-
Sempre più difficile per
il dirigente pubblico invocare il demansionamento
-
-
Tar Lazio Sezione
I quater, 5 maggio 2009, n. 4554 - Rel. Mangia - S. Gaspare c.
Ministero della Giustizia e De P. Massimo
-
-
Assegnazione del
dirigente pubblico apicale (Direttore generale del personale e della
formazione) ad incarico di studio – Insussistenza di demansionamento.
-
-
Una volta riconosciuto
operante il regime dell’avvicendamento negli incarichi in nome del principio
della rotazione, assume, carattere dirimente l’accertamento
dell’attribuzione o meno di un incarico rientrante tra quelli spettanti alla
qualifica, ossia di un incarico corrispondente alla funzione. Nei casi in
cui tale accertamento sia positivo, alcun demansionamento è riscontrabile o,
comunque, comprovato.
-
In base all’art. 9,
comma 5, del d.lgs. n. 63 del 2006 - norma che disciplina specificatamente
l’“individuazione dei posti di funzione” per la carriera dirigenziale
penitenziaria ed, in particolare, il conferimento di “compiti di studio, di
consulenza e di ricerca”, con una formulazione differente rispetto a quella
che connota l’art. 19, comma 10, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, non
appare possibile dedurre alcun “carattere residuale e minimale” di
quest’ultimo incarico. L’incarico di studio conferito al ricorrente rientra
nell’ambito di quelli spettanti ai dirigenti generali. Tale constatazione
conduce, altresì, ad escludere la sussistenza di motivi in base ai quali
ritenere che l’incarico di studio attribuito al ricorrente non sia
equivalente a quello già ricoperto e, dunque, di motivi per ravvisare un
trattamento deteriore rispetto a quello riservato al “dirigente apicale
colpito dallo spoil system”. Del resto, appare evidente che una soluzione
contraria - e cioè il mancato riconoscimento dell’equivalenza tra detti
incarichi - comporterebbe un indiscutibile limitazione degli incarichi
attribuibili a dirigenti generali che hanno già svolto determinati compiti
e, dunque, sarebbe inaccettabile perché in contrasto con la disposizione di
legge in esame.
-
-
Sentenza sul ricorso n. 1568 del 2007, proposto da S. Gaspare, contro il
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e
difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è legalmente
domiciliato; e nei confronti di De P. Massimo,
per
l’annullamento,
previa
sospensione,
-
- del decreto del Ministro della Giustizia 17 gennaio 2007, in corso di
registrazione, con il quale viene disposta la revoca del dott. Gaspare S.
dall’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione del
Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.) del Ministero della
Giustizia, con contestuale assegnazione allo stesso di compiti di studio
(segnatamente lo studio della riorganizzazione dell’ufficio ispettivo del
D.A.P.;
-
- del provvedimento del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria 18 gennaio 2007, prot. n. 18644, con cui si dispone, nelle
more del perfezionamento del suindicato decreto ministeriale 17 gennaio
2007, che il dott. S. “con decorrenza 22 gennaio 2007, assume anticipato
possesso nelle nuove funzioni”, “considerate le urgenti esigenze funzionali
ed operative che hanno determinato il conferimento dell’incarico suddetto”
(il compito di studio);
-
- del decreto del Ministero della Giustizia, non conosciuto, con il quale, a
seguito della revoca del dott. S. , è stato attribuito al dott. Massimo De
P. l’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione del
D.A.P.;
-
- di ogni altro provvedimento antecedente, connesso o conseguente a quelli
su indicati, ivi compresa la nota 11 gennaio 2007 prot. n. 10706 del Capo
del D.A.P., indirizzata al Capo di Gabinetto del Ministro, con la quale
viene proposta l’attribuzione al dott. Massimo De P. dell’incarico di
Direttore Generale del Personale e della Formazione del D.A.P. e la
contestuale assegnazione al dott. S. di compiti di studio (segnatamente lo
studio della riorganizzazione dell’ufficio ispettivo del D.A.P.);
-
nonché per il risarcimento del danno subito in conseguenza della illegittima
condotta dell’Amministrazione;
-
Visto il ricorso con la relativa documentazione;
-
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del
controinteressato Massimo De P.;
-
Visti le memorie ed i documenti depositati dalle parti a sostegno delle
rispettive difese;
-
Visti gli atti tutti della causa;
-
Relatore alla pubblica udienza del 5 marzo 2009 il Primo Ref. Antonella
MANGIA; uditi, altresì, i procuratori delle parti come da verbale;
-
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
Fatto
-
Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato il 14 ed il
15 febbraio 2007 e depositato il successivo 22 febbraio 2007, il ricorrente
impugna il decreto con il quale gli è stato attribuito “l’incarico di
funzioni dirigenziali generali di cui all’articolo 9, comma 5, del decreto
legislativo 15 febbraio 2006 n. 63, con compiti di studio, di consulenza e
di ricerca da svolgere presso il Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria”, il decreto con il quale al dott. De P. è stato attribuito
l’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione del D.A.P.
nonché atti presupposti e consequenziali specificamente indicati.
