Mobbing nel pubblico impiego: sussistenza

 

Trib. Montepulciano, sez. lav., 9 novembre 2006 – Giud. Maccarone - Fanciulli Giorgio (avv. Iaria, Montini) c. Comune di Montepulciano (avv. Tosi, Peccetti)

 

Mobbing nel pubblico impiego –  Definizione – Riscontro nei comportamenti datoriali – Accoglimento della domanda e liquidazione risarcimento danni (morale, biologico, esistenziale).

 

Il mobbing designa “un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo” (Corte Cost. 19/12/2003, n. 359, FI, 2004, I, 1692).

La nozione giuridica di mobbing consiste in una “sequenza di atti o comportamenti provenienti dal datore o da altri dipendenti che, per la frequenza e la durata, costituiscono una forma di persecuzione psicologica del lavoratore, fino ad estraniarlo dall’ambiente aziendale”.

Epperò, mentre l’esclusione dal contesto lavorativo di riferimento costituisce un’eventualità, i comportamenti vessatori e persecutori, connotati dall’aggressività, devono essere tali da comportare, per il lavoratore, un degrado delle condizioni di lavoro, in modo da comprometterne la salute, la professionalità o la dignità.

In assenza di una definizione e disciplina legislativa, pur trattandosi di istituto menzionato in fonti normative interne ed internazionali-comunitarie, oltre che in taluni contratti collettivi, il fondamento della tutela da mobbing viene individuata nell’esigenza di salvaguardia della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore, scaturente dagli artt. 2 e 3 Cost., nonché nell’obbligo del datore di lavoro di preservare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, di cui all’art. 2087 c.c. (Cass. Sez. U., 24/3/2006, n. 6572; Corte Cost. 27/1/2006 n. 22; Cass. 29/9/2005, n. 19053; Cass. 23/3/2005, n. 6326; Cass. Sez. U. 4/5/2004, n. 8438, FI, 2004, I, 1692; Corte Cost. 19/12/2003 n. 359 cit.; Cass. 5/2/2000 n. 1307; Cass. 8/1/2000, n. 143). Inoltre, nell’attuale sistema binario del danno, conseguente alla lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (Cass. 12/6/2006, n. 13546; Cass. 4/10/2005, n. 19354; Cass. 10/5/2005, n. 9801; Cass. 26/5/2004, n. 10157; Cass. Pen. 21/1/2004, n. 2050, Barillà; Cass. 19/8/2003, n. 12124; Corte Cost. 11/7/2003, n. 233; Cass. 31/5/2003, n. 8828; Cass. 31/5/2003,n. 8827), sia al demansionamento o dequalificazione sia al mobbing possono conseguire, oltre alla necessità di eliminazione della condotta illecita nonché di reintegrazione delle ordinarie condizioni di lavoro, danni patrimoniali o non patrimoniali (morale soggettivo, biologico, esistenziale) (Cass. Sez. U. 24/3/2006, n. 6572).

 

CONCLUSIONI:

Per attore

   “si conclude affinché l’Ecc.mo Tribunale di Montepulciano, quale Giudice unico del lavoro, voglia, con proprio decreto fissare l’udienza di trattazione della causa ed in accoglimento del presente ricorso di merito: (1) accertare e dichiarare il diritto dell’Ing. Fanciulli al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali connessi al mancato conferimento della titolarità di una delle posizioni organizzative dell’Area Tecnica ed al successivo operato del medesimo Comune di Montepulciano, previa occorrendo, (2) la disapplicazione e/o la declaratoria della nullità e/o dell’inefficacia degli atti di conferimento delle suindicate posizioni organizzativa; (3) accertare e dichiarare il diritto dell’Ing. Fanciulli alla corresponsione dell’indennità di risultato, relativa alla posizione organizzativa da lui diretta nell’anno 2004, nella misura massima pattiziamente prevista; (4) condannare il Comune di Montepulciano, in persona del Sindaco pro tempore, alla corresponsione della somma complessiva di euro 56.688,5O (o di quella anche diversa maggiore o minore che risulterà di giustizia ed equità) per i titoli sottoindicati: -euro 28.725,00 a titolo di danno da perdita di chance di affidamento della responsabilità di una posizione organizzativa dell’area Tecnica; -euro 7.500,00 a titolo di danni da demansionamento e/o mobbing; -euro 463,50 a titolo di indennità di risultato; -euro 20.000,00 a titolo di danno non patrimoniale; (5) condannare il Comune di Montepulciano, in  persona dei Sindaco pro tempore, alla corresponsione della somma di euro 750,00 mensili (o di quella anche diversa maggiore o minore che risulterà di giustizia ed equità) a far data dal 1.1.2006 per ogni mese di ulteriore demansionamento e/o mobbing; (6) il tutto oltre ad interessi al tasso legale e rivalutazione monetaria; (7) con ogni conseguenza di ragione e di legge e  vittoria di spese di lite, anche del presente giudizio”;

