STORIA DI PAOLO
(scritta dall’interessato)
Cerco qui di condensare dieci anni
di “mobbing” e soprattutto di “bossing” subiti all’interno di una banca del
Nord Italia, i danni che ne sono
derivati e le azioni legali esperite.
Esorto a trarre esempio dalla mia
esperienza, a non rassegnarsi mai, ad utilizzare tutti i mezzi legali,
sindacali, informativi, associativi, per reagire.
Ricordo, in particolare, a tutti i lettori, che chi subisce senza reagire diventa lui stesso un complice dei
suoi persecutori ed avalla, con la sua passività, ogni analoga violenza.
a) - il periodo fino al dicembre 1997 -
Nel 1987, dopo dieci anni di
“onorato servizio”, divenni il
funzionario e la “prima firma” (“firma per la responsabilità” ) di un
importante ufficio centrale, composto da otto persone, di un istituto di
credito del profondo “Nord Italia”; la posizione era conforme all’anzianità
maturata, alle valutazioni
assolutamente positive ed ai titoli di studio (laurea in giurisprudenza
ed abilitazione alla professione di avvocato) da me conseguiti studiando e lavorando insieme.
Alla fine del 1987 ( dopo
“opportuna preparazione del terreno” tramite
possenti “cori di voci
elogiative” durati mesi e mesi e
tramite trasferimenti di altri colleghi in modo da “far posto”) venne
assunto il Dr. X, “naturalmente” senza
il fastidioso onere di dover superare il noto concorso interno, teoricamente
obbligatorio per tutte le assunzioni della banca.
Nel giro di poco tempo – tramite
analoghe assunzioni irregolari ed
opportuni trasferimenti interni – l’intero ufficio diventò un “corpo deviato”,
formato esclusivamente da “soggetti deviati”, cioè da colleghi entrati in banca
o “per cooptazione” o tramite procedure irregolari di assunzione e, comunque sia,
senza essere stati sottoposti alla
procedura di concorso.
A partire dal 1988, all’interno di questo “corpo deviato”, si
scatenò l’inferno, un inferno che in troppi casi consimili è apparso incomprensibile o è stato
attribuito, al massimo, a gelosie, a
carrierismi e a differenze di
carattere (“mobbing”) e
che invece nel caso specifico, come per fortuna abbondantemente dimostrato
anche all’Autorità Giudiziaria Penale,
aveva una fin troppo specifica finalità e derivava da motivazioni di
particolare gravità (“bossing”) .
Il Dr. X, fin dai primi giorni, si
comportò come se fosse lui il capo dell’ufficio e dimostrò una particolare insofferenza nei miei confronti; presto
l’insofferenza divenne aperto sprezzo
ed altezzoso porsi fino a sfociare nell’insubordinazione più sfrenata ed in
comportamenti oggetto, poi, di numerose denunce e querele.
In parallelo al Dr. X, brillava
l’atteggiamento del funzionario Dr. Y (“seconda firma” o “firma per il
controllo” del medesimo ufficio)
rivestito dal ben preciso incarico di far sì che nulla disturbasse le
varie “attività” del Dr. X., “attività” che, “ovviamente”, non si
esaurivano certo nella normale
prestazione lavorativa.
Fin dai primissimi giorni, il Dr.
X iniziò a ricorrere massicciamente al "lavoro straordinario"; non
vi era alcun precedente in questo senso e comunque non vi era alcuna reale necessità.
La mia opposizione a questo modo di comportarsi del Dr. X –
pienamente titolata, in quanto ero io il Funzionario “prima firma” - fu immediatamente bloccato dal Dr. Y,
che pareva addirittura addestrato al
“bossing” da specialisti, con queste tecnica: le mie censure nel
confronto del Dr. X per l’abuso dello
straordinario erano “inammissibili” ed “improcedibili” perché inammissibile era il termine (“andazzo”) con cui io stesso avevo definito questo abuso (primavera
1988) .
In altre parole, fu fatta leva
sulla “forma” per evitare di discutere sulla “sostanza” , “apprezzata” tecnica di mobbing e di bossing.
L’episodio di cui sopra scatenò la
prima di una lunga serie di furiose ,
sfibranti, pretestuose discussione, e si segnalò anche per essere stato il primo,
scoperto e gravissimo episodio
di insubordinazione strumentale nei
miei confronti.
Ma lo “specialista di bossing”
Dr. Y non si limitò certo a quello; negli anni successivi fu un fiorire
di tecniche da riempire un manuale:
Ogni contatto fra l’ufficio e “il
resto della banca” era regolato in modo che i colleghi chiedessero sempre e solo
del Dr. X, al punto tale che qualcuno iniziò a dire che era “l’ufficio del Dr. X” e qualcun altro che se non c’era
il Dr. X “non c’era nessuno”; questa tecnica era applicata in maniera
integrale, dai commessi che come entravano davano la posta al Dr. X fino ai
dirigenti che, in assenza di Y, chiamavano direttamente X .
Ogni manifestazione, da parte mia, di dirigenza dell’ufficio e di
esplicitazione della mia posizione di funzionario e di prima firma
dell’ufficio, venne bloccata dal Dr. Y e sottoposta a pubblica gogna .
