DANNO ESISTENZIALE (simbolicamente risarcito), NON MOBBING!
TRIBUNALE DI FORLI’ (sezione lavoro, 1° grado) – 6 febbraio
2003 – Giud. Sorgi - FISCELLI OMBRETTA (avv. Dolcini, Spagnoli, Cantisani) c. GIANGASPERO
FELICE (avv. Martines, Gamberoni) e Azienda USL di Cesena (avv. Martines,
Gamberoni).
Danno esistenziale simbolico - Da mancato intervento della Asl, discendente ex art. 2087 c.c., finalizzato ad appianare i contrasti tra primario medico e dottoressa collaboratrice.
Nel caso in esame l’Azienda Usl di Cesena ha omesso di tutelare la dignità professionale della Fiscelli non intervenendo per risolvere la situazione di difficoltà nella quale la stessa si trovava; l’azienda non ha manifestato forme di solidarietà, se non a parole (vedi missiva Fiscelli 26/6/97), per essere accanto ad una propria dipendente in un momento di difficoltà, non ha tenuto in alcun conto l’impossibilità della Fiscelli di elevarsi professionalmente in una realtà conflittuale come quella del suo reparto, pur consapevole delle enormi qualità professionali e delle potenzialità espansive della stessa; non ha curato adeguatamente la dignità umana della propria dipendente, e forse neppure del Primario dottor Giangaspero, non impegnandosi nel cercare di risolvere una situazione penosa e dolorosa per i contendenti. Se ne deduce che un intervento dell’amministrazione tempestivo ed efficace in termini di superamento della conflittualità si sarebbe collocato in un’ottica di buona amministrazione oltre che fornire una risposta alle continue richieste di intervento della propria dipendente. Per questo motivo lo scrivente ritiene che nel caso in esame un danno sia stato arrecato alla Fiscelli dall’amministrazione con il mancato intervento o in chiave preventiva o quantomeno in chiave risolutiva del contrasto con il Primario e che l’amministrazione stessa aveva l’obbligo giuridico di evitare tale situazione ai sensi degli articoli 2087 c.c. e 2,35 e 97 della Costituzione.
In linea con la recente dottrina e giurisprudenza relativa alla quadripartizione delle tipologie dei danni, con l’introduzione della categoria del danno esistenziale, insieme alle altre già codificate ed adeguatamente riconosciute, riteniamo che nel caso di specie non vengano in considerazione danni riguardanti patologie della Fuscelli, come detto preesistenti quanto meno in parte allo scontro e comunque non riferibili univocamente allo stesso, e di conseguenza anche la figura del danno biologico non appare adeguata al caso di specie ed allora proprio al danno esistenziale dobbiamo fare riferimento.
Si è
detto che il danno esistenziale è la categoria che tutela la qualità della vita
di un soggetto e, da questo punto di vista, è lampante come la qualità di vita della Fiscelli
durante la prolungata polemica con il Primario sia stata deteriorata da tale
realtà, particolarmente considerando l’importanza del lavoro nella vita
ricorrente. Inoltre la categoria del danno esistenziale tutela beni immateriali
e la professionalità in questo senso è il classico profilo di un lavoratore
che, pur costituendo parte del risultato del suo impegno lavorativo,
difficilmente trova adeguato riconoscimento, conforto, apprezzamento e tutela
davanti ad un giudice e di conseguenza proprio la categoria del danno
esistenziale si appalesa come quella idonea a tale scopo.
Il
problema principale è trovare criteri di liquidazione dello stesso convincenti
e ragionevoli. Essendo evidentemente la necessità di operare un tipo di
liquidazione equitativa, ex art. 1226 c.c., essendo chiara la difficoltà per la
ricorrente di dimostrare, oltre la lesione del bene, professionalità, la gravità
di tale lesione seguendo i criteri dell’onere della prova in questa materia
(vedi Corte di cassazione n.10203/2002) si deve cercare il parametro di
riferimento per tale liquidazione. Come primo criterio varrà l’osservazione che
trattandosi di una situazione di tutela originale, se non innovativa, l’aspetto
risarcitorio avrà più valore simbolico e di principio che di vera e propria
riparazione economica.
Il secondo criterio sarà rapportare tale risarcimento alla durata del periodo di sofferenza o, meglio, di compressione delle proprie potenzialità professionali per la valutazione del danno. Il terzo elemento sarà quello di individuare un parametro di riferimento. Sotto questo profilo il giudice ritiene di averlo trovato in quanto indicato dalla ricorrente come spesa per un corso di formazione professionale.
CONCLUSIONI
DEI PROCURATORI DELL’ATTRICE:
Piaccia
all'Ill.mo Signor Giudice, disattesa e respinta ogni istanza contraria: a)
accertare la responsabilità solidale del DR. Giangaspero Felice ex art. 2043 e
2059 e 2087 c.c., e dell’Azienda U.S.L. di Cesena ex art 1175, 1375, 2043, 2087
e 2049 – per i fatti ivi narrati, nonché per aver omesso di adottare misure
idonee atte a tutelare l’integrità fisica e morale della ricorrente, in ordine
a tutti i danni, biologici e patrimoniali, provocati alla dr.ssa Fiscelli;
b) accertato il danno
professionale e l’illegittimità della dequalificazione subita dalla ricorrente
per fatto e colpa del Dr. Giangaspero e dell’Azienda U.S.L. di Cesena
convenuta, in violazione degli artt.2087 e 2103 c.c. e 13 dello St. Lav, nonché
24 e ss del C.C.N.L vigente, conseguentemente dichiarare la responsabilità dei
convenuti per tutti i danni professionali e biologici subiti dalla ricorrente
anche in ragione del comportamento discriminatorio e persecutorio subito sul
luogo di lavoro (c.d. mobbing) e, per l’effetto, avuto riguardo alla gravità
delle lesioni subite dalla ricorrente, condannare gli odierni convenuti; b/1 al
reinserimento della Dr. Fiscelli nell’organigramma funzionale del Servizio di
Anatomia Patologica, Citodiagnostica e Citogenetica dell’Ospedale “M.
