Rigetto del reclamo per il non accoglimento del ricorso ex art. 700 c.p.c. per mancata prova di danno professionale da dequalificazione

 

Tribunale di Roma, sez. lav., 23 gennaio 2006 (ord.) –Pres. Gallo – Rel. Mucci - C. C. (avv. D. e G.N. D’Amati) c. Trenitalia SpA (avv. Morrico, Cosentino)

 

Dequalificazione – Necessità della prova del danno al bagaglio professionale, all’immagine ed alle chances di carriera – Mancata prova in fattispecie.

 

Altro è provare l’avvenuto demansionamento, altro è provare – o comunque fornire validi elementi di convincimento mediante presunzioni gravi precise e concordanti – la sussistenza dei danni ulteriori riconnessi al demansionamento (ancora una volta: il pregiudizio al bagaglio professionale, all’immagine professionale nella collettività aziendale ed extraziendale, alle chances di carriera, alla salute ed alla vita di relazione).

Posto infatti che non ogni modifica quantitativa delle mansioni, con riduzione delle stesse, si traduce automaticamente in una dequalificazione professionale (Cass., Sez. Lav., 4.8.2000, n. 10284) e che, in relazione alla speciale posizione dei dirigenti apicali – quali il C. – non può pretermettersi la considerazione del peculiare elemento fiduciario che ne connota il rapporto di lavoro (Cass., Sez. Lav., 22.8.2003, n. 12365), nonché la professionalità particolarmente elevata e poliedrica correlata a tali posizioni, deve ribadirsi, in linea con l’orientamento più rigoroso sul punto, che “l’assegnazione dei dipendenti a mansioni inferiori rispetto a quelle proprie del loro livello contrattuale non determina di per sé un danno risarcibile ulteriore rispetto a quello costituito dal trattamento retributivo inferiore cui provvede, in funzione compensatoria, l’art. 2103 c.c., il quale stabilisce il principio dell’irriducibilità della retribuzione, nonostante l’assegnazione e lo svolgimento di mansioni inferiori e meno pregiate di quelle già attribuite, giacché deve escludersi che ogni modificazione delle mansioni in senso riduttivo comporti una automatica dequalificazione professionale, connotandosi quest’ultima, per sua natura, per l’abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore con una sottoutilizzazione delle sue capacità e una consequenziale apprezzabile menomazione – non transeunte – della sua professionalità, nonché con perdita di chance ovvero di ulteriori potenzialità occupazionali o di ulteriori possibilità di guadagno. Ne consegue che grava sul lavoratore l’onere di fornire la prova, anche attraverso presunzioni, dell’ulteriore danno risarcibile, mentre resta affidato al giudice del merito – le cui valutazioni, se sorrette da congrua motivazione, sono incensurabili in sede di legittimità – il compito di verificare di volta in volta se, in concreto, il suddetto danno sussista, individuandone la specie e determinandone l’ammontare, eventualmente con liquidazione in via equitativa” (Cass., Sez. Lav., 8.11.2003, n. 16792: in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, accertato il demansionamento dei lavoratori, aveva per ciò solo ritenuto sussistente un danno risarcibile ulteriore rispetto a quello costituito dalla diminuzione della retribuzione, liquidandolo in via equitativa; adde App. Milano, 21.10.2003: “il demansionamento con violazione dell’art. 2103 c.c. non comporta automaticamente il diritto del lavoratore al risarcimento del danno biologico né il diritto al risarcimento del danno per dequalificazione professionale, presupponendo, viceversa, il primo, la specifica allegazione e la prova di un nesso di causalità tra demansionamento e danno al bene salute ed il secondo la dimostrazione del nesso tra violazione del dovere e diminuzione della capacità professionale, ancorché tale prova possa essere raggiunta anche attraverso presunzioni purché gravi, precise e concordanti”).

