Sempre più difficile per il dirigente pubblico invocare il demansionamento
 
Tar Lazio Sezione I  quater,  5 maggio 2009, n. 4554 - Rel. Mangia - S. Gaspare c. Ministero della Giustizia e De P. Massimo
 
Assegnazione del dirigente pubblico apicale (Direttore generale del personale e della formazione) ad incarico di studio – Insussistenza di demansionamento.
 
Una volta riconosciuto operante il regime dell’avvicendamento negli incarichi in nome del principio della rotazione, assume, carattere dirimente l’accertamento dell’attribuzione o meno di un incarico rientrante tra quelli spettanti alla qualifica, ossia di un incarico corrispondente alla funzione. Nei casi in cui tale accertamento sia positivo, alcun demansionamento è riscontrabile o, comunque, comprovato.
In base all’art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 63 del 2006 - norma che disciplina specificatamente l’“individuazione dei posti di funzione” per la carriera dirigenziale penitenziaria ed, in particolare, il conferimento di “compiti di studio, di consulenza e di ricerca”, con una formulazione differente rispetto a quella che connota l’art. 19, comma 10, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165,  non appare possibile dedurre alcun “carattere residuale e minimale” di quest’ultimo incarico. L’incarico di studio conferito al ricorrente rientra nell’ambito di quelli spettanti ai dirigenti generali. Tale constatazione conduce, altresì, ad escludere la sussistenza di motivi in base ai quali ritenere che l’incarico di studio attribuito al ricorrente non sia equivalente a quello già ricoperto e, dunque, di motivi per ravvisare un trattamento deteriore rispetto a quello riservato al “dirigente apicale colpito dallo spoil system”. Del resto, appare evidente che una soluzione contraria - e cioè il mancato riconoscimento dell’equivalenza tra detti incarichi - comporterebbe un indiscutibile limitazione degli incarichi attribuibili a dirigenti generali che hanno già svolto determinati compiti e, dunque, sarebbe inaccettabile perché in contrasto con la disposizione di legge in esame.
 
Sentenza sul ricorso n. 1568 del 2007, proposto da S. Gaspare, contro il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è legalmente domiciliato; e nei confronti di De P. Massimo,
per l’annullamento,
previa sospensione,
- del decreto del Ministro della Giustizia 17 gennaio 2007, in corso di registrazione, con il quale viene disposta la revoca del dott. Gaspare S. dall’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.) del Ministero della Giustizia, con contestuale assegnazione allo stesso di compiti di studio (segnatamente lo studio della riorganizzazione dell’ufficio ispettivo del D.A.P.;
- del provvedimento del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria 18 gennaio 2007, prot. n. 18644, con cui si dispone, nelle more del perfezionamento del suindicato decreto ministeriale 17 gennaio 2007, che il dott. S. “con decorrenza 22 gennaio 2007, assume anticipato possesso nelle nuove funzioni”, “considerate le urgenti esigenze funzionali ed operative che hanno determinato il conferimento dell’incarico suddetto” (il compito di studio);
- del decreto del Ministero della Giustizia, non conosciuto, con il quale, a seguito della revoca del dott. S. , è stato attribuito al dott. Massimo De P. l’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione del D.A.P.;
- di ogni altro provvedimento antecedente, connesso o conseguente a quelli su indicati, ivi compresa la nota 11 gennaio 2007 prot. n. 10706 del Capo del D.A.P., indirizzata al Capo di Gabinetto del Ministro, con la quale viene proposta l’attribuzione al dott. Massimo De P. dell’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione del D.A.P. e la contestuale assegnazione al dott. S. di compiti di studio (segnatamente lo studio della riorganizzazione dell’ufficio ispettivo del D.A.P.);
nonché per il risarcimento del danno subito in conseguenza della illegittima condotta dell’Amministrazione;
Visto il ricorso con la relativa documentazione;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia e del controinteressato Massimo De P.;
Visti le memorie ed i documenti depositati dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 5 marzo 2009 il Primo Ref. Antonella MANGIA; uditi, altresì, i procuratori delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
Fatto

 

Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato il 14 ed il 15 febbraio 2007 e depositato il successivo 22 febbraio 2007, il ricorrente impugna il decreto con il quale gli è stato attribuito “l’incarico di funzioni dirigenziali generali di cui all’articolo 9, comma 5, del decreto legislativo 15 febbraio 2006 n. 63, con compiti di studio, di consulenza e di ricerca da svolgere presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria”, il decreto con il quale al dott. De P. è stato attribuito l’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione del D.A.P. nonché atti presupposti e consequenziali specificamente indicati.