Bufalini”; alla reintegrazione della ricorrente nelle funzioni e nelle mansioni
dalla stessa svolte prima del 1996 o comunque all’assegnazione di mansioni e funzioni confacenti la sua specialistica
competenza; b/2) al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di
risarcimento del danno alla professionalità ed all’immagine della somma pari a
£. 72.407.400, equivalente alla metà della retribuzione mensile moltiplicata
per il numero dei mesi di permanenza della Dr.ssa Fiscelli nelle mansioni che ne
hanno comportato la qualificazione professionale, o di quella maggiore o minore
somma che sarà ritenuta di giustizia oltre alla rivalutazione monetaria ed agli
interessi legali sulle somme rivalutate dal dì del dovuto al saldo; b/3) al
risarcimento del danno biologico permanente e temporaneo subito dalla
ricorrente, nella sub specie di danno psichico, all’immagine ed alla vita di
relazione, ex art. 2087 e 2043 c.c. da determinarsi nella misura di £93.665.500
= per invalidità psicofisica permanente, di £ 36.000.000 = per invalidità
temporanea totale e di £ 9.000.000 = per invalidità parziale temporanea, per un
totale minimo liquidabile, relativamente al presente capo di domanda, di
£18.581.875 = in conformità alle tabelle “Milano 2” ovvero in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., anche a
seguito delle indicazioni date e dell’espletanda istruttoria; oltre altri
importi, fra cui: le spese vive quelle legali tutte; interessi dal dovuto sul
capitale rivalutato; oltre interessi dalla sentenza al pagamento; oltre ancora al rimborso delle spese mediche
sostenute pari a £. 30.000.000 = ed alla rivalutazione monetaria ed agli
interessi legali sulle somme rivalutate dal dì del dovuto al saldo; b/4) al
risarcimento del danno morale ed esistenziale ex art. 2059 e 2043 c.c. subito
dalla ricorrente con una somma proporzionale a quanto liquidato per il danno
biologico, in conformità alle tabelle di calcolo adottate dal tribunale di
Milano (c.d. “Milano 2), ovvero in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c.
oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali sulle somme
rivalutate dal dì del dovuto al saldo; b/5) al rimborso alla ricorrente di £.
1.125.000= corrispondenti all’iscrizione al corso di aggiornamento presso
l’Istituto Dermapatologico dell’Immacolata (IDI) di Roma, già citato in prosa,
quale rifusione “emulativa” del danno subito per la mancata formazione; c)
condannare altresì la convenuta al rimborso di diritti ed onorari (oltre IVA e
CAP) e delle spese tutte del presente procedimento, considerato anche il
comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa ex art. 69-bis del
D.lgs 3 febbraio 1993, n.29”, “Voglia l’Ecc.mo Giudice adito, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 700 e 69/bis e ss. C.p.c. ordinare, con decreto
inaudita altera parte o, in subordine, fissata l’udienza di comparizione delle
parti, in contraddittorio con gli odierni convenuti e comunque previa
assunzione di informazioni da parte di soggetti che possano ritenersi esperi in
ordine al provvedimento de quo, ogni misura necessaria all’eliminazione del
pregiudizio di cui in premessa, annullando l’ordine di servizio citato (prot.
N.34/01) nella parte in cui non concede alla dr.ssa Fiscelli il diritto di
usufruire di un graduale reinserimento nel Servizio di Anatomopatologia,
ordinando ai convenuti di provvedere in tal senso con l’affiancamento di altro
medico e/o con altra misura idonea allo scopo, e disponendo poi per il
prosieguo del giudizio di merito con vittoria di spese e onorari”. “Ci si
riporta totalmente alle conclusioni in ricorso, rinunciando unicamente alla
parte in cui al punto b/1) chiedeva il” reinserimento nell’organigramma
funzionale del Servizio di Anatomia Patologica, Citodiagnostica e Citogenetica
dell’Ospedale “M Bufalini” alla reintegrazione della ricorrente nelle funzioni
e nelle mansioni dalla stessa svolte prima del 1996” , giacché su tali petita è
venuto meno l’interesse al contendere della ricorrente medesima essendo la
domanda già stata assorbita dalla ordinanza di decisione sul ricorso incidentale
ex art. 700 C.P.C. di cui invece si chiede in toto la conferma in via
definitiva. Con vittoria di spese di lite. Si insiste affinché l’ On.le Giudice
adito respinta ogni istanza avversaria decida per l’accoglimento delle
conclusioni già rappresentate nella memoria del 20/12/02, riportandosi
totalmente a quanto in essa contenuto.
CONCLUSIONI DEI PROCURATORI DEI
CONVENUTI:
“Voglia il Giudice rigettare le
richieste della dottoressa Fiscelli con, vittoria di spese, competenze e
onorari”.“Tutte le richieste avanzate nei confronti del dott. Felice
Giangaspero e dell’Azienda U.S.L. di Cesena devono pertanto essere rigettate,
in quanto destituite di fondamento”. “Ci si riporta alle conclusioni della
memoria di costituzione”.
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con ricorso
presentato alla sezione del Lavoro del Tribunale di Forlì Fiscelli Ombretta
dichiarava di lavorare in qualità di medico specializzato in anatomia
patologica presso l’Ospedale Bufalini di Cesena sin dal 1975 e di aver subito
un processo di mobbing dall’arrivo nel reparto di Anatomia Patologica del nuovo
Primario Felice Giangaspero, nel febbraio 1996, sempre più pesante e gravido di
conseguenze anche per la propria salute. Riteneva che ci fossero profili di
responsabilità sia in capo al Giangaspero autore delle condotte dannose, che nei confronti dell’amministrazione
dell’Azienda USL di Cesena, che gestisce l’Ospedale Bufalini. Chiedeva di
conseguenza, una volta accertati i danni biologici, morali e patrimoniali
provocati alla stessa nonché il danno alla professionalità per la
dequalificazione condotta nei suoi confronti, venissero condannati in
solido il Primario del reparto e l’Azienda USL al risarcimento dei suddetti
danni indicati nel ricorso. Il Primario Felice Giangaspero e l’Azienda USL di
Cesena si costituivano congiuntamente nel presente giudizio contestando
integralmente le pretese della parte ricorrente e chiedendo il rigetto del
ricorso. Secondo tali parti non ci sarebbe stato alcun atteggiamento
discriminatorio o comunque negativo nei confronti della dottoressa Fiscelli.
