Omissione nella prevenzione di vessazioni persecutorie: concorso in reato di maltrattamenti 

 

Trib. pen. Taranto  4 marzo 2008 – Giud. Santella – Imp. Con.  Ma.

 

Vessazioni e persecuzioni da parte di superiore – Omissione di intervento di preposto con grado più elevato del vessatore – Condanna per concorso omissivo con dolo eventuale nel reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p.

 

L'inosservanza dell'obbligo di garantire la protezione del bene, determina una situazione giuridica di parificazione della condotta omissiva al comportamento di colui che lede materialmente il bene protetto. L'esistenza di detto obbligo distingue il concorso per omissione dalla semplice connivenza, nel nostro ordinamento non punibile, che si ha quando un individuo assiste passivamente alla perpetrazione di un reato che ha la possibilità materiale, ma non l'obbligo giuridico di impedire. Con riguardo poi all'elemento psicologico dei concorrenti nel reato, la dottrina prevalente e la giurisprudenza della Suprema Corte hanno escluso la configurabilità di un concorso colposo nel delitto doloso, di talché per aversi concorso nel delitto doloso, quale quello di cui all'art. 40 e 572 c.p., entrambi i concorrenti, ossia il soggetto attivo, e colui cha ha tenuto la condotta omissiva, devono manifestare una condotta dolosa, di tipo diretto, dato dalla coscienza e volontà di determinare l'evento, o quanto meno sorretta dal dolo eventuale, dato dalla rappresentazione dell'evento lesivo e dalla prospettazione del rischio dell'evento, e dall'accettazione del suo verificarsi.

Il capitano Con. , alla data dei commessi reati, ossia dal settembre 2003 al settembre 2004, comandava la Compagnia dei CC. di Castellaneta, ed in base alle norme interne alle Forze firmate e all'ordinamento dei Carabinieri, rivestiva senza dubbio una posizione di garanzia, e più in generale di tutela della legalità, nei confronti di tutti i suoi sottoposti. Egli quindi era chiamato a vigilare non solo sulla regolarità e l'efficienza del servizio svolto dai suoi sottoposti nel territorio di competenza, ma anche sulla normalità e sulla correttezza dei rapporti personali all'intemo di ogni nucleo operativo. Aveva l'obbligo giuridico di intervenire e di far cessare i comportamenti vessatori posti in essere dal Dar.  con tutti i mezzi a sua disposizione, richiamando formalmente il suo subordinato, ricorrendo all'autorità giudiziaria e a quella disciplinare. Nulla di tutto ciò fece, tanto che in diverse occasioni i militari furono costretti a chiedere un incontro con il colonnello, comandante provinciale. Ciò rese possibile, all'interno di un Comando di Carabinieri, soggetti deputati per legge al rispetto dell'Ordine sociale e delle leggi, il verificarsi di fatti di totale dispregio della dignità umana e professionale dei singoli. La condotta del Con. non può essere attribuita ad un mero atteggiamento di negligenza o superficialità nella gestione del suo delicato incarico istituzionale, ma appare sorretta dal dolo, sia pure nella forma del dolo eventuale.

 

MOTIVAZIONE

 

In data 20.7.2006 il P.M. in sede formulava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Dar.  Le., maresciallo in servizio presso il Comando CC. di Castellaneta, per diversi reati, tra cui quelli di cui agli artt. 572, 610 e 586 c.p. nonchè dell' odierno imputato, Comandante della stessa Compagnia, per concorso nel reato di cui all'art. 572 e 610 c.p., ed inoltre per i reati di cui agli arti. 195 e 196 c.p.m.p. L'Accusa indicava, quali fonti di prova che legittimavano la verifica dibattimentale, le indagini svolte dal Norm Comando Provinciale dei CC. di Taranto, e quelle svolte dalla Guardia di Finanza. All'udienza preliminare dinanzi al G.u.p. il Con., a mezzo del suo procuratore speciale, avanzava richiesta di giudizio abbreviato non condizionato; il giudice procedente dichiarava la sua incompatibilità a trattare il giudizio speciale, a norma dell'art. 34 co.  2 bis c.p.p. essendo investito dell'udienza preliminare a carico dell'altro imputato; il processo veniva quindi assegnato a questo giudice, sulla base dei criteri tabellari. Valutata positivamente l'ammissibilità del rito, e la definibilità del processo allo stato degli atti, il Con. Ma.  è stato ammesso alla trattazione del giudizio alternativo, la cui celebrazione è iniziata all'udienza del 26.10.2007, con la costituzione delle parti e le conclusioni del P.M., per essere poi differita sino alla data odierna. In questa sede, assunte le spontanee dichiarazioni dell'imputato, il quale ha prodotto anche una breve memoria a sua firma, le parti civili e la difesa hanno rassegnato le conclusioni sopra riportate; il P.M. ed i difensori di parte civile hanno brevemente replicato, quindi, all'esito a camera di consiglio, è stata emessa sentenza di condanna per i motivi che seguono.

Preliminarmente va risolta la questione processuale relativa alla contestazione suppletiva del reato di omissioni di atti d'ufficio. Il P.M. nel corso del giudizio abbreviato, ha contestato in udienza il delitto di cui all'art. 328 c.p.p., a suo dire, già contestato in fatto. Pronunciando sull'eccezione della difesa, come articolata a verbale, questo giudice ha già emesso ordinanza negando la possibilità di una contestazione suppletiva, e riservando la valutazione in ordine ad una "contestazione intrinseca" della fattispecie in esame, all'esito del giudizio. Ritornando sul tema, va evidenziato che l'art. 441 c.p.p. nel disciplinare lo svolgimento del giudizio abbreviato, dispone l'applicabilità delle norme relative all'udienza preliminare, fatta eccezione per quelle di cui agli artt. 442 e 443 c.p.p., quest'ultima disciplina proprio la possibilità che l'imputazione venga modificata all'udienza dal P.M. Se ne deduce che nel corso del giudizio abbreviato non è consentito all'Accusa contestare nuovi reati, né un reato connesso o una circostanza aggravante. La ratio della norma risiede nella garanzia per l' imputato di accedere al rito alternativo, in ragione di contestazioni già cristallizzate, evitando il rischio di un'estensione delle imputazioni, che determinerebbe una indubbia lesione del diritto di difesa. Quanto alla possibilità di ritenere già contestato in fatto il delitto, sicché quella del P.M. debba intendersi come mera esplicitazione del titolo del reato, si osserva che, nel contestare l'omissione al Con., l'Accusa ha fatto riferimento all"'obbligo giuridico di intervenire riferendo i fatti all'Autorità Giudiziaria"; tale accusa forma parte integrante della contestazione principale (artt. 610 e 572 c.p.) e poiché non appare dettagliatamente determinata, in ordine ai fatti, alle circostanze, ai tempi della condotta omissiva, non può valere come contestazione implicita di un autonomo e diverso reato.