Per convenuto:

“ il sig. Giudice del Lavoro del Tribunale di Montepulciano respinga il ricorso con vittoria di spese,competenze ed onorari”.

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in Cancelleria il  15/12/2005, Fanciulli Giorgio, dedotto di essere dipendente del Comune di Montepulciano,quale ingegnere D/3- liv. Economico D/5; di essere stato titolare dall’1/1/2001 al 31/1/2005 della posizione organizzativa relativa al settore “lavori pubblici”, coordinando n. tre tecnici-geometri addetti alle sue dipendenze;che,con determinazione dirigenziale n. 128 del 15/2/2005, a seguito di deliberazioni della G.C. di accorpamento dei settori “lavori pubblici” e “patrimonio-manutenzione”, veniva conferita all’ing. Roberto Rosati la posizione organizzativa dei settori accorpati, senza motivazione alcuna;che, oltre alla perdita della posizione organizzativa (motivata all’assemblea del personale del settore dell’11/1/2005 con scelte politiche), era stato assoggettato a plurime vessazioni: attribuzione dell’indennità di risultato nella misura del 90%, rifiuto di autorizzazione all’incarico di C.T.U., richiesta di discolpa in relazione ad un incarico di C.T.P. regolarmente autorizzato, privazione di ogni tipo di collaborazione da parte dei tecnici subordinati, assoggettamento di sé alla collaborazione dei geometri Secci e Ronca, mancato invito a riunioni di settore; che da tali condotte derivano danni patrimoniali (differenza tra misura piena e ridotta dell’ indennità di risultato, perdita di chance in ordine alla posizione organizzativa) e non patrimoniale (morale, biologico, esistenziale);domandava la condanna del Comune di  Montepulciano al pagamento in suo favore di €. 56.688,50, oltre accessori di legge.

Costituitosi il contraddittorio, il Comune deduceva l’infondatezza delle pretese  attoree.

Prodotti documenti ed escussi testi, la causa veniva decisa dandosi lettura in udienza del dispositivo.

Motivi della decisione

Le domande attoree sono fondate nei termini che seguono.

Innanzitutto,in fatto, deve ritenersi che il Fanciulli sia stato assoggettato a plurime vessazioni.

Pur essendo il conferimento della posizione organizzativa un atto discrezionale del dirigente, nondimeno la motivazione del conferimento stesso come “scelta politica” da far spiegare  da parte del direttore generale (Smilari) ad un assessore (Vestri), il quale nulla spiega di preciso nel corso dell’assemblea del personale dei settori accorpati-“lavori pubblici” e “patrimonio- manutenzione”- dell’11/1/2005 (testi Castellani,Ronca,Casini) risulta confermata dalle circostanze successive.

Nella determinazione dirigenziale n. 128/2005, paradossalmente, l’ing. Fanciulli viene posto alle dipendenze dei geometri Secci e Ronca, i quali hanno facoltà di avvalersene.