Gli episodi di confronto tra Giangaspero e la Fiscelli venivano ridimensionati
a ordinaria dialettica interna all’ambiente di lavoro, la patologia della
ricorrente non appariva riconducibile a eziologia lavorativa e tutti i fatti
descritti dovevano essere letti nel loro insieme in un contesto di un rapporto
professionale sicuramente problematico ma non per questo rilevante sotto il
profilo del danno e della conseguente responsabilità. Nel corso del giudizio si
procedeva ad escutere un numero rilevante di testimoni a conoscenza della
situazione sia precedente che contemporanea ai fatti per i quali la ricorrente
aveva agito. Questo giudice disponeva procedersi a consulenza psichiatrica per
verificare le caratteristiche della diagnostica patologia psichiatrica della
ricorrente e il nesso casuale eventuale con la condizione lavorativa. Durante
il processo, caratterizzato anche da provvedimenti di urgenza e durante il
quale il Primario Giangaspero passava ad altro incarico lasciando l’Ospedale di
Cesena, venivano depositate anche risultanze di attività di consulenti di parte
non autorizzate dal giudice che contribuivano a rendere la materia ancora più
articolata. Al termine dell’impegnativa fase istruttoria e dopo la discussione
la causa appariva matura per la decisione.
La
materia del presente ricorso rientra in quella complessa e sempre più viva
problematica relativa all’ambiente di lavoro ed alla tutela da accordare al
lavoratore alla luce del disposto degli articoli 2,3,32,41 della Costituzione
ed in generale dall’ordinamento a favore della parte debole del rapporto di
lavoro, non solo sotto il profilo della tutela delle condizioni materiali ma
anche della sua dignità come persona e come lavoratore. Tematiche antiche ma
mai come ora attuali se ripensa al complessivo contesto determinato dalla
globalizzazione sul mercato internazionale del lavoro in generale ed in
particolare nella nostra realtà ai mutamenti derivanti dalla sempre maggiore
richiesta di flessibilità che comportano una più marcata precarizzazione del
lavoro ed una sempre più necessitata disponibilità ad accettare condizioni
lavorative indipendentemente dalle garanzie contenute nel posto offerto (si
pensi, sotto questo profilo, alla condizione degli immigrati ed alla
correlazione tra il lavoro e il permesso di soggiorno). In questo senso si è
parlato con grande sensibilità di mobbing di sistema nelle situazioni con
potenzialità aggressiva in re ipsa derivante
dalla condizione priva di strumenti di reazione. In questo scenario, non solo
nazionale, si inserisce una rinnovata attenzione alla figura complessiva del
lavoratore ed alla tutela da accordare allo stesso non solo per le sue
condizioni materiali ma anche sotto il profilo della tutela della sua
personalità e professionalità, a rischio in un contesto nel quale le regole si
fanno sempre più “leggere” e le esigenze del mercato sempre più “pesanti” nella
valutazione degli spazi di tutela del lavoratore. Non a caso, è stato fatto
notare dai migliori studiosi del mobbing, l’interesse internazionale sul tema
si è sviluppato quasi in contemporanea in diversi paesi del mondo occidentale a
economia sviluppata alla fine degli anni ottanta quando il mondo del lavoro ha
cominciato a conoscere massicciamente gli effetti delle grandi trasformazioni
portate dalle nuove caratteristiche dell’economia attuale.
In
questo contesto una causa come la presente, che sarebbe stata impensabile solo
alcuni fa come struttura e come domande, appare attuale e inserita nelle nuove
tematiche collegate alla sempre maggiore sensibilità accordata dalla
giurisdizione alla dignità del lavoratore. Siamo in una situazione dove, per
l’altro, le garanzie formali sono presenti -un rapporto di lavoro di un medico
specialista con una Azienda Usl in un Ospedale – ma dove i potenziali attacchi
alla sfera personale del lavoratore possono essere particolarmente insidiosi e
pericolosi per la stessa persona considerando i livelli di professionalità
della ricorrente.
La
dottoressa Fiscelli lamenta di essere stata vittima di un atteggiamento
vessatorio nei suoi confronti da parte del dottor Giangaspero Primario del
reparto di anatomia patologica, struttura per la quale lavorava già da oltre
vent’anni, e chiama in causa l’Azienda Usl per non essere intervenuta a
tutelare la propria condizione pur essendo perfettamente a conoscenza della
situazione di conflittualità e delle sofferenze lamentate. La casistica viene
ricondotta dalla ricorrente alla tipologia del mobbing. Per una definizione del
mobbing si rimanda ai numerosi studi sull’argomento ed alle oramai non isolate
decisioni della giurisprudenza che hanno parlato del tema fornendo contorni
acquisiti con una certa sicurezza, in attesa di una definizione del legislatore
nazionale. Questo fenomeno corrisponde ad una figura che da alcuni anni nel
nostro paese, prima nel settore della psicologia del lavoro e in seguito anche
in quello del diritto, ha avuto un riconoscimento adeguato e che a livello
continentale costituisce un problema
non sottovalutato, come la recente risoluzione del Parlamento Europeo
(20/9/2001 n-A5-0283/2001) dimostra. Per poter accertare la riferibilità di
tale struttura alla reale situazione in esame occorre esaminare i fatti
salienti che si sono verificati negli ultimi anni della vita lavorativa della
ricorrente e, una volta conosciuti, leggerli alla luce della richiamata
fattispecie. Abbiamo già ricordato che Giangaspero diventa Primario del reparto
di anatomia patologica dell’Ospedale di Cesena nel febbraio 1996. in precedenza
il Primario era il professor Tison, una figura di medico e di uomo sicuramente
mirabile per come descritta concordemente da tutti i testimoni interrogati sul
punto, morto nell’aprile del 1995 ma già da tempo malato. La Fiscelli era aiuto
nella vecchia terminologia ospedaliera - sostituita prima nel 1996 con medico
di I°livello dirigente e dal 1999 con dirigente medico - del Tison ed aveva un rapporto professionale
ed umano di grande intensità. Con la malattia del primario – iniziata nel 1993
e con diagnosi infausta realizzata
dalla stessa Fiscelli – la ricorrente contemporaneamente vive il dramma della
sofferenza per il suo Primario gravemente malato e l’impegno del primariato,
essendo stata a lei affidata informalmente per il lungo periodo di malattia del
Tison la responsabilità del reparto. È sicuramente un contesto emotivamente
molto impegnativo se si considera la particolare cura che dedica al lavoro la
Fiscelli e il profondo legame umano e professionale che l’univa al professor
Tison. Infatti in quel periodo la ricorrente inizia a frequentare una
psicologa, la dottoressa Domenicali, dalla quale apprende tecniche di training
autogeno e, contestualmente, cerca sostegno per la pressione alla quale è
sottoposta. Dopo la morte del professor Tison il reparto viene affidato
all’altro aiuto dottor Caruso, che possedeva i requisiti formali per poter
guidare la struttura prima della nuova
nomina, ed i rapporti con la Fiscelli , stando alla testimonianza del Caruso
stesso, in quel periodo sono problematici. È questa una circostanza che
psicologicamente ed umanamente risulta comprensibile se si pensa che la
Fiscelli viene sostanzialmente riportata al ruolo precedente sotto le direttive
dell’altro aiuto che per un lungo periodo lei aveva diritto. Con l’arrivo del nuovo
Primario nel febbraio 1996 si crea una
situazione di generale tensione con riferimento ai metodi utilizzati dal
Giangaspero. Il personale, sia medico che paramedico si rivolge
all’amministrazione per avere chiarimenti sulla condotta del Primario ma, dopo
un periodo di assestamento, la situazione tende a migliorare nel suo complesso.
