DEQUALIFICAZIONE E MOBBING NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Tribunale di Siena (sez. lavoro, 1° grado) 19 aprile 2003 – Giud. Cammarosano – ALBA (avv. Pisaneschi, Del Punta, Lovo) c. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI (dr. Addeo, dr. Cubeddu)
Dequalificazione
professionale e bossing – Fattispecie – Ricorrenza di danno alla
professionalità, da perdita di “chances”, danno esistenziale, danno
biologico - Su basi presuntive ex art. 2729 c.c. – Conseguente liquidazione
equitativa.
Il ricorrente ha subito un significativo svuotamento delle proprie mansioni con dequalificazione e danno della propria professionalità.
Si tratta di
una professionalità di spessore apprezzabile, per rilevante periodo di tempo
mortificata, con danno evidente (se si vuole, presuntivamente dimostrato) alla
medesima, consistito nell'impoverimento della capacità professionale acquisita
dal lavoratore e nella mancata acquisizione di una maggiore capacità.
Né può essere esclusa
la verificazione di un danno "per perdita di chance, ossia di ulteriori
possibilità di guadagno", di difficile individuazione e determinazione, ma
con assai ragionevole probabilità correlato a vicende similari.
A mezzo di valutazione
equitativa (artt. 1226 c.c, 432 cpc), stante l'estrema difficoltà, se non vera
e propria impossibilità probatoria della quantificazione, può del tutto
prudenzialmente determinarsi un danno patrimoniale alla professionalità di €
10.000,00, in valori attuali.
In conseguenza della
lesione ingiustamente subita alla sfera della sua personalità e professionalità
in ambito lavorativo per effetto del comportamento del proprio datore, il
ricorrente ha riportato un danno "esistenziale" (distinto da quello
"biologico ")(cfr. Cass. 2000/n. 7713), incidente quotidianamente,
per apprezzabile periodo di tempo, sul complesso dei rapporti facenti capo alla
persona, al suo modo di essere, di atteggiarsi mentalmente, di comportarsi e
relazionarsi, danno cagionato dalla frustrazione subita, dalle speranze ed
aspettative deluse, dalla perdita di autostima (l'opinione che il soggetto ha di
se stesso e delle proprie capacità) per l'emarginazione, mortificazione ed
umiliazione sopportate.
Certamente sussistente, inoltre, una componente di danno "all'immagine" del lavoratore essenzialmente in ambito professionale (se vogliamo, riconducibile all'ampia categoria del danno esistenziale, come il danno "alla vita di relazione").
A mezzo di valutazione equitativa, può
riconoscersi al titolo predetto un danno di € 3.500,00, in valori attuali.
Sul piano sanitario
(danno "biologico") non disponiamo tuttavia di dati di consistenza
tale da suggerire un approfondimento medico-legale del tema, limitandosi i
medesimi, infatti, alla deduzione di una "sindrome ansioso depressiva su
base reattiva" documentata per la prima volta in giudizio, a mezzo del
certificato 30/4/02 del primario dell'U.O. di Psichiatria dell'Azienda USL 7,
dott. A. Addabbo ("quadro depressivo con disturbi dell'adattamento").
Possiamo dunque ragionevolmente ritenere dimostrata sul piano dell'integrità psico-fisica una sofferenza psichica temporanea (manifestazioni psicosomatiche, sindrome ansiosa, fissazione del pensiero sul proprio problema) adeguatamente risarcita equitativamente in € 3.500,00, espressi in valori attuali.
Svolgimento del
processo ed elementi del fatto.
Umberto Alba (ricorso
depositato il 12/3/02) c. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Umberto Alba venne
assunto dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale nel 1973,l'1/3.
Senza qui ripercorrere
tutta la sua storia lavorativa, rileviamo soltanto che al culmine di un
percorso professionale ascendente (più ampiamente v. pp. 1-2 ricorso; p. 2 note
difensive finali), con ordine di servizio 1/7/96, n. 18, in qualità di
assistente amministrativo, 6° q.f., Umberto Alba, a decorrere dal successivo
3/7, assunse, per disposizione del direttore Luigi Antonucci, "la pienezza
delle funzioni vicarie con poteri di coordinamento e di firma della generalità
degli atti, sostituendo la dott.ssa Panci Elisabetta, direttore Amministrativo,
9° q.f., Responsabile della Sezione Circoscrizionale per l'Impiego ed il
Collocamento in Agricoltura di Poggibonsi, durante le sue assenze dal servizio
a qualunque titolo esse siano" (doc. 1 p.a.).
Con nota 4/3/02 il
direttore Berloco comunicava al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
che Umberto Alba era stato nominato reggente ad interim della Sezione
Circoscrizionale di Poggibonsi dall' 1/11/97, in base a o.s. 1997/n. 3,
rivestendo tale incarico fino al 25/11/99 (doc. 4 p.c.).
L'assenza della
dott.ssa Panci si protraeva ininterrottamente dal 3/7/96, fino al 27/11/99.
Sempre il direttore
Antonucci, con ordine di servizio 4/12/96, n. 30, attribuiva al responsabile di
ciascuna Sezione Circoscrizionale (l'ordine perviene alla Sezione di Poggibonsi
il 10/12/96) "la responsabilità di collaborare con il Consegnatario
dell'U.P.L.M.O. nel disimpegno degli obblighi di vigilanza, custodia e
manutenzione del patrimonio mobiliare affidato a ciascun Ufficio" (doc. 2
p.a.).
Inquadrato, quindi,
nella categoria B3 ccnl dipendenti del comparto Ministeri, Umberto Alba,
trasferito il 27/11/99 all'U.P.L.M.O. di Siena (dove prenderà effettivo
servizio nel 1/00. Cfr. teste Fossi: "non è venuto subito a Siena all'atto
del passaggio il 26/11/99 ed è stato pregato di restare a Poggibonsi fino alla
fine dell'anno, come gli altri, per perfezionare i passaggi, ed è venuto a
Siena nel 1/00.), denunciava che da allora "(era) stato costretto ad una
pressochè totale inattività" ("la più completa inattività")(solo
con nota del 9/11/01, prot. 2711, il direttore Antonio Berloco gli aveva
attribuito una mansione "fittizia", invero, quale "addetto alle
informazioni di carattere generale sulle competenze della DPL. (in risposta
alle richieste dell'utenza, soprattutto, di quelle pervenute
telefonicamente)" ed una mansione "mortificante", quale
"addetto alla protocollazione della corrispondenza della sede di servizio
(sede di via della Sapienza, n. 29)" (doc.8 p.a.), cominciando ad accusare
vari disturbi psicosomatici" e “inducendolo” alla presentazione di domanda
di pensionamento".
Umberto Alba, a mezzo
di ricorso depositato il 12/3/02, esercitava in giudizio azione di condanna
dell'Amministrazione convenuta al pagamento delle differenze retributive
correlate allo svolgimento delle mansioni superiori, dal 3/7/96 al 27/11/99,
determinate in € 2.265,18; inoltre, di accertamento della
"dequalificazione professionale" subita dal 27/11/99 e di condanna
della medesima Amministrazione al pagamento di € 28.562,76 a titolo di
risarcimento del "danno alla professionalità", oltre ad € 15.943,70
per "danno biologico", € 15.493,70 per "danno esistenziale da
mobbing" (conclusioni, ricorso, pp. 19-20).
Il Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali si costituiva in giudizio e, sollevata questione di
parziale difetto di giurisdizione del giudice adito (per i fatti giuridici
anteriori al 30/6/98)(ad altra questione di rito, di improcedibilità,
l'Amministrazione rinuncerà all'ud. 22/5/02), contestava nel merito la
fondatezza delle domande proposte, delle quali chiedeva il rigetto
(conclusioni, memoria difensiva, p. 11).
Svolta trattazione,
sentite le parti e tentata la conciliazione (ud. 22/5/02), assunta prova testimoniale
(ud. 21/6/02: tt. Pierangelo Argiolas, Anna Maria Sinagra Brisca, Giulietta
Fossi, Maria Aquino, Nicola Garofalo, Orfeo Ballatori), svolta trattazione
ulteriore (ud. 23/7/02), all'udienza 13/12/02 la causa era discussa e decisa
dando lettura del dispositivo.
Motivi della decisione.
Umberto Alba pretende il pagamento delle differenze
retributive correlate allo svolgimento delle mansioni superiori, sopra
descritte, dal 3/7/96 al 27/11/99, esercitando azione di condanna
dell'Amministrazione convenuta al pagamento di 2.265,18 (argomentandone la
fondatezza alle pp. 6-11 ricorso, alle quali si richiama nelle note difensive
finali, p. 28). Il Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali ne ha contestato la fondatezza (pp. 5-6 memoria
difensiva, 2 note difensive finali) e, prima ancora, ha negato la giurisdizione
del giudice ordinario, su una frazione di questa pretesa (quella anteriore al
30/6/98)(memoria difensiva, pp. 4-5, note difensive finali, pp. 1-2).
Sulla questione
pregiudiziale di giurisdizione, l'art. 69 del Testo Unico sul pubblico impiego
(d. lgs. 2001/n. 165), prevede al co. 7 l'attribuzione al giudice ordinario, in
funzione di giudice del lavoro, delle controversie di cui all'art. 63,
"relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro
successivo al 30/6/98", mentre le controversie "relative a questioni
attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore a tale data restano
attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - conclude
la norma - solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza, entro il
15/9/00".
Occorre pertanto
decidere, anzitutto, se la controversia promossa da Umberto Alba, controversia
di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, in relazione al
discrimine del 30/6/98, sia attribuita alla giurisdizione amministrativa o alla
giurisdizione ordinaria. .
La ripartizione
cronologica in questione ha suscitato l'emergere di più orientamenti
interpretativi, che accordano rilievo, ad es., ora al periodo del rapporto
lavorativo interessato dalla controversia, ora alla data di realizzazione dei
fatti costitutivi del diritto azionato, ovvero ai fatti che hanno originato la
lesione lamentata dal lavoratore, ora alla data di adozione del provvedimento
amministrativo o dell'atto di gestione, ora alla data del fatto storico
presupposto per l'adozione della determinazione datoriale contestata.
Fino a non molto tempo
fa non poteva parlarsi di consolidati indirizzi della giurisprudenza di
legittimità, a fronte, del resto, di situazioni sostanziali anche profondamente
diverse.
Il panorama più recente
sembra offrire una serie di indicazioni:
SEZ. U ORD. 08159 DEL
05/06/2002:
In tema di pubblico
impiego privatizzato, ove il lavoratore, sul presupposto dell'affermazione del
proprio diritto ad un determinato inquadramento, riferisca le proprie pretese
retributive ad un periodo successivo al 30 giugno 1998 - data indicata
dall'art. 45, comma diciassettesimo, del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (e
riprodotta dall'art. 69, comma settimo, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165) come
discrimine per il passaggio dal giudice amministrativo al giudice ordinario
delle controversie sui rapporti di pubblico impiego privatizzati -, la
competenza giurisdizionale spetta al giudice ordinario. Né a tal fine rileva
la data degli atti di inquadramento assunti a motivo dell'inadempimento
dell'amministrazione datrice di lavoro, dovendo il fatto costitutivo del
diritto alla retribuzione mensile individuarsi nello svolgimento della
prestazione lavorativa durante l'unità di tempo assunta a base di tale
periodicità, con il conseguente rifluire di ogni questione attinente all'entità di tale compenso in una questione attinente alla fase del rapporto
di lavoro in cui si colloca il mese di riferimento.