-
In particolare, espone:
-
- di essere stato nominato Direttore Generale del Personale e della
Formazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con decreto
del Ministro della Giustizia 24 maggio 2002, n. 206942, registrato alla
Corte dei Conti in data 19 settembre 2002;
-
- di essere stato incaricato nel 2007 ad assumere anche il servizio di
reggenza provvisoria del PRAP del Lazio;
-
- che, nonostante il proficuo svolgimento delle funzioni di Direttore
Generale del Personale e della Formazione, in data 18 gennaio 2007 riceveva
la nota prot. n. 18644, con la quale il Capo del D.A.P. gli annunciava
l’avvenuta emanazione di un decreto ministeriale di assegnazione di compiti
di consulenza, studio e ricerca presso il D.A.P., ai sensi dell’art. 9 comma
5, D.Lgs. n. 63/2006, e lo invitava all’assunzione anticipata delle nuove
funzioni, continuando ad esercitare la reggenza del PRAP Lazio;
-
- che, in seguito ad istanza di accesso, gli veniva consegnato il decreto
ministeriale di cui sopra, il quale rivelava, altresì, che “per lo
svolgimento delle funzioni di responsabile della Direzione Generale del
Personale e della Formazione, può provvedersi, con separato provvedimento,
all’attribuzione del relativo incarico ad altro dirigente…”, poi individuato
nel dott. De P. .
-
Ai fini dell’annullamento dei provvedimenti impugnati deduce i seguenti
motivi di impugnativa:
-
I. Violazione dell’art. 7 e ss. L. 241/90 (comunicazione dell’avvio del
procedimento - Garanzia del contraddittorio). Il provvedimento di
preposizione ad un servizio di un dirigente rappresenta l’esito di un
procedimento amministrativo originato da una proposta o da un atto di
iniziativa, con la conseguenza che l’interessato vanta un diritto di
partecipazione al procedimento. Ciò trova conferma anche nella Circ. Pres.
Cons. Min., Dip. Funzione Pubblica 31 luglio 2002. Nel caso in esame, il
ricorrente è stato ingiustamente privato di tale garanzia. Non è possibile
sopperire a tale carenza in virtù del richiamo dell’art. 21 octies della
legge n. 241 del 1990, posto che, in caso di partecipazione del ricorrente,
il procedimento avrebbe potuto avere diversi esiti “quantomeno con riguardo
al conferimento di un nuovo incarico”. Nel D.M. impugnato non ricorrono,
poi, riferimenti all’urgenza.
-
II - Carenza assoluta di motivazione (violazione dell’art. 3 della legge n.
241/90) - Sviamento di potere, illogicità e contraddittorietà dei
provvedimenti impugnati -Violazione dell’art. 10, comma 7, del D.Lgs. n.
63/2006. Il decreto ministeriale impugnato, pur in assenza di un’espressa
statuizione, attua inoltre la revoca del ricorrente dall’incarico di
Direttore Generale del Personale e della Formazione del D.A.P., senza
indicarne le ragioni. Quest’ultime non possono, infatti, essere rinvenute
nel conferimento dell’attività di studio, “stante la perfetta compatibilità
tra il compito di studio e l’incarico” di direzione fino ad allora
rivestito. In definitiva, il decreto di cui trattasi è viziato per carente
motivazione nonché per sviamento di potere, “essendo stata utilizzata
l’assegnazione al compito di studio per attuare la revoca del ricorrente
dall’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione e non
per l’effettivo conseguimento di fini pubblici”.
-
III - Eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità - Carenza di
motivazione - Violazione dell’art. 19 D.P.R. n. 748/1972, dell’art. 5 D.Lgs.
n. 286/1999, anche richiamato dall’art. 21 D.Lgs. n. 165/2001, dell’art. 10
D.Lgs. n. 63/2006. La revoca del dirigente è prevista esclusivamente in caso
di condotte negative. Nessuna delle ipotesi all’uopo contemplate si è
verificata nei confronti del ricorrente. Il decreto impugnato si traduce,
dunque, in una revoca immotivata dell’incarico di Direttore Generale del
Personale e della Formazione. Lo stesso decreto si traduce in una
dequalificazione delle mansioni del ricorrente, attuata senza alcuna
garanzia partecipativa. Ove si consideri che l’attività di studio deve
essere svolta dall’Ufficio Studi, Ricerche e Pareri, costituito presso il
D.A.P., il ricorrente si trova in una situazione equivalente a quella della
“messa a disposizione”. Si denuncia, altresì, contraddittorietà con il
provvedimento di reggenza del Provveditorato del Lazio, indice di
apprezzamento.