Ogni manifestazione del mio
diritto-dovere di sostituire il Dr. Y durante le sue assenze, compresa la
famosa “presa di consegne” prima delle ferie, veniva sottoposto a forme di furiosa
beffa, di ironia, di sbeffeggiamento, di delegittimazione; tanto per dirne una
non di rado il Dr. Y informava
preventivamente delle sue assenze tutti tranne chi scrive, che veniva poi messo in burla da tutto l’ufficio perché, pur dovendo
procedere alla sostituzione, era
l’ultimo a sapere dell’assenza;
ogni forma di insubordinazione e
di aggressività nei miei confronti all’interno dell’ufficio fu alimentata ed
incoraggiata dal Dr Y (e da chi gli dava ordini) giorno dopo giorno; tra le cose
più gravi ricordo che il Dr. X iniziò presto ad assegnare le pratiche a legali
esterni di suo gradimento (si tratta di
avvocati “fuori piazza” ma che manifestavano
fin dall’inizio una particolare ed assai strana “confidenza” verso il Dr. X) , il tutto
anche contravvenendo esplicite indicazioni del Presidente della banca stessa;
alle mie opposizioni a questo stato di cose vi furono in ufficio liti di una violenza incredibile senza che le cose
mutassero;
ogni forma di sprezzo insolente e di villaneria verso di me da
parte di colleghi esterni all’ufficio
(e in qualche caso di clientela) fu
ugualmente incoraggiata o comunque avallata;
ogni forma di maldicenza anche
contro scelte mie personali e private
fu alimentata o comunque tollerata; gravissimi furono, in particolare, i
commenti del Dr. X e di sua moglie
quando venni nominato, nel 1992, responsabile della Magistratura di
Conciliazione del mio Comune, incarico che poi ricoprii fino alla scadenza del
1997 con lode ed encomio;
il più piccolo errore da me compiuto veniva posto – insieme con i
miei difetti naturali - sotto una
particolare “lente di ingrandimento” , mentre qualunque sbaglio del Dr. X e
della moglie , nonché qualsiasi loro difetto naturale, veniva riguardosamente ovattato,
dall’ineffabile Dr. Y, sotto una spessa e riverenziale “coperta di gommapiuma”;
ogni osservazione effettuatami dal
Dr. Y era occasione di pubblico
dileggio e ogni minimo pretesto era grato al Dr. Y per attaccare soprattutto la
funzione e la valenza morale di “prima firma” dell’ufficio, che ricoprivo ;
sempre le trasferte erano
“superflue” tranne quelle del Dr. X: dal 1989 al 1991 ne effettuò ben 71
(settantuno), quasi tutte a Milano, in un ufficio “senza precedenti” e “senza
paragoni”;
sempre lo straordinario “non era
necessario”, tranne quello del Dr. X e di sua moglie che, ogni anno, sfondarono
abbondantemente i massimi contrattuali ;
sempre le veline degli altri erano
“urgenti” e venivano prontamente scritte dalle colleghe, tranne le mie;
nell’estate del 1993, addirittura, non vennero più scritte da nessuno fin tanto
che si presentarono sparpagliate a centinaia, sulle scrivanie
dell’ufficio, inevase (luglio 1993);
le “presentazioni” fatte a
terzi che accedevano al nostro ufficio
(avvocati, ufficiali di P. G., ecc)
erano tutto “un gioco” del Dr. Y, tendente a sottolineare, con quella
tecnica, “le vere gerarchie” dell’ufficio (sembrava quasi che, in quelle
occasioni, il Dr. Y tendesse a presentare ai terzi “la banca nella banca”, cioè
un organismo di potere che, con la
banca ufficiale, non aveva quasi nulla da spartire).
Eccezionali erano gli sforzi del
Dr. Y che “quasi non dormiva di notte” per sottrarmi tutte le nuove pratiche di
un certo rilievo e, in particolare modo, quelle di Milano, da attribuirsi,
invece, al Dr. X;
sempre il Dr. Y era impegnato ad
insegnare all’ufficio “divertenti giochi”: ricordiamo quello “del cambio delle
carte in tavola”, per il quale una cosa decisa ufficialmente anche solo cinque minuti prima non aveva
alcun valore di fronte al parere
contrario del Dr. X e di sua moglie; “del paravento”, tramite il quale chi
eventualmente avanzava critiche veniva bloccato con osservazioni
pretestuose, per es. su come era vestito,
su come pronunciava una determinata parola, ecc.; delle “happy hour”, tramite il quale venivo
bersagliato nel momento più delicato, cioè quando controllavo la corrispondenza
e ponevo la prima firma; del “good-bye holidays”, tramite il quale il Dr. Y
rinunciava persino alle ferie ed alla villeggiatura per controllare anche
telefonicamente l’ufficio tutti i giorni in cui non era presente, iniziando a telefonare fin dal primo mattino del primo giorno di
“ferie”; dell’”orticello”, secondo il quale se ero io a parlare con i clienti
“c’era sotto qualche cosa”, mentre se si attardavano il Dr X o il Dr. Y era
solo “per meglio specificare i
particolari”; dei “giochini”, secondo il quale – tolte le pratiche seguite dal
Dr. X e poco altro – il resto del lavoro erano “bazzeccole” che occupavano, al
massimo, il 5% del tempo e della forza lavoro dell’ufficio; dei “quizzitelli
legali” secondo il quale prima venni oberato
della mansione di svolgere anche le problematiche legali e poi si definì
sprezzantemente “quizzitelli legali” questo genere di lavoro.
Sempre il Dr. Y appariva
preoccupato di prevenire eventuali progressi – ottenuti anche tramite
progressivo affinamento della tecnologia -
che comportassero il progressivo superamento del mio handicap, come se
proprio su di esso avessero “puntato e scommesso” i colleghi per il loro
vantaggio personale.
Semplicemente vergognosa – ed
illecita quantomeno sotto il profilo della esecuzione di buona fede dei
contratti - fu la progressione delle carriere a favore della “cordata” Dr X –
Dr. Y., due personaggi che apparivano
sempre più, con il passare del tempo, legati da parecchi interessi.
Altrettanto semplicemente
vergognosa fu l’attività di aperta beffa, di quotidiana delegittimazione e di
intensa demolizione che venne svolta nei miei confronti , profittando anche di
un mio preciso handicap neurosensoriale (sono invalido civile).
Incredibile era l’atmosfera di
tensione che accompagnava uno specialista di elettronica mio amico, quando entrava in ufficio per approntare progressivamente un’apparecchiatura tendente
a farmi superare almeno in parte il mio handicap.
