DEMANSIONAMENTO CON DANNO BIOLOGICO

 

Pretura di Roma, 17 aprile 1992 - Est.  Torrice - Calzolari c. Banca Nazionale del lavoro

 

Assegnazione di mansioni dequalificate e conseguente insorgenza di nevrosi d'ansia - Violazione dell'art. 2103 e 2087 c.c. - Sussistenza - Diritto al risarcimento del danno da dequalificazione e biologico - Sussistenza.

 

E’ nullo l'ordine di servizio con il quale vengono assegnate al dirigente, a scopi punitivi, mansioni dequalificate, atteso che il provvedimento organizzativo è determinato dall'intento di sanzionare comportamenti del dipendente al di fuori delle garanzie della procedura dell'art. 7 dello Statuto dei lavoratori.

La rimozione del dirigente dalla responsabilità dell'area commerciale e la conseguente messa a disposizione della Direzione generale, quale "assistente" con incarichi di assoluta inconsistenza contenutistica e qualitativa, viola l'art. 2103 c.c., inderogabilmente posto a tutela della professionalità di tutti indistintamente i lavoratori subordinati.

La dequalificazione, culminata nell'inattività, unicamente alla conseguente compromissione della capacità psico fisica del dipendente (a carico del quale è stata acclarata una patologia afflittiva del sistema nervoso), legittima sia la richiesta di risarcimento di danno alla professionalità sia di danno biologico (entrambe definite equitativamente, per il biennio di demansionamento, in 500 milioni).

 

Svolgimento del processo. - Con ricorso ritualmente notificato il dottor Augusto Calzolari, premesso di lavorare alle dipendenze della Banca Nazionale del lavoro dal 1954, ha riferito che, dopo avere ricoperto numerosi incarichi direttivi, nel 1986 era stato nominato Condirettore centrale, era stato preposto alla Sezione lavoro speciale per il Credito industriale di Roma, una delle sezioni di maggiore rilievo, e, nell'agosto 1987, era stato promosso Direttore centrale.

Ha aggiunto che nel gennaio 1988 gli era stata affidata la direzione dell'area commerciale, carica ritenuta tra le più importanti all'interno dell'organizzazione della BNL.

Ha lamentato il ricorrente che a partire dal maggio 1988, in occasione dell'avviamento di un piano di ristrutturazione verso il quale egli aveva nutrito serie perplessità, i rapporti con il Direttore generale si erano incrinati tanto che, con ordine di servizio 3189 del 1121 89, era stato rimosso dalla Direzione dell'area commerciale senza alcuna motivazione e designato «assistente del Direttore generale per lo studio e la trattazione delle problematiche inerenti ad un progetto per la ricapitalizzazione della banca e l'assetto giuridico istituzionale del gruppo».

Il ricorrente ha lamentato che col passare del tempo l'emarginazione e la dequalificazione della sua posizione professionale si erano ulteriormente aggrava te e ciò nonostante l'impegno da lui profuso nell'espletamento del nuovo incarico.

I nuovi vertici della BNL, a dire del ricorrente, avrebbero poi disatteso tutte le richieste di incontri miranti a chiarire la sua difficile posizione.

Il ricorrente ha lamentato, inoltre, di non essere stato nominato nel consiglio di amministrazione della società IRVA, al cui capitale sociale partecipava la BNL, e nemmeno presidente del fondo pensioni della banca, e di non essere stato preposto a nessuno dei sedici servizi istituiti con il nuovo regolamento della Direzione centrale, né chiamato a sostituire, nella direzione del Servizio credito, il dottor Salvatore Lupo.

In proposito, ha evidenziato che nella attribuzione dei nuovi incarichi la sua posizione era stata completamente ignorata e che per attribuire i nuovi incarichi la banca aveva dovuto procedere ad avanzamenti e promozioni.

La discriminazione era, a suo dire, culminata nella mancata nomina nella direzione centrale, organismo che, ai sensi dell'art. 31 dello Statuto era composto da Direttori centrali e Condirettori centrali, e, nel contempo, la emarginazione era oramai divenuta assoluta e non più sostenibile: le sue richieste di incontri indirizzate al presidente ed agli amministratori delegati nel febbraio 1991 erano rimaste senza alcun riscontro.

Il dottor Calzolari ha infine dedotto di avere riportato in conseguenza della illegittima condotta della BNL gravi danni alla sua immagine ed alla salute.