-
IV - Eccesso di potere per illogicità della condotta dell’Amministrazione
sotto altro profilo - Sviamento di potere - Carenza di motivazione. Il
ricorrente è stato posto in una situazione addirittura deteriore a quella
del dirigente apicale colpito dallo spoil system. L’Amministrazione non si è
curata minimamente di verificare l’esistenza di incarichi equivalenti a
quello di Direttore Generale del Personale e della Formazione né ha
verificato la disponibilità di incarichi di minore rilevanza che pur
potevano assicurare al ricorrente l’esplicazione della propria
professionalità. L’Amministrazione non ha, altresì, tenuto conto
dell’aspetto economico, atteso che l’assegnazione del compito di studio
comporterà una riduzione della retribuzione del ricorrente di circa il 40%.
-
V - Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà della motivazione -
Perplessità dell’azione amministrativa - Sviamento di potere; Errata
valutazione di presupposti - Violazione dei principi di imparzialità e buon
andamento. Come si desume dall’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001,
l’attribuzione di incarichi di studio costituisce una ipotesi residuale e
riduttiva. Ciò detto, appare evidente che, anche a voler ritenere che
l’Amministrazione potesse revocare il ricorrente dal proprio incarico,
sicuramente non poteva denigrarne la dignità e bloccarne lo sviluppo della
professionalità e dell’esperienza, fino a retrocederlo. Si ribadisce che il
compito di studio attribuito rientrava tra quelli dell’Ufficio Studi e,
comunque, poteva essere svolto dal ricorrente continuando ad esercitare le
funzioni di Direttore Generale del Personale e della Formazione. Con il
decreto impugnato sono stati, altresì, incrementati gli organismi con
compiti di studio, in contrasto con la lett. d) del comma 404 della legge
finanziaria 2007.
-
VI - Violazione dell’art. 19 D.Lgs. n. 165/2001, richiamato dall’art. 9,
comma 5, del D.Lgs. n. 63/2006 - Carenza di motivazione - Carente
valutazione dei presupposti. L’Amministrazione non ha tenuto conto delle
professionalità del ricorrente. Manca la fissazione della durata dei compiti
attribuiti nonché la prefissione di obiettivi da correlare alla stessa.
-
In ultimo, il ricorrente chiede il risarcimento dei danni, patrimoniali e
non, subiti.
-
Dopo aver prodotto documenti in data 23 febbraio 2007, con atto depositato
in data 15 marzo 2007 il Ministero della Giustizia si è formalmente
costituito.
-
In data 20 marzo 2007 ed in data 27 marzo 2007 l’Amministrazione ha prodotto
ulteriori documenti, tra cui anche una nota del D.A.P. - Ufficio del Capo
del Dipartimento - Ufficio del Contenzioso, prot. GDAP 0097381-2007,
nell’ambito della quale si rappresenta che: - a seguito della legge n.
154/2005, del decreto legislativo n. 63/2006 e del comma 404 dell’art. 1
della legge finanziaria per l’anno 2007, era sorta l’esigenza di provvedere
con urgenza al riassetto della dirigenza penitenziaria; - premesso che la
figura del Direttore Generale del Personale e della Formazione rispondeva a
parametri di particolare fiducia, con il D.M. del 17 gennaio 2007 venivano
conferiti al dott. S. i compiti di studio, di consulenza e di ricerca presso
l’Ufficio del Capo del Dipartimento ex art. 9, comma 5, del D.Lgs. n.
66/2006; - con D.M. del 9 febbraio 2007, nello svolgimento dell’incarico
attribuito, allo stesso dott. S. si attribuiva il perseguimento di specifici
obiettivi; - a seguito della preposizione al Provveditorato del Lazio di un
altro Dirigente Generale, veniva meno anche la reggenza provvisoria in capo
al ricorrente di detto Provveditorato; - con nota del 14 marzo 2007, è stata
comunicata al ricorrente la prossima nomina a Provveditore regionale della
Puglia; - in relazione a tale nomina, il ricorrente si è mostrato
disponibile. Tutto ciò premesso, si afferma che: - i provvedimenti impugnati
non rappresentano affatto misure penalizzanti ma si inseriscono in un
disegno di più ampio respiro, finalizzato a dare all’Amministrazione un
assetto organizzativo più efficiente e moderno; - i compiti di studio sono
ricompresi tra quelli da poter conferire ai dirigenti generali penitenziari,
ai sensi dell’art. 9, comma 5, d.lgs. n. 63/2006; - l’incarico conferito
aveva carattere d’urgenza; - il potere di revoca e di sostituzione del
ricorrente presenta gli stessi caratteri e profili del potere di nomina,
ossia è “assolutamente fiduciario e discrezionale”; - in ogni caso, l’art.