La tensione all’interno
dell’ufficio fu alimentata anche tramite questa tecnica: quando il Dr. X e una collega del nostro
stesso ufficio si sposarono, vennero mantenuti
nel medesimo posto di lavoro,
l’uno di fronte all’altro, in spregio
ad ogni precedente ed alle più consolidate consuetudini in materia.
Tutto quanto sopra – per quanto
grave e fonte di danni e di responsabilità civili e penali - fu solo “lo
sfondo” per fatti assai più gravi, che vennero progressivamente alla luce negli
anni seguenti.
- I FATTI PIU’ GRAVI -
Con il passar del tempo mi accorsi
che il mio subordinato gerarchico Dr. X
– come sempre coperto dal Dr. Y, il quale , a sua volta, sembrava agire come una marionetta in obbedienza ad ordini
superiori – utilizzava l’ufficio stesso
e l’orario di lavoro “come una
piattaforma” per portare avanti, in maniera sempre più spudorata, con aperto
sprezzo nei confronti di chiunque, “una serie di attività” che nulla avevano da
spartire con il normale impiego di lavoro.
In sostanza, l’ufficio stesso
inteso come locale fisico veniva usato per ricevere – durante l’orario di
lavoro, sotto gli occhi di tutti e con l’assoluto convincimento d’impunità
- migliaia di volte negli anni,
nonostante che fosse una parte interna e riservata della banca, diversi
personaggi non collegati con il lavoro, che non avevano alcuna giustificazione
per trovarsi lì e che poi risultarono indiziati di complicità con il Dr. X per
diverse fattispecie illegali.
Parallelamente tutto veniva
strumentalizzato a questi fini: le trasferte a Milano, l’uso del telefono, l’attività della
moglie, ecc…
Poiché i fatti che si stavano
progressivamente appalesando ai miei occhi
erano di una gravità eccezionale, ne riferii centinaia di volte al Dr. Y
(che non vedeva, non sentiva, non parlava e tutto negava), a superiori gerarchici e ad un ben
determinato dirigente sindacale, ottenendo, in risposta, in parte negazioni, in
parte motteggi (“ecco, noi diciamo che tu incominci a vedere i fantasmi”), in
parte atteggiamenti intimidatori e in parte altra veri e propri espliciti inviti “a dare le
dimissioni”.
Nella primavera del 1996 il
direttore generale mi disse che intendeva dividere l’ufficio in due tronconi: il legale ed il contenzioso;
mi disse che io sarei stato il
responsabile del “legale”; gli chiesi se la “manovra” avesse – come
unici scopi – quelli di togliermi dai
piedi per liberare la strada al Dr. X e
fornire ulteriori pretesti per la futura promozione a dirigente a favore del Dr. Y.
Il 17 maggio 1996 gli uffici
vennero separati; io venni immediatamente privato della funzione di
viceresponsabile dell’ufficio e della gestione diretta di pratiche
importanti (i soli lavori che contassero veramente) ed adibito a generici compiti di studio (i celeberrimi “quizzitelli legali” del Dr.
Y, che erano anni che preparava il terreno tramite la progressiva “messa in burla” di questo lavoro) ;
contemporaneamente, sempre nel mattino del 17 maggio 1996, il Dr. X – guarda caso strano - assunse la
vicereggenza dell’ufficio contenzioso ed iniziò a sottoscrivere la posta,
come “prima firma” dell’ufficio, al mio posto.
Successivamente il legale
vivacchiò con mortificanti compiti di generico studio di problemi legali, più o
meno formali e squalificanti.
La cosa più pazzesca di questo
periodo è che – con la mia invalidazione neurosensoriale – io trovo
estremamente difficile utilizzare il telefono; se si pensa che il ruolo di responsabile
dell’Ufficio Legale consisteva proprio nell’offrire consulenza legale
telefonica agli altri uffici della banca – nonché alle singole filiali – si ha
il “quadro complessivo” della situazione.
Alla fine del 1997 inviai alla
Direzione una lettera di contestazioni
dei fatti sopra accaduti, a cui “ovviamente” non venne data alcuna risposta se
non l’immediata promozione del Dr. X di
ben due gradi .
Successivamente a questa lettera
venni completamente privato di ogni lavoro e – “apprezzatissima” tecnica di
bossing - messo in stato di inattività
forzata; dal marzo 1997, anche a
cagione di ciò, cadde in malattia fino al febbraio 1998; durante il periodo di
assenza venni martellato da visite fiscali
chieste dalla banca benchè si sapesse perfettamente che – a cagione
dell’ handicap e della malattia – trovavo
gravissime difficoltà a rendermi conto se qualcuno suonava alla porta e
a recarmi ad aprire.
Nello stesso periodo venni nominato dirigente di un Sindacato
confederale.
b) – il periodo dal gennaio 1998 in poi _ -
Il 20 gennaio 1998 formalizzai il primo di una lunga serie di
atti giudiziali: si trattò di un esposto-denuncia con il quale, in maniera
estremamente dettagliata e documentata,
sollevai il drappo su una serie di attività illecite del Dr. X , di sua
moglie e dei loro complici in parte svoltesi anche in ufficio e durante
l’orario d’ufficio.
Nel fare questo fui spinto dal
timore di venire un giorno coinvolto – nella mia qualità di Funzionario e di
“firma per la responsabilità” di quell’ufficio – nei fatti accaduti in ufficio
e che solo un incredibile convincimento
di intoccabilità poteva far realizzare un maniera così spudorata e scoperta.
Il contenuto dell’esposto deve
considerarsi, almeno per il momento, riservato; la lettura dello stesso mette
in evidenza la natura e la rilevanza
della “posta”, la “consistenza del “gioco grosso” che esisteva in quell’ufficio,
l’ampiezza degli interessi illeciti, il numero di persone coinvolte e
ed, infine, le vere motivazioni del “bossing”
martellante ripetuto per anni ed anni contro l’unico che poteva dare
fastidio – e che concretamente diede fastidio – al Dr. X ed ai suoi numerosi
complici: il sottoscritto.
