- Ritiene
il giudice che il ricorso debba essere accolto relativamente sia alla richiesta
della revoca del trasferimento presso la succursale di Rimini che alla
richiesta di risarcimento danni.
- Prima
di entrare nel merito degli argomenti della decisione corre l’obbligo di
precisare che la notizia del licenziamento che sarebbe stato comunicato al
Mulas con raccomandata 16/1/2001, richiamato nelle note conclusive della parte
ricorrente, non entrerà nella presente materia del contendere ( se non per un
fugace spunto in tema di mobbing ) perché non oggetto del presente ricorso.
- Sostanzialmente
due sono le questioni che deve affrontare questo giudice proposte nel presente
ricorso. La prima riguarda la legittimità o meno del provvedimento di
trasferimento del Mulas e la seconda la qualificazione della situazione del
Mulas rispetto alla banca ai fini
risarcitori chiesti dallo stesso.
- Il
primo punto in questione può essere affrontato agilmente anche se per la
comprensione profonda dell’episodio si ritiene che non si possa non
contestualizzarlo ma, per tale approfondimento, si rimanda alla successiva
descrizione del problematico rapporto tra le parti. In questa prima fase verrà
esaminato solo l’aspetto della legittimità del trasferimento a Rimini del
Mulas.
- Non
ci sono elementi che giustificano oggettivamente il trasferimento del Mulas
nella succursale di Rimini. È inutile dire, come sostiene la società convenuta
con argomentazione suggestiva ma non condivisibile, che si è voluto agevolare il Mulas che abita a Gambettola quando
lo stesso non voleva essere trasferito, e questo è pacifico. Neppure appare
argomento valido quello ulteriore sostenuto con riferimento alle condizioni
familiari del Mulas che secondo l’azienda non presentava criticità al fine di
ritenere il trasferimento fonte di disagi ( e, inoltre, pare a questo giudice
che le due ragioni appena espresse si contraddicano logicamente ). Le ragioni tecnico organizzative dichiarate
dalla banca appaiono impalpabili, indipendentemente dalla necessità di organico
della sede di Forlì. Dire che il Mulas è l’unico in grado di occupare il posto
di supporto gestore alla clientela particolarmente alla luce delle scarse,
dequalificanti, se non mortificanti, attività che gli vengono attribuite è
veramente poco credibile. Compito essenziale del Mulas è quello di fare
fotocopie e non può essere l’unico in
grado di farle e appare difficile immaginare l’utilizzo della professionalità
di un Quadro Super con minore attenzione alla qualifica ed alla professionalità
dello stesso. Questo a meno di non condividere l’impostazione prospettata dal
teste Forasassi che testualmente dichiara:” anche per l’attività di
fotocopiatura per fascicoli da inviare all’esterno occorre criterio per sapere
quello che serve”, introducendo un nuovo ruolo di fotocopiatore di concetto
ignoto sino ad ora.
- Per
superare le difficoltà di comprensione di una collocazione professionale a dir
poco riduttiva si sottolinea, allora, da parte della Banca che la determinazione rientra nella libertà di scelta dell’imprenditore ma anche sul
punto non si concorda. Non è vero che nel nostro ordinamento viga il principio
dell’intangibilità della libera iniziativa economica perché l’articolo 41
Costituzione al secondo comma afferma che la stessa non può svolgersi, tra
l’altro, in modo da arrecare danno alla dignità umana e che la stessa debba
essere riconosciuta anche ad un dipendente non può essere in dubbio.
- Conseguentemente
deve ritenersi illegittimo il provvedimento di trasferimento del Mulas presso
la succursale di Rimini e deve essere disposto il suo rientro nella sede di
Forlì. È evidente che le mansioni da attribuire allo stesso dovranno tener
conto effettivamente della sua esperienza professionale e della sua qualifica
per evitare la reiterazione di ricorsi giurisdizionali.
- Si
tratta di affrontare il secondo e sicuramente più problematico aspetto che è
quello di verificare la sussistenza dei presupposti risarcitori nella condotta
della Banca datrice di lavoro per le condotte subite dal Mulas.
- Siamo
di fronte ad un caso di mobbing e su questo non possono esserci dubbi, anche
alla luce delle risultanze della consulenza in atti.
- Per
quanto non ancora definito con una normativa specifica che potrebbe sicuramente
precisarne i contorni ed i profili relativi alla risarcibilità dei danni
derivanti da questo, il mobbing è diventato oramai un concetto acquisito anche
se non ben definito nella conoscenza
comune anche alla luce di recenti sentenze di merito ( in particolare la più
famosa è quella del Tribunale di Torino 16/11/99 alla quale segue l’altra dello
stesso giudice 30/12/99, entrambe edite in svariate riviste e pubblicazioni con
commenti tutti sostanzialmente favorevoli ) e dell’elaborazione sociologica e giuridica sviluppatesi negli ultimi anni
in Italia dopo che nel resto dell’Europa, in particolare nella parte
settentrionale, il mobbing era già conosciuto e riconosciuto come fenomeno di
enorme rilevanza e problematicità nel mondo del lavoro.