I fatti di cui all'odierno procedimento penale possono come di seguito ricostruirsi sulla scorta degli atti d'indagine portati all'esame di questo g.u.p., e ritenuti esaustivi per formulare un giudizio allo stato degli atti, per quanto necessario ed utile ai fini della valutazione delle imputazioni odierne (vedi m particolare le c.n.r. dei CC. di Taranto in data 4.6.2004, e quella conclusiva della G. di F. di Taranto in data 20.10.2005). Nel pomeriggio del 3.6.2004 personale dipendente del Comando provinciale dei CC., si portava in Castellaneta ove era stato segnalato il suicidio del brig. Colaci Sergio, effettivo al Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di quel centro. Giunti sul posto i militari constatavano che il cadavere si trovava sul lato destro del letto e presentava una ferita d'arma da fuoco con foro d'ingresso nella regione frontale del capo; sul comò della camera da letto era poggiata la pistola di ordinanza del militare, una Beretta cal. 9, con il cane armato, un colpo m canna ed altri 13 nel serbatoio. Veniva espletati i rilievi tecnici e fotografici, si disponeva perizia autoptica e, successivamente, perizia balistica. Nell'immediatezza la moglie del Colaci, Nardulli Giovina riferiva che da qualche mese l'uomo manifestava sintomi di depressione, ma rifiutava di farsi curare; che poco tempo prima avevano richiesto un prestito per far fronte alle spese per la festa della prima comunione del figlio; che quel giorno il marito aveva pranzato in famiglia e subito dopo si  era messo a letto per riposare; ma dopo qualche minuto mentre si intratteneva con il figlio minorenne, dalla cucia aveva sentito lo sparo. La figlia del defunto, Colaci Cinzia, sapeva che il padre stava attraversando un periodo di crisi, dovuto, a suo dire, a motivi di lavoro. Colaci Antonio, ispettore superiore di P.S. e fratello del deceduto, dichiarava che il congiunto aveva problemi nell'ambiente di lavoro, poiché si sentiva destinatario di ripicche da parte dei suoi superiori, che lo controllavano spessissimo per far emergere le sue omissioni e poterlo perseguire; di aver appreso dal fratello che tale condotta veniva posta in essere dal mar. Dar. Avallato dal Con.; di sapere che in realtà era generalizzato e rivolto contro molti i militari del suo Nucleo, tanto che il defunto stava ormai male nel suo reparto, e valutava la possibilità di cambiare impiego. Il predetto Colaci produceva agli inquirenti anche il testo di un file, apparentemente creato nel novembre 2003, registrato su un cd rinvenuto nell'abitazione del fratello Sergio. In esso si denunciavano i rapporti anomali esistenti tra il Dar.  e la famiglia di Trovisi Pompeo, di Castellaneta; nonché numerosi episodi di cui si era reso protagonista il Dar., attinenti alla cura di interessi privati del medesimo, e alla distrazione da  parte sua di uomini e mezzi della Compagnia dei CC. di Castellaneta, utilizzati per fini non istituzionali e nell'interesse di soggetti pregiudicati. Dallo stesso documento informatico si deduceva ancora l'esistenza di diversi debiti, mai onorati dal Dar., contratti con artigiani e fornitori che avevano lavorato in un ristorante di sua proprietà, sito in Massafra. Venivano sentiti anche i colleghi di lavoro del Colaci, i quali dichiaravano che l'uomo negli ultimi tempi appariva fortemente preoccupato e stressato per le continue pressioni lavorative che su di lui esercitava il comandante del Norm mar. Dar. Le. Tinelli Leonardo, che spesso faceva servizio in coppia con il Colaci, dichiarava di averlo visto pochi giorni prima quando, riferendosi alle condizioni di lavoro, questi gli aveva detto “…ormai non si può stare più qui”. All’interno dell’abitazione del Colaci i CC. rinvenivano anche una busta di colore giallo, su cui era scritto “per Giovina”, indirizzata quindi alla moglie. La stessa risultava contenere una lettera dattiloscritta, nella quale l’uomo prima di giungere all’atto estremo aveva parole di conforto verso i familiari e, nella parte in cui cercava di giustificare il suo gesto scriveva: "...lo sai che non mi trovo bene nell'ambiente di lavoro  per quelle persone che ti ho detto, il che mi fa stare molto male, essere trattati da delinquenti da persone mafiose e a loro va sempre bene tutto, non lo sopporto e ultimamente ci si mettono anche dei colleghi vigliacchi e come tu sai i nostri problemi finanziari... Questa per me non è più vita e stando così le cose la distruggo anche a voi quindi è meglio che io non ci sia più...".

Le indagini, successivamente delegate dal P.M. alla Guardia di Finanza, facevano emergere, a riscontro di quanto scritto dal Colaci Sergio sin dal novembre 2003, la personalità inquietante del mar. Dar. Le.. Questi risultava coinvolto in rapporti affaristici e d'amicizia poco chiari con pregiudicati ed imprenditori del luogo, utilizzava in modo sistematico ed abusivo un'auto di servizio per fini personali e strumentalizzava il suo ruolo istituzionale per privati. Si omette di riferire di questi fatti nel dettaglio posto che i gravi reati a suo carico sono stati contestati nell'ambito di altro procedimento penale, tuttora in corso. Si riportano invece di seguito le dichiarazioni rese dai CC., odierne parti lese, dinanzi al P.M. (vedi i verbali a s.i.t. acquisiti nel corso delle indagini dal P.M.), che valgono a delineare in maniera precisa il comportamento vessatorio, ingiurioso ed umiliante tenuto dal Dar.  nell'espletamento della funzione di comando del Norm di Castellaneta verso il personale subordinato, e la condotta omissiva tenuta in quel periodo dal Comandante della Compagnia, cap. Con. Ma. .