Si deve per altro contestualizzare questa nomina e considerare che, contemporaneamente, si assiste al fenomeno
della ristrutturazione del servizio nazionale con un taglio sempre più
manageriale ed alla trasformazione delle unità sanitarie locali con la
richiesta di una maggiore attenzione alle tematiche della produttività del
servizio, situazione che vede nel Giangaspero un rappresentante della nuova
filosofia. La Fiscelli, per mentalità e per formazione, rappresenta il prodotto
della precedente cultura, molto più attento all’analisi ed all’approfondimento
che al budget, ed inevitabilmente le due mentalità non si trovano e finiscono
per scontrarsi. Molto bene la situazione viene descritta nella memoria di parte
ricorrente 20/12/2002 a pag.12 “la personalità e soprattutto la metodologia di
lavoro della ricorrente, non si conciliava con quella del nuovo Primario e la
mancanza di mediatori ha determinato il sorgere del conflitto”.
Per
altro le condizioni della Fiscelli più o meno in quel periodo non erano delle
migliori se è vero che nel giugno (20/6/96) c’è agli atti un certificato medico
del dottor Gatticchi, medico curante della ricorrente, che parla di depressione
reattiva di notevole entità della Fiscelli indicando la necessità di quindici
giorni di riposo e, ancora più significativo, un ulteriore certificato della
dottoressa Valpiani, gastroenterologa , che quasi contemporaneamente (21/6/96)
parla di una patologia da reflusso gastroesofageo della ricorrente che ha
determinato un quadro di astenia e debilitazione con consistente calo ponderale
e lo collega verosimilmente a problematiche di ordine psicologico. Non è
possibile riconnettere tale situazione al rapporto con il Giangaspero per una
serie di motivi. In primo luogo si deve ricordare che in un primo periodo (e
da febbraio a giugno 1996 è sicuramente un breve periodo) il conflitto non era
personalizzato ma riguardava l’intera struttura e il nuovo Primario che veniva
vissuto come corpo estraneo. In secondo luogo dalle teorizzazioni sul mobbing
si ricava agevolmente che il momento delle conseguenze di ordine fisico e
psichico del fenomeno si manifestano dopo un certo lasso di tempo e non certo
in uno stadio così iniziale. Il teorizzatore delle sei fasi del mobbing nel
modello italiano, il dottor Ege utilizzato tra l’altro come consulente di parte
nel presente processo, parla di una terza fase del mobbing nella quale il
mobbizzato comincia a manifestare i primi sintomi psico-somatici, i primi
problemi per la sua salute collocandola nel tempo ad una distanza ragionevole
dalle precedenti fasi. Infatti esaminando il caso in esame Ege colloca questa
terza fase dopo oltre un anno, cioè nel maggio 1997, quando la ricorrente
comincia un vero e proprio percorso con uno psichiatra e con l’ausilio di
farmaci specifici. Se avesse conosciuto con esattezza le circostanze appena
descritte relative all’anno prima il dottor Ege non avrebbe potuto ritrovare lo
schema delle fasi del mobbing nel caso in esame poiché avrebbe verificato una
sovrapposizione tra la così detta fase zero e la terza fase che, al contrario,
segue dopo un periodo ragionevole le atre che necessariamente si susseguono.
Quindi si rilevano due incongruenze gravi per ricondurre il caso concreto alla
struttura teorica del mobbing: il sovrapporsi tra due fasi ben distinte nella teorizzazione del fenomeno e la evidente carenza delle
fasi intermedie, la uno e la due, che
dovrebbero succedersi nel tempo dopo la fase zero e prima della fase tre.
Questi elementi costituiscono una prima enorme perplessità rispetto all’ipotesi
di ricondurre il caso in esame alle tematiche del mobbing. Ma la complessità
della materia determina la necessità di proseguire nell’esame.
Alla
fine del 1996 quando la situazione generale del reparto tende a normalizzarsi e
il contrasto a personalizzarsi tra la Fiscelli ed il Giangaspero una nuova
grande fonte di preoccupazione colpisce la
ricorrente e riguarda la salute del figlio.
In
realtà la questione è meno grave fortunatamente di come appare in quel periodo
e si risolve positivamente - per altro
solo dopo un’ultima operazione nell’estate 1997 – ma per un mese alla fine del
1996 la Fiscelli prende aspettativa per accudire il figlio ricoverato in
ospedale dopo una operazione al setto nasale. Dire che si è trattato di una
sinusite che si è risolta in due mesi
(pag.22 memoria 20/12/2002 Fiscelli ma nella consulenza di parte della
dottoressa Astorra del 3/1/2002 la malattia viene definita addirittura episodio
banale e non può essere così perché non si prende4 un mese di aspettativa dal
lavoro per una banalità, sicuramente non la Fiscelli) vuole dire non dare il
giusto peso alle cose, come invece ha dato con estrema professionalità il
consulente del giudice nella sua relazione.
Sicuramente
anche questo episodio ha influito sulla salute della Fiscelli e la necessità di
ricorrere ad un aiuto sempre più specialistico per la sfera psichiatrica (i
primi certificati dello psichiatra Amadei sono del maggio 1997) si collocano in
un contesto che definire almeno complesso è doveroso. Evidentemente non la
pensava così il dottor Cecchetti (medico chirurgico odontostolomatologo) che
dopo aver visitato nel luglio 1997 Fiscelli indica nel mobbing la causa
esclusiva delle problematiche mandibolari descritte nel certificato 11/2/98 in
atti. La dottoressa Schilio successivamente, in maniera sicuramente più sobria
parla di probabile origine lavorativa per i dolori alle articolazioni
temporo-mandibolari: certificato 1/3/2000).