- Sulla
definizione si rimanda alle numerose pubblicazioni relative all’argomento che
hanno dato un nome ad un fenomeno
sempre presente nel lavoro e solo recentemente affrontato con la necessaria
serietà e con l’approfondimento che richiede. Schematicamente si può ritenere
riconducibile al fenomeno in oggetto quel comportamento, reiterato nel tempo,
da parte di una o più persone, colleghi o superiori della vittima, teso a
respingere dal contesto lavorativo il soggetto mobbizzato che a causa di tale
comportamento in un certo arco di tempo subisce delle conseguenze negative
anche di ordine fisico da tale situazione. Si richiama il concetto che in
etologia è conosciuto come il rifiuto del branco nei confronti di un animale
della stessa specie che ne viene scacciato.
- La
storia professionale del Mulas può risultare paradigmatica per ritrovare tutte
le caratteristiche essenziali del mobbing: dipendente modello della banca per
la quale lavora da oltre un ventennio
con riconoscimento assoluto delle proprie capacità e della propria
professionalità fino al momento in cui qualcosa cambia e da dipendente modello
in piena ascesa professionale diventa, nel breve volgere di pochi anni, un
problema da gestire per la banca. Le qualifiche professionali si abbassano ( da
distinto del 1995 a buono del 1996, epoca dell’inizio dei problemi, a normale
del 1997 ) si stenta a trovare per lui un ruolo professionale effettivo,
viene trasferito da Forlì, sede di suo
gradimento, a Rimini e non viene
considerato per lui più nessun avanzamento in carriera. Addirittura alcune
condotte, quali la privazione delle chiavi del garage e della possibilità di
usufruire del posto macchina lamentate dal Mulas nel proprio ricorso come
elementi di umiliazione, costituiscono situazioni paradigmatiche e scolastiche a livello di indizi per il mobbing.
- Che
il conflitto, almeno vissuto come tale dal ricorrente, abbia inizio nel giugno
1996 con l’arrivo del nuovo direttore del gruppo di Forlì dottor Palumbo
risulta chiaro ed incontrovertibile.
- Da
notare che le caratteristiche del Mulas non sono quelle del dipendente debole
ed introverso che nell’immaginario si ritiene sia la classica figura della
vittima predestinata da Mobbing quanto piuttosto un dipendente con una forte
personalità, almeno all’inizio del conflitto che si descrive, consapevole della
propria professionalità che non esita ad esporre il proprio punto di vista. Ma,
come saggiamente viene fatto notare dagli autori che si sono occupati
approfonditamente dell’argomento, molto spesso a divenire vittima non sono
soltanto soggetti deboli ma anche i dipendenti con troppa personalità, o troppo
zelo, o con un’anzianità che è divenuta troppo onerosa. Il caso in esame,
poiché astrattamente configurabile come vessazione da parte di un superiore
gerarchico del lavoratore vittima, scientificamente viene definito bossing. Il
bossing (o mobbing verticale perché esercitato da chi è in posizione di
supremazia rispetto alla vittima ) può essere utilizzato per intraprendere
operazioni su più larga scala, come la riduzione di personale, il ringiovanimento
o la riorganizzazione di interi uffici In questo senso depone anche il parere
espresso nei confronti del Mulas nella valutazione per l’anno 1996 dove si
scrive: “ pur dotato di capacità interpersonali molto buone pecca spesso di
presunzione creando situazioni insostenibili”. Poiché in precedenza tale nota
non era stata verificata ( almeno non risulta agli atti ) deve concludersi che
la conflittualità con la dirigenza della sede di Forlì sia all’origine di tale
valutazione negativa.
- La
consulenza tecnica disposta da questo giudice risulta utile per la verifica
della situazione di mobbing ipotizzata dal ricorrente.
- Ci si è avvalsi della professionalità di
quello che senza dubbio può essere considerato il più grande esperto nazionale
di mobbing da un punto di vista della psicologia del lavoro, il dottor Harald
Ege, se è vero che tutti i primi testi
in Italia sul mobbing provengono dallo stesso consulente. Per approfondire
ulteriormente la consulenza si è sfruttata la professionalità di una neuropsichiatra
che ha fornito un contributo indispensabile di approfondimento in termini
medici per la qualificazione del quadro del ricorrente.
- Per
altro non si deve dimenticare che ci si muove in un terreno assolutamente
nuovo, si tratta della prima consulenza affidata nella materia. Infatti nei
rari precedenti giurisprudenziali sul tema il giudicante ha ritenuto di non
dover svolgere consulenze sia sul punto dell’individuazione delle ipotesi di
mobbing ( vedremo in seguito con quali risultati ) sia sotto il profilo delle
conseguenze di tali condotte come danno procurato alla sedicente vittima del
mobbing.