L’ing. Fanciulli non viene invitato alle riunioni del settore accorpato,con il pretesto che si tratta di attività di manutenzione, al punto che la geometra Ronca evidenzia al direttore generale Smilari  l’ingiustizia dell’omesso invito.

Va da sé che, accorpati i settori “lavori pubblici” e “patrimonio-manutenzione”, l’esclusione del solo Fanciulli dalle riunioni operative comprova la volontà di vessare quest’ultimo.

In concreto il Fanciulli viene privato di ogni collaborazione in virtù dell’incremento del diverso carico di lavoro sul personale che in precedenza lo coadiuvava, tanto da essere costretto ad attività materiali (digitazione di relazioni, fotocopie, ecc.) (testi Ronca,Casini).

Alle giuste rimostranze della Ronca lo Smilari oppone rifiuti, menziona sassolini, invita la dipendente a cambiare lavoro (testi Ronca,Casini).

In tale contesto, l’indennità di produttività dell’anno 2004, corrisposta nel 2005, mentre viene riconosciuta al personale sottoposto al Fanciulli nella misura massima, a quest’ultimo viene attribuita in misura ridotta ( testi Ronca,Casini, Castellani).

Ora risulta evidente che le condotte suddette paiono indebite.

Non possono, invece, essere annoverate tra di esse le limitazioni agli incarichi di C.T.U.

A tal proposito, è si vero che la funzione di C.T.U. costituisce un munus publicum, ma è pur vero che, a norma dell’art. 61, comma 2°, c.p.c. la scelta del C.T.U. deve essere effettuata “normalmente” tra le persone iscritte negli appositi albi, di guisa che il pubblico dipendente “full time” o può iscriversi a tali albi su autorizzazione della p.a. ovvero può esercitare il suddetto munus publicum saltuariamente, non risultando compatibile con un rapporto di impiego “full time” l’abituale esercizio dell’attività di C.T.U.

Quanto, poi, all’attività di C.T.P., la p.a. datoriale che l’aveva autorizzata si è limitata a chiedere spiegazioni per un disguido nella registrazione dell’autorizzazione.

Così ricostruita la fattispecie in fatto, vanno valutate le implicazioni giuridiche.

A tal proposito, va precisato che il demansionamento o dequalificazione consistono nell’ attribuzione “al lavoratore di mansioni e conseguentemente retribuzioni inferiori a quelle per le quali era stato assunto o che aveva successivamente acquisito” (e pluribus:  Cass.10/10/2006, n.21700).

Inoltre, vanno precisati i caratteri del mobbing.

Il mobbing, istituto di origine etologica, come sottolineato,  traendo spunto da uno scritto dottrinale di origine medico-legale, dal giudice delle leggi, designa “un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo” (Corte Cost. 19/12/2003, n. 359, FI, 2004, I, 1692).

Con plastica efficacia, un insigne autore, ha individuato la nozione giuridica di mobbing in una “sequenza di atti o comportamenti provenienti dal datore o da altri dipendenti che, per la frequenza e la durata, costituiscono una forma di persecuzione psicologica del lavoratore, fino ad estraniarlo dall’ambiente aziendale”.

Epperò, mentre l’esclusione dal contesto lavorativo di riferimento costituisce un’eventualità, i comportamenti vessatori e persecutori, connotati dall’aggressività, devono essere tali da comportare, per il lavoratore, un degrado delle condizioni di lavoro, in modo da comprometterne la salute, la professionalità o la dignità.

Il mobbing può assumere le forme del mobbing orizzontale, qualora le condotte suddette siano poste in essere da colleghi di lavoro, ovvero verticale o bossing, qualora le stesse condotte provengano dal datore o dai superiori gerarchici del lavoratore.