 

 

IL TRIBUNALE

visto il reclamo depositato il 7.12.2005 con il quale C. C. ha chiesto, in riforma dell’ordinanza cautelare ex art. 700 c.p.c. resa dal Tribunale di Roma – I Sezione Lavoro il 27-28.10.2005 (cron. 28843), comunicata l’11.11.2005, “ordinare alla Trenitalia S.p.A., in persona del legale rappresentante, di adibire il reclamante all’attività lavorativa con le mansioni dirigenziali di direttore della Direzione Relazioni Esterne, da lui svolte sino al marzo 2005, o con altre mansioni equivalenti”; vista la memoria depositata il 4.1.2006 con la quale Trenitalia s.p.a. ha eccepito l’inammissibilità del reclamo e chiesto, in ogni caso, la reiezione del reclamo; visti gli atti del procedimento cautelare iscritto al n. 255400/2005 R.G.A.C., definito con l’ordinanza reclamata;

sentite le parti all’udienza del 13.1.2006;

sentito il relatore in camera di consiglio;

sciogliendo la riserva, osserva quanto segue.

 

1. C. C., giornalista professionista direttore della Direzione Relazioni esterne di Trenitalia s.p.a. dal 4.7.2001 fino al marzo 2005, ha dedotto in prime cure: che aveva acquisito, prima dell’assunzione presso Trenitalia, una specifica competenza professionale nell’attività di relazioni esterne come dirigente della società Ilva e, successivamente, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato; che, una volta assunto presso Trenitalia, aveva provveduto, con autonomi poteri decisionali, ai rapporti con gli organi di informazione, ai rapporti istituzionali con gli enti locali, ai rapporti con le associazioni di consumatori e di disabili, all’editoria aziendale, a mostre, fiere e convegni, al coordinamento dell’attività pubblicitaria; che era stato munito di procura e preposto a circa 40 dipendenti, tra cui 6 dirigenti, con il compito altresì di coordinare l’attività degli uffici per i rapporti esterni inseriti nella Divisione passeggeri; che la sua attività si era concretizzata nel dare disposizioni in ordine alle informazioni da diffondere ed alla realizzazione delle iniziative promozionali e di pubbliche relazioni, mantenendo personalmente i rapporti con la stampa, gli enti e le associazioni di categoria e decidendo, nell’ambito di un budget annuale superiore ad € 2.000.000,00 assegnatogli, le spese relative a sponsorizzazioni, alla partecipazione a convegni e fiere ed alla pubblicità istituzionale; di aver partecipato al comitato esecutivo di Trenitalia; di aver conseguito incentivi ed aumenti di merito per l’attività svolta; che nell’autunno 2004 la stampa aveva dato rilievo alle proteste dei pendolari per ritardi e disservizi, mentre ulteriori commenti negativi sulla stampa erano seguiti all’incidente del 7.1.2005 presso Crevalcore dove erano morti 17 pendolari; che nel corso di una riunione del 9.2.2005 il nuovo amministratore delegato gli aveva rivolto “in tono concitato, aspri rilievi per avere egli difeso l’operato di una dipendente F.S., ed è giunto al punto di afferrarlo per un braccio scuotendolo a lungo e violentemente fra l’imbarazzo dei presenti”; che in un colloquio svoltosi il 18.2.2005 l’amministratore delegato “ha comunicato al ricorrente l’intenzione di sostituirlo nel suo incarico, affermando che egli era ‘troppo per bene’ e che gli serviva ‘una persona più spregiudicata’”; che il giorno successivo il quotidiano “Italia Oggi” aveva dato la notizia che l’amministratore delegato di Trenitalia aveva trovato un nuovo manager per la comunicazione; che con ordine di servizio del 1°.4.2005 era stato rimosso dall’incarico e nominato titolare della nuova struttura Regolazione di mercato, all’uopo istituita, avente il compito di assistere il vertice nel processo di analisi e monitoraggio del mercato della concorrenza e della normativa nazionale ed internazionale di regolazione di mercato allo scopo di garantire la tutela di Trenitalia anche attraverso il ricorso all’Autorità garante della concorrenza e del mercato; che nel nuovo incarico non gli erano stati assegnati dipendenti, supporti organizzativi, budget e procure; che era stato escluso dal comitato esecutivo e mantenuto in condizioni di forzata inoperosità e di emarginazione dall’attività lavorativa; che, per effetto di dette vicende, dal febbraio 2005 era stato colpito da disturbo acuto da stress, con ripercussioni sul sistema cardiocircolatorio ed altri riflessi psicosomatici; che “la brusca rimozione del ricorrente dall’incarico di Direttore delle Relazioni Esterne Trenitalia e la sua totale emarginazione dall’attività lavorativa, con attribuzione di un ruolo fittizio e non conforme alla sua professionalità sono state interpretate dalla collettività professionale e aziendale come segno di grave insoddisfazione dell’azienda per la sua attività; l’allontanamento dagli ambienti in precedenza frequentati e la lesione causata alla sua immagine stanno producendo al ricorrente un grave pregiudizio nella sua vita di relazione nonché un doloroso turbamento esistenziale; egli sta altresì progressivamente perdendo il bagaglio di conoscenze e l’avviamento professionale in precedenza acquisiti”; che l’incarico di titolare della struttura Regolazione di mercato era di livello qualitativo nettamente inferiore a quello, precedentemente rivestito, di direttore delle Relazioni esterne, nonché inadeguato alla qualifica dirigenziale, come determinata dall’art. 1 c.c.n.l. per i dirigenti di aziende industriali, e non conforme alla sua esperienza e qualificazione professionale; che infatti il nuovo incarico comportava lo svolgimento di attività impiegatizia e di monitoraggio, analisi e documentazione, nonché di comunicazione con le strutture della capogruppo, senza reali poteri decisionali e di rappresentanza dell’azienda, nell’ambito di una struttura fittizia, creata ad hoc per dargli una formale collocazione; che inoltre la materia della regolamentazione di mercato rientrava nella competenza di altre direzioni; che gravemente lesive della sua dignità e immagine erano da ritenersi le modalità di attuazione della rimozione, “intervenuta subito dopo la conferma da parte del Consiglio di Amministrazione, del suo incarico di Responsabile della Direzione Relazioni Esterne, come se improvvisamente fossero emerse sue gravi inadempienze”; che sussisteva il pericolo di un pregiudizio imminente ed irreparabile del diritto “a) di non subire un’ulteriore dequalificazione con perdita irreparabile della sua professionalità; b) di por termine ad una situazione gravemente lesiva della sua dignità personale e professionale; c) di non subire ulteriormente un grave disagio esistenziale; di recuperare la salute compromessa dall’illegittimo comportamento dell’azienda”.