- Il consulente per verificare la rispondenza
della situazione in astratto alla sua specifica professionalità ha sottoposto
in via informale e preliminarmente ad un colloquio psicologico il Mulas,
dandone per altro correttamente atto nella propria consulenza. All’esito di
questa preventiva valutazione ha proceduto a svolgere la consulenza secondo le
regole dettate dal codice di rito.
- La
difesa della BNA, oggi Banca Antoniana,
si duole di questa attività preliminare e ritiene che con la condotta
appena descritta il consulente abbia calpestato il principio del
contraddittorio di cui all’art. 194 c.p.c.
e chiede che venga rinnovata la consulenza cambiando la figura del
consulente. Come ha già spiegato questo giudice con ordinanza del 29/6/2000
l’attività preliminare del consulente relativa al colloquio psicologico con il
Mulas non rientra nella attività di consulenza ( ed infatti si parla, oltre che
di informale, di preliminare perché
altrimenti si parlerebbe di iniziale ). Al colloquio non ha assistito nessun
consulente di parte trattandosi di attività, come detto, preliminare. La
particolarità della situazione, trattandosi della prima consulenza sul mobbing
svolta affrontando il profilo psicologico dell’argomento oltre che quello delle
conseguenze mediche, giustifica adeguatamente l’elasticità della condotta del
consulente, che voleva prima rendersi conto astrattamente se il suo lavoro
poteva essere utile, senza minimamente incidere sul principio del
contraddittorio che è stato rispettato
non appena si è entrati nella vera e propria attività di consulenza, cioè
quando il consulente in piena coscienza ha ritenuto di potersi interessare al
Mulas dopo una valutazione generale ed
astratta della problematica, che proprio la complessità del caso rendeva utile e meritoria. Per fare
un esempio calzante e collegato con i tempi se dieci anni fa fosse stato
prospettato un caso di diritto di autore nel campo dell’informatica sicuramente
sarebbe stato utile sfruttare un esperto della materia che avrebbe in primo
luogo dovuto analizzare il campo di intervento per verificare l’utilità della
propria professionalità nel settore in cui la stessa era stata richiesta.
- Oggi
è così per il mobbing. Tutti parlano di questo fenomeno ma sono veramente in pochi a conoscerne l’esatto significato e
sempre meno a capirne le
caratteristiche e ancora meno, almeno allo stato, a poter indicare gli elementi
distintivi del fenomeno. Prima di iniziare la sua vera e propria attività di
consulenza il consulente del giudice ha voluto accertarsi che la sua
professionalità fosse quella richiesta per il caso in esame e questo
astrattamente senza alcun giudizio di merito in quella fase ma solo per verificare
che astrattamente la casistica fosse riconducibile alle sue conoscenze.
- L’esame
dei due precedenti casi di mobbing conosciuti dalla giurisprudenza di merito
serve a confermare in termini chiari ed univoci la difficoltà che l’interprete
incontra in questa primissima fase in cui il fenomeno mobbing viene spesso
nominato ma difficilmente individuato nei suoi caratteri essenziali e
differenzianti da situazione di attacco alla personalità di un lavoratore non
riconducibili ai canoni del mobbing.
- I due
precedenti richiamati in tema di mobbing, infatti, lasciano non poche
perplessità in ordine al criterio di identificazione del fenomeno e confermano
che siamo di fronte al vero e proprio inizio dell’elaborazione e dello studio
di tale complessa questione. Sia la prima sentenza ( sent. Trib. Torino
16/11/99 ) che la seconda sentenza ( Trib. Torino, 30/12/99 ) si riferiscono a
situazioni che sicuramente riguardano attacchi alla personalità morale, oltre
che fisica, del lavoratore ma ritiene chi scrive che sia problematico rilevare
in detti provvedimenti i caratteri tipici del mobbing e si è voluto fare questo
riferimento per evitare un pericolo che si avverte nel tema oggetto della
presente domanda. Oggi il rischio è di una equazione del tipo: tutto è mobbing,
niente è mobbing. Per essere ancora più espliciti: si rischia di definire come
mobbing situazioni che solo per alcuni caratteri possono ricondursi a tale
fenomeno con il risultato che, in seguito agli approfondimenti che verranno e che non riconosceranno, a parere
di chi scrive, tale qualificazione
apparirà impossibile ritenere sussistente detto mobbing.
- Deve essere sin dall’inizio dello studio e
dell’elaborazione giurisprudenziale chiaro questo concetto: si avrà mobbing
solo ed in quanto determinate condotte presentino i requisiti richiesti dalla
psicologia del lavoro internazionale ( in particolare grazie ai lavori del
professor Heinz Leyman ) e nazionale ( in particolare grazie ai lavori del
professor Ege ) per poter parlare di tale fenomeno perché, in casi che
presentano mera somiglianza con il mobbing, ogni episodio dovrà essere
altrimenti catalogato e darà diritto a diversi profili di tutela risarcitoria a
favore di chi ha subito le condotte. Si deve evitare che una moda o un
atteggiamento approfondito meno del dovuto svaluti la potenzialità di un
fenomeno della gravità e dell’importanza di quello in esame in questa sentenza.
