riguardanti studi molto delicati e innovativi, concernenti la riorganizzazione aziendale, tali senz'altro da poter essere considerati gratificanti dal teste Bramato, quadro direttivo presso la società convenuta, costituivano comunque una vera e propria dequalifìcazione professionale del ricorrente, il quale si trovava a dover effettuare semplicemente degli studi riguardanti dati di vario tipo che affluivano dal centro e dalla periferia, redigendo le corrispondenti tabelle, senza più avvalersi di nessun collaboratore, lavoro preordinato alla sistemazione di elementi conoscitivi di vario tipo per consentire agli organi superiori di valutare le decisioni da dover prendere in merito a tale riorganizzazione. Per quanto il lavoro potesse risultare stimolante per un quadro, tale non poteva apparire a chi, in precedenza, aveva gestito con ampi margini di autonomia un ufficio delicato come quello riguardante il settore amministrativo del Facility Management, avendo alle proprie dipendenze decine di collaboratori, e che veniva a trovarsi senza aver più a disposizione nemmeno una segretaria per l'eventuale dattiloscrittura di qualche documento. (omissis).
In sostanza dopo il giugno 2000, seppur nel brevissimo periodo intercorso tra il cambio di mansioni e il suo collocamento in malattia, l'Apostolo è stato senz'altro dequalificato, essendogli stati affidati compiti di studio e di elaborazione di dati che, pur di rilevante importanza ai fini della definizione delle strategie aziendali, costituivano una deminutio del complesso dei poteri gerarchici, organizzativi e amministrativi che prima facevano capo al ricorrente.
Ritiene dunque il Giudice, sulla base delle considerazioni di cui sopra, di dover da un lato rigettare ogni pretesa attorea connessa all'ipotizzata dequalificazione per il periodo antecedente al giugno 2000, e dall'altro lato di dover invece dichiarare che egli è stato dequalificato dalla data di cui sopra, ordinando il suo ripristino in mansioni equivalenti a quelle svolte in precedenza, quale naturale conseguenza di quanto previsto dall'art. 2103 c.c.».
Ritornando alle angherie perpetrate a danno del ricorrente dall'ottobre del 1999 in poi - e come detto in premessa sottostimate dal magistrato fino al giugno 2000 - va osservato che i vizi della sentenza provvisoria sul punto risiedono:
a) nell'aver da parte del giudice ritenuto attendibili le affermazioni testimoniali del mobber-primo superiore gerarchico (artefice di scientifici insabbiamenti di relazioni, di assegnazione di incarichi a subordinati del ricorrente, nella sua area di competenza e a sua insaputa, fidando nell'informativa da parte del mobber di secondo livello, ecc.), il tutto coperto dall'ammissione che "... il teste è indubbiamente la persona con la quale il ricorrente assume essere sorto un conflitto, ma le dichiarazioni rese...hanno trovato riscontro, nella parte in cui rilevano, in tutte le altre testimonianze acquisite, e quindi non vi è ragione per considerare inattendibile la testimonianza";
b) nel non aver stigmatizzato come intenzionale e doloso il "doppiogiochismo" del mobber-gerarchico di secondo livello (di provenienza dall'IMI e a noi ben noto), estrinsecantesi nella sottrazione di una dipendente del ricorrente (cui viene assegnata la responsabilità diretta di una porzione delle di lui competenze), l'affidamento ad altro ed all'insaputa del ricorrente della gestione dei beni artistici della banca, il sistematico negarsi ad ogni richiesta di colloquio, il tono arrogante, dispotico e denigratorio di rapportarsi, ecc. Anzi il giudice benevolmente lo assolve quando il teste Boratto afferma esplicitamente: "...ho talvolta riscontrato un certo disprezzo proveniente dal Pagliaro per il personale S. Paolo e quindi anche verso il rag. Apostolo (ovviamente il Pagliaro proveniva dall'IMI)", coprendone le magagne sostanzialmente all'insegna della precedente considerazione - attinente alla mancata informativa - secondo cui "questa carenza, in tutta franchezza, sembra più riconducibile a qualche riscontrata difficoltà di comunicazione fra gli ex dirigenti IMI e gli ex dirigenti San Paolo, piuttosto che ad una deliberata condotta tesa a dequalificare l'Apostolo". Eh, no! Chi ha un ruolo giudicante deve saper distinguere tra "involontarie dimenticanze" e orditi disegni o strategie di mobbing, poste in essere non episodicamente ma con sistematicità, come si sarebbe ben potuto desumere (non solo da parte nostra per diretta conoscenza dell'aiuto mobber) ma per effetto dell'oggettivo susseguirsi delle vicende.
Quello che folkloristicamente colpisce, poi, chi scrive è l'aver casualmente "ritrovato" in questa vicenda giudiziaria un "tristo figuro", quel tal Pagliaro, con il quale abbiamo forzatamente convissuto al Servizio del Personale (2) nella Sede centrale dell'IMI di Roma, subendone tutte le variegate iniziative vanificatrici di ruolo e di funzioni (similmente al ricorrente rag. Apostolo) - per insofferenza alla nostra assunzione (avvenuta trasparentemente tra 42 candidati ad opera della Soc. GEA di Milano specializzata nella selezione dei quadri e dirigenti aziendali, investita dall'IMI di mandato di ricerca per offerta pubblica di posizione sul "Corriere della sera") - da noi inutilmente segnalate al management aziendale. E lo ritroviamo ancora in pieno "spiegamento di attività" - come si dice militarmente, "in servizio permanente effettivo" - in quel di Torino ("il lupo perde il pelo ma non il vizio"). Da parte nostra non nutriamo dubbio alcuno sulla assoluta fondatezza e veridicità degli addebiti di "doppiogiochismo"e di "mobbing" rivoltigli dal rag. Apostolo. Le sue note predisposizioni al "terrorismo psicologico" e al ruolo di "aiutante/luogotenente" nelle iniziative di vessazione e persecuzione psicologica di colleghi e subordinati a lui invisi o percepiti come concorrenziali - sia per attirarsi le simpatie dei Superiori sia a titolo gratuito, perché patologicamente autogratificanti - appaiono, dalla lettura dello svolgimento del presente processo, essere rimaste tuttora integre a distanza di oltre un ventennio e ci richiamano alla memoria un "Comunicato" sindacale di Cgil-Cisl-Uil dell'IMI del 1979 che per primo le denunciò pubblicamente, comunicato il cui contenuto essenziale riteniamo istruttivo riportare qui di seguito:
(2) Ivi assunto il 6/11/'67 previe insistenti segnalazioni fatte pervenire al Presidente IMI dell'epoca Avv. Siglienti da più fronti e specificatamente in sequenza cronologica dai: Sen. T. Spasari, nell'ottobre '66; Dr. B. Somaschini, segretario particolare del Ministro per i lavori pubblici, nel novembre '66; On. M.M. Guadalupi, sottosegretario di stato al Ministero della Difesa, prima nell'ottobre, poi nel novembre e nel dicembre '66; avv. D. Antoniozzi, sottosegretario di stato per l'Agricoltura e Foreste, nel gennaio '67.
Roma, 6 maggio 2003
M.M.
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