Trenitalia s.p.a. ha replicato: che nella specie non sussisteva il requisito del periculum in mora poiché al riguardo parte ricorrente non aveva fornito un benché minimo principio di prova circa la sussistenza di un pregiudizio imminente ed irreparabile conseguente all’attesa del decorso del tempo necessario per far valere il diritto nelle vie ordinarie; che, in particolare, non poteva ritenersi nell’asserito demansionamento un danno in re ipsa alla professionalità del C., essendo necessaria la prova diretta, o almeno per presunzioni attendibili ex art. 2729 c.c., che l’inattività o l’attività in mansioni deteriori avesse determinato una riduzione dell’attitudine lavorativa; che il nuovo incarico non avrebbe impedito al ricorrente l’utilizzo del suo pregresso bagaglio professionale, richiedente del resto “più che mai l’esercizio da parte dello stesso dei poteri di impulso, di iniziativa ed organizzativi propri della dirigenza per poter ampliare la struttura assegnatagli”; che in ogni caso il C. era stato mantenuto nella posizione di dirigente apicale e che, pertanto, non poteva “trincerarsi dietro il fatto che non gli sono state assegnate risorse alle sue dipendenze. La struttura avrebbe dovuto ampliarla lui, utilizzando proprio quel bagaglio professionale di cui è in possesso e che oggi, per sua inattività e per una precostituita presa di posizione, non utilizza non per mancanza di incarichi, ma per una sua colpevole inoperosità”; che in definitiva la via cautelare azionata dal C. era strumentale non alla prevenzione del pregiudizio grave ed irreparabile, “ma per sopperire ad un disagio ritenuto tale dal lavoratore”, ché “in questo modo il presupposto del procedimento (cd. periculum in mora) verrebbe privato di qualsiasi valore, in quanto qualunque provvedimento datoriale, modificando una situazione preesistente, comporta pur sempre un disagio più o meno intenso e verrebbe così a confondersi con il presupposto del fumus boni iuris”; che nella specie nemmeno sussisterebbe tale secondo requisito, attesa la piena legittimità del comportamento datoriale; che, in particolare, Trenitalia aveva conosciuto una profonda ristrutturazione con notevoli ricadute sulle unità dirigenziali e creazione di nuove direzioni e della funzione Regolazione di mercato, ritenuta – quest’ultima – “posizione destinata ad avere un notevole sviluppo e una preminenza strategica per la società in quanto importante per orientare le scelte di mercato”, che il C. era stato assunto nel luglio 2001 come responsabile della Comunicazione di mercato, struttura di nuova costituzione con sole 7 unità addette e sviluppatasi negli anni; che nel marzo 2005 la Direzione Comunicazione di mercato diveniva Direzione Relazioni esterne, con un organico totale di 29 persone, di cui 4 dirigenti, a capo della quale rimaneva solo formalmente e per pochi giorni il ricorrente, poi sostituito dall’11.4.2005 da altro dirigente, al quale venivano assegnate le sole relazioni con le istituzioni ambientalistiche, la progettazione e organizzazione di eventi e le sponsorizzazioni; che la nuova funzione Regolazione di mercato riportava direttamente all’amministratore delegato ed era stata affidata al C. in virtù delle sue pregresse esperienze presso l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato; che il ricorrente aveva conservato il precedente ufficio ed usufruiva di due segretarie; che il ricorrente era stato coinvolto nelle iniziative aziendali, ma sempre si era trincerato dietro la “mancanza di una struttura, di un budget e di dipendenti a sua disposizione, pur sapendo che l’assegnazione di un budget nasce dalla richiesta del dirigente preposto alla funzione e dalle iniziative ed attività che tale dirigente si propone di compiere”; che le funzioni attribuite al C. erano “idonee a consentire l’utilizzazione, il perfezionamento e l’accrescimento del patrimonio professionale già acquisito dallo stesso, ma ovviamente necessitano di una partecipazione attiva del ricorrente” il quale, invece, pur essendo dirigente apicale, si era reso “totalmente inadempiente sospendendo ogni attività lavorativa o rifiutandosi di svolgerla in quanto ritenuta dequalificante o non di suo gradimento”.