Il Brig. Matteo Greco ha dichiarato: " I maltrattamenti riguardavano tutti. Io parlo di me, di quello che ho subito io... ho avuto gli incubi la notte. In 23 anni di servizio ho sempre lavorato, ho fatto più del mio... alla fine poi da un comandante mar. Dar., che mi viene a dire che io sono delinquente, pezzo di merda, non si può accettare una cosa del genere! ...Appena è arrivato ha cominciato a maltrattarci tutti... Non so il suo obiettivo quale poteva essere, comunque è venuto già agguerrito. So che maltrattava il Colaci come maltrattava tutti, Colaci aveva paura solo a sentire il suo nome, aveva una paura terribile, come lui tutti quanti. Non nascondo che avevo paura ad entrare in caserma. Avevo proprio un rifiuto, andavo a lavorare per forza. Dopo l'ennesimo maltrattamento andai dal capitano per dirgli tutti i maltrattamenti che stavo subendo;... lui un po' se ne è fregato. Mi sono messo a rapporto per parlare con il capitano, ma siccome lui non mi chiamava, perché Dar. ed capitano sono stati sempre uniti, noi avevamo un muro, oltre non potevano anndare ...ho fatto la faccia tosta e sono andato io... gli ho raccontato tutto, anche che avevo fatto domanda di trasferimento. Lui mi disse che Dar.  era una bravissima persona, disse: `forse è colpa vostra, io ci parlo’. Gli ho raccontato l'ultimo episodio di maltrattamento, quella domenica che mi abbaiò, mi maltrattò senza motivo, per aver lavorato, sequestrammo un paio di dosi di hascisc e denunciammo due, ...questo non gli stava bene e `cicchettò’ sia me che il college Mastronardi. Un giorno sono stato ripreso perché parlavo con il mar. Capozzi (in quella data in servizio a Ginosa n.d.r.), che anni prima era stato in servizio a Castellaneta; disse tu non devi parlare con lui, né con altri comandanti di stazione, non devi far entrare nessuno nella tua stanza. Ho avuto il cuore forte, tante volte ho pensato ‘’l'unica soluzione, non avendo altre soluzioni..., ho parlato con il capitano e niente, ...non avendo altre soluzioni...”.

Il brig. Mastronardi Antonio ha riferito al P.M. “(Dar.  )... ci diceva sempre che consumavano solo benzina, ha cominciato a toglierci la turnazione che a noi spettava. Il mar. Miccoli della sezione amministrativa di Taranto, ha chiamato il capitano Con.   per dire `guarda che gli spettano le turnazioni, questi vanno dall'avvocato, oppure fanno casino’. Abbiamo fatto un quesito scritto chiedendo se avevano diritto alla turnazione... dopo una settimana mi ha chiamato dicendo `so io che devo fare’, ha preso il foglio e me l'ha sbattuto in faccia; allora abbiamo rivolto il quesito al capitano e da quel momento non abbiamo saputo più niente. Abbiamo perso chi un anno, chi sette mesi, chi sei mesi di turnazione, senza indennizzo, senza niente... Sono arrivato al punto di fare domanda di trasferimento, volevo andarmene, mettendo motivi falsi. (Dar.) ... era arrabbiato con me perché tempo prima, quando era in servizio a Gioia del Colle, io ero intervenuto su strada in occasione della rapina ad un portavalori, che proveniva dalla gioielleria Dar., e l'allora mar. Capozzi aveva fatto delle domande sulla presenza in detta gioielleria anche del mar. Dar.  . Lui andò da mio fratello e disse: `tuo fratello è un pezzo di merda’. In altra circostanza mi accusò di aver fatto un esposto contro di lui insieme a quello  stronzo di Capozzi, ... che poi cercò di accusare come responsabile di un incidente stradale. Appena è arrivato a Castellaneta, ha esordito dicendo che doveva abbassare a tutti le note. Dopo che è morto il collega ha fatto una riunione, c'era il capitano ha chiamato tutti quanti ed ha detto: ‘Noi siamo stati tutti confermati, qua quindi il presidente e l'allenatore non si cambiano, se vuole la squadra si cambia la squadra, quindi chi vuole andare via...’ Offendeva tutti. Mi sono messo a rapporto con il capitano, ma non mi ha chiamato, neanche umanamente per dirmi ...‘cosa è successo?’. Egli era a conoscenza dei maltrattamenti perché parecchie volte durante le riunioni noi esternavano vicino a lui. Dar.  ci diceva: `voi non avete capito un cazzo, dovete fare quello che dico io non quello che dice il capitano’. Dopo aver appreso delle nostre dichiarazioni, ho saputo dai colleghi Catania ed Ingellis, che (Dar.  ) ha detto che siamo tutti stronzi e che ce la farà pagare. Diceva che consumavano solo benzina ad andare in giro con le macchine di servizio, molte volte siamo andati in servizio con le nostro auto, perché l'auto di servizio era la sua ...e non si poteva toccare".

Tali circostanze sono state confermate anche dal mar. Catania Antonio il quale ha riferito: "Prima si viveva in maniera tranquilla, quando è arrivato lui è cominciata la tensione nel reparto.. Non mancava occasione per chiamarci bugiardi ed usava termini anche più offensivi, ci offendeva, ci chiamava `teste di cazzo’... gridava sempre, maltrattava le pattuglie che andavano fuori, venivamo maltrattati senza motivi particolari. C'erano delle pratiche amministrative che non voleva mandare avanti... Si sentiva le spalle coperte. Disse a me e sicuramente ad altri colleghi: `ve la farò pagare di tutte le cose che avete detto a Taranto. Avete infangato il mio nome, me la pagherete. Facciamo i conti  quando vi farò le note’. Ci maltrattava alla presenza di altri militari, di altri colleghi subalterni. Io mi sentivo leso quando lui mi riprendeva e gridava davanti ai miei subalterni, essendo io maresciallo, ...perdendo quindi di credibilità. Il collega D'Onghia se ne andò in missione all'estero per non stare più in quella situazione che era insostenibile". Assai significative del clima che si respirava nell'ambiente di lavoro sono anche le dichiarazioni rese dall'app. D'Onghia Leonardo, il quale ha riferito "Dopo la morte di Colaci lui (Dar.  ) mi chiamò voleva sapere qualcosa sulla vita personale e lavorativa dei colleghi Greco e Mastronardi... non gli ho riferito nulla perché non volevo fare la spia. Aveva rancore nei miei confronti, per delle dichiarazioni che avevo fatto al capitano Marletta (del Comando di Taranto n.d.r. che indagava sulla morte di Colaci). Ho saputo dai colleghi Catania e da Ingellis che Dar.  disse: `D'Onghia, quel figlio di puttana, non mi aspettavo che facesse una cosa del genere'. Al ritorno da una mia licenza venni trasferito nel reparto operativo ed i colleghi mi dissero che Dar.  aveva detto: `Così gliela sto facendo pagare, così impara’. Quando rientrai il clima era peggiore, tutti i colleghi dicevano che il maresciallo li controllava continuamente, si comportava male, li rimproverava anche davanti alla gente, davanti ai civili. Le cose peggiorarono con l'arrivo del capitano Con.  , che lo appoggiava in tutto e per tutto quello che lui diceva, ...con Stifanelli le cose andavano meglio... So che (Dar.) ricattava Mastronardi, lui era un tipo: -o con lui o contro di lui-. Minacciava a tutti i colleghi di abbassare le note, so che lo ha fatto anche a Crocco.  Dopo la morte di Sergio Colaci ho saputo che Dar.  lo perseguitava in maniera particolare... Lui si era accanito perché Colaci sapeva molte cose sul suo conto... questo ho saputo anche da Crocco e Cannarile, e che erano i più anziani del reparto operativo."