Questo fino a quando una legge ( ci sono diverse proposte unificate in un unico
testo che la fine della legislatura non consente di licenziare ma sul tema un impegno di tutte le forze politiche
congiunte lascia ben sperare per una prospettiva a breve termine ) sicuramente
auspicabile nella materia non riesca a fornire chiarimenti in merito alla
definizione del mobbing ed alle sue tutele risarcitorie.
- Il
lavoro definitorio e di indicazione degli elementi per classificare una
determinata condotta come mobbing appaiono, allo stato, sufficientemente
acquisiti almeno dalla psicologia del lavoro e tale strada sarà quella seguita
nella presente decisione.
- Veniamo
al caso in esame ed analizziamo la storia professionale del Mulas alla luce di
uno stereotipo di mobbing. Il tempo di durata di tale fenomeno appare in
sintonia con il caso concreto ( si parte dal giugno 1996 anche se, per trovare
i primi dati significativi sull’attività del ricorrente con riguardo al
conflitto con la nuova dirigenza delle sede di Forlì, si deve attendere il
gennaio 1997 per parlare di demansionamento ). La circostanza che dopo il
trasferimento ( novembre 1998 ) sia proseguito il denunciato accanimento nei
confronti del Mulas si spiega agevolmente se si considera come una volta
instaurato un meccanismo e creata una difficoltà nel lavoratore la dirigenza,
anche se non partecipe dell’iniziale condotta, verificando un calo di
produttività e di presenze nel collaboratore inizierà a perdere fiducia nello
stesso e, in seguito, a considerarlo un vero peso per la struttura lavorativa.
Il meccanismo si perpetua: più forte è il disagio più aumenta la sfiducia, più
si aggrava la malattia più si generano sospetti sulla stessa. Il demansionamento è un atteggiamento tipico
con il quale si colpisce un lavoratore, operando sui meccanismi di autostima
dello stesso che vengono messi in crisi, tanto più se si considera che il Mulas
è un dipendente che si è fatto dalla gavetta e che ha percorso tutta la scala
per arrivare al livello alto che viene minacciato e questo sicuramente aumenta
la sua sensazione di difficoltà e di panico. Dopo il trasferimento
dall’atteggiamento e dall’utilizzazione del Mulas si comprende agevolmente che
lo stesso oramai è considerato un peso per la banca , utilizzato per le
attività più modeste. I suoi periodi di malattia si allungano sempre più
incrementando la sfiducia nello stesso in quanto la sua patologia ( che pure è
stata accertata da un punto di vista medico in corso di causa ) non viene
ritenuta evidentemente tale da giustificare le assenze protratte nel tempo.
- Leggendo
la esaustiva consulenza del professor Ege si trova il riferimento preciso a
tutte le caratteristiche del mobbing nella storia professionale del Mulas. Il
modello di mobbing italiano ( che si differenzia da quello del professor
Leymann che prevede quattro fasi ) prevede uno stadio iniziale e sei fasi
successive nelle quali si evolve il mobbing. Dopo la c.d. condizione zero, di
conflitto fisiologico normale ed accettato, si passa alla prima fase del
conflitto mirato, in cui si individua la vittima e verso di essa si dirige la
conflittualità generale. Evidentemente la personalità di Mulas non si
conciliava con quella dei nuovi dirigenti della sede di Forlì e la mancanza di
mediatori sociali ha determinato il sorgere del conflitto. La seconda fase è il
vero e proprio inizio del mobbing, nel quale la vittima prova un senso di
disagio e di fastidio. Il Mulas, dopo una continua ascesa, vede che qualche
cosa non funziona, le sue note personali peggiorano e il suo ruolo viene
ridimensionato e questo genera in lui insicurezza e, appunto, disagio. Da notare che in precedenza il
Mulas non soffriva di alcun disturbo collegato con la sfera in esame. La terza fase è quella nella quale il
mobbizzato comincia a manifestare i primi sintomi psico-somatici, i primi
problemi per la sua salute. Il primo certificato significativo in questo senso
per il Mulas è in data 18/3/1998 del dottor Romagnoli :” è affetto da disturbo
depressivo ansioso reattivo ed una situazione conflittuale insorta
nell’ambiente di lavoro” al quale seguono una serie di altri certificati medici
tutti in sintonia con il precedente. La quarta fase del mobbing è quella
caratterizzata da errori ed abusi dell’amministrazione del personale che,
insospettita dalle assenze del soggetto mobbizzato, erra nella valutazione
negativa del caso non riuscendo, per carenza di informazione sull’origine della
situazione, a capire le ragioni del disagio del dipendente. Questa fase è stata
già descritta in precedenza con riferimento al caso del Mulas. La quinta fase
del mobbing è quella dell’aggravamento delle condizioni di salute psico-fisica
del mobbizzato che cade in piena depressione ed entra in una situazione di vera
e propria prostrazione. In questo senso la diagnosi conclusiva in atti della
dottoressa Astorre, la neuropsichiatra che ha collaborato con il consulente del
giudice alla definizione del caso in esame, appare in sintonia con tale
sviluppo: “ il Mulas ha riportato a seguito degli stress lavorativi grossi
turbamenti sul piano emotivo ed affettivo che hanno avuto un ruolo determinante
sulla modifica del sul carattere. Tale specifica condizione di sofferenza si è
risolta in una vera e propria lesione della sfera psichica”. Da considerare che
la situazione del Mulas è resa ancora più penosa dalla presenza di quella che
viene definita condizione di doppio mobbing, cioè gli effetti che il disagio
sul lavoro provocano sulla famiglia ( inizialmente conforto per il lavoratore
ma, nel tempo, devastata dallo stesso ) in termini di conseguenze negative sia
per i rapporti complessivi che per la qualità della vita dei singoli componenti.