SEZ. U SENT. 14216 DEL 03;10/2002:
L'art. 45, comma
diciassettesimo, del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (ora art. 69, comma settimo,
del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165), nel trasferire al giudice ordinario le
controversie di pubblico impiego privatizzato, pone il discrimine temporale del
30 giugno 1998 fra giurisdizione ordinaria ed amministrativa con riferimento
non già al momento in cui é stata instaurata la controversia, bensì al
periodo di tempo in cui si sono verificati i fatti materiali e le circostanze
poste a base della pretesa dedotta in giudizio. Sussiste, pertanto, la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in relazione alla domanda,
proposta successivamente a tale data, con la quale un impiegato comunale avanzi
una pretesa di natura patrimoniale nei confronti dell'ente locale per
un’attività lavorativa (nella specie: di cancelliere addetto all'ufficio di
conciliazione del medesimo comune) svolta anteriormente al 30 giugno 1998.
SEZ. U ORD. 18054 DEL
18/12/2002:
In tema di pubblico
impiego privatizzato, ove il lavoratore riferisca le proprie pretese
retributive ad un periodo in parte anteriore ed in parte successivo al 30
giugno 1998 - data indicata dall'art. 45 del D. Lgs. n. 80 del 1998 come
discrimine per il passaggio dal giudice amministrativo a quello ordinario delle
controversie sui rapporti di pubblico impiego privatizzati -, la giurisdizione
va ripartita fra i due suddetti giudici, in relazione, rispettivamente, alle
due fasi temporali (fattispecie relativa alla domanda di miglior trattamento
retributivo avanzata da un lavoratore nei confronti dell'Università degli
Studi di Bari in conseguenza della rivendicata pretesa di costituzione di
rapporto lavorativo, ai sensi dell'art. 1 della legge n. 1369 del 1960).
SEZ. U ORD. 01511 DEL
30/01/2003:
In materia di rapporti
di lavoro instaurati con lo Stato o con altre pubbliche amministrazioni, fra le
quali sono da ricomprendere anche le ASL, l’art. 45, comma diciassettesimo, del
D. Lgs. n. 80 del 1998 (oggi art. 69, comma settimo, del D. Lgs. n. 165 del
2001), che ha trasferito al giudice ordinario le controversie in materia di
pubblico impiego privatizzato e ha dettato la relativa disciplina transitoria,
utilizzando a tal fine la locuzione generica e atecnica di "questioni
attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998"
ovvero "anteriore a tale data", non collega rigidamente il discrimine
temporale del trasferimento delle controversie alla giurisdizione ordinaria ad
elementi come la data del compimento, da parte dell'amministrazione, dell'atto
di gestione del rapporto che abbia determinato l'insorgere della questione
litigiosa, oppure l'arco temporale di riferimento degli effetti di tale atto,
o, infine, il momento di insorgenza della contestazione, e deve essere invece
interpretato nel senso che deve aversi riguardo al dato storico costituito
dall'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze - così come posti a
base della pretesa avanzata - in relazione alla cui giuridica rilevanza sia
insorta la controversia. Né, ai fini della declaratoria della giurisdizione,
rileva l'avvenuto superamento della data del 15 settembre 2000, in quanto tale
termine non costituisce un limite alla persistenza della giurisdizione
amministrativa, ma un termine di decadenza sostanziale per la proponibilità
della domanda giudiziale, con conseguente attinenza di ogni questione sul punto
- quale quella concernente la operatività della "traslatio judici" e
la conseguente eventualità che la riassunzione, dopo la suddetta data del 15
settembre 2000, davanti al giudice amministrativo della causa già introdotta
davanti a quello ordinario prima della medesima data, impedisca il verificarsi
della decadenza - ai limiti interni della giurisdizione.
SEZ. U ORD. 03512 DEL
07/03/2003:
In materia di
devoluzione delle controversie di pubblico impiego al giudice ordinario, é manifestamente infondata, in relazione agii art. 16 e 3 della Costituzione, la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 45, comma diciassettesimo,
del D. Lgs. n. 80 del 1998 (ora, art. 69, comma settimo, del D. Lgs. 165 del
2001) nella parte in cui, nel devolvere al giudice ordinario, in funzione di
giudice del lavoro, le controversie relative ai rapporti di lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni con decorrenza dal 30 giugno 1998,
mantiene ferma la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione a
situazioni giuridiche soggettive maturate prima della entrata in vigore del
nuovo riparto e, quindi, a pretese riferibili al periodo anteriore alla
predetta data (e da farsi valere, a pena di decadenza, entro la data del 15
settembre 2000). Infatti, la discrezionalità del legislatore delegato circa
l'individuazione dei tempi e delle modalità di sottrazione al giudice
amministrativo delle controversie in materia di pubblico impiego, da un lato, é
stata esercitata in piena coerenza con la delega di cui alle leggi n. 421
del 1992 (che non impone alcun rigido ed assoluto "principio di
contestualità" fra tale trasferimento e la privatizzazione dei rapporti
in questione) e n. 59 del 1997 (il cui art. 11, comma quarto, non si é limitato ad indicare nel 30 giugno 1998 la data entro la quale le dette
controversie dovevano essere attribuite al giudice ordinario, ma ha previsto
l'adozione di "misure organizzative e processuali anche di carattere generale,
atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso", fra
le quali ben possono annoverarsi quelle relative alla conservazione della
giurisdizione amministrativa per le controversie su questioni comunque
attinenti al periodo anteriore alla predetta data) e, dall'altro, é intrinsecamente ragionevole,
poiché essa, in quanto destinata ad operare, in
punto di giurisdizione, solo su questioni attinenti a periodi più recenti,
risponde a concrete esigenze di attenuazione del rischio di eccessivo
incremento del numero delle controversie destinate a riversarsi sul nuovo
giudice (esigenze correlate, altresì, al generale principio di buon andamento
delle funzioni pubbliche, ivi compresa quella giurisdizionale, ex art. 97 Cost.);
né la determinazione di un preciso discrimine temporale fra quanto
definitivamente conservato alla giurisdizione amministrativa e quanto
trasferito alla giurisdizione ordinaria arreca alcun "vulnus" allo
stesso principio di uguaglianza, sotto il profilo della formale parità di
trattamento, né a quelli di cui agli art. 24 e 113 Cost., in quanto, allorché
venga in rilievo la variazione nel tempo delle forme di tutela processuale, la
successione delle leggi - purché risponda a criteri di ragionevolezza - non può mai porsi come illegittima discriminazione, né può valere a impedire la
garanzia dell'azione in giudizio per ottenere protezione dei propri diritti o
interessi, la quale non richiede necessariamente l'uniformità degli strumenti a
tal fine apprestati dal legislatore (v. Corte Cost. n. 500 del 1995, n. 238 del
1994).
Nel caso proposto da
Umberto Alba, della "questione", termine estremamente inappropriato
(di "locuzione generica e atecnica" parla, ad es., Sez. Un. ord.
2003/n. 1511), parrebbe soluzione calzante il principio posto, ad es., dalle
Sez. Un., ord. 2002/n. 18054, in fattispecie parimenti attinente a pretese
retributive relative ad un periodo in parte anteriore e in parte successivo al
30/6/98, giungendosi alla determinazione di un riparto di giurisdizione in
riferimento alle due fasi temporali.
Umberto Alba, dunque,
avrebbe dovuto intraprendere due giudizi, uno davanti al giudice
amministrativo, uno davanti al giudice del lavoro ordinario, in due città
diverse, forse munendosi di due legali diversi, per esigenze di
specializzazione professionale o banalmente geografiche affrontando in via di
anticipazione un raddoppio di spese.
Non solo. In attesa di
un definitivo intervento della Corte Costituzionale (dopo l'intervento
interlocutorio contenuto nell'ord. 6/5/02/n. 184), assai probabilmente la sua
domanda davanti al giudice amministrativo sarebbe incorsa in una pronuncia di
decadenza sostanziale dalla proponibilità per il superamento della data del
15/9/00.
Preso atto di queste
tendenze interpretative (v. in specie l'ord. 2003/n. 3512 delle Sezioni Unite),
sommessamente ne dissentiamo.
Infatti, pur con
numerosi e rilevanti dubbi, sul piano interpretativo e di opportunità, è più
ragionevole ritenere, accentuando essenzialmente il valore della garanzia
dell'art. 24 Cost., e del principio di uguaglianza, che la modifica apportata
dall'art. 69, co. 7, d. lgs. 2001/n. 165, in base al quale le controversie
"relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro
anteriore al 30/6/98 restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, solo qualora siano state proposte, a pena di decadenza,
entro il 15/9/00", determini oggi una generalizzata migrazione alla
giurisdizione ordinaria delle cause di lavoro alle dipendenze di una pubblica
amministrazione, pur relative ad epoca anteriore al, 30/6/98, ma proposte dopo
quel termine di "decadenza", senza esagerare il peso concreto di
quella ragion pubblica consistente nelle "disfunzioni dovute al
sovraccarico del contenzioso" (tra altro, proprio fattispecie analoghe a
quella presa qui in esame, relative a diritti inerenti alle due fasi temporali,
sono essenzialmente indolori in termini di buon andamento della macchina
giurisdizionale ordinaria, stante la natura sostanzialmente unitaria delle
questioni da risolvere).
E dissentiamo, ancora,
dalla soluzione, in casi simili, dello sdoppiamento di tutela giurisdizionale,
auspicato ad es. da Cass. 2002/n. 18054, francamente contrario a più evidenti
valori in danno del cittadino come del complessivo apparato giurisdizionale
statuale, senza poggiare su elementi di interpretazione dogmatici dotati di
assoluta inderogabilità (potendo contrapporsi al pur corretto frazionamento dei
diritti retributivi in questione una considerazione unitaria del rapporto di
durata).
Giurisdizione, dunque,
del giudice ordinario, del lavoro, adito, sull'intero oggetto della pretesa
differenziale retributiva a cavallo del discrimine temporale del 30,,`6/98.
Nel merito, la
disciplina delle mansioni dei lavoratori delle amministrazioni pubbliche è
attualmente codificata nel Testo Unico del Pubblico Impiego, d.lgs. 2001/n.
165, art. 52, e discende dalla sequenza normativa tracciata dall'art. 56 del
d.lgs. 1993/n. 29, come sostituito dall'art. 25 del dlgs 1998/n. 80,
successivamente modificato dall'art. 15 del d.lgs. 1998/n. 387.
II co. 1 pone il
principio che "il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni
per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti
nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti
collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia
successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di
procedure concorsuali o selettive", premurandosi di precisare, con norma
impeditiva, che "l'esercìzio di fatto di mansioni non corrispondenti alla
qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del
lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione", ponendo un
divieto di avanzamento automatico di carriera in deroga alla regola generale
lavoristica vigente nel settore privato (art. 2103 c.c.).
Tuttavia, dispone il
co. 2, "per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può
essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:
a) nel caso di vacanza
di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici
qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti
come previsto al co. 4;
b) . nel caso di
sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del
posto, con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza.
Precisa il co. 3 che
"si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente
articolo, soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo
qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette
mansioni".
"Nei casi di cui
al co. 2 - dispone il co. 4 - per il periodo di effettiva prestazione, il
lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore",
imponendo, "qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per
sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel
termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato
alle predette mansioni", che siano ("devono essere")
"avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti".
Il co. 5 sanziona di
"nullità" l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una
qualifica superiore al di fuori delle ipotesi di cui al co. 2", affermando
tuttavia ("ma") il principio che "al lavoratore è corrisposta la
differenza di trattamento economico con la qualifica superiore" e la
responsabilità personale ("risponde personalmente del maggior onere
conseguente") del "dirigente che ha disposto l'assegnazione (...) se
ha agito con dolo o colpa grave".
Prevede, infine, il co.
6 che "le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di
attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai
contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi
contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi
2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori
rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto (*) ad
avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore".