L’app. scelto Lacirignola Antonio ha dichiarato: "Mentre stavo facendo un servizio su strada, Dar.  si è avvicinato ed ha cominciato a gridare in mezzo alla strada, diceva: `non dovete fare questi controlli, non avete capito niente’ ... c'era un signore che rideva perché ci stava facendo fare una brutta figura... ci diceva: `non capite un cazzo’, cercammo di calmarlo, ma era agitato, ci trattava malissimo e gridava come un pazzo in mezzo alla strada .. una cosa mai vista!. Girava sempre da solo con l'auto Lanos dell'Ufficio, andava a fare pure la spesa... Io feci un intervento su strada in occasione di un incidente stradale in cui rimase coinvolto l'auto dei CC. di Ginosa, guidata dal mar. Capozzi. Dopo aver redatto gli atti lui mi chiamò e voleva che cambiassi il contenuto degli atti, per far ricadere la responsabilità sul Capozzi con il quale aveva pessimi rapporti.

Voleva sapere da me le indagini che il predetto faceva sul territorio di Ginosa. Molte volte mi fermavano per strada persone che avanzavano dei soldi dal Dar.  ... io dicevo di lamentarsene con il capitano. Dopo la morte di Colaci lesse le dichiarazioni che tutti facevano al cap. Marletta, dopo ci puntò, ci minacciò tutti, diceva: `fate calmare le acque e dopo ve la farò pagare’, a molti di noi ha abbassato le note. Ci diceva sempre: `non capite un cazzo, siete dei delinquenti’, questo avveniva quasi tutti i giorni. C'era tanta tensione... chi ha resistito ha subito, andavamo in caserma con la paura di uscire veloci, perché mai sia ...arrivava... Colaci l'aveva puntato di brutto, non so il perché, forse perché era anziano e conosceva le sue magagne, a Crocco, che era una persona educatissima, l'ha fatto 'nero' in più di una circostanza. So che ordinò a Ricci di seguirlo armato per andare a prelevare dell'oro da portare nella sua gioielleria. So che Con.   dopo la morte di Colaci è andato a mangiare  nel ristorante di Dar.".

Il brig. Croceo Giuseppe nel corso del suo interrogatorio ha riferito: " Dar.  mi disse che se volevo eccellente sulle note gli dovevo dare notizie dei colleghi Colaci, Montalbano e Presta ed altri, .., mi sono rifiutato perché non faccio la spia, sono uscito dal suo ufficio e lui mi disse: `te la faccio pagare, stai attento a come ti muovi!’ Le mie note sono state definite nella media e con scarso rendimento, come persona poco seria. Tutti i giorni venivo aggredito... mi diceva: `sei uno che dà un brutto esempio ai colleghi, voi anziani la pagherete’. Ci controllava anche da lontano con l'auto di servizio... mi accusava di essere svogliato e di essere lavativo, questo diceva a tutte le persone che mirava. Mi lamentai con lui per l'abbassamento delle note, sebbene ci conoscessimo da venti anni. Aveva un carattere particolare, mi disse che quando vedeva un collega stare bene, lui stava male,  soffriva. Venivano aggrediti tutti, quasi tutti i giorni, teneva sotto pressione tutti quanti per non far scoprire il giro che aveva lui...Aveva un pessimo rapporto con Colaci. Ognuno di noi veniva chiamato in ufficio e le grida si sentivano da sopra. Ci diceva: `non fate un cazzo, delinquenti, non siete buoni a nulla ...’. Tante volte sono arrivato al punto di pensare di buttargli in faccia la scrivania. Non volevo andare a lavorare... Il capitano Con. non voleva che parlassimo con lui ma con il mio maresciallo, secondo la scala gerarchica, mi disse che potevo andare da lui solo se accompagnato da Dar.  . Da quando è arrivato lui ci ha rovinato, ha rovinato pure le nostre famiglie! Siamo tutti nervosi ... a casa c'è una guerra... Là ci stanno 20 persone, non c'è uno tranquillo. Sono alla disperazione !”

Anche il brig. Carriero Giuseppe ha dichiarato al P.M.: "Ci trattava male, su strada veniva a fare i controlli, a sbraitare, a gridare, era aggressivo e sempre arrabbiato, diceva che eravamo incompetenti in questo mestiere. Con il capitano abbiamo parlato fino a poco tempo fa, dovevamo passare sempre da lui (Dar.  ) e poi dal capitano, ...c'era un muro di cemento tra lui e noi. Dar.  e Colaci avevano un pessimo rapporto... il collega non ha avuto il coraggio di sfogarsi ed ha compiuto quel gesto. Ci diceva che non eravamo in grado di fare niente, ...non salutava mai, né rispondeva al saluto. Un giorno stavo contestando l'abbassamento delle note alla presenza del capitano, Dar.  si mise a gridare contro di me dandomi dell'incapace, ci ha chiamato a tutti ladri e delinquenti...diceva che avevamo parlato male… il capitano non ha detto niente per nessun motivo affatto, …mi sono alterato ho sbattuto la porta e mi sono sentito male perché soffro di ipertensione, sono andato m ospedale ... La sera mi venne a trovare a casa il capitano chiedendomi di mettere a posto questa situazione, ...ma io avevo già parlato con il mio avvocato".