- Le
osservazioni formulate dal consulente di parte della banca, il professor Ariatti, appaiono sicuramente interessanti e profonde ma non affrontano il nodo
della questione. Il consulente di parte, docente di psichiatria forense (
significativa la nomina di uno psichiatra per una causa di mobbing ), arriva
alla conclusione che il Mulas abbia una personalità disturbata in senso
paranoideo e sul punto il disaccordo con la dottoressa Astorri potrebbe non
essere insanabile ( almeno da un punto di vista giuridico se non medico ) ma quello che non convince è l’apodittica
affermazione ( ma questa non del consulente di parte ) che il disturbo rilevato
sia stato la causa e non l’effetto della vicenda in esame. Se è vero che il
ricorrente ha una personalità disturbata di tipo paranoideo è possibile che
l’avesse avuta da sempre, o comunque risalente nel tempo, o che si sia formata
a seguito di fenomeni particolari ( allora convince più la diagnosi del
disturbo dell’ansia e della depressione da stress lavorativo ). Se valesse la
prima ipotesi, cioè disturbo risalente nel tempo, ci si chiede come mai la banca non abbia notato niente di particolare nel Mulas dal
1979 fino al 1996, considerandolo sempre in termini positivi, passando per
quattro promozioni ed arrivando a dargli la direzione di una agenzia della
banca. Nessun sintomo quantomeno sospetto il ricorrente avrebbe mai manifestato
prima del nuovo dirigente della sede di Forlì che, pure, parla di presunzione
ma non di personalità disturbata di tipo paranoideo. Appare difficile
immaginare un errore così consistente per così lungo tempo senza alcuna
avvisaglia o campanello di allarme, assolutamente mai evidenziato. In
conclusione si ritiene che il sicuro disturbo del ricorrente sia da considerare
molto più verosimilmente una conseguenza di qualcosa subita piuttosto che la
causa di un conflitto con la banca. Questo è il motivo per il quale questo
giudice ha ritenuto di non procedere a rinnovazione della consulenza o a
confronto tra consulenti.
- Torniamo
al mobbing ed alle fasi dello stesso. Resta la sesta fase, per altro indicata
solo e fortunatamente eventuale, nella quale la storia del mobbing ha un
epilogo: nei caso più gravi nel suicidio del lavoratore, negli altri nelle
dimissioni, o anticipazione di pensionamenti, o in licenziamenti. Al riguardo
si richiama l’informazione ricordata dell’avvenuta comunicazione del
licenziamento nei confronti del Mulas per evidenziare come tale elemento appaia
assolutamente inserito nel contesto in esame, quasi a voler completare tale
percorso ed a rendere ancora più scolastica la casistica concreta nel confronto
con la fattispecie astratta.
- Il
profilo sicuramente più complesso da un punto di vista giuridico è quello
relativo all’individuazione della natura del danno ipoteticamente subito di una
eventuale responsabilità datoriale in merito all’asserito danno subito dal
Mulas derivante dal comportamento della società datrice di lavoro.
- La
tripartizione danno biologico- danno patrimoniale- danno morale oramai appare
riduttiva per l’interprete in quanto lascia troppi spazi privi di adeguata
tutela. Un danno subito da un lavoratore, ad esempio, senza conseguenze
patrimoniali dirette ( pensiamo ad un demansionamento con mantenimento dello
stesso trattamento retributivo ) e privo di rilevanza patrimoniale dal quale
scaturisca una sofferenza non qualificabile classicamente come malattia non
troverebbe, ad esempio, nessuna tutela.
- Partendo
dalla fondamentale sentenza della Corte Costituzionale n.184/86 fino ad
arrivare alle ultime pronunce di legittimità ( vedi Corte di Cassazione,
n.2569/2001 ) e di merito ( vedi
Tribunale Milano, n.9417/99 ) si arriva
a definire una nuova ripartizione della materia.