Tanto premesso, ed invocate le disposizioni contenute negli artt. 13 Statuto e 2087 c.c. ha chiesto  al Pretore di:

a)      dichiarare la nullità dell'ordine di servizio 3189 con il quale era stato sollevato dall'incarico di Direttore dell'area commerciale e nominato "assistente del Direttore generale", per l'illiceità del motivo ed il contrasto con l'art. 2103 c.c.

b)        Condannare la BNL a reintegrarlo nelle mansioni svolte precedentemente o ad attribuirgli funzioni operative equivalenti.

c) Condannare, inoltre, la banca a risarcirgli i danni subiti in conseguenza dell'illegittima dequalificazione ed emarginazione, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c, e determinati in:

1 - per il danno alla salute ed il danno biologico L. 700.000.000 ovvero la diversa somma ritenuta dal pretore;

2 - per il danno professionale, all'immagine, alla carriera ed alla dignità personale la somma di L. 604.163.000 pari all'ammontare delle retribuzioni percepite dal ricorrente durante l'intero periodo di dequalificazione.

Si è ritualmente costituita in giudizio la Banca Nazionale del Lavoro ed ha chiesto il rigetto della domanda, a sua volta assumendo che, come aveva riconosciuto nell'atto introduttivo, al Calzolari erano stati "tributati" incarichi prestigiosi e lusinghieri.

La BNL, inoltre, ha-evidenziato che i suoi poteri di organizzazione del lavoro e di distribuzione degli incarichi erano altamente discrezionali quando investivano "alte sfere dirigenziali", sicché ì margini di doglianza in relazione alle sue scelte dovevano ritenersi limitati.

Va aggiunto che, comunque, l'incarico di "assistente del direttore generale", era prestigioso, corrispondente al grado rivestito dal Calzolari ed equivalente alle mansioni da ultimo svolta, in quanto poneva il ricorrente a diretto contatto con il massimo dirigente della banca, mentre i compiti di studio relativi alla realizzazione degli obiettivi della banca erano affiancati da estesi poteri di iniziativa e responsabilità.

Ha negato la banca che l'azione svolta dal ricorrente nella ricerca di nuove alleanze avesse incontrato limiti o impedimenti.

In ordine alla richiesta relativa al risarcimento dei danni la BNL ha eccepito la mancanza di qualsiasi richiesta di prova circa l'esistenza e l'entità dei danni.

Ha, comunque, contestato che in concreto potessero configurarsi danni ad aspettative occupazionali in quanto il ricorrente era al vertice della carriera e mai aveva comunicato l'intenzione di passare ad altre imprese,ha negato che per effetto del mutamento di mansioni vi fossero stati danni all'immagine del ricorrente.

Quanto ai danni morali ha obiettato che il comportamento dei suoi organi era immune da censure penalmente rilevanti, ha negato l'esistenza di danni "biologici" ed ha escluso che i danni denunziati dal Calzolari fossero in qualche modo prevedibili.

Ha sostenuto che l'importo della retribuzione relativa alle mansioni spettanti non poteva essere utilizzato come parametro per la liquidazione dei danni denunziati in ricorso, trattandosi di criterio irragionevole e metagiuridico.

Sul contraddittorio, così instauratosi, fallito il tentativo di conciliazione ed interrogate le parti, è stato autorizzato il deposito di note difensive.

Nel corso dell'odierna udienza, la causa, all'esito di ampia ed articolata discussione orale, è stata decisa con pubblica lettura del dispositivo.

Motivi della decisione. - Sono pacifiche le circostanze di fatto rilevanti ai fini del decidere, vertendo essenzialmente il contrasto sulla equivalenza o meno delle mansioni espletate dal dottor Calzolari successivamente al febbraio 1988.

In particolare, è pacifico che il ricorrente abbia fatto una brillante carriera in seno alla BNL ricoprendo nel tempo incarichi sempre più rilevanti e prestigiosi fino a giungere al grado di Direttore centrale (la BNL ha precisato che erano solo 11).

Non contesta la banca che l'incarico di Direttore dell'area commerciale, ricoperto dal Calzolari in epoca precedente l'ordine di servizio impugnato, comportasse ampi ed incisivi poteri di iniziativa e di intervento non solo a livello operativo ma anche ai fini della formazione dell'indirizzo e dell'orientamento dell'attività gestionale della BNL.