Con un comportamento incredibile –
già oggetto di numerose raccomandate e di una denuncia-querela anche per
lesioni pluriaggravate – i dirigenti e la presidenza della banca costrinsero il
sottoscritto, al rientro dalla malattia, a riprendere il lavoro chiuso dentro ed isolato in un’ala di un fabbricato
a sé stante, a stretto contatto con (e
solo con ) gli stessi colleghi con cui aveva avuto dieci anni di dissapori
e i suaccennati risvolti penali.
Da lunedì 23 febbraio 1998,
scoppiò, in banca, la violenta e
mafiosa reazione alla suddetta
denuncia; tanto per incominciare, il Dr. Y più volte minacciò chi scrive, in
ufficio e durante l’orario d’ufficio, con brutale canagliesca violenza, anticipando anche “vendetta personale e privata” a causa dell’esposto-denuncia del
20/1/98.
Il fatto che il Dr. Y non avesse
alcun pudore ad esternare la sua rabbia per una denuncia che – formalmente –
non lo toccava di persona e il fatto che non avesse alcun ritegno a proseguire
in maniera clamorosamente manifesta nei suoi
comportamenti di aperto favoreggiamento verso il denunciato Dr. X, la
dice persino eccessivamente lunga sulla natura degli interessi che legavano “la
cordata” di personaggi.
Mi pervennero, in poche
settimane, decine di raccomandate
dall’ufficio del personale della banca e mi furono irrogati un biasimo scritto
e tre sospensioni disciplinari.
Particolare di straordinario
interesse, il dirigente dell’ufficio del personale che firmava queste
raccomandate era la stessa persona che – quando anni prima andai a riferirgli i
primi sospetti sulle “attività” del Dr. X – mi invitò a dare le dimissioni.
A metà luglio, con comportamento
palesemente estorsivo e di favoreggiamento, il direttore generale della banca
tentò indebitamente di ottenere copia dell’esposto contro il Dr. X, di cui non
aveva diritto alcuno; per far ciò si premette con forza nei miei confronti
e si fece intendere che la “morsa” delle minacce verso di me avrebbe potuto allentarsi se avessi consegnato il
documento.
Nei giorni successivi, costatato
nei fatti il mio rifiuto, si scatenò una
reazione parossistica.
Nei primi di agosto del 1998 la
notizia della mia sospensione disciplinare venne propagata a piene mani
all’interno della banca da un collega;
querela per diffamazione è stata posta nei confronti di questo collega e
ancor di più verso i dirigenti della banca che, in violazione anche delle più
elementari norme di privacy – e con l’aperto scopo di danneggiare il più
possibile me e il mio sindacato -
avevano diffuso la notizia.
Venni sottoposto a
sorveglianza comunque illecita, in
parte con mezzi “a distanza” (telecamera)
e in parte con mezzi occulti (sorveglianza tramite collega subordinata
gerarchica) .
Ad agosto difesi strenuamente un
mio iscritto che era stato licenziato e
venni sbeffeggiato e minacciato per questo.
Elevai (agosto 1998) ricorso ex art. 700 cpc affinchè il Giudice
del Lavoro, per motivi di salute, costringesse la BPI a cambiarmi
d’ufficio e venni licenziato nel corso
della prima udienza , il 17 settembre 1998.
Sempre ad agosto tre dirigenti
della banca – pur perfettamente consci
che non ero assolutamente in grado di lavorare – mi inviarono di colpo tre
richieste di pareri legali, parte dei quali vertenti su argomenti di cui non
conoscevo neppure l’esistenza; al mancato svolgimento dei tre quesiti,
esternarono, con palese malafede, pesanti reclami
contro di me alla banca stessa.
A fine agosto una collega
subordinata gerarchica innescò tre liti consecutive in due giorni, anche allo
scopo di impedirmi di telefonare per ragioni di lavoro.
Nella buona sostanza, dal marzo al
settembre 1998 tentarono di farmi impazzire con consolidate tecniche di
“mobbing” e “bossing”, tenendomi sequestrato in ufficio nell’inazione e nel silenzio più
assoluto, senza telefono, quasi quotidianamente soggetto a minacce,
aggressioni, irruzioni improvvise in ufficio da parte di colleghi che mi minacciavano, decine di raccomandate con
sanzioni disciplinari, sorveglianza a distanza tramite telecamera e colleghi
subordinati gerarchici, raccomandate di
colleghi, liti provocate ad arte, ecc.
Sempre il Dr. Y più volte tentò di
sequestrarmi anche cercando di obbligarmi ad entrare e a permanere contro la
mia volontà nel suo ufficio, a contatto con lui e i soggetti da me denunciati.
Violenza privata e minaccia
pervenne da un altro dirigente, sovraordinato rispetto al Dr. Y, soprattutto immediatamente dopo (18/3/98) la
costituzione, da parte mia, della prima
RSA/SAS del mio Sindacato all’interno
della Banca; “meraviglia della sorte” questo Dirigente era la stessa persona che in precedenza, da me più volte avvisata
sugli “strani traffici” del Dr. X, mi invitò , per tutta risposta, a dare le
dimissioni.
Evidentemente si sperava che io
dessi le dimissioni, per non dire di peggio; la banca attese mesi perché si
rendeva conto che un licenziamento “non stava in piedi” ; a portare i dirigenti
della banca sull’”orlo di una crisi di
nervi” e a spingerli (non senza dissidi interni) a fare “il grande passo” del
licenziamento fu il mio ricorso ex art.
700 cpc, che “fece scoppiare il bubbone” e che dimostrava apertamente mie
precise volontà in senso opposto alle dimissioni.