10 del D.lgs. n. 63/2006 introduce il principio di cessazione automatica
degli incarichi dirigenziali a tempo indeterminato e quello della
temporaneità dei nuovi incarichi conferiti nonché discrezionalità assoluta
in ordine alla nomina ed all’assegnazione dei dirigenti; - l’onere di
motivazione, al pari del sindacato di legittimità, è attenuato; - il
provvedimento è comunque motivato; - l’art. 7 della legge n. 241/90 non
trova applicazione; - comunque, vi erano ragioni di urgenza; - è da
aggiungere che il ricorrente era a conoscenza dell’avvicendamento e non
dimostra con quali argomentazioni avrebbe potuto influire sull’adozione di
un provvedimento diverso da quello impugnato.
-
Con atto depositato in data 26 marzo 2007 si è costituito il
controinteressato dott. Massimo De P. , il quale - nel contempo - ha così
sostenuto la legittimità dell’operato dell’Amministrazione: - stante la
temporaneità degli incarichi dirigenziale, l’incarico del dott. S. non è
stato revocato ma è semplicemente scaduto; - per tale motivo non era
necessaria alcuna comunicazione di avvio del procedimento; - il rispetto
delle garanzie procedimentali non avrebbe potuto comportare nessun ulteriore
elemento di valutazione; - atteso che l’incarico fu conferito in vigenza del
regime di privatizzazione del pubblico impiego, non sono pertinenti
considerazioni svolte in ordine alla sussistenza di presunti vizi di
legittimità secondo le categorie proprie del diritto amministrativo; - si
tratta di un incarico apicale e, quindi, trova applicazione l’art. 3, comma
7, della legge n. 145 del 2002.
-
In data 28 marzo 2007 il ricorrente ha presentato un’istanza di differimento
della camera di consiglio “a data da destinarsi”.
-
In data 7 gennaio 2009 il controinteressato ha prodotto una memoria,
nell’ambito della quale ha ribadito che la procedura impugnata si configura
come un regolare avvicendamento nelle funzioni “dopo cinque anni di
ininterrotto svolgimento dell’incarico” da parte del dirigente.
-
Con memoria depositata in data 10 gennaio 2009 il ricorrente ha nuovamente
sostenuto che il decreto impugnato ha attuato una revoca ad nutum, in
carenza dei presupposti di legge e delle garanzie partecipative prescritte.
-
In data 17 gennaio 2009 l’Amministrazione ha depositato documenti.
-
Dopo aver provveduto in data 12 febbraio 2009 al deposito di documenti, in
data 20 febbraio 2009 il ricorrente ha prodotto un’ulteriore memoria al fine
di confutare i rilievi formulati dal Ministero della Giustizia.
-
All’udienza pubblica del 5 marzo 2009 il ricorso è stato trattenuto in
decisione.
-
Diritto
-
-
1.
Il Collegio - rilevata la sussistenza dell’interesse al ricorso - ritiene
che il ricorso sia infondato e, dunque, vada respinto.
-
1.2. Come esposto nella narrativa che precede, il ricorrente - già Direttore
Generale del Personale e della Formazione del Dipartimento
dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia - impugna
il provvedimento con il quale l’Amministrazione gli ha conferito “compiti di
studio”, il provvedimento con il quale è stata disposta l’assunzione
anticipata da parte del medesimo di tali nuove funzioni nonché il
provvedimento con il quale è stato attribuito al dott. De P. l’incarico di
Direttore Generale del Personale e della Formazione.
-
2.
Ai fini dell’annullamento denuncia, tra l’altro, che il decreto ministeriale
impugnato - attuando una revoca dall’incarico di direttore generale del
personale e della formazione - è carente di motivazione, illogico, nonché in
contrasto con gli artt. 10, comma 7, del d.lgs. n. 63/2006, 19 del D.P.R. n.
748/1972 e 5 D.Lgs. n. 286 del 1999.
-
Tali censure non sono meritevoli di condivisione per le ragioni di seguito
esposte.
-
2.1. La formulazione delle censure in esame ma anche la sopravvenuta
assunzione da parte del ricorrente dell’incarico di Provveditore Regionale
della Puglia - il quale ha determinato il venir meno dell’incarico di studio
- rivelano la necessità di valutare il decreto ministeriale impugnato
primariamente sotto il profilo della “privazione” dell’incarico di Direttore
Generale del Personale e della Formazione già ricoperto.
-
In base ad una disamina accurata delle questioni prospettate ma anche delle
ulteriori iniziative assunte dall’Amministrazione nel corso del giudizio, si
è indotti, pertanto, a riconoscere carattere preminente all’analisi dei
“fattori” atti ad incidere sugli incarichi conferiti ai dirigenti generali
dell’Amministrazione penitenziaria.