Anche le dichiarazioni degli altri CC. in servizio in quel reparto delineano una situazione di estremo disagio e sofferenza. L'app. Russo Antonio ha riferito che: "Da quando è arrivato Dar.  si respira un'aria molto pesante, un'aria di paura, come se dovesse  succedere sempre qualcosa, lui puntava non tanto noi giovani, ma soprattutto gli anziani che lo conoscevano... ho assistito a degli scontri tra lui e Colaci, non lo poteva vedere come persona... Ci apostrofava come delinquenti, per lui eravamo tutti delinquenti... so che Ricci ha effettuato con lui un trasporto di gioielli con la macchina di servizio". L'app. Sante Giuseppe ha dichiarato: 'Gridava sempre verso i colleghi, diceva: ` non capite un cazzo, non servite a niente ...siete dei delinquenti’. Ci ha trattato male, tutti indistintamente dal primo all'ultimo, non ci teneva affatto ai suoi uomini, eppure lui ci doveva rappresentare... da quando è cambiato il comandante la situazione è cambiata, si vive in armonia". Anche il car. Capodiferro Vito Donato ha riferito: “Dar.  è arrivato nel settembre 2002, c'era tanta tensione, si usciva per strada con la paura... Un giorno stavo con i colleghi Cannarile e Maldarizzi... ci eravamo fermati per la pioggia, lui venne in mezzo alla strada, ci trattò male, disse: `che cazzo state facendo ... dove cazzo andate’, la gente che passava guadava sbalordita, noi eravamo in divisa e lui in borghese, iniziò a gesticolare dicendo: `mo vi faccio vedere io’. Disse che in caserma ci doveva punire. In un'altra circostanza mi maltrattò mentre ero in servizio con Aloisio. Queste situazioni le abbiamo prospettate al capitano Con.  , era a conoscenza di questa pressione... non l'ho fatto personalmente... perché io sono il più piccolo". L'app. Montalbano Antonino ha dichiarato al P.M.: "Quando Dar.  è arrivato si sapeva che soggetto era, ne avevo sentito parlare dai colleghi di Gioia del Colle dove prima stava in servizio, perciò mi sono fatto distaccare alla stazione locale di Castellaneta... Quando sono rientrato nel reparto mobile, ho avuto con lui molte discussioni per il servizio, alcuni colleghi venivano massacrati, tra questi anche Colaci .. Teneva il personale della Mobile in Caserma, non gli faceva fare servizio su strada.  Ho saputo che aveva debiti con alcune persone, che non volevano parlare perché avevano paura. Ho notato che aveva amicizie con persone poco pulite, ne ho parlato con Con., il quale non mi sembrò sorpreso e mi disse di fare una relazione scritta, cosa che ho fatto, era il 29.6.2004 (da detto documento; acquisito agli atti emerge un incontro tra il Dar.  e Basile Francesco, pluripregiudicato).... Ci minacciava sulle note. Dopo la morte di Colaci, so che c'è stato un incontro tra il Dar.  ed il capitano, in cui questi gli avrebbe ordinato; `allora non hai capito niente, quelli li devi lasciar perdere..., su suggerimento di un capitano di Taranto. So che durante una discussione Carriero si è sentito male e che Con.   è andato a casa a pregarlo di non procedere... avevamo già tanta carne a cuocere ...negativa da pelare”.

Di contenuto analogo appaiono le dichiarazioni dell'app. Presta Francesco: "So che Ricci è andato spesso volte con Dar.  ad effettuare il trasporto di gioielli, non sempre venivano utilizzate auto di servizio. Ho saputo da Sergio Colaci che il Con.   ed il Dar.  lo chiamarono a seguito dell'esposto relativo all'assicurazione e lo trattarono male". E quelle dell'app. Marra Cataldo, che ha riferito: "Spesso ero in servizio con Colaci, ho saputo da lui che Capodiferro, Presta e Tinelli volevano presentare domanda di trasferimento perché non gradivano il clima di tensione che si era creato. Ha messo sempre i militari sotto pressione, faceva dei raid di controllo,... faceva questi controlli per rovinarci... scriveva sempre delle osservazioni sulle nostre operazioni. Mi controllava anche quando facevo la scorta ad un magistrato della Procura. Svolgeva quest'opera di accanimento, so che ha avuto un brutto litigio con Carriero, ci minacciava tutti sulle note caratteristiche... diceva che io non facevo niente. Stifanelli cercava di addrizzare un po' il tiro, questo capitano invece... aveva creato un muro di cemento! In una occasione mi incontrò a Castellaneta Marina con Greco e si mise a gridare per strada, fece la sua sfuriata... gli dissi che mi sarei trasferito". L'app. Tinelli Orazio ha dichiarato: "Quando partì Stifanelli, Dar.  prese tutto il potere, ...lui arrivava sulla strada e ci controllava sempre, spesso andava con Soleti. Diceva: `quando sarà che vi faccio le note, ve le abbasserò a tutti’. Mi chiamò nel suo ufficio e mi disse che mi avrebbe abbassato le note,. io gli dissi che le avrei contestate e lui mi rispose: `te la faccio pagare’. Quel pomeriggio mi venne a controllare due volte. Mi misi a rapporto sia con il capitano che con il colonnello. Ne parlai con Colaci, lui mi disse che non si poteva più stare li... Era minaccioso con lui, faceva oppressione, mi disse: 'Tinelli stati attento, ... quando esci ti faccio vedere io'. Non salutava mai nessuno. Il capitano prima della morte di Colaci era distante, dopo ci ha avvicinato un po' tutti”. Anche il Mar. capo Sacco Antonio ha riferito: "Aveva dei modi molto bruschi, ...entrava in ufficio, e senza salutare diceva sempre: `che cazzo state facendo', era sempre così. Maltrattava tutti i colleghi... parlavo spesso Sergio Colaci".

Sono state sin qui riportate in maniera analitica le dichiarazioni accusatorie delle odierne parti lese, tutti CC. all'epoca dei fatti alle dipendenze del mar. Dar.  nel reparto Nom. Gli episodi riferiti, che denotano la condotta costantemente tenuta dal maresciallo nei loro confronti, si riscontrano tra di loro in maniera logica e coerente, e non possono in alcun modo ritenersi il frutto di una versione `colpevolista’ precedentemente concordata ed artefatta. Molte delle circostanze narrate sono peraltro riscontrate documentalmente da relazioni di servizio, certificati medici ed appunti, pure acquisiti agli atti del processo; e dagli scritti lasciati dal povero Colaci; nonché dalla dichiarazioni "de relato" rese a s.i.t. dalle persone vicine al Colaci Sergio negli ultimi mesi della sua vita. La personalità assolutamente negativa del Dar.  è stata anche sottolineata da testi per così dire `neutri’ e non portatori di alcun interesse personale all'interno di questo procedimento, ed in particolare dal capitano Stifanelli Gabriele, comandante della Compagnia prima dell arrivo del Con. e da Servedio Antonio, comandante di Gioia del Colle. Il primo, lavorò a stretto contatto con il Dar.  per circa un anno, ed ha riferito che questi arrivò da Gioia del Colle con un curriculum non edificante; che aveva avuto problemi con quel comandante, il quale al momento del suo trasferimento aveva messo `in allarme’ sia lui che il colonnello Bove di Taranto; che il Dar.  da tempo aveva dei legami con persone pregiudicate, fatti sui quali era stato inviato un promemoria al comandante generale; che aveva un carattere duro e spigoloso e per tale motivo lo aveva richiamato più volte verbalmente, dicendogli di non gridare e di non dire parolacce; che a volte si serviva del carabiniere Ricci per sbrigare le sue questioni personali. Il secondo nel corso delle indagini, sentito dal P.M. ha dichiarato "E' stato alle mie dipendenza per due o tre mesi, ho adottato nei suoi confronti un provvedimento disciplinare e due riservate personali. Sapevo delle sue conoscenze con pregiudicati e dei rapporti di affari con costoro".