In particolare, espone:
- di essere stato nominato Direttore Generale del Personale e della Formazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con decreto del Ministro della Giustizia 24 maggio 2002, n. 206942, registrato alla Corte dei Conti in data 19 settembre 2002;
- di essere stato incaricato nel 2007 ad assumere anche il servizio di reggenza provvisoria del PRAP del Lazio;
- che, nonostante il proficuo svolgimento delle funzioni di Direttore Generale del Personale e della Formazione, in data 18 gennaio 2007 riceveva la nota prot. n. 18644, con la quale il Capo del D.A.P. gli annunciava l’avvenuta emanazione di un decreto ministeriale di assegnazione di compiti di consulenza, studio e ricerca presso il D.A.P., ai sensi dell’art. 9 comma 5, D.Lgs. n. 63/2006, e lo invitava all’assunzione anticipata delle nuove funzioni, continuando ad esercitare la reggenza del PRAP Lazio;
- che, in seguito ad istanza di accesso, gli veniva consegnato il decreto ministeriale di cui sopra, il quale rivelava, altresì, che “per lo svolgimento delle funzioni di responsabile della Direzione Generale del Personale e della Formazione, può provvedersi, con separato provvedimento, all’attribuzione del relativo incarico ad altro dirigente…”, poi individuato nel dott. De P. .
Ai fini dell’annullamento dei provvedimenti impugnati deduce i seguenti motivi di impugnativa:
I. Violazione dell’art. 7 e ss. L. 241/90 (comunicazione dell’avvio del procedimento - Garanzia del contraddittorio). Il provvedimento di preposizione ad un servizio di un dirigente rappresenta l’esito di un procedimento amministrativo originato da una proposta o da un atto di iniziativa, con la conseguenza che l’interessato vanta un diritto di partecipazione al procedimento. Ciò trova conferma anche nella Circ. Pres. Cons. Min., Dip. Funzione Pubblica 31 luglio 2002. Nel caso in esame, il ricorrente è stato ingiustamente privato di tale garanzia. Non è possibile sopperire a tale carenza in virtù del richiamo dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, posto che, in caso di partecipazione del ricorrente, il procedimento avrebbe potuto avere diversi esiti “quantomeno con riguardo al conferimento di un nuovo incarico”. Nel D.M. impugnato non ricorrono, poi, riferimenti all’urgenza.
II - Carenza assoluta di motivazione (violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90) - Sviamento di potere, illogicità e contraddittorietà dei provvedimenti impugnati -Violazione dell’art. 10, comma 7, del D.Lgs. n. 63/2006. Il decreto ministeriale impugnato, pur in assenza di un’espressa statuizione, attua inoltre la revoca del ricorrente dall’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione del D.A.P., senza indicarne le ragioni. Quest’ultime non possono, infatti, essere rinvenute nel conferimento dell’attività di studio, “stante la perfetta compatibilità tra il compito di studio e l’incarico” di direzione fino ad allora rivestito. In definitiva, il decreto di cui trattasi è viziato per carente motivazione nonché per sviamento di potere, “essendo stata utilizzata l’assegnazione al compito di studio per attuare la revoca del ricorrente dall’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione e non per l’effettivo conseguimento di fini pubblici”.
III - Eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità - Carenza di motivazione - Violazione dell’art. 19 D.P.R. n. 748/1972, dell’art. 5 D.Lgs. n. 286/1999, anche richiamato dall’art. 21 D.Lgs. n. 165/2001, dell’art. 10 D.Lgs. n. 63/2006. La revoca del dirigente è prevista esclusivamente in caso di condotte negative. Nessuna delle ipotesi all’uopo contemplate si è verificata nei confronti del ricorrente. Il decreto impugnato si traduce, dunque, in una revoca immotivata dell’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione. Lo stesso decreto si traduce in una dequalificazione delle mansioni del ricorrente, attuata senza alcuna garanzia partecipativa. Ove si consideri che l’attività di studio deve essere svolta dall’Ufficio Studi, Ricerche e Pareri, costituito presso il D.A.P., il ricorrente si trova in una situazione equivalente a quella della “messa a disposizione”. Si denuncia, altresì, contraddittorietà con il provvedimento di reggenza del Provveditorato del Lazio, indice di apprezzamento.