-
2.2. Posto che il caso in esame propone un atto di conferimento risalente al
2002, privo di una durata prefissata, si pone - in primis - la necessità di
stabilire gli effetti determinati dall’entrata in vigore del decreto
legislativo 15 febbraio 2006, n. 63, in materia di “Ordinamento della
carriera dirigenziale penitenziaria, a norma della legge 27 luglio 2005, n.
154″ - il quale ha, tra l’altro, prescritto all’art. 10, comma 1, che “gli
incarichi sono conferiti ai dirigenti penitenziari per un periodo di tempo
non inferiore a tre anni e non superiore a cinque” - o, comunque, dal venir
meno del regime privatizzato.
-
Al riguardo, il Collegio ritiene di non condividere i rilievi
dell’Amministrazione e del controinteressato.
-
In particolare:
-
- non rileva elementi per sostenere la caducazione ex lege degli incarichi
conferiti prima del d.lgs. n. 63/2006. Posta la carenza di previsioni c.d.
“transitorie”, atte a regolamentare il passaggio dal vecchio al nuovo regime
normativo, riscontra l’impossibilità di ricollegare un tale effetto
esclusivamente a norme che - in quanto di carattere sostanziale - dispongono
esclusivamente per il futuro. Non vi è che non veda, poi, come una tale
soluzione si porrebbe in contrasto con il comportamento dell’Amministrazione
assunto fino alla data di adozione del decreto impugnato, caratterizzato da
una totale inerzia, ossia dalla carenza di un minimo accenno ad “intervenute
decadenze” ope legis dall’incarico del ricorrente, il quale è
rimasto, pertanto, pacificamente nella condizione di svolgere le proprie
funzioni di Direttore Generale del Personale e della Formazione fino alla
data del 17 gennaio 2007;
-
- ribadendo che, in ragione della natura dell’art. 10 in argomento, le
previsioni in esso contemplate operano esclusivamente per il futuro, non
ritiene - del pari - possibile commutare l’incarico attribuito al ricorrente
- originariamente a durata indeterminata - in incarico con durata
prefissata. In altri termini, l’art. 10, comma 1, non può assumere la veste
di disposizione integrativa di provvedimenti già adottati;
-
- ravvisa, ancora, l’inutilità del richiamo dell’art. 19, comma 2, del
d.lgs. n. 165 del 2001, il quale prescrive che, con il provvedimento di
conferimento ovvero con separato provvedimento, venga, tra l’altro,
individuata “la durata dell’incarico”, con la specificazione che
quest’ultima non può “eccedere il termine di cinque anni”. Non sussistendo
motivi per limitare la durata dell’incarico a tre anni, anziché a cinque,
non emergerebbero, infatti, motivi per ritenere l’incarico conferito al
Dott. S. con decreto del 24 maggio 2002 scaduto per decorrenza della durata
massima consentita (pari a cinque anni).
-
Tutto ciò premesso, la causa che ha determinato il venir meno dell’incarico
di Direttore del Personale e della Formazione in capo al ricorrente non può
che essere rinvenuta nel decreto ministeriale impugnato.
-
2.3. Così chiarita la portata del decreto di cui trattasi, diviene doveroso
definire se l’Amministrazione - nell’adottare i provvedimenti impugnati, con
l’effetto di rimuovere il ricorrente dall’incarico rivestito - abbia a meno
operato in violazione delle disposizioni richiamate nel ricorso.