Un dato
certo è che sin dall’origine viene diagnosticata una depressione di carattere
reattivo come origine delle sofferenze della Fiscelli, su questo elemento sono d’accordo tutti. Anche
la dottoressa Astorre, consulente di parte ricorrente come neuropsichiatria, parla
nel certificato 22/12/99 di depressione oltre i limiti ed aggiunge “presenti
postumi da disturbo post-traumatico da stress” che se la lingua non inganna
indicano una situazione pregressa (postumo è un effetto tardivo o conseguenza
di una malattia) parlando di un danno nell’ordine del 12%. Ma nella successiva
consulenza 24/7/2000 (a distanza di soli sette mesi dalla prima relazione)
dopo aver collegato il reflusso gastroesofageo allo stress lavorativo (detto
reflusso era stato diagnosticato nel giugno 1996 quindi prima dell’insorgere
dell’ipotetico mobbing) ritiene che dopo quel periodo – nel quale si ricorda
che la Fiscelli non ha fatto un giorno di lavoro perché in malattia per tutti e
sette i mesi tra il primo ed il secondo certificato - ci sia stato un peggioramento delle condizioni tali da comportare
un danno del 25%. Anche la diagnosi cambia e per la prima volta si parla di
disturbo paranoico con tratti schizoidi a chiara genesi lavorativa.
Un
momento di estremo interesse nel contesto del rapporto è rappresentato dalla
missiva in data 3/5/97 che l’avvocato Riccardo Pinza scrive per conto della
Fiscelli al Direttore Generale dell’Azienda USL lamentando l’emarginazione
subita dalla cliente confinata al ruolo modesto e ripetitivo delle patologie
infiammatorie della cute. La risposta del Direttore Generale del 16/6/97 – dopo
i chiarimenti forniti dal Giangaspero del 19/5/97 - è secca: ritenendo che la Fiscelli abbia ribaltato completamente
i termini della questione si ricorda che è stata la resistente ad aver chiesto
l’attribuzione di una particolare responsabilità nel campo nei confronti della
Fiscelli.
La
ricorrente a quel punto scrive di proprio pugno in data 26/6/97 riconoscendo la
particolare attenzione rivolta dal Direttore Generale al reparto ed alla
dottoressa in particolare. Colpisce la circostanza che in questa fase che
dovrebbe essere per la psichiatria interessata al tema la fase del
disconoscimento e dell’autosvalutazione della vittima con
autocolpevolizzazione, il comportamento della Fiscelli si manifesti, a
contrario, molto reattivo fino a rivolgersi ad un avvocato per riaffermare i
propri diritti, salvo modificare i toni dopo le smentite subite sia dal teorico
mobber che dal Direttore Generale dell’Azienda.
Nel
dicembre 1997 comincia una serie di registrazioni di conversazioni tra
presenti, operata dalla ricorrente che produce in atti le trascrizioni, che
evidenzia sicuramente una situazione di diffidenza della Fiscelli nei confronti
del Giangaspero e, complessivamente, dell’ambiente. Per altro tale
documentazione non appare in alcun modo fondamentale per decidere sulla pretesa
di mobbing poiché vi è certamente la conferma della problematicità dei rapporti
ma non elementi univocamente riconducibili a situazioni tipiche della figura
richiamata nel ricorso. In data 8/2/99 la Fiscelli scrive una lunga lettera al
Direttore sanitario ed al Direttore Generale per descrivere la sua condizione e
per lamentare una serie di situazioni. Vengono descritti l’episodio del gruppo
IMI (Istituto Italiano per il Melanoma) nel quale la ricorrente si è sentita
emarginata, l’episodio del corso di formazione presso l’Istituto Dermopatico
dell’Immacolata nel quale le sarebbe stato consentito di svolgere
aggiornamento, e si evidenzia il clima generale di contrasto, richiamando
l’attenzione anche del proprio sindacato (ANAAO) sui rapporti indicati.
Alla
richiesta di chiarimenti del Direttore Sanitario del 24/2/99 risponde il
Giangaspero in data 8/3/99. la riunione per l’IMI era meramente operativa e non
richiedeva la presenza della Fiscelli mentre il suo nome venne fatto per il
gruppo che partecipava all’iniziativa del GIPME (Gruppo Italiano per il
melanoma) circostanza che esclude una volontà di emarginazione. Per quanto
riguarda il corso di tre settimane presso l’IDI il Giangaspero precisava che
trattandosi di iniziativa rivolta “sia a dermatologi che a patologi privi di
una specifica preparazione del settore” non potesse essere rivolto alla
Fiscelli per la sua specifica preparazione in dermatologia e per tale motivo aveva
proposto una soluzione alla collega che tenesse conto di questa circostanza e
non costituisse un peso per il reparto (una settimana di aggiornamento
facoltativo e due di ferie per frequentare il corso). All’esito dei chiarimenti il Giangaspero ha presentato una
querela nei confronti della Fiscelli, così come risulta dagli atti che la
Fiscelli ne abbia presentate due nei confronti di Giangaspero. Come abbiamo detto dal dicembre 1999 la
Fiscelli entra in malattia ed uscirà solo nel marzo 2002, sostanzialmente in
contemporanea con la presentazione del ricorso, ed al rientro al lavoro avrà
difficoltà nel reinserimento lavorativo tanto da arrivare a presentare un
ricorso d’urgenza risolto dal giudice richiamando un precedente ordine di
servizio che prevedeva l’utilizzazione della ricorrente solo nel settore della
dermopatologia nel quale la stessa ha conservato la padronanza tecnica e
professionale. La conclusione della vicenda in termini di rapporto tra le parti
in causa è quantomeno originale se inserita nel contesto mobbing: non è il
soggetto mobbizzato che viene espulso dalla realtà lavorativa ma esattamente
l’opposto. Infatti il Giangaspero, già in aspettativa dall’ottobre 2001, nel
giugno 2002 lascia l’incarico a Cesena per un’altra opportunità di lavoro.
Quanto abbia influito in questa scelta il contrasto con la Fiscelli, i numerosi
procedimenti, penali oltre che il presente processo del lavoro, ai quali è
stato sottoposto non è dato sapere ma
di certo che il mobber abbandoni l’ambiente di lavoro costituisce una soluzione
certamente non riconducibile alla sesta fase descrittiva dalla psicologia del
lavoro relativa alle casistiche di mobbing. Vediamo quali sono gli elementi che
secondo il consulente di parte dottor Ege riconducono la fattispecie al mobbing.