E' del pari pacifico che la struttura diretta dal ricorrente avesse le caratteristiche dimensionali e soggettive descritte a pag. 5 del ricorso (con il Calzolari collaboravano un Condirettore centrale, due Direttori superiori, tre Direttori di sede, un Direttore di 1°categoria e 150 persone fra Condirettori, vice Direttori, funzionari ed impiegati).

Secondo la tesi difensiva della convenuta le mansioni di "assistente dei Direttore generale" sarebbero equivalenti rispetto a quelle in precedenza espletate in quanto "la categoria dei dirigenti, anche a livello più elevato, si è estesa fino a ricomprendere nel suo ambito i cosiddetti dirigenti di staff, operanti al fianco dell'imprenditore o degli organi sociali con rilevante possibilità di partecipazione e di influenza e scelte operative di rilievo determinante".

Nel corso del libero interrogatorio il legale rappresentante della BNL ha dichiarato che il ricorrente non era stato preposto a nessuna delle strutture operative in considerazione della valutazione (evidentemente negativa) dei risultati dell'attività svolta presso la Sezione del credito industriale e, successivamente, presso l'area commerciale, nonché delle sue condizioni di salute.

Già sulla base delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della BNL si può concludere che l'ordine di servizio impugnato è nullo perché determinato dall'intento di sanzionare comportamenti di un dipendente al di fuori della procedura di cui all'art. 7 Statuto dei lavoratori.

Le dichiarazioni riportate hanno valore confessorio non solo di intenti punitivi ma forniscono utili elementi in ordine al lamentato demansionamento, se valutate in una alle risultanze documentali ed alle circostanze di fatto indicate in ricorso, che, come già evidenziato, sono per la più gran parte pacifiche.

Nel provvedimento 1/2/89 non vengono in alcun modo specificati i compiti affidati al ricorrente.

In esso, infatti, si legge "in relazione al progetto per la ricapitalizzazione della banca e l'assetto giuridico ed istituzionale del gruppo - di rilevante attualità strategica - ho designato quale mio assistente per lo studio e la trattazione delle complesse problematiche ad esso inerenti il Direttore centrale dottor Augusto Calzolari, il quale lascia pertanto la direzione dell'area commerciale".  La assoluta genericità della attribuzione imponeva una successiva specificazione dei compiti affidati al ricorrente ma ciò non risulta essersi verificato e nemmeno nel corso del giudizio la banca nulla di più ha precisato in ordine a tali attribuzioni, ma si è limitata a sostenere la tesi della prestigiosità del nuovo incarico per la opportunità offerta al ricorrente di collaborare da vicino e direttamente con il massimo organo della banca.'

Tale ricostruzione non convince, in quanto il ricorrente, proprio in relazione al grado di Direttore centrale e agli incarichi da ultimo espletati, era già a diretto contatto con i vertici della banca ed è innegabile che sino al febbraio 1988 contribuì a determinarne gli orientamenti e le massime decisioni.  Di contro, è emerso che "il contatto diretto"col Direttore generale è servito per isolare il ricorrente dall'intero contesto organizzativo.

Non risulta, infatti, che la banca abbia dotato il ricorrente di uomini e mezzi per la realizzazione dell'incarico da ultimo affidato e la circostanza non può non significare assoluta inconsistenza contenutistica e qualitativa delle nuove mansioni.

L'assenza di qualsiasi riscontro da parte dei vertici della BNL alle numerose, richieste di istruzioni inviate dal ricorrente nell'aprile e nel novembre 1990 e, ancora, nel febbraio 1991, è inequivocabile indizio dell'intento di emarginarlo completamente dalla vita attiva ed operativa dell'istituto.

Ulteriore conferma dell'avvenuto demansionamento si rinviene nella circostanza - anche questa non contestata e documentalmente riscontrabile (cfr. atti ricorrente)- che nel regolamento relativo all'organizzazione della banca la figura dell'assistente del Direttore generale non è in alcun modo prevista e non risulta che nel passato siffatto ruolo sia stato ad altri attribuito.

Il comportamento della convenuta appare tanto più scorretto alla luce del principio generale di cui all'art.  1176 c.c., se si considera il disinteresse mostrato dai vertici della banca nei confronti della persona del ricorrente ma non anche per l'attività che lo stesso curò nel suo interesse.

