MOBBING : GIURISPRUDENZA

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Un caso di mobbing nella Pubblica Amministrazione: Trib. Lecce 31 agosto 2001 (ordinanza)

 

Trib. Lecce (sezione feriale) – 31 agosto 2001 (ud. 23.8.2001) - ordinanza – Pres. Invitto – Rel. Buffa -  Ministero del lavoro e delle politiche sociali  (avv. dello Stato) c. Claudi (avv. Spano).

 

Mobbing nella pubblica amministrazione - Denunzia di gravissima persecuzione sul posto di lavoro ad opera del dirigente del servizio - Ricorso cautelare del dipendente tendente ad ottenere la reintegra nelle sue funzioni, nonché l'adozione di tutti i provvedimenti necessari ad impedire ulteriori lesioni della sua persona e ad impedire al dirigente la sottrazione delle mansioni e di procedere disciplinarmente nei suoi confronti - Azione giudiziaria - Va incardinata nei confronti del datore di lavoro- Dirigente del servizio - Non è litisconsorte necessario - Contenuto del provvedimento giudiziale cautelare - Provvedimenti che valgano ad impedire al dirigente qualsiasi azione nei confronti della ricorrente - Legittimità - Compressione dei poteri del dirigente del servizio – Ammissibilità qualora si tratti di una situazione necessitata dall'esigenza di prevenire abuso dei poteri e di evitare l'incidenza lesiva degli stessi sulla persona della dipendente.

 

La legge  tutela il diritto del lavoratore a non essere dequalificato e a svolgere effettivamente le mansioni formalmente spettanti; nel caso però non si è in presenza solo di una dequalificazione, ma di un comportamento vessatorio ed illecito nei confronti della ricorrente, che è vittima non di mero mobbing ma di vero e proprio bossing aziendale ad opera di un dirigente a lei sovraordinato che opera contravvenendo alle disposizioni del preposto della Direzione del lavoro.

A fronte di tale situazione, l'amministrazione - che sola è parte del rapporto di lavoro con la ricorrente - ha il preciso dovere di intervenire per rimuovere una situazione non più tollerabile all'interno dell'ufficio, e di evitare un'ulteriore lesione della personalità fisica e morale della lavoratrice: correttamente, allora, l'azione è incardinata nei confronti del datore di lavoro, titolare dell'obbligo di sicurezza ex art. 2087 cod. civ. nei confronti dei dipendenti e responsabile in quanto tale anche del comportamento vessatorio ed illecito dei suoi dipendenti nei confronti di altri (ex art. 1228 e 2049 cod. civ.). Non occorre per converso che del giudizio sia parte il dirigente in questione, che non è litisconsorte necessario nel rapporto di lavoro dedotto in giudizio, e nei confronti del quale la ricorrente può azionare - se lo ritiene - altri rimedi civilistici autonomi rispetto all'azione cautelare spiegata in questo giudizio.

Da ciò l'esigenza di provvedimenti che valgano ad impedire al detto dirigente qualsiasi azione nei confronti della ricorrente, e ad assicurare, per quanto possibile, che la stessa possa ritornare in servizio dallo stato di malattia senza peggiorare le proprie condizioni di salute e senza subire lesioni permanenti della propria sfera psico-fisica. Ciò si traduce inevitabilmente in una compressione dei poteri del dirigente del servizio, ma si tratta di una situazione necessitata dall'esigenza di prevenire abuso dei poteri medesimi e di evitare l'incidenza lesiva degli stessi sulla persona della dipendente. Si tratta invero di interferenze del potere giudiziario nella sfera organizzativa dell'amministrazione, e tuttavia di provvedimenti giurisdizionali consentiti nell'assetto normativo seguente al d.lgs. 29/93 (come modificato dal d.lgs. 80/98 e 387/98), atteso che a seguito della c.d. seconda privatizzazione dei rapporti di pubblico impiego, la pubblica amministrazione agisce "con i poteri e la capacità del privato datore di lavoro", e che il giudice ordinario "può adottare nei confronti dell'amministrazione tutti i provvedimenti richiesti dalla natura dei diritti tutelati".