-
Al riguardo, si ritiene di pervenire ad una soluzione negativa sulla base
delle seguenti considerazioni:
-
è da escludere che, attraverso l’adozione del decreto ministeriale
impugnato, l’Amministrazione abbia realizzato la revoca dell’incarico
dirigenziale conferito, ai sensi dell’art. 10, comma 4, del d.lgs. n. 63 del
2006. In tal senso depongono, infatti, la formulazione del provvedimento in
questione ma anche i chiarimenti in seguito forniti dall’Amministrazione. La
rimozione dall’incarico di Direttore Generale del Personale e della
Formazione determinata dal conferimento dell’incarico di studio va,
pertanto, intesa non come una “revoca” nel senso proprio del termine bensì
come l’inevitabile conseguenza che contraddistingue tutti i casi in cui a un
dirigente, già titolare di un incarico, venga attribuito - in sostituzione e
non in aggiunta - un nuovo incarico;
-
in verità, il ricorrente sostiene anche che l’assegnazione del compito di
studio sarebbe stata realizzata “per attuare la revoca” e “non per
l’effettivo conseguimento di fini pubblici”, sicché il provvedimento sarebbe
viziato da sviamento di potere. Orbene, tale censura non è assistita da un
adeguato supporto probatorio. In senso contrario alle asserzioni riportate
depone, poi, il decreto del 27 febbraio 2007, il quale - essendo stato
adottato dal Capo del Dipartimento al precipuo fine di istituire un gruppo
di lavoro per predisporre uno schema di D.M. attuativo della previsione di
cui all’art. 9 del d.lgs. n. 63 del 2006 - non può che confermare che
l’espletamento del compito di studio assegnato al ricorrente rispondeva ad
una concreta esigenza dell’Amministrazione (cfr. pag. 19 della nota del
D.A.P., prot. GDAP - 0097381-2007, prodotta agli atti);
i rilievi formulati in ordine alla possibilità di attribuire al ricorrente
il compito di studio in aggiunta all’incarico di Direttore Generale del
Personale e della Formazione o, ancora, di attribuire lo stesso compito
dall’Ufficio Studi, Ricerche e Pareri non possono essere oggetto di esame da
parte del giudice amministrativo in quanto trasmodano nell’area del
“merito”, invocando un indebito giudizio sul contenuto delle scelte operate
dall’Amministrazione (cfr., tra le altre, TAR Lombardia, Sez. II, 3 giugno
2003, n. 2426);
-
2.4. In ragione di quanto osservato, non permane che ricondurre il decreto
ministeriale in contestazione nell’ambito delle decisioni che costituiscono
espressione del potere di organizzazione dell’Amministrazione.
-
In particolare, tale provvedimento va ricondotto nell’ambito delle decisioni
riguardanti l’utilizzo delle risorse umane, il quale deve rispondere
essenzialmente ad esigenze di buon andamento dell’Amministrazione.
-
Ciò detto, va primariamente escluso che sussista per l’Amministrazione un
obbligo - a cui corrisponda un relativo diritto - di mantenere
indefinitamente un dipendente presso un determinato ufficio di livello
apicale.
-
Per contro, va indiscutibilmente riconosciuto che un dirigente può essere
chiamato ad assolvere indifferentemente svariati tipi di incarico, con
l’unico limite dell’attinenza di quest’ultimi alla qualifica rivestita.
-
In relazione al provvedimento di conferimento, la precedente esperienza in
uno stesso tipo di incarico non rappresenta, dunque, affatto un
“presupposto” imprescindibile, atteso che i dirigenti debbono essere
ritenuti capaci di svolgere qualsiasi incarico che risulti normativamente
agli stessi attribuito.
-
A corollario di tali principi, l’immobilismo della dirigenza pubblica
risulta bandito dall’ordinamento, mentre trova pieno riconoscimento la
rotazione degli incarichi dirigenziali, definibile come uno dei principi
informatori della riforma della dirigenza pubblica (in tal senso, vedasi
anche l’art. 19 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29), atto a costituire uno
strumento fondamentale per il conseguimento dell’efficienza e del buon
andamento, in diretta attuazione dell’art. 97 della Costituzione (cfr., tra
le altre, TAR Lazio, Sez. III bis, 12 febbraio 2008, n. 1227).
-
In altri termini, sono da condividere i rilievi dell’Amministrazione
formulati in relazione all’avvicendamento tra i dirigenti generali,
indiscutibilmente rispondente al “principio di temporaneità degli incarichi”
- ora espressamente statuito dall’art. 19 del d.lgs 30 marzo 2003, n. 165 ma
anche dall’art. 10 del d.lgs. 15 febbraio 2006, n. 63 sull’”Ordinamento
della carriera dirigenziale penitenziaria” - e, quindi, all’ “esigenza di un
interscambio professionale adeguato alle esigenze funzionali
dell’Amministrazione”.
-
Non discussa ma, anzi, pienamente ammessa la possibilità per
l’Amministrazione di attribuire ad un dirigente generale - qual è il
ricorrente - un nuovo incarico, in linea con i principi desumibili dalla
disciplina che regolamenta la materia, sorge, dunque, la necessità di
definire i termini in cui possono essere valutati e sindacati i
provvedimenti che risultino espressione di tale potere di organizzazione.
-
Al riguardo, appare opportuno ricordare che tali provvedimenti sono
ordinariamente ricondotti nell’ambito della categoria dei provvedimenti di
alta amministrazione (cfr,, tra le altre, TAR Lazio, Sez. II, 15 dicembre
2007, n. 13361).
-
Si tratta, pertanto, di provvedimenti caratterizzati da ampia
discrezionalità, sindacabili - in quanto tali - unicamente sotto i profili
dell’incongruità e dell’irragionevolezza (cfr., ancora, TAR Lazio, Roma,
Sez. II, 30 maggio 2008, n. 5317; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 15 dicembre
2007, n. 13361).