IV - Eccesso di potere per illogicità della condotta dell’Amministrazione sotto altro profilo - Sviamento di potere - Carenza di motivazione. Il ricorrente è stato posto in una situazione addirittura deteriore a quella del dirigente apicale colpito dallo spoil system. L’Amministrazione non si è curata minimamente di verificare l’esistenza di incarichi equivalenti a quello di Direttore Generale del Personale e della Formazione né ha verificato la disponibilità di incarichi di minore rilevanza che pur potevano assicurare al ricorrente l’esplicazione della propria professionalità. L’Amministrazione non ha, altresì, tenuto conto dell’aspetto economico, atteso che l’assegnazione del compito di studio comporterà una riduzione della retribuzione del ricorrente di circa il 40%.
V - Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà della motivazione - Perplessità dell’azione amministrativa - Sviamento di potere; Errata valutazione di presupposti - Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento. Come si desume dall’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, l’attribuzione di incarichi di studio costituisce una ipotesi residuale e riduttiva. Ciò detto, appare evidente che, anche a voler ritenere che l’Amministrazione potesse revocare il ricorrente dal proprio incarico, sicuramente non poteva denigrarne la dignità e bloccarne lo sviluppo della professionalità e dell’esperienza, fino a retrocederlo. Si ribadisce che il compito di studio attribuito rientrava tra quelli dell’Ufficio Studi e, comunque, poteva essere svolto dal ricorrente continuando ad esercitare le funzioni di Direttore Generale del Personale e della Formazione. Con il decreto impugnato sono stati, altresì, incrementati gli organismi con compiti di studio, in contrasto con la lett. d) del comma 404 della legge finanziaria 2007.
VI - Violazione dell’art. 19 D.Lgs. n. 165/2001, richiamato dall’art. 9, comma 5, del D.Lgs. n. 63/2006 - Carenza di motivazione - Carente valutazione dei presupposti. L’Amministrazione non ha tenuto conto delle professionalità del ricorrente. Manca la fissazione della durata dei compiti attribuiti nonché la prefissione di obiettivi da correlare alla stessa.
In ultimo, il ricorrente chiede il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, subiti.
Dopo aver prodotto documenti in data 23 febbraio 2007, con atto depositato in data 15 marzo 2007 il Ministero della Giustizia si è formalmente costituito.
In data 20 marzo 2007 ed in data 27 marzo 2007 l’Amministrazione ha prodotto ulteriori documenti, tra cui anche una nota del D.A.P. - Ufficio del Capo del Dipartimento - Ufficio del Contenzioso, prot. GDAP 0097381-2007, nell’ambito della quale si rappresenta che: - a seguito della legge n. 154/2005, del decreto legislativo n. 63/2006 e del comma 404 dell’art. 1 della legge finanziaria per l’anno 2007, era sorta l’esigenza di provvedere con urgenza al riassetto della dirigenza penitenziaria; - premesso che la figura del Direttore Generale del Personale e della Formazione rispondeva a parametri di particolare fiducia, con il D.M. del 17 gennaio 2007 venivano conferiti al dott. S. i compiti di studio, di consulenza e di ricerca presso l’Ufficio del Capo del Dipartimento ex art. 9, comma 5, del D.Lgs. n. 66/2006; - con D.M. del 9 febbraio 2007, nello svolgimento dell’incarico attribuito, allo stesso dott. S. si attribuiva il perseguimento di specifici obiettivi; - a seguito della preposizione al Provveditorato del Lazio di un altro Dirigente Generale, veniva meno anche la reggenza provvisoria in capo al ricorrente di detto Provveditorato; - con nota del 14 marzo 2007, è stata comunicata al ricorrente la prossima nomina a Provveditore regionale della Puglia; - in relazione a tale nomina, il ricorrente si è mostrato disponibile. Tutto ciò premesso, si afferma che: - i provvedimenti impugnati non rappresentano affatto misure penalizzanti ma si inseriscono in un disegno di più ampio respiro, finalizzato a dare all’Amministrazione un assetto organizzativo più efficiente e moderno; - i compiti di studio sono ricompresi tra quelli da poter conferire ai dirigenti generali penitenziari, ai sensi dell’art. 9, comma 5, d.lgs. n. 63/2006; - l’incarico conferito aveva carattere d’urgenza; - il potere di revoca e di sostituzione del ricorrente presenta gli stessi caratteri e profili del potere di nomina, ossia è “assolutamente fiduciario e discrezionale”; - in ogni caso, l’art. 10 del D.lgs. n. 63/2006 introduce il principio di cessazione automatica degli incarichi dirigenziali a tempo indeterminato e quello della temporaneità dei nuovi incarichi conferiti nonché discrezionalità assoluta in ordine alla nomina ed all’assegnazione dei dirigenti; - l’onere di motivazione, al pari del sindacato di legittimità, è attenuato; - il provvedimento è comunque motivato; - l’art. 7 della legge n. 241/90 non trova applicazione; - comunque, vi erano ragioni di urgenza; - è da aggiungere che il ricorrente era a conoscenza dell’avvicendamento e non dimostra con quali argomentazioni avrebbe potuto influire sull’adozione di un provvedimento diverso da quello impugnato.