Con l’ordinanza cautelare reclamata il ricorso del C. è stato respinto, con compensazione delle spese, per insussistenza del periculum in mora, profilo ritenuto assorbente rispetto allo scrutinio del fumus boni iuris. Il giudicante ha osservato che “il ricorrente ha posto all’attenzione di questo tribunale, a giustificazione dell’adozione della procedura d’urgenza, generici pregiudizi alla salute, all’immagine e alla vita di relazione, senza però fornire in concreto elementi incontrovertibili per convincere il tribunale che la mancata adozione di un provvedimento d’urgenza rechi al lavoratore pregiudizi imminenti e irreparabili. In particolare, non emergono nel caso di specie irreparabili pregiudizi economici, come si evince dalla circostanza che lo stesso ricorrente non ha dedotto alcuna decurtazione retributiva nella vicenda che lo riguarda e per la quale ha promosso questo giudizio”.

 

2. Parte reclamante censura l’ordinanza svolgendo quattro motivi di doglianza. In primo luogo, il giudice di prime cure avrebbe omesso di considerare che il C. aveva svolto fino al 31.5.2005 un incarico di elevato livello con ampi poteri e responsabilità, poteri e responsabilità dalla cui valutazione non può prescindersi ai fini dell’apprezzamento della gravità delle lesioni lamentate. In secondo luogo, dalla successione degli eventi che avevano portato alla rimozione del C. dall’incarico di direttore delle Relazioni esterne doveva trarsi la sussistenza di un grave danno all’immagine patito dal reclamante di fronte alla collettività professionale. In terzo luogo, il giudice di prime cure non avrebbe considerato la manifesta inadeguatezza e fittizietà dell’incarico successivamente affidato, dal 1°.4.2005, al C. di addetto alla funzione Regolazione di mercato, tra l’altro non costituita in Direzione, ma avente funzioni di supporto alla Direzione Affari legali ed alla Direzione Marketing, di talché, da un lato, il C. non avrebbe avuto nessuna funzione propositiva e di impulso nei confronti delle altre strutture dirigenziali, bensì meri compiti di assistenza, analisi, monitoraggio e raccolta di documentazione e, da altro lato, il reclamante aveva chiesto invano al direttore del Personale, con lettera del 26.4.2005, l’assegnazione di locali e di personale per lo svolgimento dei nuovi compiti. In quarto ed ultimo luogo, il giudice di prime cure avrebbe omesso di considerare che il C. aveva dedotto puntualmente in ricorso la sussistenza di un pregiudizio imminente ed irreparabile connesso al deterioramento delle condizioni di salute a sua volta dovuto all’insorgenza di una patologia da stress con depressione maggiore, impotenza, insonnia primaria e secondaria, nonché varie somatizzazioni, chiedendo l’assunzione di sommarie informazioni, pur potendo in materia farsi ricorso alle presunzioni. Conclude nei sensi surriferiti.