In assenza di una definizione e disciplina legislativa, pur trattandosi di istituto menzionato in fonti normative interne ed internazionali-comunitarie, oltre che in taluni contratti collettivi, il fondamento della tutela da mobbing viene individuata nell’esigenza di salvaguardia della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore, scaturente dagli artt. 2 e 3 Cost., nonché nell’obbligo del datore di lavoro di preservare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, di cui all’art. 2087 c.c. (Cass. Sez. U., 24/3/2006, n. 6572; Corte Cost. 27/1/2006 n. 22; Cass. 29/9/2005, n. 19053; Cass. 23/3/2005, n. 6326; Cass. Sez. U. 4/5/2004, n. 8438, FI, 2004, I, 1692; Corte Cost. 19/12/2003 n. 359 cit.; Cass. 5/2/2000 n. 1307; Cass. 8/1/2000, n. 143).

Il demansionamento o dequalificazione e il mobbing costituiscono fenomeni lesivi autonomi, giacché ben può configurarsi un’ipotesi di demansionamento o dequalificazione al di fuori di evenienze mobbizzanti, come avviene in caso di esercizio legittimo dello ius variandi da parte del datore di lavoro quale extrema ratio  onde conservare il rapporto di lavoro (Cass. 10/10/2006, n. 21700) sia in virtù di patto  di demansionamento sia in virtù di demansionamento ad iniziativa unilaterale datoriale (Cass. n. 2375/2005 e n. 10339/2000).

Cosiccome ben possono manifestarsi condotte mobbizzanti  non accompagnate da profili di demansionamento o dequalificazione, come agevolmente discende dalla stessa nozione di  mobbing.

Inoltre, nell’attuale sistema binario del danno, conseguente alla lettura costituzionalmene orientata dell’art. 2059 c.c. (Cass. 12/6/2006, n. 13546; Cass. 4/10/2005, n. 19354; Cass. 10/5/2005, n. 9801; Cass. 26/5/2004, n. 10157; Cass. Pen. 21/1/2004, n. 2050, Barillà; Cass. 19/8/2003, n. 12124;Corte Cost. 11/7/2003, n. 233; Cass. 31/5/2003, n. 8828; Cass. 31/5/2003,n. 8827), sia al demansionamento o dequalificazione sia al mobbing possono conseguire, oltre alla necessità di eliminazione della condotta illecita nonché di reintegrazione delle ordinarie condizioni di lavoro, danni patrimoniali o non patrimoniali (morale soggettivo, biologico, esistenziale) (Cass. Sez. U. 24/3/2006, n. 6572).  

Quanto al danno esistenziale, il “diritto al fare aredittuale” o” alle attività realizzatrici della persona” da cui deriva consiste - come proposto da pregevole dottrina -  nell’alterazione peggiorativa della quotidianità della persona - id est: dell’agenda quotidiana della vittima -, che può manifestarsi sia nell’ impossibilità di svolgere una pregressa attività abituale sia nella necessità di svolgere una nuova attività aggiuntiva.

Così, a titolo esemplificativo, può ritenersi il danno esistenziale costituito   dalla somma di impedimenti subiti in relazione al libero svolgimento delle attività che contribuiscono  alla realizzazione individuale: limitazioni all’agenda quotidiana o alla normale qualità della vita ovvero il cambiamento delle proprie abitudini di vita, dei propri usi di vita sociale, delle proprie scelte individuali o sociali, della libera estrinsecazione della personalità ( Cass. 04.10.2005, n. 19354).

Discendente dai principi generali del danno civile che, ormai abbandonata la categoria del danno-evento (Cass. Pen. 21/1/2004, n. 2050, Barillà), tutte le voci di danno costituiscono ipotesi di danno-conseguenza e vanno allegate e provate provate, ancorché per presunzioni (Cass. Sez. U. 24/3/2006, n. 6572). 

Poste le suddette precisazioni in tema di situazioni soggettive lese, vanno esaminate le derivazioni causali dannose subite dal Fanciulli.

Innanzitutto, in relazione al danno patrimoniale, la vessatoria privazione della posizione organizzativa, il volontario impedimento all’inserimento nella nuova struttura del settore, il maggiore impegno di energie fisiche per l’espletamento di attività materiali, il parziale demansionamento costituiscono limitazioni al pieno sviluppo della professionalità del dipendente, da cui, in futuro, potranno conseguire limitazioni alle opportunità lavorative.