-
Più dettagliatamente, si tratta di provvedimenti:
-
assunti in base a criteri eminentemente fiduciari;
-
basati sulla valutazione della capacità e delle attitudini del dipendente;
-
sottoposti al sindacato di legittimità nei limiti di un accertamento
essenzialmente estrinseco, ossia circoscritto al riscontro dell’esistenza
dei presupposti, della congruità della motivazione nonché dell’esistenza del
nesso logico di consequenzialità fra presupposti e conclusione.
-
Ciò precisato, è evidente la necessità di procedere ad una disamina del
decreto ministeriale in contestazione al fine di valutare se lo stesso -
sindacato entro i limiti di cui è stata data evidenza - sia stato o meno
correttamente adottato.
-
Orbene, tale disamina conduce ad una soluzione positiva, atteso che:
-
-in base all’art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 63 del 2006 - norma che
disciplina specificatamente l’ “individuazione dei posti di funzione” per la
carriera dirigenziale penitenziaria ed, in particolare, il conferimento di
“compiti di studio, di consulenza e di ricerca”, con una formulazione
differente rispetto a quella che connota l’art. 19, comma 10, del d.lgs. 30
marzo 2001, n. 165, dalla quale non appare, tra l’altro, possibile dedurre
alcun “carattere residuale e minimale”
-
- l’incarico di studio conferito al ricorrente rientra nell’ambito di quelli
spettanti ai dirigenti generali. Tale constatazione conduce, altresì, ad
escludere la sussistenza di motivi in base ai quali ritenere che l’incarico
di studio attribuito al ricorrente non sia equivalente a quello già
ricoperto e, dunque, di motivi per ravvisare un trattamento deteriore
rispetto a quello riservato al “dirigente apicale colpito dallo spoil
system”. Del resto, appare evidente che una soluzione contraria - e cioè il
mancato riconoscimento dell’equivalenza tra detti incarichi - comporterebbe
un indiscutibile limitazione degli incarichi attribuibili a dirigenti
generali che hanno già svolto determinati compiti e, dunque, sarebbe
inaccettabile perché in contrasto con la disposizione di legge in esame;
-
-è stata fornita una adeguata motivazione. Nel provvedimento impugnato
figura, infatti, un’ampia esposizione dei presupposti di fatti e delle
ragioni di diritto che hanno determinato la decisione di attribuire al
ricorrente l’incarico di studio, e ciò anche attraverso il richiamo della
proposta del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, la
quale fa, tra l’altro, espresso riferimento proprio alla “riallocazione
delle risorse dirigenziali disponibili, al fine di favorire un interscambio
delle esperienze e professionalità maturate nella gestione delle diverse
realtà…”;
-
-chiaro è il nesso di consequenzialità tra presupposti e conclusione. Al
riguardo, dirimente si profila la derivazione dell’attribuzione
dell’incarico dalla rappresentazione dell’ “urgente esigenza … di
approfondire e perfezionare una serie di adempimenti, procedure e nuovi
schemi organizzativi per la razionalizzazione degli uffici dirigenziali, e
per le altre incombenze in capo alle amministrazioni statali, di cui alla
legge finanziaria 2007, art. 1 commi 404 e segg.” nonché il riferimento al
curriculum ed all’esperienze maturate dal ricorrente nelle funzioni svolte.
-
In definitiva, il decreto impugnato - il quale va riconosciuto come l’unico
atto dotato di un concreto e persistente effetto lesivo nei confronti della
situazione giuridica soggettiva del ricorrente - appare ragionevole e,
comunque, conforme al disposto dell’art. 3 della legge n. 241/90, dell’art.
9 del d.lgs. n. 63 del 2006 nonché dell’art. 10 del medesimo decreto
legislativo, il quale - al comma 3 - disciplina - appunto - i criteri di
conferimento degli incarichi ai dirigenti penitenziari.
-
2.5. In ragione delle considerazioni già esposte si rivelano infondate anche
le censure con le quali il ricorrente denuncia un trattamento punitivo,
ovvero una dequalificazione, in contrasto con l’ “interesse pubblico
all’efficienza ed al buon andamento dell’Amministrazione”.
-
Una volta riconosciuto operante il regime dell’avvicendamento negli
incarichi in nome del principio della rotazione, assume, infatti, carattere
dirimente l’accertamento dell’attribuzione o meno di un incarico rientrante
tra quelli spettanti alla qualifica, ossia di un incarico corrispondente
alla funzione.
-
Nei casi in cui tale accertamento sia positivo, alcun demansionamento è
riscontrabile o, comunque, comprovato.
-
In altre parole, il decreto ministeriale impugnato non rivela di per sé una
dequalificazione professionale ma - al contrario - palesa la sussistenza di
determinate ragioni organizzative atte a richiedere l’utilizzo del
ricorrente in un nuovo incarico, rispetto al quale la concorrenza al buon
andamento dell’Amministrazione è, comunque, sussistente.