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

 

Con ricorso cautelare dell'11.6.01, la ricorrente dott.sa Anna Claudi,  direttore amministrativo IX q.f. ora C3, titolare - nell'ambito del Servizio Politiche del lavoro - dell'Area Cooperazione della Direzione provinciale del lavoro di Lecce, lamentava di aver subito e di continuare a subire una gravissima persecuzione sul posto di lavoro ad opera del dirigente del servizio Angelo D'Oria: esponeva che aveva da questo subito accuse infondate e calunniose per attività svolte sul lavoro, aggressioni verbali continue, illegittime sottrazioni di mansioni (quali l' "avocazione" degli incarichi ispettivi sulle cooperative, disposizioni ai dipendenti dell'Area lei assegnata di far riferimento solo al D'Oria medesimo scavalcando la ricorrente, riunioni in materia assegnata all'area con i dipendenti dell'area senza la titolare, costituzione di gruppi di lavoro senza la titolare d'Area diretti direttamente dal titolare del Servizio, "avocazione" del potere di vedere la corrispondenza dell'ufficio), addirittura irrogazione di sanzioni disciplinari da soggetto del tutto privo di qualunque potere in materia disciplinare, tanto che a seguito di alcuni screzi più violenti aveva accusato malore ed era stata trasportata all'ospedale, e che a seguito del clima presente in ufficio si era ammalata per "sindrome ansioso depressiva con disturbi di somatizzazione di natura reattiva, secondaria a difficoltà insorte nell'ambiente di lavoro". Aggiungeva che il preposto alla Direzione del lavoro, sovraordinato al D'Oria, aveva preso posizione ripetutamente in suo favore, invitando infruttuosamente il D'Oria a desistere dal suo comportamento e a rispettare la posizione di titolare d'area della ricorrente medesima.

Tanto premesso, chiedeva in via d'urgenza: di essere reintegrata nelle funzioni di capo area Cooperazione della DPL di Lecce; di procedere nei confronti dei responsabili degli illeciti commessi nei confronti della ricorrente adottando tutti i provvedimenti necessari ad impedire ulteriori lesioni della sua persona; di impedire al dirigente pro-tempore del servizio Politiche del lavoro la sottrazione delle mansioni e di vietargli di avocare a sé l'assegnazione degli incarichi ispettivi sulle cooperative, di instaurare rapporti diretti con i tre capi settore e gli altri addetti all'area Cooperazione escludendola, di sottrarle la qualità di responsabile dei procedimenti amministrativi a lei spettanti quale capo area, di procedere disciplinarmente nei confronti della ricorrente; di sospendere gli effetti degli ordini di servizio 5/00 e 19/01 e dei procedimenti disciplinari aperti contro di lei dal dirigente del servizio Politiche del lavoro.

Il ministero si costituiva in giudizio in sede cautelare deducendo di essere stato informato dal preposto del DPL della situazione di contrasto esistente nel servizio in discorso e che era in corso una verifica amministrativa; aggiungeva che la verifica non si era potuta concludere perché la "perdurante assenza della dott.sa Claudi dal posto di lavoro ha impedito ai dirigenti ispettivi …di interloquire con lei ai fini della più completa assunzione delle informazioni sullo stato dei fatti" e che comunque nelle more del giudizio il dirigente del Servizio in discorso aveva disposto il 3.7.01 la riassegnazione delle mansioni richieste alla ricorrente e la revoca degli ordini di servizio dalla stessa impugnati. Tanto premesso, deduceva che il nuovo provvedimento escludeva il periculum in mora, "seppur mai fosse stato presente", e altresì il fumus boni juris (non essendovi più necessità dell'intervento giudiziale), e chiedeva quindi rigettarsi il ricorso.

Il giudice di prime cure, ritenuto confermati i fatti dedotti (come desumibile delle lettere in atti del preposto alla DPL), rilevata il contrasto "dell'altalena dei provvedimenti" del D'Oria con il principio di buona amministrazione e con la serenità dell'ambiente di lavoro, e ritenuto il pericolo conseguente di compromissione delle condizioni di salute della ricorrente, disponeva: l'immediata reintegra della ricorrente in tutte le mansioni svolte quale capo area Cooperazione, ivi comprese quelle sottratte con singoli ordini di servizio o provvedimenti equipollenti dal D'Oria; l'inibizione per il D'Oria di avocare a sé o a personale dal medesimo designato le mansioni ed i compiti propri della ricorrente e del personale da lei coordinato, salvo motivati provvedimenti del preposto alla Dpl Gurrado; l'inefficacia degli ordini di servizio 5/00 e 19/01 e dei procedimenti disciplinari promossi dal D'Oria.

Avverso tale provvedimento del 19.7.01 propone reclamo il ministero, deducendo l'improponibilità della domanda per difetto assoluto di giurisdizione (in quanto il provvedimento giudiziale ottenuto impone un facere all'amministrazione ed entra nel merito dell'organizzazione della stessa, stabilendo competenze e reciproci rapporti tra preposto e dirigenti dei servizi), per infondatezza della pretesa nel merito (per difetto di periculum in mora in relazione all'assenza dal lavoro della ricorrente e all'intervenuto provvedimento 3.7.01 del dirigente D'Oria di ripristino della situazione quo ante ai provvedimenti impugnati) e per violazione del principio del contraddittorio in assenza dal giudizio del D'Oria, destinatario principale del provvedimento cautelare). Tanto premesso, chiedeva il rigetto del ricorso cautelare con vittoria di spese di lite.