- Sul
punto oramai è acquisito, seppure recentemente, il concetto di danno
esistenziale, o danno alla vita di relazione, che si realizza ogni qual volta
il lavoratore viene aggredito nella sfera della dignità senza che tale
aggressione offra sbocchi per altra qualificazione risarcitoria.
- Viene
introdotto il concetto di personalità morale del lavoratore ed al limite posto
dall’art. 41 Costituzione all’esercizio dell’iniziativa economica privata. È
stato molto efficacemente detto recentemente che la nuova categoria del danno esistenziale può aiutare a superare
le incertezze evocate dall’uso dell’aggettivo
morale collocando più propriamente la previsione in un’ottica di immediata
tutela dei valori della personalità che sono direttamente coinvolti dallo
svolgimento dell’attività lavorativa.
- Attraverso
questo percorso, impegnativo perché nuovo ma niente affatto tortuoso e
illuminato nella via dalla luce dei richiami alla Costituzione ed alla più
recente giurisprudenza della Cassazione e dalla migliore dottrina, torniamo al
mobbing ed al caso specifico in esame. Non a caso il mobbing è stato definito violenza
morale e non a caso il danno esistenziale appare particolarmente congeniale a
tale situazione. È la qualità della vita del lavoratore mobbizzato a risentirne
principalmente, con tutte le conseguenze anche nell’ambito familiare ( si pensi
al doppio mobbing del quale si è
parlato in precedenza).
- Una
volta qualificato come danno esistenziale quello che può risultare da una
condotta mobbizzante vediamo di precisarne i contorni negli aspetti salienti
con riferimento al profilo della definizione della natura del risarcimento
richiesto.
- Posto
che all’origine della responsabilità datoriale si può cercare la strada della
responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. o quella del danno aquiliano, ex
art. 2043 c.c., ci si deve chiedere astrattamente in quale delle due caselle
collocare le conseguenze risarcitorie della nuova figura del danno
esistenziale, ovviamente questo nel caso in cui il danneggiato sia un
lavoratore. Differenza di non poco conto tenendo presente il diverso regime di
onere della prova ed il diverso termine prescrizionale, solo per indicare le
due differenze più eclatanti.
- Una ammirevole e recente giurisprudenza della
Corte di Cassazione ( n.5491/2000 ) ha chiarito che il contenuto dell’obbligo
ex art. 2087 :” non può ritenersi limitato al rispetto della legislazione
tipica prevenzione, riguardando altresì il divieto , per il datore di lavoro,
di porre in essere, nell’ambito aziendale, comportamenti che siano lesivi del
diritto all’integrità psicofisica del lavoratore”. Si concorda appieno con tale
impostazione in sintonia con una lettura complessiva di tutela del lavoratore
prevista dal nostro ordinamento già nella
sua norma fondamentale. Per altro non deve dimenticarsi che sempre la
Corte di Cassazione, nella già ricordata sentenza n.2569/2001, ha riconosciuto
la tutela sia contrattuale che extracontrattuale in caso di diritti attinenti
all’integrità psico-fisica del lavoratore e più in generale agli interessi
esistenziali.
- Riconosciuta,
quindi, sia la natura contrattuale che
extracontrattuale del diritto al risarcimento di tale danno, derivante
direttamente dall’obbligo per il datore di lavoro ex art. 2087 di tutelare non
solo sotto il profilo antinfortunistico il lavoratore ma in un’ottica
complessiva di tutela psicofisica oltre
che dal combinato disposto degli articoli 32 Costituzione e 2043 codice civile,
ne consegue che in termini di ripartizione dell’onere probatorio potrà
applicarsi il criterio più favorevole al ricorrente, che sicuramente è quello
che deriva dalla responsabilità contrattuale.
- Spetterà,
dunque, al datore di lavoro, se vuole
evitare profili di responsabilità ogni volta che il lavoratore abbia subito un
danno esistenziale, dimostrare di aver posto in essere tutte le misure
necessarie per tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore mentre spetterà
al lavoratore, al contrario, come proprio onere probatorio dimostrare la
sussistenza del nesso causale tra l’evento lesivo e il comportamento del datore
di lavoro ( così espressamente la sentenza della Corte di Cassazione richiamata
n.5491/2000 che proprio per tale secondo profilo probatorio non ha accolto il
ricorso nel caso esaminato ).
- La
Banca Nazionale dell’Agricoltura, oggi Banca Antoniana Popolare Veneta, non ha fornito alcun
elemento utile rivolto a dimostrare di aver posto in essere attività tese a
tutelare il lavoratore da comportamenti discriminatori dei diretti superiori
dello stesso senza ricercare le ragioni. La banca non si è posta il problema di
esaminare perché un dipendente in continua ascesa ad un certo punto si blocchi,
del perché le note caratteristiche sempre positive diventino mediocri, del
perché non ci sia progressione in carriera, sempre avvenuta in passato, e di
chi sia la responsabilità. La banca si è limitata a sostenere il proprio
diritto allo jus variandi senza il dovere di giustificare tale comportamento.