In mancanza di elementi concreti di liquidazione il danno suddetto va liquidato equitativamente, a norma dell’art. 1226 c.c.

Tenendo conto che il conferimento della posizione organizzativa avrebbe comportato un incremento di stipendio pari a circa €. 56.000,00, il danno patrimoniale suddetto può essere quantificato in €. 16.986,50.

E, del pari, dovuta a titolo di danno patrimoniale la differenza tra indennità di risultato nella misura massima e quella effettivamente corrisposta, pari a €. 463,50, risultando vessatorio che l’indennità sia stata corrisposta nella misura massima ai sottoposti del Fanciulli e in misura ridotta a quest’ultimo.

Nulla è dovuto per la trasformazione del rapporto da full time a part-time, giacché l’attore ha dedotto che la scelta è stata determinata dalla sua esigenza di un libero esercizio dell’attività di C.T.U. (pag. 3 ricorso).

Quanto al danno non patrimoniale, certamente compatibile con la responsabilità contrattuale del datore di lavoro anche nella voce del danno morale (Cass. 24/2/2006, n. 4184),è sicuramente dovuto il danno biologico, quale menomazione psico-fisica della persona valutabile sotto il profilo medico-legale, risultando documentate ed incontestate patologie fisiche per giorni 5 -il 14/2/2005,21/3/2005,9/5/2005, 20/6/2005-, complessivamente giorni 20, e per giorni 10 - il 18/4/2005-.

Tenendo conto della natura temporanea (totale) della lesione e delle tabelle dell’ufficio, tale voce di danno va liquidata in €. 1.140,00 (gg. 30 x €. 38).

E’ ancora configurabile il danno esistenziale.

Deve, invero, presuntivamente ritenersi che, coincidendo le lesioni psicofisiche con il periodo delle enucleate vessazioni sul lavoro e in considerazione della loro natura sostanzialmente di origine neurovegetativa ( sindrome ansioso-depressiva e coliche renali), il lavoratore nello stesso periodo abbia avuto un decremento della sua agenda quotidiana con conseguente cambiamento peggiorativo  delle sue abitudini di vita.

La liquidazione del danno in esame non può che essere equitativa (Cass. 12/6/2006, n. 13546).

A tal proposito, dottrina e giurisprudenza di merito hanno individuato vari metodi.

Secondo un primo orientamento, che può denominarsi come c.d. formula Liberati, la liquidazione del danno esistenziale deve avvenire considerando parametri predeterminati, quali l’età del danneggiato, il tempo dell’alterazione esistenziale ecc.

Costituisce applicazione analitica del metodo in esame   quell’orientamento che   ha proposto la liquidazione equitativa tenendo conto di parametri generali e speciali.

I parametri generali sono soggettivi (personalità del leso), oggettivi puri (interesse violato), misti soggettivi – oggettivi (attività svolte dalla vittima; ripercussione dell’illecito sul soggetto;alterazioni nell’ambito familiare e sociale).

I parametri speciali vanno ancorati  alla durata nel tempo del pregiudizio, alla loro intensità e alle ore della giornata in cui si sono verificate.

Secondo una più attenta ed acuta riflessione dottrinale, il limite dei metodi suddetti è  costituito dall’assenza del valore base su cui calcolare il danno esistenziale.

Si propone, perciò, di determinare quale valore base il criterio di liquidazione del danno biologico.

Si sostiene pregevolmente: “se do' come alterazione esistenziale più alta, totale, il 100% del danno biologico, 100% del danno biologico significa che qualcuno è a letto immobile, non può fare assolutamente nulla, nulla delle attività realizzatrici della persona che uno si può immaginare. Dopo di che, e qua è una sorta di accordo che facciamo, dividiamo per semplicità la vita di una persona in cinque aree: un’area riguardante le attività biologico sussistenziali, un’area riguardante le relazioni affettive di carattere familiare, un’area che riguarda le attività lavorative, un’area che riguarda le attività sociali, politico associative e infine un’area che riguarda tutto ciò che concerne lo svago.