Si deve osservare al
riguardo che l'attuale formulazione del co. 6 consegue alla soppressione
dell'inciso "a differenze retributive o" (nel luogo sopra indicato
con un asterisco), contenuta nella originaria formulazione del co. 6, dell'art.
56, d.lgs. 1993/n. 29, come sostituito dall'art. 25 d.lgs. 1998/n. 80,
soppressione attuata dall'art. 15 d.lgs. 1998/n. 387.
La precettività
dell'art. 36 della Costituzione corrobora l'immediata applicazione della
normativa descritta, senza potersi legittimamente individuare limiti ulteriori
alla tutela di questo fondamentale diritto patrimoniale del lavoratore (limiti
del tipo di quelli individuati dall'Amministrazione convenuta alla p. 6 della
propria memoria difensiva), applicazione che si coordina, inoltre, con il
principio dell'art. 2126 c.c. (richiamo superfluo, peraltro, nel caso concreto,
caratterizzato da un formale atto di conferimento) e il principio
dell'arricchimento senza causa, ai sensi dell'art. 2041 c.c.
Non contestato, e del-
''resto accertato documentalmente, l'elemento fattuale della pretesa in
questione - con ordine di servizio 1/7/96, n. 18, in qualità di assistente
amministrativo, 6° q.f., Umberto Alba, a decorrere dal successivo 3/7, assunse,
per disposizione del direttore Luigi Antonucci, "la pienezza delle
funzioni vicarie con poteri di coordinamento e di firma della generalità degli
atti, sostituendo la dott.ssa Panci Elisabetta, direttore Amministrativo, 9°
q.f., Responsabile della Sezione Circoscrizionale per l'Impiego ed il
Collocamento in Agricoltura di. Poggibonsi, durante le sue assenze dal servizio
a qualunque titolo esse siano" (doc. 1 p.a.); con nota 4/3/02 il direttore
Berloco comunicava al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che
Umberto Alba era stato nominato reggente ad interim della Sezione
Circoscrizionale di Poggibonsi dall'1/11/97, in base a o.s. 1997/n. 3,
rivestendo tale incarico fino al 25/11/99 (doc. 4 p.c.), l'assenza della
dott.ssa Panci essendosi protratta ininterrottamente dal 3/7/96, fino al
27/11/99 - questa parte della domanda proposta da Umberto Alba merita
accoglimento, non discutendosi infatti della legittimità dell'affidamento della
reggenza, quanto della illegittimità del suo affidamento senza remunerazione
differenziale.
Passando alle altre
parti della pretesa di Umberto Alba, la sua vicenda lavorativa, dal 27/11/99,
ha ricevuto ampia ricostruzione orale, oltre che documentale.
Umberto Alba riconosce
di avere svolto, in parte e per un limitato periodo, un'attività che a lui
"piaceva, faceva parte del (suo) bagaglio professionale".
Si tratta della
"collaborazione per l'attività amministrativa inerente la trasformazione
dei rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale", di cui alle
lettere 13/2/01 e 25/6/01 del direttore Berloco (docc. 3, 4 p.a.), da svolgersi
"temporaneamente ed in attesa della riorganizzazione della D.P.L.",
per due giorni alla settimana, "nell'ambito dell'Area Provvedimenti del
Servizio Ispezione del Lavoro e in conformità delle istruzioni del responsabile
dell'Area".
"Si tratta di
un'attività che necessitava di un paio d'ore al giorno per due volte alla
settimana (...) questo fino al 27/6/01", ha ricordato Umberto Alba.
La testimone Anna Maria
Sinagra Brisca, indicata dal Ministero convenuto, responsabile dell'Area, ha
descritto più compiutamente questa attività:
"dipendente della
DPL di Siena, C1.
Conoscevo già per
ragioni di lavoro Umberto Alba da tempo, ho anche collaborato con lui nell'Area
Provvedimenti nell'ambito del Servizio Ispezione della quale ero responsabile,
è giunto nell'10/00 e vi è stato fino al 27/6/ 01, quando ha avuto luogo una
riorganizzazione dell'Area.
Infatti, all'Area erano
state allora attribuite le convalide per i part-time e lui fu addetto a questa
attività nell'10/00.
Secondo la nuova
normativa, la legge n. 61, veniva acquisito il contratto, svolta una
istruttoria, contattati gli interessati, compiute tutte le verifiche normative
di conformità, formale e sostanziale, prima della convalida predisposta dal
sig. Alba che me la sottoponeva per la firma, sottolineandomi eventuali
questioni da esaminare, ne parlavamo insieme, oppure mi lasciava un appunto se
io ero assente ed eventualmente gli chiedevo in seguito chiarimenti.
Solo lui si occupava di
questa attività di istruzione e predisposizione, svolgendo anche un'attività di
informazione all'utenza quando era presente;
adr non si occupava
solo di atti da convalidare, ma anche di variazioni di orario non rilevabili
statisticamente.
Inizialmente venne al mio
ufficio a tempo pieno, c'era dell'arretrato, c'era da impostare l'attività,
questo per due, tre mesi circa, fino a febbraio, dopo per due giorni alla
settimana, per tutta la giornata lavorativa.
Ebbe in questo periodo
altri compiti, non per il mio ufficio, mi pare ad es. in materia di società
cooperative, un'attività di tipo ispettivo, straordinaria, per la quale poteva
lavorare anche in questi due giorni, nei quali peraltro in prevalenza , si
occupava del part-time come detto;
(...) adr io spesso non
ero in ufficio in quei due giorni, per le mie esigenze di servizio esterno, e
comunque non stavo nella sua stanza, io gli affidavo le pratiche e dopo vedevo
il risultato del lavoro, che non mi pare eseguisse con ritardo, quando siamo
entrati a regime;
adr i due giorni di
assegnazione all'ufficio mi pare fossero sufficienti per un suo buon andamento;
adr come responsabile
avevo redatto un semplice promemoria operativo per Umberto Alba, indicativo dei
punti da seguire, poi rimasto grosso modo lo stesso anche per altri (ndgr:
priva di supporto probatorio è rimasta, dunque, l'affermazione
dell'Amministrazione che "a causa di ripetuti errori da parte del sig.
Alba la responsabile dell'Area è stata indotta a mettere addirittura per
iscritto le modalità di compimento delle operazioni che doveva eseguire",
memoria difensiva, p. 3);
adr Umberto Alba della
materia se ne interessava anche prima, credo, salvo il necessario aggiornamento
con la nuova normativa;
adr Umberto Alba, con
il quale ho avuto sempre buoni rapporti, manifestava il desiderio semmai di
ampliare il suo lavoro, magari forse per evitare di spostarsi tra via della
Sapienza e via Bixio, è una mia considerazione, poi credo avesse altri
incarichi presso altra sede anche se di preciso non so bene quali;
adr con la
riorganizzazione nell'ambito dell'Area c'è stata la necessità di collocare
altra persona, per la sua professionalità, quindi immediatamente operativa, la
sig.na Cami, sconvolgendo un poco l'assetto e Umberto Alba è stato spostato,
nel 6/01;
ad la Carni non si
occupa solo delle convalide, ma di tutti i compiti dell'Area.
Ai tempo di Alba
c'erano la signora Baldelli, in quel periodo spesso assente, la Manenti, oltre
a me.
Con la riorganizzazione
la Cami, la Manenti e io, con l'attuale ods, io sono responsabile di linea, con
la Manenti, la Cami, la Aciavatti, quest'ultima parzialmente".
Brevemente, su questa
collaborazione, anche il teste Argiolas, indicato da Umberto Alba:
"so che ebbe per
un certo periodo fino alla nuova legge un impegno non quotidiano, mi pare per
due o tre giorni alla settimana, in materia di contratti part time, ma non so
molto di più sulla sua attività poiché io lavoravo in v. della Sapienza e
questo lavoro si svolgeva in v. Bixio.
Credo che lui
esaminasse questi contratti, non conosco i dati numerici, e poi li sottoponesse
alla firma, senza che io conosca con precisione la sua attività, so che si
occupava di questi contratti".
Solo un cenno la teste
Fossi:
"adr ricordo che
provvedeva a regolarizzare i part-time, presso l'Ispettorato, in via Bixio";
così il teste
Ballatori: "ho più presente il lavoro presso il Servizio Ispezione, per le
convalide del part time, due volte a settimana per pochissime ore al giorno.
L'addetto era lui, poi la dott.ssa Sinagra responsabile. Ho avuto modo di
vederlo personalmente più volte, quando non ero fuori in ispezione, ma avevo da
lavorare all'interno. Periodicamente anche alcune settimane ho lavorato al
turno in sede".
Un cenno anche la teste
Maria Aquino:
"vicedirettore DPL
(...) in seguito gli affidai le convalide dei part-time, inizialmente anche
questo a voce.
Inizialmente tutti i
giorni della settimana, poi per due giorni, con lettera di incarico".
Si è trattato, dunque,
di un'attività svolta da Umberto Alba con suo gradimento, da lui ritenuta adeguata
alla sua professionalità (non del tutto condivisibile, dunque, la valutazione
condotta nelle sue note difensive finali, di "incarico privo di
significativo contenuto professionale", p. 9), ma di natura temporanea
(10/00-6/01) e, dopo un primo periodo, ulteriormente limitata a due soli giorni
alla settimana (dal 13/2/01, secondo quanto riconosciuto dall'Amministrazione a
p. 3 della memoria difensiva). Umberto Alba afferma, inoltre, una sostanziale
limitazione oraria giornaliera di questo impegno, contraddetta, peraltro, dalla
responsabile Sinagra Brisca.
Ha affermato il
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che dall'1/1 al 30/6/00 Umberto
Alba ha collaborato nell’area cooperazione per il riordino dei fascicoli delle
società sottoposte a vigilanza ed archiviazione degli atti in collaborazione
della responsabile dell'area Sig.ra Manuela Bartoli".
Sul punto la teste
Aquino, indicata dal Ministero: "all'inizio ebbe incarico di collaborare
con il capoarea della Cooperazione, un incarico solo verbale, io ero allora
reggente, la cosa fu provvisoria anche perché si parlava di un suo passaggio ad
altra Amministrazione.
Siccome era ispettore
di società cooperative fu ritenuto opportuno, per la sua professionalità,
incaricarlo pur senza specificazione di compiti di collaborare con la capoarea,
che non aveva altri addetti.
Non ricordo per quanto
tempo".
Ha ricordato Umberto
Alba, in ricorso, p. 2, di avere svolto dal 3/77, previo apposito corso,
attività ispettiva nel settore della Cooperazione (cfr. t. Sinagra Basca:
"in passato credo
avesse svolto funzioni ispettive in materia di cooperative"; t. Fossi:
"ha svolto attività ispettiva nel settore delle cooperative, della quale
io sono a conoscenza solo per quanto riguarda quella straordinaria, per la quale
mi occupo di redigere l'incarico, che ha svolto anche recentemente ").
é evidente, nelle
parole della vicedirettrice Aquino, la provvisorietà e la genericità dei
compiti attribuiti ad Umberto Alba nel settore, pur di sua specifica
conoscenza. Si tratta di un'attribuzione di compiti, sempre non formalizzata e,
come descritta dall'Amministrazione stessa, di contenuto meramente ausiliario e
non adeguato alla professionalità, anche specifica del dipendente.
Priva di supporto
probatorio è rimasta l'affermazione dell'Amministrazione circa la "non
proficuità" di questa collaborazione "perché non sempre venivano
eseguite in modo compiuto le istruzioni della responsabile dell'area"
(memoria difensiva, p. 3).
Proseguendo
nell'analisi delle altre mansioni svolte da Umberto Alba, personalmente, il
lavoratore ricorrente ha dichiarato: "per il resto cercavo di impegnare il
tempo nelle attività descritte al capitolo 11 - cioè "raccogliendo la
normativa in materia di collocamento, ordinando le Gazzette Ufficiali degli
ultimi anni, sistemando schedari e scaffali" -come avevo fatto per tutto
il 2000".
