Insussistenza del mobbing

 

Tribunale di Ravenna, sez. lav., 31 luglio 2006 - Giud. Riverso - Zama c. Banca Popolare di Verona e Novara.

 

Lavoro subordinato - Mobbing - Nozione - Dequalificazione - Nozione - Responsabilità del datore di lavoro – Insussistenza in fattispecie.

 

Ai fini dell'individuazione della fattispecie di mobbing - pur in mancanza di definizioni normative e nella conseguente genericità ed indeterminatezza degli elementi costitutivi di tale illecito -  non si può prescindere dall'esistenza di alcune condizioni minime, quali un contesto entro il quale il lavoratore possa essere ritenuto vittima di colleghi o di superiori, ovvero la prova di una serie di atti persecutori effettuati al solo scopo di procurare danni al lavoratore in ambito lavorativo. In generale, l'identificazione di eventuali ipotesi di dequalificazione presuppone sempre una valutazione comparativa di qualifiche e mansioni, analizzando in primis i contenuti delle declaratorie contrattuali. (Nella specie, il giudice di primo grado ha escluso la configurabilità, in capo al datore di lavoro, di un disegno persecutorio realizzato mediante i vari comportamenti indicati dal lavoratore come vessatori, poiché nel giudizio non è emerso alcun elemento che potesse integrare una fattispecie di mobbing).

 

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 25 gennaio del 2005 Zama Romano si rivolgeva a questo giudice del lavoro contro La Banca Popolare di Verona sostenendo di essere dipendente della convenuta e che nel 1976 era stato assunto dall'allora Cassa Rurale ed Artigiana di Russi e San Pancrazio; che nel corso del rapporto con la banca convenuta era rimasto vittima di un trasferimento ritorsivo, un provvedimento disciplinare illegittimo, compromissioni della dignità lavorativa, atteggiamenti ostili e mobbizzanti tenuti nei suoi confronti da parte di colleghi e superiori e finalizzati a minarne la professionalità e la serenità, con ripercussione sulla salute.

Chiedeva pertanto che, sulla scorta di tutte le circostanze di fatto e di diritto dedotte in ricorso, venisse accertata la responsabilità delta banca convenuta per il mobbing e demansionamento messo in atto ai suoi danni e che la stessa convenuta venisse condannata al risarcimento di tutti i danni (biologico, esistenziale, morale, professionale), nei termini che risultano dalle conclusioni trascritte in epigrafe. La Banca convenuta si è costituita in giudizio eccependo l'infondatezza di tutte le domande svolte e chiedendo il rigetto integrale del ricorso. La causa è stata istruita con la produzione di documenti e l'assunzione di prove testimoniali; quindi è stata discussa e decisa come da separato dispositivo.

 

Motivi della decisione

1. Il ricorrente deduce l'esistenza della responsabilità risarcitoria della Banca convenuta per una vicenda di mobbing di cui sarebbe stato vittima nel corso del rapporto di lavoro. Ora, pur nella man­canza di definizioni normative, e nella conseguente genericità degli elementi costitutivi di tale fattispecie di illecito, non sembra si possa prescindere, per poter parlare di mobbing, dall'esistenza di alcune condizioni minime quali un contesto dentro cui il lavoratore possa essere ritenuto vittima di colleghi o di superiori; ovvero la prova di una serie di fatti persecutori effettuati al solo scopo di procurare danni al lavoratore in ambito di lavoro; condizioni minime che però nel caso di specie non sussistono.

2. Anzitutto il ricorrente sostiene di essere stato oggetto di un trasferimento illegittimo disposto il 17 marzo 2004, allorché era stato spostato dalla sede di Bologna alla succursale di Russi. Secondo il ricorrente il trasferimento sarebbe stato ritorsivo, immotivato e dequalificante.

Le prove in atti non consentono di condividere tale valutazione essendo emerso invece che il trasferimento fosse sostenuto da esigenze oggettive di natura organizzativa, a seguito di riorganizzazione della filiale di Russi e della risoluzione del rapporto della precedente responsabile.

3. Neppure è vero che il ricorrente sia stato dequalificato in conseguenza del disposto trasferimento; perché egli mantenne, sia nell'una e che nell'altra sede, lo stesso ruolo di «coordinatore operativo»; mentre non è vero che egli a Bologna fosse responsabile del personale come infondatamente si sostiene in ricorso. Lo stesso più ridotto numero di dipendenti da coordinare (da 19 a 11) non può costituire di per sé un elemento determinante, tale da integrare il concetto di dequalificazione; basti ricordare in proposito che il giudizio sulle mansioni postula la ricostruzione di quelle caratterizzanti e preminenti sul piano dei contenuti professionali attraverso un giudizio complesso che è affidato a vari indici (di natura quantitativa ma soprattutto di natura qualitativa). Va aggiunto che pure le ulteriori doglianze circa la mancanza di ruolo, mansioni, scrivania sono rimaste prive di fondamento. Così come le asserite denigrazioni ed ilarità di cui il ricorrente sarebbe stato vittima ad opera di colleghi di lavoro; mentre appare irrilevante in questa ottica il fatto che la sede di Russi fosse quella del paese in cui il ricorrente, avesse iniziato la propria attività professionale molti anni prima. Anche l'affermazione di aver svolto mansioni normalmente assegnate a dipendenti con livello di inquadramento molto inferiore, è destituita di fondamento. In realtà sul punto va sottolineato più in generale che qualsiasi discorso attorno alla dequalificazione presuppone sempre una valutazione comparativa di qualifiche e mansioni, partendo anzitutto dai contenuti delle declaratorie contrattuali; cosa che qui è mancata già a livello di allegazione e che appare perciò preclusiva di qualsivoglia ulteriore valutazione.

Né d'altra parte tale corretto modus procedendi potrebbe essere surrogato dal fatto di aver dedotto la dequalificazione quale elemento costitutivo di una vicenda di mobbing.

4.  Il ricorrente ha operato presso la Filiale di Russi per circa 8 mesi dopo di che è stato adibito come personale viaggiante per la sostituzione di collaboratori assenti; anche il conferimento di tale compito non può considerarsi punitivo o denigratorio essendo avvenuto col consenso espresso dello stesso ricorrente.

5.   Per quanto concerne la vicenda relativa ad una sanzione disciplinare va subito rilevato che trattasi di questione risalente a più di tre anni prima dal trasferimento: ed in secondo luogo che la stessa sanzione non venne, mai neppure irrogata. Ad ogni modo è impossibile trovare un nesso logico tra questo fatto e quelli dedotti a partire dal 2004 che avrebbero concretizzato l'inesistente mobbing.

6.  Va pure ricordato che la Filiale di Russi era la più vicina alla residenza del ricorrente a Faenza; e che è del pari legittima la revoca del rimborso spese forfettario effettuata dalla banca a termini di contratto, a seguito del trasferimento a Russi.

Non esiste perciò nel giudizio alcun contesto che possa configurare un caso di mobbing ai danni del ricorrente. Il ricorso va dunque respinto. (Omissis).

 

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