Il mio licenziamento, che non riguarda motivi di onestà
personale e di capacità professionale, è
basato su tre “pretesti da
operetta”: essere uscito per bere il caffè (NB: nel palazzetto dove ero
prigioniero non c’era caffetteria e comunque,
l’uscita per il caffè era una prassi ben consolidata) , non aver svolto
le tre richieste di pareri legali ( pervenute, guarda caso, proprio mentre
pendeva il 700 con il quale chiedevo al Pretore una diversa allocazione in
quanto, nel posto dove mi trovavo, era impossibile lavorare e a fronte dei
quali avevo subito inviato una raccomandata alla banca e ai tre committenti
confermando per l’ennesima volta che non ero in grado di svolgere quei determinati incarichi) , aver
avuto la lite con la collega (che mi aveva aggredito lei per impedirmi di
telefonare ad un ente pubblico per cercare di risolvere un problema di natura
legale).
Al licenziamento fecero
immediatamente seguito quattro mie
denuncie-querele contro colleghi e dirigenti della banca, per un cumulo di
reati fra cui la violenza privata, la minaccia, l’ingiuria, la tentata
estorsione, la diffamazione , le
lesioni e il tentato sequestro di persona.
Nei mesi successivi vennero
elevati, contro il licenziamento, il
mio ricorso privato ex art. 409 ss cpc e il ricorso speciale ex art. 28 Statuto
dei Lavoratori da parte della mia Associazione Sindacale.
Successivamente venne formalizzato
ricorso per tutti i danni subiti;
l’atto è stato posto nei confronti del
datore di lavoro, pluriresponsabile a vari titoli contrattuali ed
extracontrattuali, e nei confronti dei colleghi, in gran parte già querelati,
autori materiali dei comportamenti.
Altre denuncie penali sono allo studio,
soprattutto per comportamenti estorsivi e
minacciosi nei miei confronti.
Al momento in cui scrivo tutte le
azioni legali sono in pieno svolgimento; l’esposto – denuncia del 20 gennaio
1998 contro il Dr. X, moglie e complici
ha comportato severi atti di istruzione preliminare, sequestri di valori e di documenti anche all’interno
della banca, numerosi interrogatori di
decine di persone ed altro.
PARTE SECONDA: I DANNI SUBITI , LE AZIONI LEGALI ESPERIBILI IN CASI COME
QUESTI E , COMUNQUE SIA, CONCRETAMENTE ESPERITE
Tutti i fatti sopra citati sono accaduti sul luogo di lavoro, durante l’orario ed il
rapporto di lavoro, per opera del datore di lavoro o di soggetti a lui
subordinati o di soggetti a lui connessi e dei quali il datore stesso ha la
responsabilità contrattuale ed extracontrattuale : si ha pertanto la
competenza funzionale del Giudice del Lavoro
(nel momento in cui scrivo
ancora la Pretura, ma le cose cambieranno a seguito della riforma del
Giudice Unico) ai sensi e per gli effetti degli art. 409 ss cpc (Pret.
Torino 17/5/96; Cass. 2/3/94 n. 2049; Cass. 20/1/93 n.
698; Pret. Roma 7/6/89; Trib. Milano
15/2/86; Cass. 6/2/85 n. 897; Cass. 27/5/83 n. 3689; Cass.
8/8/83 n. 5293; Cass. 12/12/83 n. 7329; Cass. 19/4/82 n. 2437; Cass.
22/9/81 n. 5171)
I fatti mi hanno causato, innanzi
tutto, un imponente danno biologico, inteso come “””menomazione
dell’integrità psico-fisica della persona in sé per sé considerata, in quanto
incidente sul “valore uomo” in tutta la sua dimensione, che non si
esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma di funzioni
naturali riguardanti il soggetto nel
suo ambiente di vita ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche
biologica, sociale, culturale ed estetica”””(definizione giurisprudenziale
costante ).
In questo contesto e all’interno del danno biologico si
presenta assai grave – innanzi tutto - il danno alla salute nel senso stretto della parola; dal 1989 in
poi si sono manifestate e
successivamente accentuate patologie
varie, fra cui soprattutto stato di stress e sindrome ansioso depressiva con nevrosi cardiaca, diagnosticata
per anni ed anni sia dal medico di
famiglia sia da numerosi specialisti.
A
partire dall’estate del 1993, è
sorto uno stato di stress e di
esaurimento che, nonostante le cure , si è poi cronicizzato e si è aggravato;
sono stato costretto a quasi tre mesi
di malattia sempre nell’estate del 1993
ed all’assunzione di severi farmaci ansiolitici su prescrizione
specialistica; in concomitanza è insorto, fin dall’estate del 1993, un blocco del sistema erettivo e della
funzione sessuale. Questo fatto alla
fine è stato “risolto” ( se si può
usare questo termine) solo ed
esclusivamente nell’aspetto sintomatico e
solo ed esclusivamente da iniezioni locali endocavernose, da effettuarsi ogni volta, di mix di farmaci vasodilatatori, quasi introvabili o perché “vecchi” e ormai
quasi fuori commercio (“Papaverina
Theofarma” - papaverina cloridato) o rintracciabili solo in Svizzera a caro
prezzo (“Regitine” – fentolamina) o acquistabili in Italia ma solo
privatamente in quanto, almeno fino alla fine del 1998, non dispensate dal SSN (“Caverject” – alprostadil).
Taccio dei danni psicologici e dai traumi psicosomatici subiti dalla necessità
di dover affrontare in questo modo la
vita sessuale, per di più da celibe
(si pensi, per fare un solo esempio
che se mi reco in ferie con la
mia fidanzata sono costretto a portarmi dietro un “valigino
refrigerato” e a locare costose camere d’hotel con aria condizionata e frigobar
perché la maggior parte dei farmaci di cui sopra – e in maniera particolare
l’”alprostadil” - non resistono al
calore) e taccio altresì dei possibili
futuri danni organici che , per clinica
costante, derivano regolarmente, in un numero statisticamente apprezzabile di
pazienti, dall’uso di queste sostanze.