Nelle parole della
teste Aquino, indicata dal Ministero convenuto, vicedirettore della D.P.L.:
"il resto del
tempo lavorava presso l'Ufficio Gestione e gli affidai l'incarico di riordinare
le Gazzette Ufficiali, selezionando le fonti di nostro interesse, questo
incarico fu dato a voce, non ricordo quando, e nacque proprio da un suo rilievo
sul disordine in cui erano tenute, e io dissi che se poteva aiutare nel
riordino ben volentieri, non avevamo all'epoca un commesso, per questo il
disordine, erano tutte attività che svolgevamo tra di noi, anche io quando
potevo.
é stato addetto anche
alla protocollazione della corrispondenza, un'attività svolta prima a
rotazione, anche io che ero vice direttore me ne sono occupata".
Ha ricordato, poi, la
teste Fossi, indicata dal Ministero convenuto:
"adr (Umberto
Alba) non ha lavorato insieme a me, preciso che non aveva alcun incarico
formale ma gli ho chiesto personalmente una mano, che lui ha dato, per
effettuare uno svecchiamento degli atti d'archivio della mia area, l'archivio
dipendenti, per circa una settimana di impegno, oltre ai suoi incarichi che già
aveva ".
La marginalità
quantitativa di questi compiti (anche a prescindere dall'interpretazione cui
anche il riferimento al "commesso" compiuto dalla vicedirettrice
Aquino ben si potrebbe prestare sul piano qualitativo dei medesimi) è del tutto
evidente, anche interpretando l'attività di "riordino" e
"selezione" delle Gazzette Ufficiali come comprensiva di una qualche
componente di individuazione giuridica.
La difficoltà, il
disagio lavorativo di Umberto Alba per una sostanziale inattività, se non altro
sul piano professionale, è bene espressa nelle sue parole: "ho chiesto più
volte di andare ad esempio anche o all'Area provvedimenti, o all'Area
extracomunitari, anche per via del contatto con la gente, io ho sempre lavorato
in area operativo-amministrativa a contatto col pubblico, piuttosto che solo
amministrativa, secondo il mio percorso professionale".
Ha confermato il teste
Argiolas: "a volte anche animatamente Umberto Alba avanzava richieste al
direttore, ho anche assistito personalmente a riunioni sindacali - sono
iscritto alla CISL e sono rappresentante RSU dal 11/01, precedentemente rappresentante
di sezione dell'ufficio dall'estate del 2001 - ricordo che chiedeva di avere
dei contatti con l'utenza, avendo sempre avuto un rapporto con essa in passato,
un rapporto diretto".
"Queste richieste
non sono state accolte - prosegue Umberto Alba - così ho continuato a riempire
il tempo nelle attività descritte (..).
Mi sono permesso a
volte magari in assenza di colleghi di andare all'Area extracomunitari, materia
che io ben conosco, per collaborare un poco, ma il responsabile mi ha fatto
chiaramente capire che non si trattava di attività di mia competenza.
Il mio caso era notorio
nell'ambiente.
Io ero l'unico a non
avere un incarico significativo (...)".
Conferma la
contraddittorietà della situazione il teste Ballatori: "adr noi ispettori
avevamo molto lavoro e sapendo che Umberto Alba per molto tempo non era operoso
avremmo gradito un suo maggiore impegno in altri compiti, ad es. per la
consegna dei libretti di lavoro agli extracomunitari, ma non c'era da parte del
direttore una disposizione, neppure verbale".
Con nota del 9/11/01,
prot. 2711, il direttore Antonio Berloco attribuisce a Umberto Alba la mansione
di "addetto alle informazioni di carattere generale sulle competenze della
D.P.L. (in risposta alle richieste dell'utenza, soprattutto, di quelle
pervenute telefonicamente)" e quella di "addetto alla protocollazione
della corrispondenza della sede di servizio (sede di via della Sapienza, n.
29)" (doc. 8 p.a.).
Prima di esaminare il
contenuto di questi compiti dobbiamo tuttavia rilevare come dall'arrivo a Siena
di Umberto Alba sia trascorso un notevole arco di tempo, un paio di anni circa,
nel quale, a parte la già descritta, parziale, temporalmente limitata,
specifica collaborazione (convalida part-time) non abbiamo sicura traccia di
altre significative e specifiche mansioni.
A questo proposito si
deve osservare come questa insoddisfacente condizione lavorativa sia stata
condivisa da Umberto Alba con altri colleghi, nel contesto delle vicende
riorganizzative dell'Amministrazione (la circostanza è riconosciuta dallo
stesso Umberto Alba, note difensive finali, p. 19), ma, questo è il punto, solo
inizialmente, finendo col diventare, dopo un primo comprensibile periodo di
transizione, di "assestamento", un caso isolato.
Così il teste Argiolas,
indicato dal ricorrente: "venni insieme ad Umberto Alba il 27/11 /99 a
Siena;
adr per un lungo
periodo per i dipendenti trasferiti a Siena non c'è stato un ordine di
servizio;
adr non c'era niente di
ufficiale, si lavorava un poco alla giornata, quello che c'era fare;
(...) dal 1999, da
quando sono a Siena, oltre ad Umberto Alba anche altre persone si sono
lamentate dell'assenza dell'ordine di servizio e della mancanza di incarichi
precisi, ci sono state altre lamentele. Persone che prima avevano un ruolo ben
definito nell'ufficio periferico con il trasferimento a Siena lo hanno perduto
e si sono trovate senza un ruolo preciso, forse queste lamentele nel tempo sono
diminuite, attualmente con l'ordine di servizio queste persone hanno ricevuto
incarichi precisi".
Il teste Garofalo,
indicato da Umberto Alba, ("ispettore del lavoro, presso l'ex Ispettorato
del Lavoro di v. Bixio. Lo conoscevo come ispettore da tempo, almeno dal 1996
") ha ricordato: "ho potuto constatare - anche come rappresentante
sindacale CISL-FPS, investito del problema - che in pratica non era stato
destinatario di alcuna attribuzione scritta di mansioni, alcun ordine di
servizio, fatto contestato al direttore nel corso di riunioni sindacali.
Solo in seguito è stato
destinatario di alcuni incarichi.
(...) adr ritengo che
tutti i dipendenti di pari qualifica siano stati adibiti con precisione a
mansioni adeguate, il caso di Alba è unico, l'unico che con il passaggio alla
DPL non è stato inserito in nessuna struttura, in nessuna area, quindi senza
alcun incarico".
Il teste Ballatori,
ancora indicato dal lavoratore ricorrente: "dipendente della DPL Servizio
Ispezione del Lavoro. Sono rappresentante sindacale CISL. Abbiamo avuto
incontri in sede sindacale ed ho avuto modo di contestare le lamentele di Umberto
Alba al direttore per il fatto che non aveva un ordine di servizio, fatto
contestato al direttore nel corso di più riunioni sindacali, sui vari problemi
e anche su questo caso specifico.
Alle rimostranze il
dottor Berloco non dava risposta, non ha mai contestato che in realtà avesse un
ordine di servizio".
Se, dunque, una
insoddisfacente situazione lavorativa è stata inizialmente condivisa da Umberto
Alba con altri colleghi, ragionevolmente, nel contesto delle vicende
riorganizzative dell'Amministrazione, col passare del tempo il suo caso è
diventato irragionevolmente "unico".
Esaminiamo, a questo
punto, il contenuto delle mansioni attribuite, finalmente, è il caso di dire,
dopo quasi due anni di presenza presso la sede di Siena, a Umberto Alba con nota
del 9/11/01, prot. 2711, del direttore Antonio Berloco, mansioni di
"addetto alle informazioni di carattere generale sulle competenze della
D.P.L. (in risposta alle richieste dell'utenza, soprattutto, di quelle
pervenute telefonicamente)" e di "addetto alla protocollazione della
corrispondenza della sede-di servizio (sede di via della Sapienza, n.
29)".
Proseguendo
nell'analisi del documento (n. 8 p.a.), non può non soffermarsi l'attenzione
sulla parte finale del medesimo: "si evidenzia che la S.V. - cioè il
sig.Alba - in quanto addetto all'Ufficio, deve collaborare, ove necessario,
anche per altre incombenze inerenti le esigenze operative della articolazione
organizzativa a cui appartiene, così come indicate dalla Responsabile: e, ciò,
in considerazione anche del fatto che il compito di addetto alla
protocollazione presso le sedi di questa D.P.L. non comporta giornalmente, in
media, una prestazione lavorativa superiore alle due ore, come peraltro
specificato anche da parte delle rappresentanze aziendali".
L'osservazione
immediata suggerita da queste espressioni (cfr. anche note difensive finali di
Umberto Alba, p. 8) è che le due mansioni di nuova assegnazione non
impegnassero poi più di tanto il lavoratore, che fossero insomma un poco un
riempitivo, un ripiego, per fargli fare qualcosa, così da avvertire il
direttore Berloco la necessità di richiamare il dovere di collaborazione
"ove necessario", "anche per altre incombenze", "così
come indicate dalla Responsabile", proseguendosi, pertanto, nella non felice
esperienza della non attribuzione o della attribuzione del tutto insufficiente
e inadeguata di mansioni lavorative.,
Ma cerchiamo di vedere
più in concreto.
Umberto Alba
personalmente: "si tratta di mansioni relative ad un ufficio che non
esisteva, non era stato istituito neanche di fatto un ufficio di relazioni con
il pubblico, io ho parlato solo con i muri e con le scartoffie, con nessuno
dall'esterno. Solo adesso, nel 2002, con la nuova organizzazione è prevista
l'istituzione dell'URP (Ufficio Relazioni con il Pubblico) anche a livello
periferico, in materia nel 2002 vi è stata una circolare. Nel 2002 quando è
stato istituito, con ordine di servizio del maggio, è stato assegnato non a me
ma all'Area Ispettiva, perché prima non c'era mai stato.
Svolgevo da prima
attività di protocollazione, proprio per riempire il tempo, ma da quando il
9/11/01 vi è stato l'ordine di servizio sul punto io non l'ho più svolto, vi è
stata anche una protesta sindacale, in quanto adibizione illegittima, non
prevista dalla mia Area B3.
Non ho svolto poi
alcuna attività di collaborazione ulteriore, come previsto nell'ordine di
servizio. La dott.ssa Aquino, la responsabile, non mi ha mai proposto nulla,
qualche volta mi chiedeva soltanto se le potevo protocollare una letterina, o
cercare una Gazzetta".
Il teste Argiolas:
"adr mi risulta, se ne parlava in ambiente di lavoro, che ci sia stata una
lettera del direttore che attribuiva ad Umberto Alba il compito dei contatti
con il pubblico, una parvenza di ufficio relazioni con il pubblico, poiché di
fatto non esisteva, le richieste di informazione dell'utenza venivano
direttamente rivolte alle singole aree dal centralino e non passate alla
persona di Umberto Alba, così mi capitava di ricevere direttamente la
telefonata dall'esterno, così nel settore extracomunitari;
adr adesso questo
dovrebbe esistere, non ho, infatti contatto diretto con questo ufficio, ma so
che è entrato in funzione con l'ordine di servizio recente, del 5/02, e Umberto
Alba non fa parte dell'ufficio URP;
adr non ritengo che in
precedenza questa attività informativa facesse capo alla direzione, poiché io
ricevevo direttamente le richieste dell'utenza, come altri dipendenti di altre
aree".
Il testimone, indicato
da Umberto Alba, conferma, dunque, l'inconsistenza della mansione di addetto
alle informazioni a quel tempo attribuita al lavoratore ricorrente.