Il reclamo a parere del collegio è del tutto infondato.

Come rilevato dalla ricorrente, la legge certo tutela il diritto del lavoratore a non essere dequalificato e a svolgere effettivamente le mansioni formalmente spettanti; nel caso però non si è in presenza solo di una dequalificazione, ma di un comportamento vessatorio ed illecito nei confronti della reclamata, che è vittima non di mero mobbing ma di vero e proprio bossing aziendale ad opera di un dirigente a lei sovraordinato che opera contravvenendo alle disposizioni del preposto della Direzione del lavoro: pacifici sono i fatti minuziosamente descritti nel ricorso (documentati nella documentazione allegata e non contestati neppure con clausola di stile dalla resistente) e sopra richiamati, in relazione ai quali i poteri esercitati dal dirigente del servizio in varie occasioni non trovano alcun fondamento normativo, atteso che allo stesso non compete secondo le norme alcun potere disciplinare diverso dal rimprovero verbale, non risulta alcun potere di avocazione di mansioni, che nel caso comunque non ha alcuna motivazione espressa dall'amministrazione, e considerato per converso che sullo stesso grava l'obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede sia nella qualità di dirigente di servizio (che esplica poteri datoriali) sia come pubblico dipendente (che è al servizio dell'amministrazione ed è titolare di munera e non di meri poteri).

A fronte di tale situazione, l'amministrazione - che sola è parte del rapporto di lavoro con la ricorrente - ha il preciso dovere (come si suppone noto all'amministrazione medesima per le sue specifiche competenze, anche ispettive, in materia di lavoro) di intervenire per rimuovere una situazione non più tollerabile all'interno dell'ufficio, e di evitare un'ulteriore lesione della personalità fisica e morale della lavoratrice: correttamente, allora, l'azione è incardinata nei confronti del datore di lavoro, titolare dell'obbligo di sicurezza ex art. 2087 cod. civ. nei confronti dei dipendenti e responsabile in quanto tale anche del comportamento vessatorio ed illecito dei suoi dipendenti nei confronti di altri (ex art. 1228 e 2049 cod. civ.). Non occorre per converso che del giudizio sia parte il dirigente in questione, che non è litisconsorte necessario nel rapporto di lavoro dedotto in giudizio, e nei confronti del quale la ricorrente può azionare - se lo ritiene - altri rimedi civilistici autonomi rispetto all'azione cautelare spiegata in questo giudizio.

Deve escludersi, inoltre, che il provvedimento 3.7.01 a firma del preposto abbia determinato il venir meno del periculum in mora, atteso che il provvedimento non modifica nulla nell'immediato ("si assicura che al rientro in servizio la ricorrente, attualmente assente per malattia, riassumerà le funzioni di capo area Cooperazione e che contestualmente lo scrivente provvederà a revocare gli ordini di servizio a suo tempo emanati che contrastano con la disponibilità sopra dichiarata") ma si limita a preannunciare futuri provvedimenti favorevoli alla ricorrente ove la stessa ritorni in servizio dalla malattia, e affronti lo status quo in attesa della concessione del dirigente del servizio).

Inoltre, va osservato che il periculum non si ricollega alla titolarità formale (ribadita dal detto provvedimento) della posizione di capo Area della ricorrente (che il dirigente del servizio non poteva certo togliere alla ricorrente, essendo improprio ogni provvedimento al riguardo) ma al concreto esercizio dei poteri-doveri che alla detta titolarità si ricollegano: nulla invece dice il provvedimento 3.7.01 in ordine al contenuto specifico della mansioni che il dirigente del servizio è "disponibile" a riconoscere alla ricorrente.

Nessun rilievo ha poi l'ordine di servizio 28/01, reso espressamente solo in esecuzione del provvedimento di primo grado.