Con atto depositato in data 26 marzo 2007 si è costituito il controinteressato dott. Massimo De P. , il quale - nel contempo - ha così sostenuto la legittimità dell’operato dell’Amministrazione: - stante la temporaneità degli incarichi dirigenziale, l’incarico del dott. S. non è stato revocato ma è semplicemente scaduto; - per tale motivo non era necessaria alcuna comunicazione di avvio del procedimento; - il rispetto delle garanzie procedimentali non avrebbe potuto comportare nessun ulteriore elemento di valutazione; - atteso che l’incarico fu conferito in vigenza del regime di privatizzazione del pubblico impiego, non sono pertinenti considerazioni svolte in ordine alla sussistenza di presunti vizi di legittimità secondo le categorie proprie del diritto amministrativo; - si tratta di un incarico apicale e, quindi, trova applicazione l’art. 3, comma 7, della legge n. 145 del 2002.
In data 28 marzo 2007 il ricorrente ha presentato un’istanza di differimento della camera di consiglio “a data da destinarsi”.
In data 7 gennaio 2009 il controinteressato ha prodotto una memoria, nell’ambito della quale ha ribadito che la procedura impugnata si configura come un regolare avvicendamento nelle funzioni “dopo cinque anni di ininterrotto svolgimento dell’incarico” da parte del dirigente.
Con memoria depositata in data 10 gennaio 2009 il ricorrente ha nuovamente sostenuto che il decreto impugnato ha attuato una revoca ad nutum, in carenza dei presupposti di legge e delle garanzie partecipative prescritte.
In data 17 gennaio 2009 l’Amministrazione ha depositato documenti.
Dopo aver provveduto in data 12 febbraio 2009 al deposito di documenti, in data 20 febbraio 2009 il ricorrente ha prodotto un’ulteriore memoria al fine di confutare i rilievi formulati dal Ministero della Giustizia.
All’udienza pubblica del 5 marzo 2009 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
 
Diritto
 
1. Il Collegio - rilevata la sussistenza dell’interesse al ricorso - ritiene che il ricorso sia infondato e, dunque, vada respinto.
1.2. Come esposto nella narrativa che precede, il ricorrente - già Direttore Generale del Personale e della Formazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia - impugna il provvedimento con il quale l’Amministrazione gli ha conferito “compiti di studio”, il provvedimento con il quale è stata disposta l’assunzione anticipata da parte del medesimo di tali nuove funzioni nonché il provvedimento con il quale è stato attribuito al dott. De P. l’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione.
2. Ai fini dell’annullamento denuncia, tra l’altro, che il decreto ministeriale impugnato - attuando una revoca dall’incarico di direttore generale del personale e della formazione - è carente di motivazione, illogico, nonché in contrasto con gli artt. 10, comma 7, del d.lgs. n. 63/2006, 19 del D.P.R. n. 748/1972 e 5 D.Lgs. n. 286 del 1999.
Tali censure non sono meritevoli di condivisione per le ragioni di seguito esposte.
2.1. La formulazione delle censure in esame ma anche la sopravvenuta assunzione da parte del ricorrente dell’incarico di Provveditore Regionale della Puglia - il quale ha determinato il venir meno dell’incarico di studio - rivelano la necessità di valutare il decreto ministeriale impugnato primariamente sotto il profilo della “privazione” dell’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione già ricoperto.
In base ad una disamina accurata delle questioni prospettate ma anche delle ulteriori iniziative assunte dall’Amministrazione nel corso del giudizio, si è indotti, pertanto, a riconoscere carattere preminente all’analisi dei “fattori” atti ad incidere sugli incarichi conferiti ai dirigenti generali dell’Amministrazione penitenziaria.