Oltre a tutto soffro a tutt’oggi di “permanenti” e situazioni
invalidanti ormai irreversibili: difficoltà di concentrazione, insonnia, ansie,
agitazioni, palpitazioni, tachicardia, vuoti di memoria, torpore, senso
d’assenza, difficoltà a rapportarmi con il prossimo, timidezze e altri aspetti
che non possono non discendere da avvenimenti traumatici duranti così a lungo.
Altrettanto certi sono i danni alla vita di relazione sociale,
alla personalità, all’immagine e all’estetica: io ero solito svolgere le mie frequentazioni
sociali nelle uniche ore che oggi ormai
si possono dedicare alla vita sociale: quelle serali. Orbene, distrutto dallo
stress, spersonalizzato dalla polverizzazione del ruolo professionale, gonfiato dagli effetti collaterali degli
psicofarmaci al punto tale da dover cambiare abiti ogni pochissimo tempo e da
risultare fisicamente quasi irriconoscibile,
reso assai insicuro dalla “invalidazione” della vita sessuale, mi sono visto, con
disperazione, “scivolare via” ad una ad una le mie frequentazioni; negli ultimi tempi, mi costavano energie e disagio psicologico anche le incombenze
più quotidiane, come l’andare a far la spesa, mentre tutt’oggi non riesco
più ad afferrare neppure “i
colori” e gli aspetti più positivi dell’esistenza.
Strettamento connesso al danno
biologico è il danno morale, in questo caso particolarmente intenso e
derivato da catena di episodi volti anche ad umiliarmi con la speranza di
infondermi una sensazione di inadeguatezza, di spaventarmi, di ridimensionarmi,
di farmi sentire inquieto ed inadeguato sotto ogni profilo, nonché,
soprattutto, da catene di episodi (minacce, ingiurie, diffamazioni,
intimidazioni estorsive) che costituiscono veri e propri reati.
Di aperta rilevanza sono i danni che ho subito come portatore di handicap e di protesi e come
soggetto di particolare sensibilità:
infatti lo stato di invalidità sensoriale ha fatto da “brodo di cultura”
e da “massimizzatore” di una situazione che, comunque, avrebbe distrutto
chiunque. A parte questo, lo stato di
portatore di handicaps è stato fonte di danni
“ suoi propri ed autonomi”: si
pensi anche solo al fatto che”””l’invalido, per le sue condizioni soggettive
di particolare vulnerabilità, deve
essere adibito a mansioni compatibili con la sua menomazione”””
(art. 10, V comma, L. 68/482; art. 20 stessa legge) e che
invece la banca mi adibì a mansioni incompatibili con la menomazione.
Richiamo, al riguardo, l’attenzione anche sulla relazione
parlamentare al Disegno di Legge Senato
2700 riguardante la condizione di lavoro dei minorati dell’udito
e/o della parola, costretti,
dall’handicap sensoriale, a ricorrere alla logorante funzione vicaria della
vista e ad un approccio al lavoro,
anche nella migliore delle ipotesi,
assai più usurante rispetto alla
norma; da qui il progetto del riconoscimento di una “anzianità convenzionale o
virtuale” per anticipare il pensionamento dei portatori di handicap sensoriale
(per usare una terminologia di moda: c.d. “rottamazione degli invalidi”) e per equiparare la nostra legislazione in
questo senso a quella media europea.
E’ da notare che, con 21 anni di
anzianità effettiva, verrei equiparato, tenendo conto dello stato
usurante indotto dall’invalidità e facendo “la media” dei numerosi progetti che
giacciono in questo momento in Parlamento , ad una persona con circa 30 anni di anzianità.
Occorre poi tenere conto
anche dell’età, della misura dell’ eventuale invalidità ed
della limitazione che questa apporta nei rapporti interpersonali , della usura delle riserve vitali, del maggior sacrificio che lo svolgimento di attività
lavorativa concretamente comporta,
della maggior difficoltà di inserirsi e
di progredire in una attività
professionale gratificante e conforme
alle attitudini ed alle inclinazioni
personali (Trib. Teramo 14/5/92, Pret. Livorno 27/2/92), dei pesi e
dei gravami familiari, delle ripercussioni che tutte queste tensioni comportano
all’interno del nucleo familiare.
Le responsabilità del datore di
lavoro riposano indiscutibilmente su ampie basi contrattuali (soprattutto
violazione art. 2087 cod. civ. per la tutela
dell’integrità fisica e della
personalità morale del prestatore di lavoro, ma anche art. 1175 e 1375 per i
doveri di buona fede e correttezza)
nonché ai titoli di responsabilità aquiliana per violazione di diritti
soggettivi primari (Art. 1, 2 , 32 ,
41 Carta Cost.; art. 2043, 2049 cod.
civ., art. 10 L. 68/482, leggi sulla tutela degli invalidi in generale, leggi
sulla sicurezza del lavoro in generale) e senza alcuna rinuncia all’
inquadramento dei fatti di “mobbing” e “bossing” come penalmente
rilevanti, con le conseguenze di legge;
le responsabilità degli esecutori materiali di questi fatti – a loro volta -
hanno come causa petendi la normale responsabilità aquiliana e , per molti di
essi, come già accennato, quella penale.
Completo questo discorso con cenni giurisprudenziali, che saranno assai preziosi a tutti coloro
che desidereranno chiedere giustizia per ciò che è successo.
Sul primato del diritto alla
salute in tutte le circostanze: Corte
Cost. 20/12/96 n. 399; sul primato di
detto diritto anche sul luogo di lavoro: Corte Cost. 18/7/91 n. 356;
Cass. Penale , sez. IV, 8/3/88; sul bene primario della salute in sé considerato, quale diritto inviolabile dell’uomo alla pienezza della vita ed all’esplicazione della propria
personalità morale, intellettuale e culturale Cass. 24/1/90 n. 411
Sul danno biologico sul posto di
lavoro e sulla perdita della sensazione di benessere avvertita nello svolgimento del lavoro (c.d. “cenestesi
lavorativa”) Trib. Roma 11/7/95; Pretura Torino 8/2/93 , Pret. Milano 30/12/92;
su temi analoghi Cass. 6/7/90 n.