L'affresco che emerge dalle numerose testimonianze è quello di un ambiente di lavoro altamente degradato a causa della condotta vessatoria posta in essere dal Dar.  nei confronti dei militari, a far data dal settembre 2002, e cioè dal momento del suo arrivo a Castellaneta, fino al tragici eventi della morte del povero Colaci, ed anche nel periodo successivo. Dar., aveva creato un clima di vera oppressione nei confronti dei suoi subordinati. I militari venivano giornalmente ingiuriati, offesi, controllati in maniera ossessiva circa l'atteggiamento e persino sulla tenuta della divisa, con una condotta che va ben oltre il giusto rigore militare. Venivano accusati di essere dei delinquenti e buoni a nulla, con esiti certamente demotivanti per l'espletamento dei delicato servizio che andavano a svolgere. Venivano `tenuti sotto pressione’, con espressione utilizzata dalle stesse vittime, con controlli continui ed immotivati finalizzati esclusivamente ad elevare nei loro confronti addebiti disciplinari, verosimilmente tesi a creare uno stato di soggezione che impedisse loro di denunciare i gravi fatti relativi alla vita parallela del Dar. , di cui pure tutti erano a conoscenza. Alcuni di loro venivano utilizzati per l'espletamento di incombenze private. Tutti venivano minacciati circa le note caratteristiche, al fine di indurli spesso a delazioni in ordine alla vita personale e familiare degli altri colleghi. Minaccia questa portatrice di una grande valenza per un carabiniere, che vede nelle note relative al suo profilo lavorativo, il proprio patrimonio professionale e di credibilità in ambito militare e non solo. Durante la dirigenza del Norm da parte del Dar., a molti effettivamente vennero abbassate le precedenti note caratteristiche (ad es. da `eccellente’ dell'anno precedente, a `nella media’), come emerge dai fascicoli personali dei singoli militari, acquisiti agli atti. Le valutazioni venivano redatte dal Dar.  e controfirmate dal Con. . Si trattava di valutazioni negative del tutto ingiustificate posto che né nel periodo precedente, né in quello successivo alla gestione Dar.  i militari subirono un calo nel giudizio valutativo. Solo in pochi casi, a seguito di contestazioni, i militari riuscirono a mantenere il loro precedente profilo professionale. Quello che tuttavia rileva ai fini della sussistenza del delitto di cui all'art. 572 c.p., non è tanto l'esito finale della valutazione, ma la semplice minaccia di tale evento, che i militari non potevano non interpretare come una sanzione, ed una mortificazione personale, ancor più perché del tutto ingiustificata. Solo pochi militari reagirono in maniera decisa a tale stato di cose, contestando apertamente il Dar.  e ricorrendo alla tutela legale. Altri in maniera più passiva, sottostavano alle angherie o tentavano di cambiare servizio.

Si può valutare in questa sede in che misura tale condotta vessatoria abbia determinato il suicidio del Colaci Sergio. L'imputazione di cui agli artt. 83 e 586 c.p., elevata nei confronti del solo Dar.  non è oggetto di questo procedimento. Emerge peraltro dagli atti che il Colaci, in un caso almeno, venne meno ai suoi doveri di militare e di pubblico ufficiale, circolando con la sua autovettura mediante l'utilizzo di un tagliando assicurativo falso; per tale fatto, certamente grave, non venne denunciato penalmente dai suoi superiori, ma venne violentemente redarguito negli Uffici del Comando sia dal Dar.  che dal Con.  , pochi giorni prima della morte (vedi sul punto le dichiarazioni rese anche da Dar.  , dall'odierno imputato e dai colleghi della vittima). Certamente la grande sofferenza in ambito lavorativo concorse a maturare in lui la decisione di togliersi la vita, come peraltro risulta dal suo ultimo drammatico scritto.

Si è sin qui delineata la condotta delittuosa del Dar. Le., quale presupposto fattuale, logico e giuridico per la valutazione del concorrente nel reato Con. Ma. . Certamente il capitano era a conoscenza dei quotidiani soprusi posti in essere dal maresciallo ai danni dei suoi subordinati. Tanto hanno dichiarato il Greco, il Mastronardi e quasi tutti gli altri CC., i quali gli riferirono della condotta del Dar.  e gli evidenziarono per tale motivo l'impossibilità di tollerare oltre quella situazione e la loro precisa volontà di trasferirsi. Egli sapeva che il Dar.  gridava ed aggrediva verbalmente i suoi uomini, che usava un linguaggio estremamente ingiurioso e molto spesso scurrile. Anche nel chiuso del suo ufficio non poteva non udire le urla, che, come testimoniato dai più, si sentivano anche da un piano all'altro del palazzo del Comando, di dimensioni medio - piccole. Egli sapeva anche che il Dar.  minacciava di abbassare le note personali dei CC. e che spesso realizzò tale minaccia. Il Con.   infatti intervenne in occasione della redazione delle note al Carriero, ed assistette, senza intervenire, alla violenta aggressione verbale che ne causò il malore. Nei diversi mesi in cui rimase in posizione apicale all'interno del Comando di Castellaneta non intervenne in alcun modo in aiuto ai militari vessati, ma, come diranno molti, si era creato un muro di cemento armato tra lui ed i carabinieri in servizio presso il Norm, e non certo per volontà di questi ultimi. Con. pretese da tutti i subordinati il rigido rispetto della gerarchia militare, sicché non era consentito a nessuno di parlare con lui se prima non avevano discusso con il maresciallo responsabile del reparto.

La stretta osservanza del protocollo e della gerarchia militare è stata la linea difensiva tenuta dall'imputato Con., espressa anche nella sua memoria difensiva e nelle spontanee dichiarazioni rese all'udienza. L'imputato ha affermato di aver assunto il Comando senza nulla conoscere della personalità del Dar.; di non aver appreso dai suoi predecessori, né dal collega che comandava la Compagnia di provenienza del Dar., né dai suoi superiori di Taranto, alcunché di negativo nei suoi confronti. Ha dichiarato di aver svolto riunioni periodiche con i suoi militari in occasione delle quali non gli venne mai rappresentato nulla, e di aver tenuto la sua porta sempre "aperta" a qualsiasi doglianza; di non sapere in buona sostanza che Dar., per dirla con parole sue, era un `delinquente'.