E' pacifico (ma si leggano gli articoli di stampa in atti ricorrente e la stessa comparsa di costituzione) che la BNL si giovò dell'attività di ricerca di alleanze ed accordi realizzata dal ricorrente, tra il febbraio 88 e l'aprile 90, ne raccolse i frutti, ma nessun risalto diede alla partecipazione attiva del lavoratore né all'interno né all'esterno.  La circostanza, più volte evidenziata dalla convenuta, che il ricorrente abbia riempito di contenuti concreti la nuova posizione professionale attribuitagli con l'ordine di servizio 3/89, ed abbia collaborato in maniera fattiva e diligente, non esclude l'illegittimità dell'operato della banca e, quindi, la possibilità di censurarne il comportamento ai sensi dell'art. 13 Statuto dei lavoratori, posto che il demansionamento non può essere considerato legittimo sol perché il lavoratore ritenga di prestare obbedienza alle disposizioni del datore di lavoro.

Peraltro, é verosimile ritenere che il dottor Calzolari, pur nel disagio vissuto per l'allontanamento dalla vita operativa, abbia avvertito il dovere di continuare a collaborare diligentemente, offrendo anche in relazione al nuovo incarico tutta l'esperienza. la professionalità e l'innegabile entusiasmo nella ragionevole attesa di tempi migliori.  E' certo, poi, che dal maggio 1990 il ricorrente non fu in grado di espletare più alcun tipo di attività: si è già detto che le sue richieste di istruzioni restarono prive di riscontro al pari dell'invito volto ad ottenere, proprio dagli organi con i quali il "contatto" avrebbe dovuto essere diretto ed immediato, un incontro per definire la sua vicenda professionale.

Alla luce di siffatte emergenze, la violazione dell'art. 2103 c.c. è innegabile.

La norma citata dispone, infatti, che il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione.

I dubbi prospettati dalla difesa della resistente in ordine alla applicabilità dell'art. 13 dello Statuto dei lavoratori ai lavoratori, che come il Calzolari, appartengono alla categoria di "altissimi" dirigenti, sono infondati alla luce del condivisibile orientamento giurisprudenziale di merito e di legittimità.

La possibilità di recedere ad nutum riconosciuta dalla legge e ribadita dalla vigente contrattazione collettiva in capo all'imprenditore non comporta, infatti, soppressione dei diritti che l'art. 13 Statuto dei lavoratori ha inteso inderogabilmente tutelare a favore di tutti i lavoratori subordinati.  E' indubbio che l'elevato grado di professionalità delle mansioni dei cosiddetti super dirigenti, al pari della posizione rivestita da questi lavoratori nell'ambito dell'organizzazione imprenditoriale e della scala gerarchica, e del notevole ed incisivo grado di autonomia che caratterizza le loro mansioni, postulano una collaborazione particolarmente dinamica e duttile da parte di tale categoria di lavoratori, e, rovescio della medaglia, una più ampia discrezionalità dell'imprenditore nell'esercizio dello ius variandi.

Così ricostruita la portata della norma inderogabile, risulta evidente la sua violazione: è emerso, infatti, che l'incarico affidato al ricorrente con l'ordine di servizio 3/89 non era corrispondente né all'elevato grado né alle mansioni in precedenza svolte, grado e mansioni caratterizzate, come si è detto, -da ampi ed incisivi poteri di intervento nell'attività immediatamente operativa della banca.

Il ruolo di assistente del Direttore generale è, per di più, risultato privo di contenuto e il ricorrente dall'aprile al maggio 1990 è stato lasciato completamente inattivo.  In ordine alle conseguenze dell'illegittimo esercizio dello ius variandi, deve escludersi la possibilità di una pronuncia reintegratoria "reale" per la inoperatività della previsione dell'art. 18 Statuto dei lavoratori rispetto a fattispecie diverse dal licenziamento in conseguenza della assoluta specialità della tutela.