In primo luogo si è visto che i riferimenti temporali sono errati e non c’è
corrispondenza tra la classica divisione in sei fasi del mobbing e la presente
fattispecie. La fase quarta, definita degli errori ed abusi
dell’amministrazione, fatta risalire dal dottor Ege alla risposta
effettivamente dura dell’amministrazione in data 16/6/97 non è vissuta come
tale dalla Fiscelli che la missiva 26/6/97 ricordata dimostra di aver molto
apprezzato l’intervento della Direzione Generale nel manifestarle solidarietà.
Quindi quanto meno soggettivamente la quarta fase per la Fiscelli sicuramente
non si colloca nel 1997, a ulteriore conferma
della confusione dell’evoluzione della figura. La sesta fase, come
visto, presenta un epilogo rovesciato rispetto alle situazioni tipizzate di
mobbing. Anche i due episodi dei quali si è parlato in precedenza, cioè IMI ed
IDI per intenderci, risultano adeguatamente spiegati dal Giangaspero e non si
inseriscono in un contesto di azioni tese ad arrecare disagio alla ricorrente.
Il riferimento
alla postazione di lavoro, cioè all’ufficio personale destinatole dal Primario e definita isolata, piccola e polverosa
dalla Fiscelli che se ne lamenta, merita alcuni chiarimenti. La postazione di
lavoro, fondo di corridoio, in precedenza era affidata ad altra dottoressa,
segno che comunque si trattava di un ufficio, e rispetto all’arredo risulta che
sia stata sufficiente una richiesta al soggetto incaricato (vedi teste Mambelli
dell’economato) per avere una scrivania più confacente con le proprie esigenze.
Per quanto riguarda la richiesta di un deumidificatore avanzata dalla
ricorrente risulta (registrazione trascritta 14/5/99 in atti) che il primario
abbia richiesto come condizione che lo stesso fosse garantito a tutti i suoi
collaboratori e questa non sembrava una forma di emarginazione o
discriminazione ma un giusto comportamento del Primario.
Per
quanto concerne le mansioni affidate ritenute da Ege limitate e molto al di
sotto delle proprie capacità basta
sentire i testi Landi e Leardini per apprezzare la professionalità acquisita
dalla Fiscelle nella dermopatologia e l’interesse sempre dimostrato dalla
stessa al settore specifico nel quale è sempre stata la referente anche per le
strutture esterne all’Ospedale. Non si conoscono atti di violenza minore o
maldicenze a conferma di quanto riferito dal dottor Ege. Le espressioni verbali
forti sono state reciproche, come verificato oltre che nelle trascrizioni
offerte dalla stessa ricorrente da tutti i testi escussi sul punto (testi
Nuzzo, Caruso, Cerasoli, Tabarri in particolare).
In buona
sostanza non si può in questa sede concordare sulla verifica delle condizioni
che caratterizzano la situazione di mobbing perché molti, sostanzialmente
tutti, gli elementi indicati dallo psicologo del lavoro, a lui riferiti,
appaiono o inesistenti o valutati in modo eccessivo rispetto alla effettiva
portata.
In
realtà, e l’elemento appare chiaro e pacifico, tra Fiscelli e Giangaspero si
realizza uno scontro di mentalità e di modi di intendere la propria attività in
termini di assoluta incompatibilità. Il Giangaspero, anche per la
responsabilità del reparto, tiene molto al risultato da raggiungere e valuta i
propri collaboratori in considerazione dei risultati quantitativi ottenuti.
Diametralmente opposta è la Fiscelli che ritiene, al contrario di dover approfondire ogni aspetto problematico
e che la fretta non si accompagni con la qualità dei risultati. Come non dare
ragione ad entrambi nei rispettivi
ruoli è francamente impensabile. Tutti vorremmo avere un medico come la
Fiscelli ma ogni azienda sanitaria, almeno dopo le ricordate riforme che non
hanno certo migliorato il servizio nel suo aspetto qualitativo, vorrebbe
Giangaspero, come Primario. Se a questo uniamo elementi umani imponderabili e
una scarsa propensione al dialogo costruttivo allora comprendiamo integralmente
la situazione che si è verificata in questi anni, fino al 2002 quando
Giangaspero è andato via, nel reparto di anatomia patologica dell’Ospedale di
Cesena. Gli esposti e le querele, le memorie degli avvocati, la predisposizione
di elementi probatori quali le registrazioni e i certificati medici ad hoc non
sono elementi caratteristici della figura del mobbizzato così come Giangaspero
non corrisponde assolutamente alla figura del mobber.
In primo
luogo escludiamo profili di responsabilità personale del Primario nella
materia. Trattandosi di colleghi il titolo di responsabilità dovrebbe essere
quello della responsabilità extracontrattuale ex art.2043 c.c. che richiede per
poter parlare di pretesa risarcitoria dell’elemento psicologico del dolo o,
almeno, della colpa e nessuno dei due profili soggettivi appare riconducibile
alla condotta del Primario che potrà peccare di scarsa educazione (ma il
conflitto assume reciproche forme forti), sicuramente deficita in termini di
comprensione umana e disponibilità al confronto ma agisce nell’esclusivo
interesse del proprio reparto e dei propri colleghi, come riconosciuto dagli
stessi nelle dichiarazioni testimoniali raccolte. Questo non vuole però dire
automaticamente che non sia configurabile il mobbing da chi pur operando con condotte
di per sé lecite realizza lo stesso complessivamente le condizioni per un
ambiente mobbizzante e questo dato comporterebbe comunque, anche escludendo il
concorso di responsabilità excontrattuale dell’autore della condotta, la
responsabilità dell’Azienda Usl per l’ipotesi di mobbing. Ma nel caso in esame
manca anche l’oggettività delle tipiche condotte da mobbing o, almeno, elementi
riconducibili a tale fattispecie. Come primo elemento è dimostrato che le
sofferenze di ordine psichico e successivamente psichiatrico della Fiscelli non
sono riconducibili al periodo nel quale si manifesterebbe il mobbing in tutto
il suo potenziale lesivo. La consulente di ufficio così descrive la situazione:
“ la dottoressa Fiscelli è affetta dal 1996 circa da una depressione maggiore
di entità medio grave ad espressività prevalentemente somatoforme, attualmente
in fase di precario compenso grazie a terapia farmacologia intensiva. Tale
patologia era presente in forma subclinica dal 1994. Tale depressione è insorta
su una personalità con tratti
disfunzionali di carattere prevalentemente narcisistico e paranoie,
caratterizzato da profondi bisogni di riconoscimenti personali”. La consulente
non ha rilevato nesso di casualità tra l’attività lavorativa prestata e la
patologia descritta. La critica mossa alla ricordata consulenza è che non ha
tenuto conto di periodi successivi al 1996 ma questo giudice, esaminando tutta
la storia lavorativa della Fiscelli, non ha trovato che conferme a tale
situazione descritta dalla consulente di ufficio.