-
La denunciata perdita del precedente trattamento economico - da ricondurre,
più propriamente, alla mancata percezione di “emolumenti accessori” e,
comunque, affatto comprovata dal ricorrente - risulta, poi, apertamente
sconfessata dall’Amministrazione (vedasi pag. 15, punto 4, della memoria
depositata in data 27 marzo 2007).
-
In ogni caso, anche il verificarsi di una tale evenienza non vale a
comprovare l’illegittimità di decreti del genere di quelli impugnati perché
inidonea a superare il dato normativo, ossia la già richiamata previsione
dell’art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 63 del 2006.
-
Appare evidente che per i dirigenti generali sussistono incarichi che
possono essere più ambiti - anche da un punto di vista economico - rispetto
ad altri; ciò, però, non significa che un dirigente generale, già titolare
di un incarico, vanti il diritto all’assegnazione - per il futuro -
esclusivamente di incarichi idonei a preservare un trattamento
giuridico-economico “omnicomprensivo” di livello identico o superiore a
quello in godimento, pena il “demansionamento”.
-
In senso contrario non appare che possa essere invocato l’art. 3, comma 7,
della legge 15 luglio 2002, n. 145, stante - in primis - il riferimento alla
fase di “prima applicazione dell’art. 19 del decreto legislativo 30 marzo
2001, n. 165, come modificato dal comma 1 del presente articolo” che nello
stesso ricorre.
-
Lo stesso ragionamento opera in relazione agli incarichi operativi e non,
nel senso che il costante svolgimento di incarichi operativi non determina
l’insorgenza di un diritto del dirigente a vedersi conferiti esclusivamente
incarichi di tal genere, tanto più ove si consideri che l’espletamento di
incarichi operativi e, dunque, l’esperienza così acquisita può ben rivelarsi
utile in sede di svolgimento di compiti di studio.
-
Al pari di quanto osservato in relazione al profilo dell’equivalenza, la
condivisione di una soluzione diversa da quella sopra rappresentata si
porrebbe - del resto - in contrasto con la disciplina normativa che
regolamenta la materia, atteso che quest’ultima non prescrive limiti e/o
condizioni rispetto al conferimento degli incarichi ai dirigenti generali
penitenziari, atti a introdurre differenziazioni tra i soggetti titolari
della relativa qualifica a seconda delle funzioni già svolte.
-
Preme, ancora, precisare che non si ravvisa contrasto con gli apprezzamenti
e le valutazioni riportati nel corso degli anni; ed, anzi, gli stessi
apprezzamenti e valutazioni sembrano operare in senso contrario a quanto
sostenuto nel ricorso e, più precisamente, deporre a favore
dell’insussistenza dell’ipotesi di sviamento denunciata.
-
Non si ravvisa, altresì, contrasto con la lett. d) del comma 404 della legge
finanziaria 2007, attesi il carattere sicuramente prodromico del compito di
studio di cui al decreto ministeriale in discussione rispetto ad una
corretta riorganizzazione degli uffici e, comunque, l’inidoneità dello
stesso compito a dare origine ad un organismo di studio del tipo di quelli
considerati dalla citata norma.
-
In ultimo, va segnalato che alla denunciata carenza della fissazione della
durata dei compiti di studio assegnati e degli obiettivi ha sopperito il
decreto ministeriale del 9 febbraio 2007 (all. n. 5 alla relazione
dell’Amministrazione depositata in data 27 marzo 2007), il quale non risulta
oggetto di impugnativa.
-
2.6. Permane da valutare la censura riguardante la violazione dell’art. 7
della legge n. 241 del 1990.
-
Al riguardo il Collegio - in applicazione del disposto dell’art. 21
octies, comma 2, seconda parte, della legge n. 241/90 - ritiene che
l’Amministrazione abbia adeguatamente dimostrato in giudizio “che il
contenuto del provvedimento”, ancorché implicante valutazioni di merito,
coinvolgenti anche la posizione di altri soggetti, “non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto adottato” e, dunque, rileva
l’inidoneità del vizio di procedura denunciato a determinare l’annullamento
del decreto ministeriale impugnato.
-
3.
Posta l’infondatezza della domanda di annullamento, anche la domanda di
risarcimento del danno non può trovare accoglimento.
-
4.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
-
Tenuto conto delle peculiarità della vicenda, atte a determinare incertezze
in ordine alla esatta ricostruzione delle iniziative assunte
dall’Amministrazione, si ravvisano giustificati motivi per disporre la
compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
-
P.Q.M.
-
-
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione I quater respinge
il ricorso n. 1568/2007.
-
Compensa le spese di giudizio tra le parti.
-
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
-
-
Depositata in Cancelleria il 05.05.2009
(Torna alla
Sezione Mobbing)