Sulla stessa scia, il
teste Garofalo, indicato ancora da Umberto Alba, sul punto ha ricordato:
"gli fu dato in seguito il compito di relazionarsi con l'utenza, e sindacalmente
chiedemmo un incontro, mai avvenuto, poiché il compito non esisteva in via
della Sapienza, ma solo in via Bixio;
adr anche in via della
Sapienza se l'utenza vi si rivolgeva venivano rilasciate informazioni, utenza
prevalentemente extracomunitaria, per cui le informazioni erano direttamente
rilasciate dall'area.
L'interesse sindacale
investiva (anche) la natura del nuovo compito".
La teste Fossi,
indicata dal Ministero convenuto, ha ricordato, invece, che Umberto Alba
"dava informazioni all'utenza, c'era stato un discorso del genere, posso
dire che il direttore lo aveva incaricato di ricevere le telefonate degli
utenti passategli dalla centralinista per smistarle ai vari servizi, dando
informazioni, mi sembra che gli fosse stato assegnato dalla direzione, che ci
sia qualcosa di scritto, fu detto alla centralinista, Carmela Angelino, che
lavorava da una decina d'anni, e che lavora nella stanza di fronte a me, di
passare da un certo momento in poi le telefonate a Umberto;
adr so per certo che
lei passava la telefonata ad Umberto".
La teste Aquino,
indicata ancora dal Ministero convenuto, sul punto: "fu incaricato anche
dell'informazione all'utenza, gente che viene o che telefona ce ne è tanta,
soprattutto extracomunitari, la fetta più grossa di utenza, e lui doveva dare
informazioni di carattere generale oppure indirizzare ad una area.
Prima di quel momento
la centralinista passava la telefonata all'area di competenza, poi la
disposizione fu di passare ad Alba le telefonate, che filtrava.
L'URP venne costituito
nel 1997, presso la Direzione, come sua articolazione, in v. Bixio.
In v. della Sapienza
diamo comunque le informazioni, non mandiamo la gente in v. Bixio.
Umberto Alba si
occupava di questo, le informazioni erano state a lui affidate, in v. della Sapienza
".
Al di là del contrasto
delle versioni dei testimoni (Argiolas e Garofalo, da una parte, Fossi e
Aquino, dall'altra) sulla consistenza di questa mansione, formalmente
attribuita ad Umberto Alba a partire dall' 11/01, non è dubbio che la medesima
si inserisca in una articolazione strutturale all'epoca inesistente, che si
pretenderebbe creata dall'oggi al domani semplicemente comunicando alla
centralinista, Carmela Angelino, presente da una decina d'anni, di passare le
telefonate a Umberto Alba.
Appare del tutto
ragionevole presumere che la centralinista, proprio per la sua esperienza, per
la eventuale univoca destinazione della richiesta di informazione proveniente
dall'utenza, per la razionalità stessa del servizio consistente nell'evitare
duplicazione di attività informative, abbia continuato almeno in buona parte
dei casi a lavorare come in passato. Inoltre, la competenza dell'Ufficio
Relazioni con il Pubblico, all'epoca del conferimento dell'incarico qui
analizzato ad Umberto Alba era demandata alla Direzione di v. Nino Bixio,
mentre il lavoratore non operava in quella sede, bensì presso quella di v.
della Sapienza.
Ragionando al
contrario, in ipotesi, diviene allora difficile comprendere (se non in una
inammissibile logica ritorsiva, per l'iniziativa giurisdizionale assunta) come
mai, quando finalmente dopo non molto tempo l'Ufficio Relazioni con il Pubblico
è stato costituito presso la sede di v. della Sapienza, Umberto Alba, fino a
quel momento formalmente adibito, in ipotesi, alla sostanziale mansione, e
senza rilievi, per quanto è dato conoscere (non dimostrato che Umberto Alba
abbia svolto anche il lavoro "di informazione generale all'utenza ( ... )
in modo discontinuo e con scarso spirito di collaborazione", memoria
difensiva, pp. 3-4), non vi abbia neppure fatto parte.
Può darsi che
l'adibizione di Umberto Alba alle informazioni, di cui all'ordine 9/11/01,
abbia realizzato il tentativo di interpretare anche una esigenza professionale
del lavoratore, di venirgli incontro in un clima ormai difficile. Ha ricordato,
anche il teste Argiolas, "che (Umberto Alba) chiedeva di avere dei
contatti con l'utenza, avendo sempre avuto un rapporto con essa in passato, un
rapporto diretto". Certo è che questo tentativo, assai tardo, si è
rivelato del tutto imperfetto e più di un dubbio su quelle buone intenzioni fa
sorgere il successivo mancato inserimento di Umberto Alba nella struttura
informativa con il pubblico al momento della reale costituzione della medesima.
Così, l'immagine che
hanno i testimoni del lavoratore Alba è fissata ad es. dal teste Argiolas,
indicato da Umberto Alba: "la mattina arrivava in ufficio e non sapeva che
fare, non aveva un suo lavoro da svolgere, gli toccava metter mano a qualcosa
per far qualcosa, l'ho visto mettere a posto Gazzette, preparare fascicoli,
cartelline, a volte protocollare, quello che trovava"; dalla teste Fossi,
indicata dal Ministero convenuto: "controllava e metteva a posto le
Gazzette Ufficiali, in via della Sapienza; adr faceva anche il protocollo";
dal teste Garofalo, indicato da Umberto Alba: "ho potuto anche constatare
personalmente, episodicamente recandomi in via della Sapienza, che aggiornava
lo schedario o qualcosa del genere, metteva a posto le Gazzette; adr mi è stato
detto che protocollava anche la corrispondenza. Il protocollo in arrivo non era
mai stato fatto e in vari incontri abbiamo sempre sostenuto, tutte le tre
sigle, che per carenza di personale il servizio non poteva essere assicurato, e
in v. Bixio il protocollo in partenza veniva effettuato da un usciere di IV,
anzi III; adr ho sentito dire dai colleghi che anche i funzionari
protocollavano la corrispondenza, ma io non l'ho constatato"; dal teste
Ballatori, indicato da Umberto Alba: "sporadicamente sono stato in via
della Sapienza. Le poche volte ho visto che faceva lavoro di archiviazione, si
arrangiava come si suol dire, questo anche per sentito dire nell'ambiente".
Quanto al rilievo che
"anche i funzionari protocollavano" (dubitativo nelle parole del
testimone Garofalo sopra riportate, affermativo nelle parole della testimone
Aquino: "una attività svolta prima a rotazione, anch'io che ero
vicedirettore me ne sono occupata"; cfr. anche note difensive finali, p.
4), è evidente la sua inconsistenza, ben diversa essendo la condizione di un
funzionario, con compiti propri del funzionario, che marginalmente, si occupa
anche della protocollazione, dall'attribuzione ad un lavoratore della mansione
in discorso in via, se non prevalente, almeno consistente.
"A differenza di
tutti gli altri colleghi di pari qualifica, inoltre, il sig. Alba non dispone
di personal computer", leggiamo in ricorso, p. 4. -
In giudizio Umberto
Alba ha confermato: "sono stato il solo a non avere il personal computer,
mentre altri ne avevano anche più d'uno.
La mia stanza non era
dotata di computer.
Se avessi avuto
qualcosa da fare avrei dovuto andare in altra stanza ed usare eventualmente
quello di altri colleghi, ma non ne ho avuto neppure la possibilità".
Ha ricordato il teste
Argiolas, indicato da Umberto Alba: "tutti tutti i colleghi non avevano il
computer sulla scrivania, ma mi pare che tutti quelli di pari qualifica lo
avessero.
Alba aveva una
stanzetta, piccola, quella è la più piccola, le altre più grandi sono divise
per postazioni, tre, quattro.
I computer sono in
queste postazioni, dove lavora in prevalenza una persona sola, in sua assenza,
anche temporanea, dato che non c'è password, si può utilizzare il computer
della postazione di un collega, così per scrivere una lettera, ad esempio.
In ufficio c'è un
referente informatico, ing. Neri, che credo abbia una lista dei computer e
l'indicazione, almeno credo, dei consegnatari, mi pare che a computer equivale
nome, c'è una relazione tra computer e persona, ma non posso qualificarla più
precisamente ".
Anche il teste Garofalo,
indicato da Umberto Alba: "stava in una piccola stanzina, quasi un
ripostiglio, senza un computer, con degli scatoloni accatastati, c'era anche la
caldaia".
La teste Fossi,
indicata dal Ministero convenuto: "il referente informatico è l'ing. Neri,
io prendo in carico i computer che arrivano dopo il verbale di collaudo e
domando dove sono situati come stanza, anche per inventariarli;
adr sono attribuiti a
postazioni di lavoro credo non a singole persone;
adr alla postazione
solitamente c'è sempre una stessa persona che fa un certo tipo di lavoro, in
sua assenza possono essere altre persone;
adr è vero che Umberto
Alba non ha il computer, in effetti è l'unico a non averlo sulla sua scrivania;
- adr preciso che io,
come altra persona, lavoriamo da tempo ciascuna su un computer obsoleto,
dichiarato fuori uso con decreto ministeriale, e siamo tutti in attesa di nuovi
computer, che dovrebbero arrivare;
adr ho sentito dire che
anche i carabinieri, il nucleo presso la DPL, si lamentavano che non avevano
computer, so che siamo carenti quanto a computer;
adr Umberto Alba lavora
in una stanzetta, con finestra, all'interno di altra stanza, l'Ufficio
Cooperative, con la quale comunica attraverso una apertura, Umberto Alba ha
svolto attività ispettiva nel settore delle cooperative, della quale io sono a
conoscenza solo per quanto riguarda quella straordinaria, per la quale mi
occupo di redigere l'incarico, che ha svolto anche recentemente.
adr in questa stanza
c'è un computer usato dalla capoarea, che sola lavora nella stanza".
Non sono secondari i
descritti aspetti relativi alla mancanza di computer e all'ambiente di lavoro
di Umberto Alba, in quanto ingredienti tipici in una storia lavorativa che
potrebbe candidarsi ad essere incanalata nel concetto di mobbing o, in ogni caso,
nelle più tranquillizzanti categorie del demansionamento e della
deprofessionalizzazione (non potrà dimenticare il giudice che all'udienza
22/5/02 l'avv. Del Punta, professore universitario di diritto del lavoro,
nell'illustrare oralmente il proprio ricorso, giunto a pronunciare la parola
mobbing non ha potuto fare a meno di toccarsi un orecchio, il destro, per
l'esattezza, quasi come colui che pensa: "qui cominciano i problemi...
")(cfr. note difensive finali: "questa difesa non ignora le
difficoltà di ricostruzione in termini dogmatici della fattispecie in esame e
le diverse teorie che sul punto sono state formulate", pp. 14-15).
Non sorprende, dunque,
che, pur nella emersa penuria ed obsolescenza informatica dell'Amministrazione
interessata, comunque Umberto Alba fosse sostanzialmente il solo, nell'ambito
della categoria professionale rivestita, a non avere lo strumento di lavoro ed
office-worker's status symbol di cui si discute. Se è vero che poteva usare
quello altrui, Umberto Alba era tuttavia anche in questo caso l'unico a versare
in questa condizione di privazione.
La "mia
stanza" di cui pur parla Umberto Alba, è descritta dai testimoni così: una
stanzetta, piccola, la più piccola, quasi un ripostiglio, con gli scatoloni
accatastati e pure la caldaia, con finestra, ma all'interno di altra stanza con
la quale comunica attraverso un'apertura.