In questo atteggiamento riduttivo della fattispecie e del proprio profilo di
responsabilità il giudice vede il mancato assolvimento del proprio onere
probatorio quale datore di lavoro. Per inciso sia detto che una maggiore
sensibilità datoriale a problemi del genere consentirebbe un indiscutibile
vantaggio per tutti, compreso il datore di lavoro che eviterebbe cali di
produttività della propria forza lavoro particolarmente sensibili per lunghi
periodi determinati da situazioni di mobbing. In una relazione ad un disegno di
legge sul tema del mobbing si legge sulla questione che le forme depressive dovute al mobbing recano
un danno socio-economico rilevante, quindi intervenire su questo problema non è
solo necessario per ragioni etiche, di giustizia e di correttezza nei rapporti
umani e per la tutela dei valori della
convivenza civile, ma anche di opportunità economica, sia per il buon
funzionamento dell’azienda, sia per minimizzare i costi sociali e sanitari e si
concorda pienamente con tale valutazione.
- Relativamente
al profilo dell’onere probatorio del lavoratore i richiami precisi e puntuali
offerti nella consulenza d’ufficio, corroborati dall’attività della
neuropsichiatra, hanno rilevato indiscutibilmente un collegamento tra le
sofferenze patite e le conseguenze patologiche delle stesse con il contesto
lavorativo del Mulas e da questo punto di vista si può dire che il nesso
causale tra danno e lavoro è incontrovertibile nella sua dinamica e nelle sue
conseguenze negative sul ricorrente.
- In
conclusione sull’aspetto dell’onere probatorio si può dire che il ricorrente ha
dimostrato pienamente il nesso causale che aveva l’onere di dimostrare mentre,
al contrario, la banca non ha provato in alcun modo di aver posto in essere le
dovute cautele per evitare la realizzazione del processo di mobbizzazione nei
confronti del Mulas. Le regole del giudizio non possono che essere
conseguenziali al risultato dell’onere probatorio e, quindi, il ricorso deve
essere accolto.
- Si
tratta, adesso, di quantificare il
danno subito per indicare il risarcimento dovuto alla parte ricorrente, aspetto
troppo spesso non considerato nella sua complessità e delicatezza.
- Sul
punto specifico questo giudice ritiene che le valutazioni dei consulenti non
siano condivisibili perché non ancorate a criteri oggettivi o, nel caso
dell’asserita invalidità, perché riferiti a situazioni che possono risultare
non definitive, in quanto tendenzialmente con l’eliminazione delle cause del
mobbing si eliminano o si riducono sensibilmente le conseguenze negative in
termini di patologie derivate.
- Pure
i richiami generici a perdita di chances lavorative o per demansionamento
appaiono difficilmente applicabili al caso concreto proprio per la sua
riconducibilità ad un altro, più complesso fenomeno, che può sostanzialmente
ricomprendere tutte le voci indicate.
- Occorrerà
cercare altra strada per valutare l’aspetto del risarcimento dovuto per il già
definito sofferto danno esistenziale.
- Pacifica
la circostanza che ci muoviamo nell’ambito della valutazione equitativa, come
ricavato da risalente ma ancora significativa giurisprudenza specifica sul
punto ( Corte di Cassazione, n.6135/84 ). Siamo nell’ambito del combinato
disposto degli articoli 2056 e 1226 codice civile.
- Acquisito
tale dato di partenza non può però confondersi discrezionalità con arbitrio
valutativo. Il giudice di merito deve, cioè, trovare dei parametri a cui
ancorare la valutazione che siano rispondenti ad una logica argomentativa. In
questo senso di estremo interesse risulta una recente sentenza della Pretura di
Milano ( 26/6/99, edita ) che in un caso di demansionamento, rilevato un danno
che colpiva la professionalità del lavoratore, oltre ai riflessi negativi
nell’equilibrio psicofisico dello stesso, indicava il doppio parametro del
tempo in cui tale situazione si è protratta e di una percentuale della
retribuzione percepita dallo stesso come base per la determinazione del danno.
In effetti appare logico ritenere che la durata della situazione di
inadempienza costituisca un riferimento ma tale riferimento costituisce solo un
parametro al quale deve aggiungersi un’altra grandezza, questa volta di natura economica, per determinare il
quantum. Logico e ineccepibile che utilizzando la retribuzione come base il
parametro sia rappresentato da una percentuale di tale retribuzione, da
calcolare a seconda del danno inferto o della sofferenza subita. Elementi di
valutazione che si potranno, quindi, modulare alle varie situazioni che dovranno
considerare.
- Una
volta individuati i parametri astratti vediamo di renderli concreti esaminando
il caso del ricorso e partendo da quello temporale.