2.2. Posto che il caso in esame propone un atto di conferimento risalente al 2002, privo di una durata prefissata, si pone - in primis - la necessità di stabilire gli effetti determinati dall’entrata in vigore del decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63, in materia di “Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria, a norma della legge 27 luglio 2005, n. 154″ - il quale ha, tra l’altro, prescritto all’art. 10, comma 1, che “gli incarichi sono conferiti ai dirigenti penitenziari per un periodo di tempo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque” - o, comunque, dal venir meno del regime privatizzato.
Al riguardo, il Collegio ritiene di non condividere i rilievi dell’Amministrazione e del controinteressato.
In particolare:
- non rileva elementi per sostenere la caducazione ex lege degli incarichi conferiti prima del d.lgs. n. 63/2006. Posta la carenza di previsioni c.d. “transitorie”, atte a regolamentare il passaggio dal vecchio al nuovo regime normativo, riscontra l’impossibilità di ricollegare un tale effetto esclusivamente a norme che - in quanto di carattere sostanziale - dispongono esclusivamente per il futuro. Non vi è che non veda, poi, come una tale soluzione si porrebbe in contrasto con il comportamento dell’Amministrazione assunto fino alla data di adozione del decreto impugnato, caratterizzato da una totale inerzia, ossia dalla carenza di un minimo accenno ad “intervenute decadenze” ope legis dall’incarico del ricorrente, il quale è rimasto, pertanto, pacificamente nella condizione di svolgere le proprie funzioni di Direttore Generale del Personale e della Formazione fino alla data del 17 gennaio 2007;
- ribadendo che, in ragione della natura dell’art. 10 in argomento, le previsioni in esso contemplate operano esclusivamente per il futuro, non ritiene - del pari - possibile commutare l’incarico attribuito al ricorrente - originariamente a durata indeterminata - in incarico con durata prefissata. In altri termini, l’art. 10, comma 1, non può assumere la veste di disposizione integrativa di provvedimenti già adottati;
- ravvisa, ancora, l’inutilità del richiamo dell’art. 19, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, il quale prescrive che, con il provvedimento di conferimento ovvero con separato provvedimento, venga, tra l’altro, individuata “la durata dell’incarico”, con la specificazione che quest’ultima non può “eccedere il termine di cinque anni”. Non sussistendo motivi per limitare la durata dell’incarico a tre anni, anziché a cinque, non emergerebbero, infatti, motivi per ritenere l’incarico conferito al Dott. S. con decreto del 24 maggio 2002 scaduto per decorrenza della durata massima consentita (pari a cinque anni).
Tutto ciò premesso, la causa che ha determinato il venir meno dell’incarico di Direttore del Personale e della Formazione in capo al ricorrente non può che essere rinvenuta nel decreto ministeriale impugnato.
2.3. Così chiarita la portata del decreto di cui trattasi, diviene doveroso definire se l’Amministrazione - nell’adottare i provvedimenti impugnati, con l’effetto di rimuovere il ricorrente dall’incarico rivestito - abbia a meno operato in violazione delle disposizioni richiamate nel ricorso.
Al riguardo, si ritiene di pervenire ad una soluzione negativa sulla base delle seguenti considerazioni:
è da escludere che, attraverso l’adozione del decreto ministeriale impugnato, l’Amministrazione abbia realizzato la revoca dell’incarico dirigenziale conferito, ai sensi dell’art. 10, comma 4, del d.lgs. n. 63 del 2006. In tal senso depongono, infatti, la formulazione del provvedimento in questione ma anche i chiarimenti in seguito forniti dall’Amministrazione. La rimozione dall’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione determinata dal conferimento dell’incarico di studio va, pertanto, intesa non come una “revoca” nel senso proprio del termine bensì come l’inevitabile conseguenza che contraddistingue tutti i casi in cui a un dirigente, già titolare di un incarico, venga attribuito - in sostituzione e non in aggiunta - un nuovo incarico;
in verità, il ricorrente sostiene anche che l’assegnazione del compito di studio sarebbe stata realizzata “per attuare la revoca” e “non per l’effettivo conseguimento di fini pubblici”, sicché il provvedimento sarebbe viziato da sviamento di potere. Orbene, tale censura non è assistita da un adeguato supporto probatorio. In senso contrario alle asserzioni riportate depone, poi, il decreto del 27 febbraio 2007, il quale - essendo stato adottato dal Capo del Dipartimento al precipuo fine di istituire un gruppo di lavoro per predisporre uno schema di D.M. attuativo della previsione di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 63 del 2006 - non può che confermare che l’espletamento del compito di studio assegnato al ricorrente rispondeva ad una concreta esigenza dell’Amministrazione (cfr. pag. 19 della nota del D.A.P., prot. GDAP - 0097381-2007, prodotta agli atti);
i rilievi formulati in ordine alla possibilità di attribuire al ricorrente il compito di studio in aggiunta all’incarico di Direttore Generale del Personale e della Formazione o, ancora, di attribuire lo stesso compito dall’Ufficio Studi, Ricerche e Pareri non possono essere oggetto di esame da parte del giudice amministrativo in quanto trasmodano nell’area del “merito”, invocando un indebito giudizio sul contenuto delle scelte operate dall’Amministrazione (cfr., tra le altre, TAR Lombardia, Sez. II, 3 giugno 2003, n. 2426);
2.4. In ragione di quanto osservato, non permane che ricondurre il decreto ministeriale in contestazione nell’ambito delle decisioni che costituiscono espressione del potere di organizzazione dell’Amministrazione.