In merito a tale linea difensiva deve evidenziarsi che molte circostanze risultano smentite dai risultati processuali. E' vero, per come risulta dalla testimonianza del capitano Stifanelli, che nel passaggio delle consegne, avvenuto in modo frettoloso nel settembre 2003 nei giorni in cui il territorio fu colpito da una violenta alluvione, questi non riferì nulla al giovane collega che stava prendendo il suo posto, del comportamento e dei traffici illeciti del Dar., nè che segnalazioni di questo tipo gli vennero fatte dai suoi superiori o erano reperibili, attraverso note scritte nel fascicolo personale del mar. Dar. . Tale mancanza di conoscenza iniziale non appare però scriminante della condotta del Con. . Egli diresse quel comando per circa anno, nel corso del quale ebbe modo di rendersi conto del clima che regnava negli uomini del Norm, e mantenne tale incarico anche dopo la morte del Colaci, quando le vessazioni del Dar.  divennero più crudel e vendicative a seguito delle dichiarazioni rese dai suoi uomini ai CC. di Taranto che stavano indagando sul caso. Illuminante della sua inerzia è l'atteggiamento da lui tenuto in occasione dell'incontro con tutti i militari, a fine giugno del 2004, quando Dar., surrogandosi nella veste istituzionale del Con., parlò ai suoi uomini e disse che, a seguito di quanto era accaduto, `allenatore e presidente (ossia Dar. e Con. ) non si cambiavano, semmai doveva cambiare la squadra ... !' La condotta omissiva del Con. diede mano libera al Dar., che continuò a perpetrare le sue vessazioni. Molti militari hanno dichiarato che il maresciallo "aveva le spalle coperte" e che durante la dirigenza del Con. si sentiva autorizzato a trattarli in malo modo, diversamente da quanto era accaduto con il precedente comandante, Stifanelli. Quanto poi alla tesi del rispetto della scala gerarchica cui erano tenuti i militari che volevano parlare con lui, appare oltremodo evidente che le parti lese non potevano rivolgersi in via gerarchica al Dar. per contestare la sua condotta vessatoria nei loro confronti. Peraltro nessuno dei subordinati ha riferito della prassi di tenere riunioni periodiche e frequenti tra il Con. e tutti i militari di diverso grado. In realtà Con. rifiutò qualsiasi richiesta di aiuto e, anche (quando) questa vi fu, rassicurò i carabinieri della buona personalità del maresciallo, e li invitò a sottostare ai suoi ordini senza contestare. Non cercò, come pure era suo preciso obbligo, di svolgere un'indagine interna, un accertamento in ordine alle inadempienze dei militari, lamentate in maniera strumentale dal maresciallo, non intervenne mai nei confronti del Dar., con la dovuta autorità ed autorevolezza quale suo superiore gerarchico, cercando di modificarne la condotta; né cercò di arginare la sua attività illegale parallela, che lo vedeva coinvolto in situazione affaristiche non confacenti allo stile di vita di un militare, non lo denunciò mai, neanche dopo la morte del Colaci, né penalmente, nè dinanzi ai suoi superiori in sede disciplinare.

Tanto premesso in fatto, occorre valutare se la condotta omissiva del Con., riveste rilevanza penale e se pertanto sia meritevole di sanzione. Il tema è quello del concorso di persone nel reato. Dal punto di vista materialistico è noto il concorso può aver luogo non solo con un'azione, ma anche con una omissione. Per aversi concorso per omissione occorre: - che l'omissione sia concausa della verificazione dell'evento, o quanto meno lo favorisca, o sia quanto meno idonea a favorirla, premesso che l'altrui non facere può assurgere a conditio sine qua non, o rendere più probabile la commissione di un reato; - che tale omissione costituisca violazione di un obbligo giuridico di tenere quel comportamento, il cui compimento avrebbe impedito o resa più ardua o presentata come meno probabile la realizzazione del reato. Ad integrare la fattispecie plurisoggettiva del concorso, a norma dell'art. 40  co.  1 e 110 c.p., basta che l'omissione abbia agevolato o apparisse idonea ad agevolare la causazione del fatto da parte dell'altro concorrente, anche se senza l'omissione il reato sarebbe stato parimenti compiuto. L'obbligo può trovare il suo fondamento in una norma di legge o di regolamento e persino in una disposizione negoziale in forza della quale si impone al soggetto di attivarsi. L'inosservanza dell'obbligo di garantire la protezione del bene, determina una situazione giuridica di parificazione della condotta omissiva al comportamento di colui che lede materialmente il bene protetto. L'esistenza di detto obbligo distingue il concorso per omissione dalla semplice connivenza, nel nostro ordinamento non punibile, che si ha quando un individuo assiste passivamente alla perpetrazione di un reato che ha la possibilità materiale, ma non l'obbligo giuridico di impedire. Con riguardo poi all'elemento psicologico dei concorrenti nel reato, la dottrina prevalente e la giurisprudenza della Suprema Corte hanno escluso la configurabilità di un concorso colposo nel delitto doloso, di talché per aversi concorso nel delitto doloso, quale quello di cui all'art. 40 e 572 c.p., entrambi i concorrenti, ossia il soggetto attivo, e colui cha ha tenuto la condotta omissiva, devono manifestare una condotta dolosa, di tipo diretto, dato dalla coscienza e volontà di determinare l'evento, o quanto meno sorretta dal dolo eventuale, dato dalla rappresentazione dell'evento lesivo e dalla prospettazione del rischio dell'evento, e dall'accettazione del suo verificarsi.