- Il ricorrente parla dell’inizio della sua
vicenda negativa retrodatandola al gennaio 1996 perché in quella data, dopo
aver assunto la titolarità dell’agenzia 1 di Forlì , torna alla sede centrale
quale capo ufficio sviluppo asserendo di non essere più il titolare
dell’ufficio, affidato ad altro coadiutore. Ma ritiene questo giudice che fino
a quella data non ci siano elementi per individuare una qualsiasi condotta con
intenti di demansionamento nei suoi
confronti: il capo ufficio sviluppo della sede centrale potrebbe ben aver
un’attività e delle prospettive più significative di un titolare di una modesta
agenzia cittadina. Le cose, al contrario, cambiano radicalmente nei rapporti
con la dirigenza quando a dirigere la sede di Forlì viene chiamato il dottor
Palumbo e vice direttore è il dottor Consogni. La figura di Palumbo nella
ricostruzione operata dal consulente del giudice corrisponde a quella di chi
inizia a sottoporre a mobbing il Mulas evidenziandone la centralità di tutto il
processo successivo del quale il ricorrente è stato vittima. È dal gennaio 1997
che effettivamente si assiste ad un vero e proprio demansionamento come
conseguenza della difficoltà dei rapporti del Mulas con la nuova dirigenza
della sede di Forlì. Infatti da tale data il ricorrente ha affermato di essere
stato adibito alle funzioni di consegna a domicilio di assegni circolari Inps
alla clientela, sicuramente funzioni non paragonabili con la sua precedente
attività, essendogli state sottratte le mansioni di sviluppo alle imprese, di
specialista dei prodotti bancari e di acclaramento della clientela.
- Queste
circostanze sono state smentite genericamente dalla banca che ricollega al
part-time concesso al Mulas nell’agosto 1997 l’esigenza di spostarlo dall’area
sviluppo (dove serviva un maggior impegno di tempo ). Ma il ricorrente ha
affermato che dal gennaio 1997 la funzione di consegna degli assegni circolari
Inps ai clienti era la sua unica attività ed era stata sottratta ogni mansione
di sviluppo ed altro già indicato. Questo dato non risulta contestato se non
con un riferimento ad una nota del gennaio 1997 con la quale il nome del Mulas
viene fatto dalla banca essendogli stata conferita la facoltà di seconda firma
in caso di sostituzione dei titolari di agenzia della filiale, che niente ha a
che vedere con le mansioni svolte. Ma ancora più significativo, in termini di
mancata contestazione delle affermazioni del ricorrente, appare la missiva del
sindacato 16/12/97 nella quale si contesta apertamente il demansionamento
operato nei confronti del Mulas dal settembre con il passaggio all’ufficio
titoli senza alcuna mansione specifica. L’unica risposta in atti è il
trasferimento del novembre 1998 alla filiale di Rimini. Queste precisazioni
servono per confutare eventuali dubbi nella ricostruzione dei fatti operata sia
dal consulente di ufficio che nella sentenza. Quindi il dato temporale deve
partire dal gennaio 1997. Ma una significativa cesura in questo senso sarà
quella del novembre 1998, data nella quale al Mulas viene imposto il
trasferimento a Rimini, determinando una ulteriore appesantimento della sua
situazione perché detto trasferimento viene vissuto come momento aggiuntivo di
diffidenza nei suoi confronti. Il termine finale sarà quello della presente
sentenza, febbraio 2001. Due periodi, quindi, il primo dal gennaio 1997
all’ottobre 1998 per 22 mesi ed il secondo dal novembre 1998 al febbraio 2001
per 28 mesi.
- Ritiene
questo giudice di poter valutare come dato medio mensile di reddito derivante
dal proprio lavoro per il Mulas quello di cinque milioni, rendendo per altro
attuali i risultati che non
necessiteranno di ulteriori calcoli di rivalutazione o interessi. La
valutazione è confermata dai dati relativi al reddito dichiarato in atti che,
calcolato in dodici mesi, porta ad un risultato non distante da quello
utilizzato.
- Per il
primo periodo il giudice stima equa una valutazione di danno rapportata al 20%
della retribuzione mensile, cioè un milione , che moltiplicato per i mesi di
tale prima fase portano ad una somma di ventidue milioni.
- Per
la seconda fase la percentuale deve aumentare per l’ulteriore elemento
ingiustificato del trasferimento e sale al 30%, arrivando cosi ad un milione e
mezzo che moltiplicato per i mesi porta ad una somma di quarantadue milioni.
- Complessivamente
si arriva ad una somma di sessantaquattro milioni che questo giudice ritiene
una cifra equa per risarcire il ricorrente per il danno esistenziale subito
nell’ultima parte del suo rapporto di lavoro con la banca convenuta.
- Sulla
somma così complessivamente determinata andranno aggiunti gli interessi legali
dalla data della sentenza a quella del saldo effettivo.
- La
soccombenza nel giudizio comporta la condanna della Banca Antoniana Popolare
Veneta, già Banca Nazionale dell’Agricoltura, al pagamento delle spese di
consulenza tecnica ed alle spese di giudizio a favore della parte ricorrente,
liquidate come da dispositivo.
-
- (pubblicata
anche in D&L,Riv. crit. dir. lav. 2001,2, p. 411, con nota di
Greco)