Parte reclamata reitera le argomentazioni svolte in sede di procedimento ex art. 700 c.p.c. e si riporta integralmente al contenuto del decisum cautelare reclamato. Eccepisce in limine l’inammissibilità del reclamo poiché tardivamente depositato.

 

3. L’eccezione di inammissibilità del reclamo non ha pregio.

Ed invero, l’ordinanza reclamata non risulta notificata integralmente a parte reclamante, alla quale è stato soltanto comunicato il dispositivo con avviso di cancelleria dell’11.11.2005. Non ricorrono, pertanto, le condizioni di cui al combinato disposto degli artt. 669 terdecies c.p.c. e 739, co. 2, c.p.c. per la declaratoria di decadenza per lo spirare del termine perentorio di dieci giorni ivi previsto, mai decorso.

Giova in ogni caso osservare, per completezza, che non vi è evidenza documentale alcuna circa la data della comunicazione dell’ordinanza reclamata (25.11.2005) indicata da parte reclamata.

 

4. Ciò chiarito, il reclamo è, nondimeno, infondato.

 

4.1. E’ noto come la più recente ed avvertita giurisprudenza in materia di danno da dequalificazione professionale abbia da ultimo affermato – specialmente alla luce dell’attuale sviluppo dinamico delle relazioni economiche e della connessa competitività tra gli organismi imprenditoriali – originali linee ricostruttive del fenomeno incentrate, in sostanza, sull’assorbente rilievo della tutela della dignità del lavoratore anche rispetto (almeno in tesi generale e salvo verifica in fatto) alle esigenze datoriale di ottimale composizione del fattore-lavoro nel contesto della missione imprenditoriale.

Siffatte acquisizioni ermeneutiche sono state sviluppate all’interno di una logica squisitamente pattizia, di tipica sinallagmaticità del contratto di lavoro: il lavoratore ha diritto, in sintesi, ad esplicare le mansioni pattuite e l’onere della prova contraria incombe, semmai, sul datore di lavoro. D’altro canto, la tutela costituzionale della personalità umana sui luoghi di lavoro ex artt. 1 e 2 Cost. (Cass., Sez. Lav., 12.11.2002, n. 15868) arricchisce tale peculiare posizione soggettiva in termini di diritto alla piena esplicazione del c.d. bagaglio professionale acquisito, come tale suscettibile di progressivo affinamento, utilizzandosi a tal fine la clausola generale di cui all’art. 2087 c.c. Detto valore costituzionale conforma così il permanente potere privato datoriale che – come tale, ma purché aggiornato e riletto alla luce dei cennati valori costituzionali – esige certamente l’adempimento da parte del lavoratore degli inderogabili obblighi di diligenza e fedeltà.

Viene così ricostruita in capo al lavoratore una posizione soggettiva complessiva, di ampia latitudine applicativa: ed infatti condivisibilmente parte reclamante sviluppa il proprio iter argomentativo richiamando non solo il (preteso) demansionamento tout court, da valutarsi alla stregua dell’art. 2103 c.c., ma altresì i connessi (e qualificanti, per quel che si è testé osservato) profili del “pregiudizio professionale causato dalla mancata partecipazione all’attività aziendale”, della “compromissione della vita di relazione e della salute del ricorrente” e della ritenuta idoneità del lamentato demansionamento “a determinare danni irreversibili anche in termini di possibilità di carriera e/o di adeguato collocamento presso altra azienda” (cfr. p. 24 del reclamo).