7101; Cass. 10/3/90 n. 1954.
Sul danno alla vita di relazione
sociale, alla sessualità e sul danno estetico, Cass. 18/4/96 n. 3686; Cass. 23/1/95 n. 755; Cass. 2/7/91 n. 7262; Trib. Aquila 26/1/91; Trib. Sassari
19/5/90 ; Cass. 13/11/89 n. 4791; Cass. 19/5/89 n. 2409; Trib. Monza, 15/2/88; Trib. Ravenna
12/2/88; Trib. Padova 24/5/82,
Sulla rilevanza, nel concetto di
danno biologico, pure della componente morale: Trib. Bologna 13/6/95; Cass. 26/10/94 n. 8787; Trib. Milano 17/10/94.
Sul maggiore impatto che
avvenimenti già di per sé lesivi hanno su soggetti portatori di handicap,
nonché sull’impatto che mansioni
incompatibili hanno sullo stato di salute dell’invalido: Trib. Teramo
14/5/92; Pret. Livorno 27/2/92; Cass. 17/12/97 n. 12773 ; Cass. 23/2/95 n.
2036; Cass. 15/12/94 n. 10769; Cass. 6/4/92 n. 4178; Cass. 4/4/89 n. 1626;
Cass. 13/2/88 n. 1566; Pret. Milano 19/10/88; Cass.
14/3/86 n. 1749; Pret. Roma 14/6/88; Trib. Piacenza 12/4/89.
Sulla
valutazione equitativa del danno biologico, avuto riguardo al “valore umano”
perduto, e sui criteri di valutazione:
Cass. 11/8/97 n. 7459; Cass. 14/5/97 n. 4236; Cass. 23/6/90 n. 6363; Cass. 26/11/84 n. 6134; trib. Roma 18/1/82
Oltre al danno biologico, altrettanto grave è il danno professionale ; lo stesso “può” derivare da situazioni
di “mobbing” e necessariamente deriverà da situazioni di “bossing”, in quanto
il bossing ha - come scopo principale –
proprio quello di danneggiare la posizione professionale del soggetto; il tutto
per legge (art. 1175 e 1375 cod. civ.;
art. 2087 e 2103 cod. civ. con ampia giurisprudenza; art. 20, V comma, L.
68/482 per gli invalidi; numerose altre leggi speciali sulla sicurezza sul
luogo di lavoro) sia, spesso , per
contratto (specifici CCNL delle varie
categorie di lavoratori)
Sono precisi gli obblighi
giuridici (art. 2103, art. 2087 cod.
civ. sulle condizioni di lavoro , ma
anche art. 1175 e 1375 cod. civ. sulla correttezza e buona fede nei
contratti; art. 1, 2, 32, 41 Carta Cost., art. 20, V comma, L. 68/482
sugli invalidi civili, legislazione sulla sicurezza sul lavoro) , puntualmente ribaditi dalla costante giurisprudenza (fra cui la recente ed importante Cass. 3/11/97 n. 10775, che tra l’altro, riguarda
“un caso di banca”) - in forza dei
quali il datore di lavoro dovrebbe, in primis con tutte le precauzioni per tutelare
la salute del suo dipendente, salvaguardarne il livello professionale acquisito e garantire lo svolgimento e
l’accrescimento delle sue capacità
professionali.
Non è il caso di sprecare troppa
carta per evidenziare che, invece, il lavoratore “in mobbing” (e, ancor di
più, quello “in bossing”) è vittima
anche di pesante violazione di questi obblighi.
A titolo di cenni
giurisprudenziali richiamo, in maniera particolare, la sentenza Pretura di Roma
17 aprile 1992, Calzolari contro Banca Nazionale del Lavoro; si tratta di un
caso clamoroso, che venne riportata
anche sul quotidiano “ La Repubblica - Cronache di Roma” dell’epoca. Dirigente della BNL , Calzolari fu rimosso
da posizione di precisa consistenza (responsabilità dell’area commerciale) e gli venne affidato un incarico (assistente
del DG per compiti di studio) di
assoluta inconsistenza contenutistica e
qualitativa, finalizzato solo allo scopo di isolare il Calzolari dall’intero
contesto organizzativo della BNL, culminato nell’assoluta inattività
forzata. Tutto ciò comportò sia un
danno biologico , in quanto il Calzolari, dopo il demansionamento, subì gravi
problemi di salute nervosa, sia un danno professionale, indicato in sentenza
anche come: “riduzione della posizione professionale, della possibilità di
ulteriore affinamento delle capacità di lavoro, di opportunità di successo ed
occupazionali nel mondo dell’economia e della finanza”. La sentenza si
completa con una condanna al pagamento
di tutti i danni.
Si tratta di tematiche su cui, a prescindere anche dalla
sentenza di cui sopra, si è
frequentemente espressa la giurisprudenza di merito, con costanza di
conclusioni sulla rilevanza giuridica del danno professionale, più spesso ex
art. 2103 ma anche ex art. 2087 e 1375 cod. civ.: Pret. Milano 7/1/97; Pret.
Nocera Inferiore 5/12/96; Pret.
Pinerolo 8/8/96; Trib. Milano 6/7/96; Trib. Cagliari 5/7/96; Pret.
Milano11/3/96; Pret. Milano 11/1/96;
Trib. Roma 3/1/96; Pret. Milano 20/6/95; Pret. Catania 9/5/95; Pret. Roma
20/2/95; Pret. Milano 14/8/91; Pret. Cagliari 29/10/82; Trib. Roma 18/1/82.