Non ci
sono condotte vessatorie in termini oggettivi realizzate dal Giangaspero nei
confronti della Fiscelli che, per altro, subisce tale rapporto in termini di
persecuzione. Ma non dobbiamo dimenticare che la paranoia viene riconosciuta
come una sofferenza mentale caratterizzata da idee deliranti, ad esempio, di
persecuzione in personalità per il resto normali. Anche le caratteristiche
narcisistiche della personalità della Fiscelli (sempre e comunque stimata come
ottima professionista dall’ambiente di lavoro, ed in questo senso le
testimonianze raccolte sono univoche) viene messa a dura prova dal cambio di
gestione e dall’impostazione del Giangaspero che sicuramente non la stima sotto
il profilo dei risultati quantitativi del proprio lavoro, ma questo certamente
non è mobbing o non è da solo un elemento che possa qualificare così
chiaramente un rapporto. L’incompatibilità di carattere di impostazione
professionale tra le due figure in conflitto è assoluto e Giangaspero non ha la
capacità di comprendere che con le sue pretese nei confronti della Fiscelli
richiede una profonda opera di riconversione di tipologia professionale alla
stessa nel momento più delicato della sua vita ma anche questo non è mobbing
perché la scarsa sensibilità è un limite delle persone, magari anche un
difetto, ma non può collocarsi tra gli indici rivelatori di una volontà
mobbizzante. Non dimentichiamo che la miglior dottrina risalente alla
psicologia del lavoro in tema di mobbing descrivendo le caratteristiche
imprescindibili del mobbing parla del cosiddetto “intento persecutorio” che
indica come il disegno vessatorio coerente e mirato che muove il comportamento
lesivo del mobber. Non c’è modo di vedere, negli atti a disposizione di questo
giudice, tale intento persecutorio del Giangaspero nei confronti della Fiscelli
e, di conseguenza, lo stesso a nessun titolo può essere considerato il mobber
della situazione. Se tutto quanto esposto è vero allora dobbiamo concludere che
anche nei confronti dell’azienda USL di Cesena non si rinvengono quelle
caratteristiche riconducibili a responsabilità ex art.2087 c.c., magari sotto
il profilo omissivo dell’aver permesso ad altri di operare in termini
mobbizzanti nei confronti di una propria dipendente, e quindi l’ipotesi
contenuta del ricorso non trova neppure sotto questo profilo una adeguata
conferma. Quindi, in conclusione per quanto riguarda tale tema, questo giudice
ritiene che non sussista l’ipotesi di mobbing richiamata nel ricorso sia a
carico del Giangaspero che dell’Azienda Usl di Cesena.
Rimane,
però, il dato oggettivo che la Fiscelli ha subito una profonda ferita alla
propria professionalità derivante dal conflitto evidente e conclamato con il
proprio Primario. Pensiamo quanto sarebbe potuta crescere una figura di medico
così attento e scrupoloso dedito alla ricerca nella dermopatologia se
l’ambiente fosse stato sereno e disteso e che occasioni di crescita e di
riconoscimenti nel lavoro la ricorrente ha perso a causa della situazione che
tutti conoscevano e che nessuno ha risolto. La professionalità si sostanzia in
un patrimonio complessivo che un lavoratore possiede nella propria attività e
tanto maggiore si presenta tanto più rilevante è il suo valore intrinseco e, al
tempo, più realistico immaginare una possibile lesione della stessa, se si
pensa, alla Fiscelli considerando la sua anzianità di servizio, la stima
generale della quale godeva e gode, il suo ruolo nel reparto, almeno prima
dell’arrivo di Gingaspero, è facile percepire l’importanza del concetto per la
ricorrente e la necessità di salvaguardarla. Ma sicuramente non poteva pensarci
il Primario Giangaspero, chiamato ad affrontare il compito organizzativo del
reparto ed a garantire dei risultati per poter continuare a godere della
fiducia dell’amministrazione dell’Azienda. Inoltre lo stesso, non
dimentichiamolo, era coinvolto come la Fiscelli nello scontro descritto e non è
pensabile che non ne abbia risentito in termini personali in maniera tale da
non trovare le necessarie energie per cercare una strada per superare un
contrasto che peggiorava l’ambiente di lavoro. La conclusione del suo rapporto
con l’Azienda Usl di Cesena sembra
confermare tale lettura. Da ultimo non era a lui richiesto di farsi carico dei
profili di professionalità della ricorrente non essendoci un obbligo specifico,
a parte il profilo deontologico che in questa sede non può essere valutato, con
riguardo alla Fiscelli se non un generico richiamo all’art.2043 c.c. che
sicuramente come visto in precedenza, non riguarda questa situazione così
qualificata. Lo stesso ragionamento non può farsi per l’Azienda Usl di Cesena.