In vero, nel caso in questione, il periculum è insito nel documentato stato di salute della ricorrente e per converso nella situazione che si è verificata all'interno dell'ufficio a causa della presenza del dirigente D'Oria e del rapporto dello stesso con la ricorrente e con il personale dell'area Cooperazione, situazione perdurante finché vi è la presenza del detto dirigente e l'esercizio di poteri dello stesso che interferiscono pesantemente nelle mansioni del titolare d'Area: lo stesso preposto alla DPL, infatti, rilevava "incompatibilità quotidiane" con il dirigente SPL sin dallo scorso anno (nota 5.10.00), rapporti del dirigente SPL con il personale "deteriorati" e situazione "notevolmente aggravata che sta incidendo negativamente sia sul fisico dello scrivente… che su quello del personale" (nota 26.1.01), aggressioni verbali del D'Oria (di cui si scusava addirittura il preposto stesso: nota 14.3.01), esercizio di poteri di messa a disposizione della ricorrente da parte del detto dirigente ("siamo all'assurdo!": nota 6.4.01), una situazione di "conflitto acuitosi recentemente" con la ricorrente che è "solo uno dei tanti episodi del clima di tensione e di attrito instauratosi sin dall'insediamento del dr. D'Oria .., che nei confronti di diversi dipendenti si sostanzia in abituali atteggiamenti indisponenti che vedono mortificata la dignità dei funzionari ed impiegati e concorrono a creare un clima di forte tensione emotiva", tanto che "ogni occasione è giusta per il predetto dirigente perché si esprima con toni di aggressività verbale e con atteggiamenti di palese o velata minaccia" (nota 9.4.01), "lagnanze di carattere verbale quotidiane" addirittura da parte dell'Inps contro detto dirigente, che "sin dai primi periodi della sua dirigenza ha determinato spaccature fra il personale" e "rapporti basati su astio e risentimenti personali" (nota 9.4.01). La vicenda, inoltre, sollecitava addirittura l'iniziativa a difesa della ricorrente del sindacato (note 27.3.01 e nota s.d. all. 13 fasc. reclamato), che rilevava -la situazione peraltro doveva ancora precipitare- che la situazione del servizio "è al limite della tolleranza in quanto non si riesce ad avere una convivenza civile e consona allo status di pubblici dipendenti per le angherie che il personale deve subire dal Dirigente".

La descritta situazione di per sé impedisce un corretto e sereno svolgimento del lavoro dei dipendenti all'interno dell'ufficio ed è potenzialmente lesiva delle difficili condizioni di salute della ricorrente note all'amministrazione.

Da ciò l'esigenza di provvedimenti che valgano ad impedire al detto dirigente qualsiasi azione nei confronti della ricorrente, e ad assicurare, per quanto possibile, che la stessa possa ritornare in servizio dallo stato di malattia senza peggiorare le proprie condizioni di salute e senza subire lesioni permanenti della propria sfera psico-fisica. Ciò si traduce inevitabilmente in una compressione dei poteri del dirigente del servizio, ma si tratta di una situazione necessitata dall'esigenza di prevenire abuso dei poteri medesimi e di evitare l'incidenza lesiva degli stessi sulla persona della dipendente.

Vanno pertanto confermati i provvedimenti dati dal giudice di prime cure.

Si tratta invero di interferenze del potere giudiziario nella sfera organizzativa dell'amministrazione, e tuttavia di provvedimenti giurisdizionali consentiti nell'assetto normativo seguente al d.lgs. 29/93 (come modificato dal d.lgs. 80/98 e 387/98), atteso che a seguito della c.d. seconda privatizzazione dei rapporti di pubblico impiego, la pubblica amministrazione agisce "con i poteri e la capacità del privato datore di lavoro", e che il giudice ordinario "può adottare nei confronti dell'amministrazione tutti i provvedimenti richiesti dalla natura dei diritti tutelati".

Né può ravvisarsi un ostacolo alla tutela giurisdizionale dei diritti dei lavoratori nella presenza di ripartizioni di compiti all'interno degli uffici amministrativi, atteso che nei confronti del lavoratore che chiede tutela dei propri diritti soggettivi la p.a.-datore di lavoro si presenta come soggetto unico che, proprio perché è giuridicamente responsabile della condotta dei suoi dipendenti, deve adeguare se del caso la gestione dei rapporti di lavoro e la stessa organizzazione amministrativa (purché si tratti, come nel caso in questione di c.d. microorganizzazione) alle norme specifiche individuate dal giudice nel provvedimento cautelare confermativo.

L'ordine anzi resta rivolto all'amministrazione (e conforma i poteri di questa) anche nel caso in cui si tratti del comportamento di un dipendente, onde nel caso di specie così deve essere intesa l'inibitoria del provvedimento reclamato.

Le spese delle due fasi cautelari, che vedono entrambe soccombente l'amministrazione, saranno regolate con la sentenza che definisce il giudizio di merito.

P.Q.M.

rigetta il reclamo e, per l'effetto, conferma il provvedimento reclamato.

Lecce, 31 agosto 2001 (data deposito)

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