Che la
"stanza" fosse stata in passato occupata da direttori amministrativi,
la dott.ssa Panci, quindi la dott.ssa Bonci (pos.ec. C3, ex IX q.f.) una stanza
"che assicurava una posizione di prestigio", dunque (note difensive
finali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, p. 5) è ipotesi non
propriamente favorevole alla posizione dell'Amministrazione convenuta, poiché è
di tutta evidenza la diversità che corre tra un dipendente, con elevati
incarichi professionali, costretto a lavorare in una sorta di tugurio, una
situazione di evidente contrasto, e un dipendente, senza o con modesti
incarichi professionali, costretto a lavorare nel medesimo ambiente, una
situazione di sostanziale omogeneità, agli occhi dell'eventuale utenza come
della comunità dei colleghi di lavoro.
L'immagine del
lavoratore emarginato non potrebbe trovare descrizioni più pittoresche,
fantozziane, per richiamarci al "mal di Fantozzi" del quale
brillantemente ha parlato Fausto Nisticò, sulle pagine del "Diario"
del 22/3/02.
E un paio di secoli fa,
con prosa inimitabile, Charles Dickens: "la porta dell'ufficio di Scrooge
era aperta, ed egli poteva così tener d'occhio l'impiegato che, di fronte in un
miserevole sgabuzzino, un vero buco, stava copiando lettere. Scrooge aveva
acceso nel suo camino un fuoco piccolissimo, ma il fuoco dell'impiegato era
tanto più piccino da sembrare un tizzone: né egli poteva aggiungerci carbone,
perché il secchio lo teneva Scrooge nella sua stanza, e appena l'impiegato
entrava con la pala per prenderne un po', il padrone gli prediceva che avrebbe
finito per mandarlo via. Ragion per cui l'impiegato si era avvolto in una
sciarpa bianca e cercava di riscaldarsi alla fiamma della candela (...)"
("Canto di Natale", 1843), confermandosi la diffusa osservazione che
il mobbing costituisca "un fenomeno vecchio come il mondo" (ad. es.
Ege, 2002, p. 5).
Quello che, invece, va
detto al riguardo, a parte la "prescelta" e non
"imposizione" di questa "stanza" ad Umberto Alba, affermate
dall'Amministrazione convenuta (note difensive finali, p. 5), è la sussistenza
di una possibile ragione non intenzionalmente discriminatoria, ma oggettiva, di
quella infelice collocazione ambientale, dovuta alla immediata comunicazione
del locale con la stanza più grande dell'area Cooperazione, dove inizialmente
il lavoratore prestava aiuto.
Il caso di Umberto Alba
pone l'interrogativo se ci troviamo in presenza di un fenomeno di mobbing.,
Alla trattazione di
questo specifico profilo Umberto Alba dedica in astratto le pp. 14-19 delle
proprie note difensive finali, dopo i cenni contenuti in ricorso (p. 16 ss.),
argomentando, quindi, l'individuazione della fattispecie di mobbing nel caso di
specie, per la sussistenza di un complesso indiziario inequivocabilmente
dimostrativo di "una voluntas nocendi nei confronti di Alba perpetrata con
il chiaro intento di discriminarlo e di emarginarlo dall'ambiente di
lavoro" (pp. 19-24).
Qui procedendo con
consapevole difettosa approssimazione ad una tematica tanto di moda quanto
difficile, sfuggente, ambigua, se non altro per l'attuale carenza di disciplina
normativa del fenomeno, muovendoci tra i "parametri per il riconoscimento
del mobbing" formulati da accreditata dottrina (Ege, 2002), dobbiamo
verificare la ricorrenza dei seguenti fattori: 1) ambiente lavorativo; 2)
frequenza; 3) durata; 4) tipo di azioni; 5) dislivello tra gli antagonisti; 6)
andamento secondo fasi successive; 7) intento persecutorio. "La presenza
contestuale di tutti e sette i suddetti parametri verifica il corretto
inquadramento del caso concreto nella fattispecie astratta di mobbing, come
tipicamente delineata dalla miglior scienza ed esperienza storica attuale del
fenomeno, al di fuori di ogni ragionevole dubbio" (A. cit., pp. 76-77).
Certamente nel caso
proposto da Umberto Alba il conflitto si è svolto sul posto di lavoro (1), le
"azioni ostili" sono accadute almeno alcune volte al mese (2), il
conflitto è stato in corso da almeno sei mesi (3), le azioni subite
appartengono a determinate categorie individuate (4), la vittima si è trovata
in una posizione costante di inferiorità (5), la vicenda ha raggiunto una fase
avanzata (pre-fase di cd. condizione zero, conflitto mirato, inizio del mobbing,
primi sintomi-psico somatici, errori ed abusi dell'amministrazione del
personale)(senza avere attinto alle successive fasi di un serio aggravamento
della salute psico-fisica della vittima e della sua esclusione dal mondo del
lavoro)(6). Più dubbio, vedremo subito oltre, l'intento persecutorio (7).
Possiamo solo
specificare (sub 4): parzialmente, non è stato dato ad Umberto Alba un lavoro
da svolgere, costringendolo a stare sul luogo di lavoro, in parte, senza
svolgere alcuna attività, se non affidandogli compiti molto al di sotto delle
sue capacità, costringendolo, dunque, a lavori che danneggiano la propria
stima; (lasciamo al beneficio del dubbio l'assegnazione di un luogo di lavoro
dove il lavoratore si è trovato isolato dagli altri); le possibilità di
influenza e responsabilità del lavoratore sono state tagliate; i lavori da
svolgere gli sono stati cambiati, se non in continuazione, con frequenza; si
sono poste le condizioni per la creazione di un'atmosfera, di un clima a lui
sfavorevole, rendendo l'opinione aziendale ostile nei suoi confronti.
A quest'ultimo
proposito, i riflessi nell'ambiente di lavoro di questa condizione personale
lavorativa sono bene descritti dal teste Ballatori, indicato dal ricorrente:
"adr alcuni contestavano polemicamente il fatto che vedessero girovagare
Umberto Alba senza attività e noi spiegavamo che le cose non stavano così,
meglio non dipendeva da lui;
adr prima che venisse
alla DPL si mormorava tra i colleghi che nell'ambiente non lo aspettassero a
braccia aperte".
La percezione del
testimone è importante poiché sottolinea un comprensibile fenomeno
comportamentale, un atteggiamento, della comunità dei colleghi di lavoro in
danno del lavoratore, in questo caso, per quanto è stato possibile accertare in
giudizio, senza sua responsabilità - la figura professionale che è emersa nel
caso di Umberto Alba dall'istruttoria esperita è piuttosto quella di una
persona che chiedeva di lavorare e non negava la sua collaborazione a nessuno,
piuttosto che quella di un lavativo - (generica ed oscura, invece, la seconda
percezione del testimone).
Personalmente, il
ricorrente: "da quando ho presentato la richiesta di convocazione della
commissione di conciliazione a fine 2001 non sono stato neppure salutato, io
salutavo senza esserne ricambiato così ho smesso anche io di salutare e di
parlare, del tutto con il direttore Berloco, quasi con la dott.ssa Aquino.
Io ho sempre avuto
rapporti buoni, credo, con tutti i colleghi.
Negli ultimi tempi
vedendomi in queste condizioni di inattività, che mi hanno creato disagio
personale anche nei confronti dei colleghi, questi hanno cominciato un poco
alla toscana a fare qualche battuta, io sono di Scordia, in provincia di
Catania, non velenose, ma più che altro spiritose, magari anche per sollevarmi
di morale vedendomi demoralizzato, teso, che stavo male.
"Che hai fatto oggi ?
come è andata oggi ? ".
Non può, pertanto,
essere condivisa la lettura della vicenda operata dall'Amministrazione,
incentrata su una "incapacità di adattamento del ricorrente alla diversa
realtà organizzativo-istituzionale della D.P.L., incapacità che gli ha impedito
di accettare la posizione lavorativa assegnata ed inserirsi positivamente
nell'unità organizzativa di appartenenza, collaborando fattivamente nelle
diverse esigenze funzionali, soprattutto avuto riguardo alla grave situazione
di carenza di personale dell'Ufficio" (memoria difensiva, p. 9).
Tuttavia "perché
si possa parlare di mobbing - ancora Ege, 2002, spec. pp. 66-69 - ci deve
essere da parte dell'aggressore un chiaro scopo negativo nei confronti della
vittima", "un intento persecutorio".
Anche nelle proposte di
legge formulate in materia si parla di "atti e comportamenti, traducentisi
in atteggiamenti vessatori posti in essere con evidente determinazione"
(progetto di legge n. 6410 del 30/9/99), "atti e comportamenti,
traducentisi in atteggiamenti persecutori, attuati in forma evidente, con
specifica determinazione" (disegno di legge n. 870 del 21/1/01).
L'ipotetico
"nemico" di Umberto Alba, l'ipotetico "aggressore" o
"mobber", non sono i colleghi di lavoro, ma eventualmente i suoi
capi, i suoi vertici dirigenziali, un possibile caso di "bossing",
dunque.
Per escludere un caso
strettamente riconducibile a mobbing riteniamo decisiva nel caso di Umberto
Alba l'assenza di un dimostrato, chiaro intento persecutorio datoriale, a mezzo
dei suoi preposti.
Riteniamo, al
contrario, che il lavoratore non sia stato "vittima di un comportamento
persecutorio che tende(va) ad emarginarlo", bensì di una condizione
personale lavorativa assai pericolosa, assai prossima, quasi coincidente al
mobbing nelle sue componenti oggettive - un fenomeno che ci pare
pericolosamente diffuso - inizialmente favorita da un processo, indubbio, di
profonda riorganizzazione dello specifico settore di Amministrazione, e
consistita essenzialmente in un fenomeno di demansionamento,
deprofessionalizzazione, in violazione dell'art. 2087 c.c., in forza di una
serie di atti e comportamenti, anche omissivi, in suo pregiudizio.
Tra questi, Umberto
Alba ha ricordato di avere chiesto "ripetutamente", proprio a causa
della sua difficile condizione lavorativa, di essere trasferito presso altre
sedi, ricevendone peraltro sempre un rifiuto da parte dell'Amministrazione (ha
dichiarato il procuratore speciale in giudizio: "i pareri negativi del
direttore al trasferimento sono stati motivati da una situazione di carenza del
personale nella sede della DPL e da una esigenza di ottimizzazione dei servizi"), diniego del tutto in contraddizione con la denunciata grave
sotto-utilizzazione,
inutilizzazione professionale, segno ulteriore, se non di intento vessatorio,
di sottovalutazione della problematica personale lavorativa da tempo in atto in
danno del ricorrente.
Nelle note difensive
finali (spec. pp. 12-14), Umberto Alba ha dedotto la violazione da parte
dell'Amministrazione dell'art. 2087 c.c.
Si tratta di un profilo
giuridico nuovo, non dedotto in ricorso, che implicherebbe, invero, una
rivisitazione dell'allegazione fattuale pur compiuta.
Superato un dubbio di
ammissibilità della nuova prospettazione, dunque, muoviamo dal ricordare, sul
piano dei principi, secondo orientamenti interpretativi sostanzialmente
consolidati, che "l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio
dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e
la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità
morale dei prestatori di lavoro" (art. 208 7 c.c.).
Si tratta di una
previsione normativa cd. "in bianco" - attualmente applicabile anche
al rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, in forza
del rinvio al capo 1, titolo 11, libro V, c.c., contenuto attualmente nell'art.
2, co. 2, d.lgs 2001/n. 165 - la cui portata precettiva è opportunamente
suscettibile di un
L'importanza
dell'obbligo di sicurezza verrà poi esaltata con l'entrata in vigore della
Costituzione, che riconosce la tutela della salute come "fondamentale
diritto dell'individuo ed interesse della collettività" (art. 32), vieta
("non può") all'iniziativa economica privata di svolgersi "in
modo da recare danno alla sicurezza (...) alla dignità umana" (art. 41),
impone ai "pubblici uffici" di "organizzarsi secondo
disposizioni di legge, in modo che sia assicurat(o) il buon andamento (... )
dell'amministrazione" (art. 97).