In particolare, tale provvedimento va ricondotto nell’ambito delle decisioni riguardanti l’utilizzo delle risorse umane, il quale deve rispondere essenzialmente ad esigenze di buon andamento dell’Amministrazione.
Ciò detto, va primariamente escluso che sussista per l’Amministrazione un obbligo - a cui corrisponda un relativo diritto - di mantenere indefinitamente un dipendente presso un determinato ufficio di livello apicale.
Per contro, va indiscutibilmente riconosciuto che un dirigente può essere chiamato ad assolvere indifferentemente svariati tipi di incarico, con l’unico limite dell’attinenza di quest’ultimi alla qualifica rivestita.
In relazione al provvedimento di conferimento, la precedente esperienza in uno stesso tipo di incarico non rappresenta, dunque, affatto un “presupposto” imprescindibile, atteso che i dirigenti debbono essere ritenuti capaci di svolgere qualsiasi incarico che risulti normativamente agli stessi attribuito.
A corollario di tali principi, l’immobilismo della dirigenza pubblica risulta bandito dall’ordinamento, mentre trova pieno riconoscimento la rotazione degli incarichi dirigenziali, definibile come uno dei principi informatori della riforma della dirigenza pubblica (in tal senso, vedasi anche l’art. 19 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29), atto a costituire uno strumento fondamentale per il conseguimento dell’efficienza e del buon andamento, in diretta attuazione dell’art. 97 della Costituzione (cfr., tra le altre, TAR Lazio, Sez. III bis, 12 febbraio 2008, n. 1227).
In altri termini, sono da condividere i rilievi dell’Amministrazione formulati in relazione all’avvicendamento tra i dirigenti generali, indiscutibilmente rispondente al “principio di temporaneità degli incarichi” - ora espressamente statuito dall’art. 19 del d.lgs 30 marzo 2003, n. 165 ma anche dall’art. 10 del d.lgs. 15 febbraio 2006, n. 63 sull’”Ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria” - e, quindi, all’ “esigenza di un interscambio professionale adeguato alle esigenze funzionali dell’Amministrazione”.
Non discussa ma, anzi, pienamente ammessa la possibilità per l’Amministrazione di attribuire ad un dirigente generale - qual è il ricorrente - un nuovo incarico, in linea con i principi desumibili dalla disciplina che regolamenta la materia, sorge, dunque, la necessità di definire i termini in cui possono essere valutati e sindacati i provvedimenti che risultino espressione di tale potere di organizzazione.
Al riguardo, appare opportuno ricordare che tali provvedimenti sono ordinariamente ricondotti nell’ambito della categoria dei provvedimenti di alta amministrazione (cfr,, tra le altre, TAR Lazio, Sez. II, 15 dicembre 2007, n. 13361).
Si tratta, pertanto, di provvedimenti caratterizzati da ampia discrezionalità, sindacabili - in quanto tali - unicamente sotto i profili dell’incongruità e dell’irragionevolezza (cfr., ancora, TAR Lazio, Roma, Sez. II, 30 maggio 2008, n. 5317; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 15 dicembre 2007, n. 13361).