Una volta che io ho schematizzato la vita di una persona in questi cinque insiemi, prendo il 100% del danno biologico, che significa che io in nessuno di questi insiemi posso svolgere assolutamente niente, e dividendo per 5 ho il valore di ciascuna area realizzatrice della persona.

A questo punto posso avere una biforcazione: o l’alterazione esistenziale mi viene da una lesione di carattere biologico, per cui il danno biologico, cioè la prima area, l’attività biologica sussistenziale è già calcolata attraverso la percentuale di biologico che ho riconosciuto alla vittima; oppure mi posso trovare in un caso in cui a monte non c’è una lesione psicofisica. Allora a quel punto che faccio? Dal valore 100% biologico sottraggo un quinto che equivale al valore dell’area biologico sussistenziale. A questo punto ho il valore delle singole aree.

Ora non è detto che una certa lesione possa alterare il 100% di quell’area, probabilmente ci può essere una percentuale x, che può andare da 0 a 100 di ciascuna area e che mi dice quale è stata l’alterazione rispetto a quel comparto che la vittima ha subito. E’ qua che entra in gioco il ruolo del Giudice e il suo potere di carattere equitativo perché, una volta che ho ponderato il valore di ciascuna area, si dovrà evidenziare da un lato quale area è stata compromessa, delle quattro rimanenti (infatti, non è detto che siano tutte e quattro alterate), e in secondo luogo si dovrà considerare se l’alterazione di ciascuna area sia stata parziale o totale. Se è stata parziale si risarcirà percentualmente il valore di quell’area alla vittima dell’illecito”.

Applicando l’ultimo indirizzo al caso di specie deve ritenersi che la limitazione all’agenda quotidiana abbia riguardato l’area lavorativa e l’area inerente lo svago.

Nondimeno le limitazioni  hanno avuto durata limitata pari a circa giorni 150.

Il danno biologico da inabilità temporanea totale, sulla base delle tabelle dell’ufficio, sarebbe stato liquidato in €. 5.700,00 (gg. 150x €. 38).

Dividendo tale somma per 5 (le aree considerate) e moltiplicando per 2 (le aree coinvolte), si ottiene la somma di €. 2.280,00, pari all’entità del danno esistenziale.

La presenza di lesioni valutabili sotto il profilo medico-legale determina, a norma dell’art. 185 C.P., la liquidazione del danno morale, integrando il fatto il delitto di cui all’art. 590 C.P.

Trattandosi di danno privo delle caratteristiche della patrimonialità e di risarcimento compensativo di un pregiudizio non economico, occorre procedere ad una liquidazione equitativa, tenendo conto delle peculiarità del caso concreto (cd. “personalizzazione” del danno) (e pluribus : Cass. 20/10/2005, n. 20320; Cass. 27/10/2004, n. 20814).

Tenendo conto della durata limitata del turbamento transeunte, dell’età del leso, della liquidazione del danno biologico e di quello esistenziale, il danno morale può essere equitativamente liquidato in €. 800,00.

Conclusivamente, la p.a. convenuta va condannata al pagamento in favore dell’attore della somma di €.21.670,00,oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dai singoli periodi di maturazione al saldo.

Le spese di lite seguono sulla base del principio della soccombenza.

P.Q.M.

 definitivamente pronunciando, ogni altra questione disattesa, così decide:

- CONDANNA

la p.a. convenuta al pagamento in favore dell’attore della somma di €.21.670,00,oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dai singoli periodi di maturazione al saldo;

- CONDANNA

la p.a. convenuta al pagamento in favore dell’attore delle spese di lite, che liquida in €. 2.985,00, di cui €. 39,00 per spese, oltre spese generali,C.A.P. ed I.V.A. se dovuta.

 

Montepulciano 26/10/2006 (depositata il 9/11/2006)

Il G.L.

Dott. Matteo MACCARONE

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