Sul ribaltamento delle responsabilità dal mobber alla vittima

 

(tipologia esemplificativa delle tecniche  difensive, azionate direttamente o riscontrate nelle memorie legali o nelle relazioni peritali del convenuto mobber)

sintetizzabili nell’imperativo categorico: “Negare tutto ad ogni costo, anche l’evidenza…”

 

Per “dimostrare” che la persona - che sostiene di aver subito la violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni, psichiche e morali - non è un soggetto attendibile ...

 

1.        si provvede fin da subito a non accettare il quadro di riferimento presentato e ad avanzare ambiguamente dubbi sulle sue reali condizioni di salute psicofisica, disconoscendo la patologia professionale diagnosticata, anche quando questa è provata in modo innegabile;

2.        si provvede, in modo dissimulato, ad avanzare continuamente dubbi sulle sue precedenti condizioni di salute psicofisica, invocando una innata ed eccessiva sensibilità ai “normali” eventi della vita di tutti;

3.        si provvede, con allusioni ed in modo esplicito, ad avanzare continuamente dubbi sulle sue capacità di inserirsi affabilmente in contesti lavorativi già strutturati, nonché sulla capacità di realizzare rapporti umani e professionali amichevoli con colleghi astiosi;

4.        si provvede a dissimulare sistematicamente le dinamiche di potere realizzate dalla personalità psicopatica perversa che ha dolosamente esercitato la violenza, non evidenziando di proposito le azioni e gli atteggiamenti ove egli manifesta “un senso grandioso di importanza”, “la sensazione che tutto gli sia dovuto, cioè la irragionevole aspettativa di trattamenti di favore o di soddisfazione immediata delle proprie aspettative”, “il prendersi il merito del lavoro e dell’impegno degli altri, scaricando la colpa dei propri errori”, “un operare sistematicamente lo sfruttamento interpersonale, cioè un usare gli altri per raggiungere i propri scopi”, “il mirare al potere per soddisfare interessi difficilmente riconducibili alla realizzazione degli scopi dell’organizzazione, così da dare spazio, sfruttando le risorse degli altri, ai propri obiettivi senza tener conto delle legittime prospettive altrui”, “il gestire tutto nei minimi dettagli prendendo il sopravvento ed imponendo il suo personale sistema di valori e la sua personale visione del mondo”;

5.        si provvede a ribadire che il vero aggressore “non c’entra niente”, non evidenziando le dinamiche di potere realizzate per isolare la persona offesa, poiché “quando la vittima è sola gli è molto più difficile ribellarsi, soprattutto se gli si fa credere che tutti gli sono contro”;

6.        si provvede, al contempo, a non evidenziare che l’aggressore - con insinuazioni, allusioni malevole o preferenze ostentate - ha anche provocato gelosie, ha montato le persone le une contro le altre, ha fatto nascere contese, sospetti e diffidenze, ha seminato la discordia, l’inimicizia, fino al punto che la destabilizzazione è stata così attuata dai colleghi invidiosi;

7.        si provvede incessantemente ad eclissare le qualità etiche e l’integrità morale della persona offesa, a nascondere le iniziative di resistenza, contrasto e discredito contro di lui organizzate per impedirgli il raggiungimento di una buona reputazione, sociale e professionale;

8.        si provvede a non evidenziare quei fatti ove l’aggressore ha dimostrato di volerla vinta a tutti i costi o voler sembrare sempre dalla parte della ragione, per cui ha rifiutato la collaborazione per instaurare un clima di competizione; nel far ciò ha sottolineato in modo esagerato il proprio valore ed il proprio contributo, si è mostrato vanaglorioso ed ha inteso i suoi colleghi o collaboratori in “bianco e nero”, come amici o nemici;

9.        si provvede, al contempo, a far risaltare metodicamente il “comportamento rigido” che mal si adatta al falso clima informale e collaborativo del gruppo, nascondendo che la progressiva assunzione della condotta più irreprensibile, come elemento di difesa psicologica, è il comportamento che viene tipicamente adottato dalla persona moralmente offesa;

10.    si provvede a raccogliere informazioni sugli eventi denunciati ma, prevalentemente, da persone “favorevolmente disposte” nei confronti di chi, la violenza, l’ha dolosamente esercitata, oppure da individui interessati allo status quo o “condizionati” dalle circostanze e preoccupati per le possibili conseguenze future che eventuali dichiarazioni “inopportune” potrebbero cagionare;

11.    si provvede a realizzare una ricerca ossessiva di qualunque, anche minima, imprecisione nelle esposizioni raccolte dalla persona offesa, per poi, prendendo spunto da ogni minima “svista” commessa dall’esaminato nel corso dei suoi racconti opportunamente indotti in modo ripetitivo, proporre immediatamente la conclusione che, se il soggetto ha errato su un dettaglio, nulla garantisce che non abbia mal riferito anche su tutto il resto, così da dissimulare l’evidente sproporzione tra l’entità dell’eventuale inesattezza individuata e le conclusioni che, partendo da essa, sono state poi tratte;

12.    si provvede ad ammettere e riportare, acriticamente e dogmaticamente, qualunque affermazione riferita, quand’anche incoerente o priva del benché minimo riscontro oggettivo, purché contraria alla tesi della persona offesa, anche quando l’affermazione è strumentale perché finalizzata palesemente a “coprire” quanto accaduto;

13.    si provvede ad amplificare ad ogni opportunità le affermazioni sincere della persona offesa, in modo da esagerare gli eventi rendendoli così ancora meno credibili, poiché le astuzie che una personalità psicopatica è in grado di realizzare per raggiungere o mantenere una posizione di leadership sono per lo più contorte, emotive, eccessive, irrazionali, avventate, cervellotiche, quindi per loro stessa essenza poco credibili;