Più dettagliatamente, si tratta di provvedimenti:
assunti in base a criteri eminentemente fiduciari;
basati sulla valutazione della capacità e delle attitudini del dipendente;
sottoposti al sindacato di legittimità nei limiti di un accertamento essenzialmente estrinseco, ossia circoscritto al riscontro dell’esistenza dei presupposti, della congruità della motivazione nonché dell’esistenza del nesso logico di consequenzialità fra presupposti e conclusione.
Ciò precisato, è evidente la necessità di procedere ad una disamina del decreto ministeriale in contestazione al fine di valutare se lo stesso - sindacato entro i limiti di cui è stata data evidenza - sia stato o meno correttamente adottato.
Orbene, tale disamina conduce ad una soluzione positiva, atteso che:
-in base all’art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 63 del 2006 - norma che disciplina specificatamente l’ “individuazione dei posti di funzione” per la carriera dirigenziale penitenziaria ed, in particolare, il conferimento di “compiti di studio, di consulenza e di ricerca”, con una formulazione differente rispetto a quella che connota l’art. 19, comma 10, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, dalla quale non appare, tra l’altro, possibile dedurre alcun “carattere residuale e minimale”
- l’incarico di studio conferito al ricorrente rientra nell’ambito di quelli spettanti ai dirigenti generali. Tale constatazione conduce, altresì, ad escludere la sussistenza di motivi in base ai quali ritenere che l’incarico di studio attribuito al ricorrente non sia equivalente a quello già ricoperto e, dunque, di motivi per ravvisare un trattamento deteriore rispetto a quello riservato al “dirigente apicale colpito dallo spoil system”. Del resto, appare evidente che una soluzione contraria - e cioè il mancato riconoscimento dell’equivalenza tra detti incarichi - comporterebbe un indiscutibile limitazione degli incarichi attribuibili a dirigenti generali che hanno già svolto determinati compiti e, dunque, sarebbe inaccettabile perché in contrasto con la disposizione di legge in esame;
-è stata fornita una adeguata motivazione. Nel provvedimento impugnato figura, infatti, un’ampia esposizione dei presupposti di fatti e delle ragioni di diritto che hanno determinato la decisione di attribuire al ricorrente l’incarico di studio, e ciò anche attraverso il richiamo della proposta del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, la quale fa, tra l’altro, espresso riferimento proprio alla “riallocazione delle risorse dirigenziali disponibili, al fine di favorire un interscambio delle esperienze e professionalità maturate nella gestione delle diverse realtà…”;
-chiaro è il nesso di consequenzialità tra presupposti e conclusione. Al riguardo, dirimente si profila la derivazione dell’attribuzione dell’incarico dalla rappresentazione dell’ “urgente esigenza … di approfondire e perfezionare una serie di adempimenti, procedure e nuovi schemi organizzativi per la razionalizzazione degli uffici dirigenziali, e per le altre incombenze in capo alle amministrazioni statali, di cui alla legge finanziaria 2007, art. 1 commi 404 e segg.” nonché il riferimento al curriculum ed all’esperienze maturate dal ricorrente nelle funzioni svolte.
In definitiva, il decreto impugnato - il quale va riconosciuto come l’unico atto dotato di un concreto e persistente effetto lesivo nei confronti della situazione giuridica soggettiva del ricorrente - appare ragionevole e, comunque, conforme al disposto dell’art. 3 della legge n. 241/90, dell’art. 9 del d.lgs. n. 63 del 2006 nonché dell’art. 10 del medesimo decreto legislativo, il quale - al comma 3 - disciplina - appunto - i criteri di conferimento degli incarichi ai dirigenti penitenziari.
2.5. In ragione delle considerazioni già esposte si rivelano infondate anche le censure con le quali il ricorrente denuncia un trattamento punitivo, ovvero una dequalificazione, in contrasto con l’ “interesse pubblico all’efficienza ed al buon andamento dell’Amministrazione”.
Una volta riconosciuto operante il regime dell’avvicendamento negli incarichi in nome del principio della rotazione, assume, infatti, carattere dirimente l’accertamento dell’attribuzione o meno di un incarico rientrante tra quelli spettanti alla qualifica, ossia di un incarico corrispondente alla funzione.
Nei casi in cui tale accertamento sia positivo, alcun demansionamento è riscontrabile o, comunque, comprovato.
In altre parole, il decreto ministeriale impugnato non rivela di per sé una dequalificazione professionale ma - al contrario - palesa la sussistenza di determinate ragioni organizzative atte a richiedere l’utilizzo del ricorrente in un nuovo incarico, rispetto al quale la concorrenza al buon andamento dell’Amministrazione è, comunque, sussistente.