Il capitano Con. , alla data dei commessi reati, ossia dal settembre 2003 al settembre 2004, comandava la Compagnia dei CC. di Castellaneta, ed in base alle norme interne alle Forze firmate e all'ordinamento dei Carabinieri, rivestiva senza dubbio una posizione di garanzia, e più in generale di tutela della legalità, nei confronti di tutti i suoi sottoposti. Egli quindi era chiamato a vigilare non solo sulla regolarità e l'efficienza del servizio svolto dai suoi sottoposti nel territorio di competenza, ma anche sulla normalità e sulla correttezza dei rapporti personali all'interno di ogni nucleo operativo. Aveva l'obbligo giuridico di intervenire e di far cessare i comportamenti vessatori posti in essere dal Dar.  con tutti i mezzi a sua disposizione, richiamando formalmente il suo subordinato, ricorrendo all'autorità giudiziaria e a quella disciplinare. Nulla di tutto ciò fece, tanto che in diverse occasioni i militari furono costretti a chiedere un incontro con il colonnello, comandante provinciale. Ciò rese possibile, all'interno di un Comando di Carabinieri, soggetti deputati per legge al rispetto dell'Ordine sociale e delle leggi, il verificarsi di fatti di totale dispregio della dignità umana e professionale dei singoli. La condotta del Con. non può essere attribuita ad un mero atteggiamento di negligenza o superficialità nella gestione del suo delicato incarico istituzionale, ma appare sorretta dal dolo, sia pure nella forma del dolo eventuale. Egli certamente si rappresentò le conseguenze dell'azione illegale che il Dar.  esercitava in maniera continuativa sui suoi uomini, ed accettò il rischio del loro verificarsi, senza porre in essere alcuna azione idonea ad interrompere in maniera efficace il circuito vessatorio innescato dal suo correo, che tante sofferenze morali causò ai suoi uomini. Certamente tale omissione consenti al Dar.  di proseguire indisturbato nelle sue condotte illecite, nella consapevolezza che le stesse venivano avallate, sia pure tacitamente, dal Comandante.

Quanto alla qualificazione giuridica dei fatti, si rileva che nel procedimento in esame, viene in  rilievo un problema di concorso apparente di norme, tutte, prima facie, applicabili al caso concreto, il P.M. ha infatti contestato il reato di violenza privata., e di maltrattamenti, nonché i delitti di violenza, di ingiuria e minaccia previsti dagli artt. 195 e 196 del c.p.m.p. Con riguardo al concorso tra norme ordinarie e norme speciali, l' art. 15 del c.p. così dispone: "Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale, regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, e salvo che sia altrimenti stabilito". Si ha `specialità’ quando una norma è speciale rispetto all'altra; speciale è la norma che presenta tutti gli elementi della generale con un elemento in più, quale ad es. come nel caso in esame la qualifica di pubblico ufficiale da parte dell'agente. Presupposto per l'applicabilità del delitto di parte speciale, è la perfetta corrispondenza tra le due fattispecie penali, quanto alla condotta e al bene giuridico tutelato. Nel caso che occupa va rilevato che le norme di parte speciale, confacenti quanto alla qualità di pubblico ufficiale dell'indagato, non appaiono perfettamente coincidenti con la norma del codice penale. Invero gli artt. 195 e 196 del c.p.m.p. puniscono la condotta del pubblico ufficiale che usi violenza nei confronti di un subalterno, ovvero lo ingiuria o lo minaccia. L'art. 572 c.p. punisce invece la condotta (rectius, il concorso omissivo) di "chiunque ...maltratta una persona sottoposta alla sua autorità ...o a lui affidata". E' noto che il delitto risulta integrato da una serie di atti lesivi dell'integrità fisica e morale dei sottoposti, in modo tale da rendere abitualmente dolorose e mortificanti le relazioni tra l'autore del reato e le sue vittime. Elemento costitutivo del reato è perciò l'abitualità della condotta e la sua reiterazione per un lasso di tempo apprezzabile, in termini di disvalore sociale. Tali due ultimi delitti di parte speciale devono quindi ritenersi assorbiti in quello più grave previsto dall'art. 572 c.p. Lo stesso dicasi per la contestazione di violenza privata di cui all'art. 610 c.p. che è delitto istantaneo, detta norma ha carattere sussidiario e punisce la condotta di chi, con violenza o minaccia costringe altri a fare, a tollerare o ad omettere qualche cosa. Nel caso di specie le minacce ed i maltrattamenti ai militari venivano adoperate con la coscienza e volontà di sottopone i soggetti passivi a sofferenze fisiche e morali in modo continuo e abituale, e non ad altri fini, di talché tale delitto deve ritenersi assorbito in quello più grave di maltrattamenti.

Quanto alla determinazione della pena, si osserva che il Con.  Ma.  appare senz'altro meritevole delle attenuanti generiche perché soggetto incensurato e privo di carichi pendenti. Occorre inoltre tener conto che all'epoca del commesso reato l'imputato, aveva appena 35 anni ed era privo di solide esperienze pregresse di comando militare, nonostante svolgesse all'interno di quella Compagnia un ruolo di altissima responsabilità. Pena equa da infliggere determinata sulla base dei criteri oggettivi e soggettivi dettati dall'art. 133 c.p. appare quella di mesi sei di reclusione. Pena così determinata: Pena edittale per il reato di cui all'art. 572 c.p., anni uno di reclusione, pena ridotta fino ad un terzo per la concessione delle attenuanti generiche (mesi nove di reclusione), e di un ulteriore terzo per la diminuente di cui all'art. 442 c.p., connessa alla scelta del rito, fino a concorrenza di quella indicata in dispositivo. Alla condanna principale segue, ex lege, l'obbligo del pagamento delle spese processuali. Poiché sussistono i presupposti di cui all' art. 163 c.p. e può presumersi che l'imputato per il futuro si asterrà dalla commissione di ulteriori delitti, la pena come sopra inflitta va sospesa a termini di legge. L'imputato va altresì condannato al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, ai sensi dell'art. 185 co. 2 c.p. E' indubbio, per quanto sopra espresso, che la condotta omissiva dell'imputato ha determinato, ovvero ha concorso a causare gravi sofferenze nei suoi sottoposti, i quali hanno subito un danno biologico e morale. In questa sede non sono emersi, né sono stati offerti elementi di valutazione concreti in ordine all'entità di tali danni, il loro ammontare andrà perciò quantificato dinanzi al giudice civile. Va parimenti rigettata la richiesta di liquidazione di una provvisionale avanzata da due delle parti civili costituite, perché non adeguatamente motivata. Vanno invece determinate in questa sede, e poste a carico dell'imputato, le spese di costituzione in giudizio e difesa, che si liquidano per ciascuna delle parti civili, nelle somme di cui al dispositivo, oltre Iva e Cap come per legge.

P.Q.M.

Visti gli artt. 438, 533, 535, 538 c.p.p.

Dichiara Con. Ma. colpevole del reato di cui agli artt. 40, 110, 572 c.p., in esso assorbite le altre ipotesi delittuose contestate e, con la concessione delle attenuanti generiche, e la diminuente per la scelta del rito, lo condanna alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa a termini e condizioni di legge. Rigetta la richiesta di provvisionale avanzata dal D'Onghia e per Mastronardi. Termine di giorni sessanta per il deposito  della motivazione.

 

Taranto, 25.1.2008 (depositato il 4 marzo 2008).

 

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