14.    si provvede a non ammettere e a nascondere che la personalità antisociale perversa, nelle vicende narrate e nella ridondante documentazione presentata dalla persona offesa, rifiuta le critiche o, comunque, reagisce ad esse con rabbia, anche quando sono realistiche, incolpa gli altri e non sa ammettere errori o debolezze personali, “si mostra sostanzialmente incapace di introspezione psicologica e di apprendere dall’esperienza emozionale e sociale”, “trae piacere da comportamenti, atteggiamenti ed emozioni che non sono piacevoli per la maggior parte delle persone, e da comportamenti dannosi agli altri, comprendenti danni fisici, violenze, danni morali, impedimenti di ogni tipo al benessere altrui, ed inoltre alcune forme di crudeltà diretta o indiretta come le calunnie e le dicerie malvagie”;

15.    si provvede, al contrario, ad avanzare continuamente dubbi sull’effettiva ostilità dei fatti accaduti, fatti che tipicamente per loro natura si prestano ambiguamente, per conveniente scelta di chi esercita la violenza, a poter anche essere interpretati in modo neutro o, addirittura, benevolo;

16.    si provvede ambiguamente a tenere nascosta l’effettiva pericolosità sociale della personalità narcisistica perversa che ha organizzato la strategia violenta;

17.    si provvede ad avanzare continuamente dubbi in merito ai motivi che hanno indotto la persona offesa a richiedere “giustizia”;

18.    si provvede ad avanzare continuamente dubbi in merito al fatto che, in un contesto lavorativo disorganizzato, un individuo avido di potere possa veramente sfruttare la confusione e manipolare o distruggere psicologicamente, in tutta impunità, i propri collaboratori, per conservare la supremazia;

19.    si provvede a non evidenziare il fatto che, nel momento stesso in cui la vittima della violenza ha chiesto un trasferimento ed ha dato l’impressione di sfuggire al suo aggressore narcisista, egli ha provato una sensazione di panico e di collera, quindi ha scatenato la sua ira in una fase “di odio allo stato puro”;

20.    si provvede ad enunciare eminenti citazioni giurisprudenziali ed autorevoli indicazioni bibliografiche, tutte opportunamente orientate nella medesima direzione, ed antitetiche rispetto alle asserzioni innegabili che la persona offesa ha proposto per dover illustrare al meglio una tesi oggettivamente difficile da sostenere;

21.    infine, se la vittima è ricorsa alla Giustizia, si condiscono (a mo’ di prezzemolo sulle "velenose" pietanze, nel piatto predisposto per il magistrato) tutte le negazioni, iniquità ed eclissamenti elencati ai punti precedenti con il riversare sulla vittima una serie di travisamenti dell’accaduto e di epiteti offensivi – beneficiando notoriamente il convenuto dell’esimente di non punibilità per fini di difesa, ex art. 598 c.p. – quali quelli seguenti, assertivi che: la presunta vittima è in realtà un soggetto “riottoso”, “insofferente delle mansioni conferitegli”, “incapace di relazionarsi con i colleghi e superiori”, e se abbia indirizzato numerose richieste scritte (naturalmente inascoltate) ai vertici aziendali, lo si definisce addirittura “querulomane”, “recalcitrante e non collaborativo”; se ciononostante non è stato mai sanzionato, si supera la plateale contraddizione dicendo che “ha beneficiato della immeritata tolleranza e benevolenza aziendale”, nonostante “snobbasse le mansioni spettantigli per patto d’assunzione”; se ha adito il giudice a media distanza (nel momento in cui si sono ridotti i rischi di ritorsione), diventa “portatore di un malanimo covato per anni”; se é conseguenzialmente caduto in sindrome ansioso depressiva e in patologie psicosomatiche, si dice  che “purtroppo per lui ha vissuto una dimensione ‘soggettiva’ di demansionamento, esacerbata dal difficile rapporto con i colleghi”, la cui  personalissima frustrazione da mancata realizzazione delle “sue ambiziose aspettative” gli ha determinato “l’autoinduzione di una malattia idiopatica”, per cui “imputet sibi dei malanni di cui si lagna, ove esistano...” (nonostante l’allegazione di certificazioni specialistiche o relazioni peritali documentanti il danno alla salute ed il nesso eziologico con la situazione avversativa aziendale) ovvero che "è tipica dell'età" o "indotta dallo stress della vita moderna"; se per difesa si è protetto con una carica sindacale, lo si designa “serpe in seno…”, “che si è creato una nicchia di impunità e di intangibilità”, e così via, dando libero sfogo di fantasia  finalizzata a frastornare il magistrato e ad instillargli corposi dubbi, favoriti anche dalla rarefazione delle testimonianze a favore della vittima, in ragione della notoria omertà degli pseudo colleghi (talora in posizione di side-mobbers, con la loro indifferenza).

Il risultato può essere quello dell’archiviazione delle denunce penali o della  cd. undercompensation degli indennizzi risarcitori (oramai a livello quasi offensivo sia tenuto conto di quelli accordati dagli ordinamenti anglosassoni sia eminentemente in rapporto alle sottovalutata macroscopicità delle lesioni dei diritti di dignità, immagine, reputazione e autorealizzazione professionale del lavoratore sul luogo di lavoro, giustificati con l'alibi dell'estraneità al nostro ordinamento dei cd. "punitive damages").

 

Mario & Marco

12 settembre 2007

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