La responsabilità del
datore di lavoro, in caso di infortunio o malattia professionale, può pertanto
discendere direttamente dal principio generale posto dall'art. 2087 c.c., anche
quando non siano state violate specifiche norme di prevenzione. L'osservanza di
specifiche norme di prevenzione non esaurisce l'area dell'obbligo di sicurezza,
assolvendo la disposizione del codice civile proprio alla funzione di coprire
la eventuale insufficienza di questi precetti specifici o la loro inadeguatezza
rispetto alla evoluzione tecnologica.
Tra molte pronunce,
cfr. Cass. 1997/n. 8267, per la quale "la regola consolidata nell'ambito
dell'art. 2087 c.c. prescrive che l'attività di collaborazione cui l'imprenditore
è tenuto, ai sensi di tale norma, in favore dei lavoratori, non si esaurisce
nella predisposizione di misure tassativamente imposte dalla legge ma si
estende alle altre iniziative o misure che appaiono utili per impedire
l'insorgere o l'ulteriore deterioramento di una situazione tale per cui lo
svolgimento dell'attività lavorativa determini effetti patologici o traumatici
nei lavoratori" (fattispecie in tema di mancato adeguamento
dell'organico). Cfr. ancora, solo ad es., Cass. 2002/nn. 4129, 6796.
Il datore di lavoro,
inoltre, è responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore non solo quando
ometta di adottare le idonee misure protettive, ma anche quando ometta
esclusivamente di controllare e vigilare che di tali misure sia fatto effettivamente
uso da parte del dipendente (ad es. Cass. 2000/n. 13690; ... 2002/nn. 326,
7454, 9304).
Dalla comunemente
riconosciuta natura contrattuale della responsabilità in questione discende,
inoltre, l'inversione dell'onere della prova, ex art. 1218 c.c. Accertata
l'esistenza del danno, e il nesso tra il medesimo e la prestazione lavorativa.
spetta al datore di lavoro dimostrare che l'evento si è verificato per causa a
lui non imputabile, per avere egli attuato tutte le cautele necessarie per
evitare il danno (in - tal senso, cfr. ad es. Cass. 1996/n. 7636; 2000/nn.
1886, 14469; 2002/nn. 3162, 9856).
Inoltre, per quanto
l'art. 2087 c.c. non configuri un'ipotesi di responsabilità oggettiva, come
ribadito ad es. da Cass. 2000/ n. 1886, 2002/n. 98, 56, la diligenza dovuta
nell'adempimento dell'obbligazione di sicurezza non è una diligenza media (cfr.
art. 1176 c.c.),, bensì una diligenza qualificata, tale da garantire la massima
sicurezza tecnologicamente possibile in un determinato momento storico,
rispondendo il datore di lavoro anche per colpa lievissima.
L'inosservanza di
specifiche norme di prevenzione è ritenuta sufficiente a dimostrare la
colpevolezza del datore di lavoro (v. ad es. Cass. 1994/n. 10830; 1996/n.
7636).
L'imprudenza o la
negligenza del lavoratore, anche se gravi, non escludono la responsabilità ex
art. 2087 c.c., dovendo una corretta programmazione della sicurezza prevedere
comportamenti colposi del lavoratore. Solo un comportamento abnorme, anomalo ed
assolutamente imprevedibile tenuto dal lavoratore in dispregio assoluto delle
procedure lavorative e delle direttive organizzative può escludere tale
responsabilità (cfr., ad es., Cass. 1991/n. 9422; 1992/n. 4227; 1993/n. 1523;
1995/n. . 2028; 1996/nn. 3510, 6282, 7636; 1999/n. 2432; 2000/n. 13690; ...
2002/nn. 5024, 7454, 9016, 9304, 10706).
A fronte della
violazione dell'art. 2087 c.c., l'eventuale concorso di colpa del lavoratore
può assumere rilievo ai soli effetti civili, rilevando inoltre solo in caso di
colpa grave e non di colpa lieve, rientrante nel normale rischio del lavoro e
prevenibile mediante l'adozione delle prescritte misure preventive.
Se storicamente il
terreno dell'art. 2087 c.c. è quello della fabbrica, muovendo, pur senza in
esso esaurirsi, da un apparato normativo specifico di tutela prevenzionistica,
attualmente, senza essere snaturata, la norma, per la sua struttura e funzione,
per la sua rinnovata ispirazione alla luce dei valori costituzionali, bene si
presta ad una lettura ancor più estesa ed avanzata, a tutela integrale della
persona del lavoratore e in particolare della sua salute, del suo equilibrio
fisio-psichico, sul luogo di lavoro.
Così, anche in
giurisprudenza, oltre la già citata Cass. 1997/n. 8267, cfr. ad es. lo spunto
di Cass. 2002/n. 5, "anche una condizione lavorativa stressante può
costituire fonte di responsabilità per il datore di lavoro, sempre che sia
provata la sussistenza di un rapporto di causalità tra tale condizione e
l'infortunio subito dal lavoratore" (nella specie, incidente stradale
occorso a lavoratore in trasferta autorizzato all'uso di autoveicolo).
L'applicabilità della
norma anche al rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche, in forza del rinvio al capo 1, titolo 11, libro V, c.c., contenuto
attualmente nell'art. 2, co. 2, dlgs 2001/n. 165, si presta in particolar modo
ad una sua lettura più aperta ed attenta in relazione all'emersione di nuove
esigenze di tutela. Basti riflettere sul dato, meramente empirico e indicativo,
che. almeno in Italia, il mobbing "sembra essere una piaga tipica dei 'colletti bianchi': la categoria degli impiegati d'ufficio appare, infatti,
come la più colpita" (Ege, 2002, p. 27) e che, pacificamente, il fenomeno
può determinare una lesione dell'integrità fisio-psichica, anche grave, della
vittima.
Dunque, anche un
comportamento datoriale meramente negligente, omissivo, che si sia svolto sul
posto di lavoro, aggravato da "azioni ostili", appartenenti a
determinate categorie individuate, verificatesi magari con frequenza, per
congruo periodo di tempo, nei confronti di lavoratore in posizione costante di
inferiorità, raggiungendo progressivamente fasi avanzate (primi sintomi-psico
somatici, errori ed abusi dell'amministrazione del personale), pur senza
attingere alle successive fasi " di un serio aggravamento della salute
psico-fisica della vittima e della sua esclusione dal mondo del lavoro, e
prescindendo dal dolo o da un intento persecutorio, tipicamente violano il
fondamentale precetto in forza del quale "l'imprenditore come il datore di
lavoro pubblico - è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa come
dell'attività amministrativa - le misure che, secondo la particolarità del
lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità
fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro" (art. 2087 c.c.).
Nella recente
giurisprudenza della Sezione Lavoro della Cassazione (anno 2002) il danno
"da demansionamento professionale", da "dequalificazione",
ha nuovamente trovato in più occasioni significative affermazioni ed approfondimenti.
La modifica "in
peius", intesa come "negazione o impedimento" delle mansioni dà
luogo ad una "pluralità di pregiudizi", "solo in parte incidenti
sulla potenzialità economica del lavoratore", "ridonda(ndo) infatti
in lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità
del lavoratore nel luogo di lavoro", determinando un pregiudizio che
incide "sulla vita professionale" e "sulla vita di
relazione" del lavoratore, pregiudizio di "indubbia dimensione
patrimoniale", suscettibile di risarcimento e di valutazione anche in via
equitativa (Cass. 2002/n. 10, est. Coletti, richiamantesi a Cass. 1999/n.
11727, 2000/n. 14443).
"L'affermazione di
un valore superiore della professionalità, direttamente collegato a un diritto
fondamentale del lavoratore e costituente sostanzialmente un bene a carattere
immateriale, in qualche modo supera e integra la precedente affermazione che la
mortificazione della professionalità del lavoratore potesse dar luogo a
risarcimento solo ove venisse fornita la prova dell'effettiva sussistenza di un
danno patrimoniale" (Cass. 2002/n. 10).
"Dall'assegnazione
del prestatore di lavoro a mansioni inferiori a quelle spettanti, illegittima
in quanto contraria all'art. 2103 c.c. possono derivare a carico del medesimo
danni morali, oppure di natura biologica (ad es. un'alterazione dell'equilibrio
psicologico) o, ancora, corrispondenti alla perdita di esperienza
professionale" (Cass. 2002/n. 6992).
"Il danno da perdita di
professionalità - precisa tuttavia Cass. 2002/n. 6992, est. Roselli - quale
specie del danno patrimoniale, consiste non già nella menomazione della
reputazione che produca un danno morale e neppure in una indefinita 'lesione
della personalità bensì in una diminuzione delle nozioni teoriche e della
capacità pratica o comunque di vantaggi connessi all'esperienza professionale
(ad es. la notorietà derivante dall'esibizione di capacità artistiche)
conseguenti al mancato esercizio delle mansioni spettanti, per un tempo più o
meno prolungato, avendo riguardo non solo alla qualità intrinseca delle
attività da esplicare ma anche al grado di autonomia e di discrezionalità
nell'esercizio di esse nonché alla posizione del dipendente nell'organizzazione
aziendale. Per questa come per qualsiasi altra specie di danno civile il
risarcimento spetta quando sia provata non solo l'attività illecita ma anche
l'oggettiva consistenza del pregiudizio che da essa derivi, non potendo
confondersi il risarcimento con l'inflizione di una sanzione civile, o pena
privata, soltanto quest'ultima conseguente automaticamente alla condotta
illecita.
Solo quando la
sussistenza del danno sia in qualsiasi modo provata, anche per presunzioni, e
tuttavia non sia dimostrabile il preciso ammontare, il giudice di merito può
procedere alla valutazione equitativa ex art. 1226 c.c".
La sent. 2002/n. 6992
prende dunque espressamente le distanze da Cass. 2000/n. 14443 e da Cass.
2002/n. 10, non riconoscendo un'autonoma risarcibilità di "un non definito
diritto alla libera esplicazione della libertà (?)(personalità ?) del
lavoratore", affermando la necessità della prova del danno e
l'insufficienza di una mera potenzialità lesiva dell'illecito, pena il ricorso
a "nozioni estremamente vaghe e foriere di incontrollabile
litigiosità" (riteniamo, tuttavia, che la netta diversità di impostazione
concettuale, al banco di prova delle concrete fattispecie è assai probabilmente
destinata ad una attenuazione pressoché totale posto l'inevitabile, pacifico
ricorso in materia all'argomentazione probatoria presuntiva, intorno alla
quale, con ragionevolezza ed equilibrio la partita decisoria, quantificatoria,
viene a giocarsi).
Cass.
2002/n. 7967, est. De Matteis, con maggior ampiezza argomentativa, muove dalla lettura
dell'art. 2103 pt. 1 c.c. ("il prestatore di lavoro deve essere adibito
alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla
categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni
equivalenti alle ultime effettivamente svolte ( ...)") dall'indiscusso
riconoscimento del diritto del lavoratore "all'effettivo svolgimento della
propria prestazione di lavoro".
Il lavoro, infatti, non
è, in generale, solo "un mezzo di sostentamento e di guadagno",
"ma anche un mezzo di estrinsecazione della personalità del lavoratore, ai
sensi degli artt. 2, co. 1, 4, co. 1, 35, co. 1,
Cost.".