Non può negarsi la potenzialità lesiva dell'avvenuto demansionamento rispetto alla posizione professionale del ricorrente: la privazione dell'attività lavorativa corrispondente alla qualifica determina una riduzione della posizione professionale, della possibilità di ulteriore affinamento delle capacità di lavoro (possibilità che non può escludersi solo in relazione all'età ed al grado del ricorrente) di opportunità di successo ed occupazionali nel mondo dell'economia e della finanza (caratterizzata da frequenti interscambi con il mondo bancario).  Si tratta di danni, prevedibili con la comune esperienza, consistenti nelle lesioni a beni della vita che, pur non avendo un immediato prezzo economico, si ripercuotono anche sotto il profilo patrimoniale, secondo l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato (cfr.  Cass., 4956/87, 3367/1988, 411/1990, 8835/1991; Corte cost., 184/86), consistendo nella compromissione peggiorativa della capacità psicofisica del ricorrente incidente sull'esplicazione della vita di relazione.

Il Supremo Consiglio, nel ritenere che il bene della salute costituisce, come tale, oggetto di autonomo diritto primario assoluto, ha precisato che "il risarcimento dovuto per la sua lesione non può essere limitato alle conseguenze che incidono solo sull'idoneità a produrre reddito, ma deve autonomamente comprendere il cosiddetto danno biologico, inteso come la menomazione dell'integrità psicofisica della persona in sé per sé considerata, in quanto incidente sul valore uomo, in tutta la sua dimensione che non si esaurisce nell'attitudine a produrre ricchezza ma si collega alla somma delle funzioni naturali riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita ed aventi rilevanza non solo economica ma anche sociale" (Cass., 411/90).

Il ricorrente ha fornito sufficienti elementi di prova circa la sussistenza dei danni derivati dalla dequalificazione.

Non è contestato ma pacifico che successivamente all'ordine di servizio 3/89 lo stesso è stato escluso dall'attribuzione di tutti gli incarichi connessi alla qualifica rivestita (esclusione dalle strutture operative istituite col nuovo regolamento, dalla direzione centrale).  Quanto all'offuscamento della immagine sociale e professionale derivante dall'attribuzione dell'incarico di "assistente del Direttore generale" è emblematico che la corrispondenza indirizzata al dottor Calzolari recava la mortificante annotazione "a disposizione "(cfr. atti ricorrente).

La documentazione medica genericamente contestata - prodotta anche nel corso del giudizio - conferma la portata lesiva della condotta della BNL.

Il medico curante, specialista in psichiatria, ha precisato che la patologia è “causata da un grave stato di disagio e di delusione; causa particolare di tale delusione e sostenente quindi lo stato di depressione, è stato il sollevamento dall'incarico di Direttore commerciale della BNL e l'utilizzo in mansioni di minima importanza...”

Sulla correttezza della diagnosi e delle cause della patologia non sono consentiti dubbi tenuto conto e dei dati di comune esperienza, circa le ripercussioni sul sistema nervoso dei disagi vissuti nel lavoro (vi sono persone che amano il lavoro e che attraverso il lavoro si sentono utili e realizzate) e della epoca di insorgenza.della malattia il ricorrente lamenta che i rapporti iniziarono ad incrinarsi nel luglio 1988 in occasione dell'avvio del piano di ristrutturazione).  Vi è pertanto spazio per la liquidazione equitativa dei danni ai sensi dell'art. 1226 c.c.

Ritiene il Pretore che nella determinazione equitativa non si possa prescindere:

dalla misura della retribuzione da ultimo percepita (L. 604.163.000 annue), attraverso tale parametro è possibile determinare con sufficiente ragionevolezza il danno relativo alle potenzialità di successo ed occupazionali; dalla durata della condotta lesiva, dovendo presumersi che il bagaglio professionale e le prospettive del suo affinamento si siano logorati sempre più nel tempo anche in relazione all'aggravarsi del demansionamento (certo la assoluta inoperosità verificatasi dall'aprile al maggio 1990 è stata pregiudizievole più della adibizione ad incarichi non consoni al grado); dall'età e dall'anzianità di servizio dei ricorrente: è evidente che il senso di frustrazione e di delusione determinante la patologia riscontrata nella documentazione in atti è reso tanto più intenso e lesivo dall'età non più giovane del dottor Calzolari e dalla durata del rapporto di lavoro ultratrentennale.

Sulla scorta delle considerazioni svolte si ritiene equo determinare i danni subiti dal dottor Calzolari nella misura complessiva di L. 500.000.000.

Le spese di lite seguono la soccombenza, come di norma. (Omissis).

(Torna alla sezione Mobbing)