Nell’ambito della copiosa
giurisprudenza di legittimità
ricordo Cass. 3/11/97 n.
10775; 6/6/95 n. 6333; 19/3/91 n. 2896, per le similitudini con i
fatti e i contesti ambientali.
Sui medesimi concetti e sui danni
da demansionamento:Cass. 18/4/96 n. 3686;
10/4/96 n. 3340; 23/11/95 n.
12121; 4/10/95 n. 10405; 20/2/95 n.
1843; 11/1/95 n. 276; 16/12/92 n. 13299; 10/3/92 n. 2889 riguardante in maniera specifica il passaggio da compiti
operativi a quelli di studio; 13/8/91
n. 8835 riguardante la forzata inattività di un dirigente; 17/3/90 n. 2251 e 17/1/87 n. 392 sul valore dei compiti di coordinazione e
guida del lavoro altrui; 24/1/90 n. 411
su esaurimento nervoso a seguito di “reformatio in pejus”; 19/6/81 N. 4041.
Di rilevante interesse anche la
recentissima Cass. 29/9/98 n. 9734 che
ribadisce la responsabilità del datore di lavoro per la dequalificazione delle
mansioni.
Dei fatti di “mobbing” e
“bossing”, ovviamente, devono poi
rispondere anche i colleghi autori materiali dei comportamenti, sia a
titolo di illecito extracontrattuale civile (art. 2043 cod. civ.) sia a titolo
penale, soprattutto per i prevedibili reati di
violenza privata, minaccia e lesioni.
Ho esposto ciò che mi è successo, i danni che ho
subito, le azioni legali che ho impostato e
i fondamenti giuridici delle stesse.
Ho esaurito il mio compito?
Tecnicamente forse sì, ma
moralmente, come dirigente sindacale e
cittadino di coscienza, ho ancora qualche cosa da aggiungere.
Voglio rivolgermi, tramite queste
pagine, a tutti coloro che hanno subito
esperienze analoghe.
Voglio dire loro, innanzi tutto,
che a mio parere sono ben rari i casi di mobbing derivanti solo da motivi caratteriali, gelosie, carrierismi e
consimili, mentre penso che siano assai
più frequenti, soprattutto in realtà
come le banche, i broker, le assicurazioni, certi settori della P.A., i casi di
bossing inteso come vera e propria strategia aziendale atta ad eliminare
determinati lavoratori in quanto
“fastidiosi” rispetto a scopi, spesso
illeciti, della dirigenza e dell’amministrazione.
Pertanto, nell’esortare tutti gli interessati a reagire, raccomando
innanzi tutto, laddove possibile, di cercare di raccogliere le prove delle
attività illecite, procedendo poi nel
modo più ovvio; ricordo che nessuno, salvo casi eccezionali che qui non
ricorrono certo, è obbligato a
presentare una denuncia penale, ma ricordo altresì che il presentarla risponde
pur sempre ad un dovere morale.
A parte questo, raccomando inoltre
a tutti di raccogliere le prove del
mobbing e del bossing: tenete un diario minuzioso, raccogliete ogni
indizio, effettuate fotografie e altre
prove documentali, tenete fotocopie di documenti, interessate potenziali
testimoni, ecc
Se vi sentite male effettuate
molte visite, anche di specialisti, e chiedete loro di rilasciarvi relazioni
accurate e complete; tenete tutte le prescrizioni di farmaci ed esigete che il
farmacista apponga sulla ricetta (che
poi conserverete) un timbro attestante l’acquisto del farmaco.
I vostri persecutori contano
proprio sul fatto che ad un certo punto cadrete in profondi esaurimenti nervosi
e non riuscirete neppure più a descrivere ciò che vi hanno fatto e, men che mai , a provarlo.
Per reagire dovrete trovare avvocati, associazioni di tutela ed
associazioni sindacali disposte a “darvi
retta” e vi anticipo che ciò non sempre è facile come dovrebbe esserlo.
L’Associazione “Prima” di Bologna e l’Associazione Sindacale di cui
mio onoro di essere dirigente (e che procedono, fra le altre cose, a questa
edizione) hanno mostrato, su questo tema, una sensibilità particolare.
L’Associazione “Prima” ha il
merito particolare di aver intrapreso, ormai da anni, primo caso in Italia,
un’intensa attività atta a sollevare il drappo oscuro che , fino a ieri, ha
avvolto i casi di mobbing e bossing.
E’ possibile che , in un prossimo
futuro, vi siano leggi speciali sul mobbing ma ciò non è indispensabile ai
nostri fini (lo storico ed il teorico del diritto aggiungerebbero che forse ciò
non sarebbe neppure auspicabile): le categorie tradizionali del danno civile e del reato penale sono sufficienti
a difenderci; il problema non è avere leggi nuove ma far funzionare quelle che
già esistono.
Esorto tutti a leggere qualche
cosa dell’innovativa e coraggiosa giurisprudenza civilistica italiana che è emersa negli ultimi dieci anni e, in
modo particolare, dell’elaborazione giurisprudenziale del concetto di “danno
biologico” (inteso in senso ampio e comprensivo del “danno relazionale” e di
altre figure) .
Tutti i soci della “Prima” che desiderano contattarmi ne facciano richiesta all’Associazione
stessa, la quale poi provvederà ad informarmi e a fornirmi gli indirizzi.
In chiusa di questo lavoro, va la mia gratitudine alle persone dell’Associazione “Prima” di Bologna e della mia Associazione Sindacale che mi hanno prestato attenzione; desidero ringraziare, in modo particolare, il responsabile della “Prima” e alcuni dirigenti sindacali della mia stessa sigla che hanno seguito con particolare interesse il mio caso e che si stanno battendo per portare il problema del mobbing e del bossing all’attenzione della pubblica opinione.
E ricordatevi: la vittima che tace è complice dei suoi persecutori,
il suo silenzio è il “primo avallo” di ulteriori violenze.
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