La denunciata perdita del precedente trattamento economico - da ricondurre, più propriamente, alla mancata percezione di “emolumenti accessori” e, comunque, affatto comprovata dal ricorrente - risulta, poi, apertamente sconfessata dall’Amministrazione (vedasi pag. 15, punto 4, della memoria depositata in data 27 marzo 2007).
In ogni caso, anche il verificarsi di una tale evenienza non vale a comprovare l’illegittimità di decreti del genere di quelli impugnati perché inidonea a superare il dato normativo, ossia la già richiamata previsione dell’art. 9, comma 5, del d.lgs. n. 63 del 2006.
Appare evidente che per i dirigenti generali sussistono incarichi che possono essere più ambiti - anche da un punto di vista economico - rispetto ad altri; ciò, però, non significa che un dirigente generale, già titolare di un incarico, vanti il diritto all’assegnazione - per il futuro - esclusivamente di incarichi idonei a preservare un trattamento giuridico-economico “omnicomprensivo” di livello identico o superiore a quello in godimento, pena il “demansionamento”.
In senso contrario non appare che possa essere invocato l’art. 3, comma 7, della legge 15 luglio 2002, n. 145, stante - in primis - il riferimento alla fase di “prima applicazione dell’art. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, come modificato dal comma 1 del presente articolo” che nello stesso ricorre.
Lo stesso ragionamento opera in relazione agli incarichi operativi e non, nel senso che il costante svolgimento di incarichi operativi non determina l’insorgenza di un diritto del dirigente a vedersi conferiti esclusivamente incarichi di tal genere, tanto più ove si consideri che l’espletamento di incarichi operativi e, dunque, l’esperienza così acquisita può ben rivelarsi utile in sede di svolgimento di compiti di studio.
Al pari di quanto osservato in relazione al profilo dell’equivalenza, la condivisione di una soluzione diversa da quella sopra rappresentata si porrebbe - del resto - in contrasto con la disciplina normativa che regolamenta la materia, atteso che quest’ultima non prescrive limiti e/o condizioni rispetto al conferimento degli incarichi ai dirigenti generali penitenziari, atti a introdurre differenziazioni tra i soggetti titolari della relativa qualifica a seconda delle funzioni già svolte.
Preme, ancora, precisare che non si ravvisa contrasto con gli apprezzamenti e le valutazioni riportati nel corso degli anni; ed, anzi, gli stessi apprezzamenti e valutazioni sembrano operare in senso contrario a quanto sostenuto nel ricorso e, più precisamente, deporre a favore dell’insussistenza dell’ipotesi di sviamento denunciata.
Non si ravvisa, altresì, contrasto con la lett. d) del comma 404 della legge finanziaria 2007, attesi il carattere sicuramente prodromico del compito di studio di cui al decreto ministeriale in discussione rispetto ad una corretta riorganizzazione degli uffici e, comunque, l’inidoneità dello stesso compito a dare origine ad un organismo di studio del tipo di quelli considerati dalla citata norma.
In ultimo, va segnalato che alla denunciata carenza della fissazione della durata dei compiti di studio assegnati e degli obiettivi ha sopperito il decreto ministeriale del 9 febbraio 2007 (all. n. 5 alla relazione dell’Amministrazione depositata in data 27 marzo 2007), il quale non risulta oggetto di impugnativa.
2.6. Permane da valutare la censura riguardante la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990.
Al riguardo il Collegio - in applicazione del disposto dell’art. 21 octies, comma 2, seconda parte, della legge n. 241/90 - ritiene che l’Amministrazione abbia adeguatamente dimostrato in giudizio “che il contenuto del provvedimento”, ancorché implicante valutazioni di merito, coinvolgenti anche la posizione di altri soggetti, “non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” e, dunque, rileva l’inidoneità del vizio di procedura denunciato a determinare l’annullamento del decreto ministeriale impugnato.
3. Posta l’infondatezza della domanda di annullamento, anche la domanda di risarcimento del danno non può trovare accoglimento.
4. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Tenuto conto delle peculiarità della vicenda, atte a determinare incertezze in ordine alla esatta ricostruzione delle iniziative assunte dall’Amministrazione, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
 
P.Q.M.
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione I quater respinge il ricorso n. 1568/2007.
Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
 
Depositata in Cancelleria il 05.05.2009

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