 

4.2. Nondimeno, altro è provare l’avvenuto demansionamento, altro è provare – o comunque fornire validi elementi di convincimento mediante presunzioni gravi precise e concordanti – la sussistenza dei danni ulteriori riconnessi al demansionamento (ancora una volta: il pregiudizio al bagaglio professionale, all’immagine professionale nella collettività aziendale ed extraziendale, alle chances di carriera, alla salute ed alla vita di relazione).

Posto infatti che non ogni modifica quantitativa delle mansioni, con riduzione delle stesse, si traduce automaticamente in una dequalificazione professionale (Cass., Sez. Lav., 4.8.2000, n. 10284) e che, in relazione alla speciale posizione dei dirigenti apicali – quali il C. – non può pretermettersi la considerazione del peculiare elemento fiduciario che ne connota il rapporto di lavoro (Cass., Sez. Lav., 22.8.2003, n. 12365), nonché la professionalità particolarmente elevata e poliedrica correlata a tali posizioni, deve ribadirsi, in linea con l’orientamento più rigoroso sul punto, che “l’assegnazione dei dipendenti a mansioni inferiori rispetto a quelle proprie del loro livello contrattuale non determina di per sé un danno risarcibile ulteriore rispetto a quello costituito dal trattamento retributivo inferiore cui provvede, in funzione compensatoria, l’art. 2103 c.c., il quale stabilisce il principio dell’irriducibilità della retribuzione, nonostante l’assegnazione e lo svolgimento di mansioni inferiori e meno pregiate di quelle già attribuite, giacché deve escludersi che ogni modificazione delle mansioni in senso riduttivo comporti una automatica dequalificazione professionale, connotandosi quest’ultima, per sua natura, per l’abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore con una sottoutilizzazione delle sue capacità e una consequenziale apprezzabile menomazione – non transeunte – della sua professionalità, nonché con perdita di chance ovvero di ulteriori potenzialità occupazionali o di ulteriori possibilità di guadagno. Ne consegue che grava sul lavoratore l’onere di fornire la prova, anche attraverso presunzioni, dell’ulteriore danno risarcibile, mentre resta affidato al giudice del merito – le cui valutazioni, se sorrette da congrua motivazione, sono incensurabili in sede di legittimità – il compito di verificare di volta in volta se, in concreto, il suddetto danno sussista, individuandone la specie e determinandone l’ammontare, eventualmente con liquidazione in via equitativa” (Cass., Sez. Lav., 8.11.2003, n. 16792: in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, accertato il demansionamento dei lavoratori, aveva per ciò solo ritenuto sussistente un danno risarcibile ulteriore rispetto a quello costituito dalla diminuzione della retribuzione, liquidandolo in via equitativa; adde App. Milano, 21.10.2003: “il demansionamento con violazione dell’art. 2103 c.c. non comporta automaticamente il diritto del lavoratore al risarcimento del danno biologico né il diritto al risarcimento del danno per dequalificazione professionale, presupponendo, viceversa, il primo, la specifica allegazione e la prova di un nesso di causalità tra demansionamento e danno al bene salute ed il secondo la dimostrazione del nesso tra violazione del dovere e diminuzione della capacità professionale, ancorché tale prova possa essere raggiunta anche attraverso presunzioni purché gravi, precise e concordanti”).

Peraltro, anche volendo ravvisare un danno in re ipsa nel fatto stesso del demansionamento, sotto il profilo della lesione del diritto all’esplicazione della propria professionalità, in sede di urgenza il ricorrente deve pur sempre provare l’esistenza di un pregiudizio irreparabile, non sussistendo automaticamente l’irreparabilità del danno in ogni ipotesi di demansionamento, occorrendo invece valutare in concreto la gravità del pregiudizio, sulla scorta di elementi quali, ad esempio, il divario di livello tra vecchie e nuove mansioni e la durata del demansionamento. A tale proposito, nella fattispecie il C. avrebbe dovuto fornire elementi concreti da cui desumere l’impossibilità per il C. stesso di conservare integro il bagaglio professionale acquisito, presupposto indefettibile per ottenere tutela in sede cautelare.