La migliore dottrina,
sottolineando i contrapposti interessi delle parti in materia di mansioni,
all'interesse del creditore di lavoro "ad un impiego duttile ed elastico
della prestazione, in relazione alle mutevoli esigenze dell'organizzazione
produttiva" oppone "l'interesse del lavoratore alla conformità della
prestazione alle mansioni convenute al momento dell'assunzione ovvero a
mansioni compatibili con la qualifica e la categoria di appartenenza",
"in funzione della valorizzazione del lavoro come sviluppo della
personalità" (Mazzotta, 2002, p. 369).
La lesione di questo
interesse, meglio, di questo diritto del lavoratore, costituisce
"inadempimento contrattuale" da parte del datore di lavoro e
comporta, prosegue Cass. 2002/n. 7967, "l'obbligo del risarcimento del
danno da dequalificazione professionale", del "danno al patrimonio
professionale in senso stretto" (interessante, tra altre, l'osservazione
che "l'attuale evoluzione del mercato del lavoro enfatizza la formazione
continua come essenziale caratteristica dell'attuale momento storico
economico", valorizzando pertanto la descritta funzione della prestazione
lavorativa, p. 7).
In particolare, precisa
la Cassazione, "non solo una riduzione qualitativa, ma anche quantitativa
delle mansioni, in una misura significativa ( ... ) può comportare
dequalificazione" (l'onere della prova dello svolgimento di mansioni
qualificanti è in questo caso addossato dalla sent. 2002/n. 7967 al datore di
lavoro, p. 7).
Il danno da
dequalificazione professionale può assumere, osserva la Cassazione,
"aspetti diversi": danno "patrimoniale", "derivante
dall'impoverimento `` della capacità professionale acquisita dal lavoratore e
dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità"; danno "per
perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno"; danno
"alla salute", all"'integrità psico-fisica"; danno
"all'immagine"; danno "alla vita di relazione" (l'onere
della prova, anche a mezzo di presunzioni, di tali "aspetti" grava sul
lavoratore)(pp. 12-13)(nel caso concreto la sentenza impugnata ha superato il
controllo di legittimità, essendosi ritenuti "indizi sufficienti per
dedurre l'esistenza di un danno professionale": la "lunghezza
dell'inattività, circa un anno", l"'elevata qualità professionale
delle mansioni", le "caratteristiche concorrenziali del mercato del
lavoro")(p. 13).
Anche Cass. 2002/n.
7967, dunque, ritiene necessaria la prova dell’esistenza" del danno da
dequalificazione professionale, nei modi descritti, aprendo quindi la strada
alla necessaria ("determinazione alla quale il giudice non può
sottrarsi'') valutazione equitativa del medesimo ex art. 1226 c.c. (p. 14).
Successivamente, Cass.
2002/n. 15868, est. Prestipino, ha confermato analoghe impostazioni concettuali,
ribadendo il "diritto fondamentale del lavoratore alla esplicazione della
sua personalità anche nel luogo di lavoro" (p. 8, ricollegandosi al
"punto fermo per la successiva elaborazione giurisprudenziale in tema di
conseguenze derivanti dalla violazione dell'art. 2103 c.c. da parte del datore
di lavoro", rappresentato da Cass. 1992/n. 13299) e confermando la
"indubbia dimensione patrimoniale" della sua lesione "che lo
rende suscettibile di risarcimento" a mezzo di valutazione anche in via
equitativa (richiamandosi a Cass. 1999/n. 11727; 2000/n. 14443; 2001/n.
13580)(confermandosene la necessità da parte del giudice di merito, p. 9 ss.).
Conferma la sent.
2002/n. 15868 che "la liquidazione equitativa, proprio riguardo alla
specifica materia oggetto del presente giudizio, deve essere compiuta anche
quando addirittura sia mancata la dimostrazione, in via diretta, dell'esistenza
di un effettivo pregiudizio patrimoniale (Cass. 2000/n. 14443), dato che la
prova presuntiva va ricavata dagli elementi di fatto relativi alla durata del
demansionamento e dalle altre circostanze del caso concreto (Cass. 2001/n.
13580)" (p. 10).
Nel caso proposto da
Umberto Alba, per l'argomentazione in fatto sopra condotta, è stata attuata per
lungo periodo di tempo una privazione qualitativa e quantitativa delle
mansioni, in violazione dell'attuale Testo Unico del Pubblico Impiego, d.lgs.
2001/n. 165, art. 52, discendente dalla sequenza normativa tracciata dall'art.
56 del d.lgs. 1993/n. 29, come sostituito dall'art. 25 del d.lgs. 1998/n. 80,
successivamente modificato dall'art. 15 del d.lgs. 1998/n. 387, il cui co. 1
pone il principio che "il prestatore di lavoro deve essere adibito alle
mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti
nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti
collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia
successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di
procedure concorsuali o selettive", norma che presenta "una marcata
omogeneizzazione con il lavoro privato, anche in forza della sostanziale
marcata omogeneizzazione con il lavoro privato in forza della sostanziale
"assonanza" nella sua formulazione che ricorda, in alcuni passaggi,
quasi alla lettera, 'la formulazione dell'art. 2103 c.c." (Mazzotta,
2002, pp. 379-380).
Umberto Alba, ha subito
pertanto un significativo svuotamento delle proprie mansioni con
dequalificazione e danno della propria professionalità.
Senza ripercorrere
tutta la sua storia lavorativa, rileviamo soltanto che al culmine di un
percorso professionale ascendente (più ampiamente descritto alle pp. 1-2
ricorso; p. 2 note difensive finali), con ordine di servizio 1/7/96, n. 18, in
qualità di assistente amministrativo, 6° q.f., Umberto Alba, a decorrere dal
successivo 3/7, assunse, per disposizione del direttore Luigi Antonucci,
"la pienezza delle funzioni vicarie con poteri di coordinamento e di firma
della generalità degli atti, sostituendo la dott.ssa Panci Elisabetta,
direttore Amministrativo, 9° q.f., Responsabile della Sezione Circoscrizionale
per l'Impiego ed il Collocamento in Agricoltura di Poggibonsi, durante le sue
assenze dal servizio a qualunque titolo esse siano" (doc. 1 p.a.); con
nota 4/3/02 il direttore Berloco comunicava al Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali che Umberto Alba era stato nominato reggente ad interim della
Sezione Circoscrizionale di Poggibonsi dall'1/11/97, in base a o.s. 1997/n. 3,
rivestendo tale incarico fino al 25/11/99 (doc. 4 p.c.)(l'assenza della
dott.ssa Panci si protraeva ininterrottamente dal 3/7/96, fino al 27/11/99).
Si tratta, dunque, di
una professionalità di spessore apprezzabile, per rilevante periodo di tempo
mortificata, con danno evidente (se si vuole, presuntivamente dimostrato) alla
medesima, consistito nell'impoverimento della capacità professionale acquisita
dal lavoratore e nella mancata acquisizione di una maggiore capacità.
Né può essere esclusa
la verificazione di un danno "per perdita di chance, ossia di ulteriori
possibilità di guadagno", di difficile individuazione e determinazione, ma
con assai ragionevole probabilità correlato a vicende similari.
A mezzo di valutazione
equitativa (artt. 1226 c.c, 432 cpc), stante l'estrema difficoltà, se non vera
e propria impossibilità probatoria della quantificazione, può del tutto
prudenzialmente determinarsi un danno patrimoniale alla professionalità di €
10.000,00, in valori attuali.
In conseguenza della
lesione ingiustamente subita alla sfera della sua personalità e professionalità
in ambito lavorativo per effetto del comportamento del proprio datore, Umberto
Alba ha riportato un danno "esistenziale" (distinto da quello
"biologico ")(cfr. Cass. 2000/n. 7713), incidente quotidianamente,
per apprezzabile periodo di tempo, sul complesso dei rapporti facenti capo alla
persona, al suo modo di essere, di atteggiarsi mentalmente, di comportarsi e
relazionarsi, danno cagionato dalla frustrazione subita, dalle speranze ed
aspettative deluse, dalla perdita di autostima (l'opinione che il soggetto ha di
se stesso e delle proprie capacità) per l'emarginazione, mortificazione ed
umiliazione sopportate.
Certamente sussistente,
inoltre, una componente di danno "all'immagine" del lavoratore
essenzialmente in ambito professionale (se vogliamo, riconducibile all'ampia
categoria del danno esistenziale, come il danno "alla vita di
relazione"), questo direttamente, e non solo presuntivamente dimostrato. I
riflessi nell'ambiente di lavoro di questa condizione personale lavorativa sono
stati bene descritti dal teste Ballatori, indicato dal ricorrente: "adr
alcuni contestavano polemicamente il fatto che vedessero girovagare Umberto
Alba senza attività e noi spiegavamo che le cose non stavano così, meglio non
dipendeva da lui" (v. sopra più ampio commento del passo della
deposizione).
A mezzo di valutazione
equitativa, può riconoscersi al titolo predetto un danno di € 3.500,00, in
valori attuali.
Il disagio di Umberto
Alba in ambiente di lavoro ha avuto infine segni ancor più manifesti.
Ha ricordato il teste
Argiolas, indicato da Umberto Alba: "adr ogni tanto Umberto Alba veniva a
parlare con me e si lamentava della situazione di precarietà e insoddisfazione
descritte".
Il teste Garofalo,
rappresentante sindacale CISL-FPS, sempre indicato dal ricorrente: "adr ho
avuto modo di notare una sofferenza di Umberto Alba, che più volte si è
lamentato e sfogato con me anche di problemi di salute, anche per questo il
nostro intervento sindacale. All'epoca non era tra altro iscritto ad alcuna
sigla" (intervento proficuo, dal punto di vista sindacale, osserviamo in
margine, se è vero quanto dichiarato da Umberto Alba: "svolgo attività
sindacale all'interno della struttura, dapprima autonomo, quindi CISL. Un nuovo
iscritto, insomma).
Infine il teste
Ballatori, rappresentante sindacale CISL-FPS, ancora indicato da Umberto Alba:
"adr mi pareva che lui fosse abbastanza stressato, schizzato per non avere
una sua collocazione, vista l'emotività e vivacità, il disagio nelle sue
richieste ".
Sul piano sanitario
(danno "biologico") non disponiamo tuttavia di dati di consistenza
tale da suggerire un approfondimento medico-legale del tema, limitandosi i
medesimi, infatti, alla deduzione di una "sindrome ansioso depressiva su
base reattiva" documentata per la prima volta in giudizio, a mezzo del
certificato 30/4/02 del primario dell'U.O. di Psichiatria dell'Azienda USL 7,
dott. A. Addabbo ("quadro depressivo con disturbi dell'adattamento").
Possiamo dunque
ragionevolmente ritenere dimostrata sul piano dell'integrità psico-fisica una
sofferenza psichica temporanea (manifestazioni psicosomatiche, sindrome
ansiosa, fissazione del pensiero sul proprio problema) adeguatamente risarcita
equitativamente in € 3.500,00, espressi in valori attuali.
P.Q.M.
condanna il Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali al pagamento a favore di Umberto Alba
delle differenze retributive correlate allo svolgimento di mansioni superiori,
dal 3/7/96 al 27/11/99, determinate in € 2.265,18, oltre rivalutazione
monetaria e interessi legali, ex artt. 429,150 att. cpc.;
accerta, a decorrere
dall'1/1/00, l'illegittima privazione di mansioni e la deprofessionalizzazione
del lavoratore ricorrente, e condanna l'Amministrazione convenuta al
risarcimento del danno alla professionalità, esistenziale e biologico,
determinati rispettivamente in €10.000,00 + 3.500,00 + 3.500,00, in valori
attuali.
Condanna il Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali al pagamento delle spese processuali,
liquidate in € 5.500,00, di cui 1.500,00 per diritti, 3.500,00 per onorari,
500,00 per spese generali, oltre Iva e Cap.
Siena, 13/12/02.
Il giudice
Delio Cammarosano
(Minuta sentenza
depositata il 19 aprile 2003)
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