In effetti, la sussistenza di danni ulteriori rispetto al pregiudizio patrimoniale, come tali non suscettibili di ristoro per equivalente, risulta profilo evidentemente assorbente ove si solleciti – come nel caso di specie – la tutela cautelare: “L’assegnazione di mansioni inferiori rispetto al livello di inquadramento non costituisce e non comporta di per sé, sempre, un pregiudizio irreparabile, tutelabile in via d’urgenza. Sul punto, appaiono condivisibili le argomentazioni del giudice che nella prima fase ha ravvisato, nel caso di specie, la insussistenza del requisito del periculum, in ragione della mancata allegazione di circostanze precise, puntuali e concrete idonee a dimostrare che la professionalità delle mansioni espletate dal reclamante sia soggetta a rapida obsolescenza” (così Trib. Roma, ord. 22.4.2005, Mir Moini contro La 7 Televisione s.p.a., inedita; nello stesso senso cfr. Trib. Roma, ordd. 29.7.2005, Splendori contro Agenzia delle Entrate, Pucci contro Telecom s.p.a. e Di Maurizio contro Ospedale S. Giovanni Calibita, tutte inedite).

 

4.3. Orbene, alla stregua di una valutazione sommaria propria della presente fase, non appaiono sussistenti i lamentati profili di danno ulteriore.

Infatti, anche nel nuovo incarico di responsabile della funzione Regolazione di mercato C. C. è stato mantenuto nella posizione di dirigente apicale, riportante direttamente all’amministratore delegato, senza variazioni di trattamento retributivo. Detto incarico è coerente con la qualificazione professionale del C. e con le sue pregresse esperienze lavorative presso l’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato. Parte reclamante deduce la perdita di professionalità conseguente all’incarico (ritenuto) deteriore ed il danno all’immagine professionale del C. presso la collettività aziendale conseguente alle modalità di passaggio del C. al nuovo incarico, ma a ben vedere non è dato desumere dagli atti, nonché dalle contrapposte allegazioni, elementi obiettivi di convincimento – sia pure per via di sommaria valutazione – deponenti nel senso di un’irreversibile perdita del bagaglio professionale ovvero delle relazioni professionali maturate; mero asserto, affatto indimostrato, è poi quello per il quale nella nuova posizione il C. si vedrebbe leso irrimediabilmente nelle proprie aspirazioni di carriera sia all’interno di Trenitalia che in altra azienda; nessun ulteriore e generico danno all’immagine presso la collettività aziendale può fondatamente sostenersi in relazione alle modalità di destinazione del C. al nuovo incarico. In altri termini, nessun concreto elemento viene indicato da parte reclamante al fine di apprezzare oggettivamente la lamentata dequotazione del bagaglio professionale e la perdita di chances obiettive di affinamento professionale e di miglioramento di carriera.

Quanto al preteso danno alla salute, parte reclamante ha prodotto due certificati medici: uno attestante un “disturbo … da stress. Si consiglia terapia adeguata e riposo per sette giorni”, peraltro risalente al 22.2.2005 (epoca in cui il C. aveva avuto il “concitato” incontro con l’amministratore delegato descritto a p. 3 del ricorso cautelare, ma era poi stato confermato, con accresciuti poteri, nell’incarico di direttore delle Relazioni esterne: cfr. pp. 3-4 del ricorso cautelare); l’altro del 27.9.2005, attestante uno “stato psicopatologico di Depressione Maggiore” in cura dal 5.4.2005 (ovverosia appena cinque giorni dopo il passaggio del C. al nuovo e “dequalificante” incarico). Ebbene, la scansione temporale di detti certificati non consente di ritenere, neppure in termini di verosimiglianza, la sussistenza di un obiettivo nesso di causalità tra lamentato demansionamento ed insorgenza di disturbi da stress o di depressione.

 

5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

 

6. In considerazione della complessità della fattispecie si ravvisano giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese del procedimento cautelare.

P.Q.M.

visto l’art. 669 terdecies c.p.c., così provvede:

1) rigetta il reclamo;

2) spese compensate.

Si comunichi.

 

Roma, 23 gennaio 2006.

 

IL GIUDICE ESTENSORE

Roberto Mucci

IL PRESIDENTE

Fabio Massimo Gallo

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