Che vi fosse una situazione di trasparenza dello scontro è dimostrato dalle
missive e dalle dichiarazioni raccolte da questo giudice. L’Azienda ha sempre
saputo tutto riguardo all’estrema difficoltà della situazione nel reparto di
anatomia patologica sin dall’arrivo del Giangaspero come Primario e quando è
intervenuta non lo ha fatto in termini costruttivi per prevenire l’acuirsi del
disagio dei propri dipendenti o per risolvere la conflittualità ormai presente
in particolare tra la ricorrente ed il Primario ma solo per giustificare la
propria condotta e per richiamare al rispetto della correttezza formale. Anche
gli interventi sindacali non hanno prodotto effetti positivi e questo
nonostante la Fiscelli non abbia mai voluto accentuare il contrasto con
l’amministrazione. Infatti la missiva 26/6/97 della Fiscelli, ricordata in
precedenza, appare significativa della scelta della ricorrente di non cercare
lo scontro ma solo un intervento utile per la sua condizione umana e
professionale. Anche il verbale relativo all’incontro a Bologna tra il
Consiglio dell’Ordine dei Medici e la dottoressa Fiscelli in data 26/10/2000 in
atti (doc.14 Ausl) è significativo sul punto. Nel verbale si legge che la
ricorrente si è sempre consigliata con la Direzione Generale che l’ha sempre
sostenuta. Questo è un ulteriore elemento che conferma per un verso la mancanza
di animosità della Fiscelli nei confronti dell’Amministrazione e per altro la
necessità, non realizzata, per l’Azienda di prendere delle iniziative utili per
il caso concreto in termini di mediazione del conflitto in essere. Allora
veniamo a circoscrivere il campo di interesse di questo giudice e riportiamolo
alla necessità per il datore di lavoro di tutelare la dignità professionale dei
propri dipendenti, secondo l’insegnamento dell’art.2087 c.c. che parla, oltre
che di integrità fisica, di personalità morale del prestatore di lavoro. Il
tutto in sintonia con il disposto della nostra Costituzione che all’articolo 2
riconosce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, che all’articolo 35
tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e cura la formazione e
l’elevazione professionale dei lavoratori, che all’articolo 41 dichiara che
l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana e che all’art. 97 richiede che i
pubblici uffici siano organizzati in modo da assicurare il buon andamento e
l’imparzialità dell’amministrazione.
Nel caso
in esame l’Azienda Usl di Cesena ha omesso di tutelare la dignità professionale
della Fiscelli non intervenendo per risolvere la situazione di difficoltà nella
quale la stessa si trovava; l’azienda non ha manifestato forme di solidarietà,
se non a parole (vedi missiva Fiscelli 26/6/97), per essere accanto ad una
propria dipendente in un momento di difficoltà, non ha tenuto in alcun conto
l’impossibilità della Fiscelli di elevarsi professionalmente in una realtà
conflittuale come quella del suo reparto, pur consapevole delle enormi qualità
professionali e delle potenzialità espansive della stessa; non ha curato adeguatamente
la dignità umana della propria dipendente, e forse neppure del Primario dottor
Giangaspero, non impegnandosi nel cercare di risolvere una situazione penosa e
dolorosa per i contendenti; non ha curato il buon andamento della propria
struttura intervenendo sul contrasto tra i propri dipendenti per risolverlo,
ridimensionarlo, porre i due medici in condizione, comunque, di portare il loro
contributo di professionalità all’Azienda invece di contrastarsi a vicenda. Le
conseguenze negative del prolungato scontro tra la Fiscelli e Giangaspero sono
ricadute sicuramente sulla professionalità della Fiscelli ma, nello stesso
tempo, anche sul Giangaspero, chiaramente non in condizioni di svolgere il suo
ruolo di Primario con la necessaria serenità, e sulla struttura intera, che
certamente non può non avere risentito negativamente del contrasto evidenziato.
Se ne deduce che un intervento dell’amministrazione tempestivo ed efficace in
termini di superamento della conflittualità si sarebbe collocato in un’ottica
di buona amministrazione oltre che fornire una risposta alle continue richieste
di intervento della propria dipendente.
Per
questo motivo lo scrivente ritiene che nel caso in esame un danno sia stato
arrecato alla Fiscelli dall’amministrazione con il mancato intervento o in
chiave preventiva o quantomeno in chiave risolutiva del contrasto con il
Primario e che l’amministrazione stessa aveva l’obbligo giuridico di evitare
tale situazione ai sensi degli articoli 2087 c.c. e 2,35 e 97 della Costituzione. Questa costruzione consente il superamento della chiusura imposta
dal sistema in termini di risarcimento danni privi del profilo della
patrimonialità.
Procedendo
logicamente una volta verificato la sussistenza di un danno risarcibile sotto
il profilo dell’omessa cura della professionalità di un proprio dipendente
dobbiamo verificare a quale tipologia di danno fare riferimento. Escluso il
danno patrimoniale e quello morale, inteso come conseguenza della realizzazione
di un reato, dobbiamo fare riferimento ad altre tipologie di danno.
In linea con la recente dottrina e giurisprudenza relativa alla quadripartizione delle tipologie dei danni, con l’introduzione della categoria del danno esistenziale, insieme alle altre già codificate ed adeguatamente riconosciute, riteniamo che nel caso di specie non vengano in considerazione danni riguardanti patologie della Fuscelli, come detto preesistenti quanto meno in parte allo scontro e comunque non riferibili univocamente allo stesso, e di conseguenza anche la figura del danno biologico non appare adeguata al caso di specie ed allora proprio al danno esistenziale dobbiamo fare riferimento.
Si è
detto che il danno esistenziale è la categoria che tutela la qualità della vita
di un soggetto e, da questo punto di vista, è lampante come la qualità di vita della Fiscelli
durante la prolungata polemica con il Primario sia stata deteriorata da tale
realtà, particolarmente considerando l’importanza del lavoro nella vita
ricorrente. Inoltre la categoria del danno esistenziale tutela beni immateriali
e la professionalità in questo senso è il classico profilo di un lavoratore
che, pur costituendo parte del risultato del suo impegno lavorativo,
difficilmente trova adeguato riconoscimento, conforto, apprezzamento e tutela
davanti ad un giudice e di conseguenza proprio la categoria del danno
esistenziale si appalesa come quella idonea a tale scopo.
Il
problema principale è trovare criteri di liquidazione dello stesso convincenti
e ragionevoli. Essendo evidentemente la necessità di operare un tipo di
liquidazione equitativa, ex art. 1226 c.c., essendo chiara la difficoltà per la
ricorrente di dimostrare, oltre la lesione del bene, professionalità, la gravità
di tale lesione seguendo i criteri dell’onere della prova in questa materia
(vedi Corte di cassazione n.10203/2002) si deve cercare il parametro di
riferimento per tale liquidazione. Come primo criterio varrà l’osservazione che
trattandosi di una situazione di tutela originale, se non innovativa, l’aspetto
risarcitorio avrà più valore simbolico e di principio che di vera e propria
riparazione economica.
Il
secondo criterio sarà rapportare tale risarcimento alla durata del periodo di
sofferenza o, meglio, di compressione delle proprie potenzialità professionali
per la valutazione del danno. Il terzo elemento sarà quello di individuare un
parametro di riferimento. Sotto questo profilo il giudice ritiene di averlo
trovato in quanto indicato dalla ricorrente come spesa per un corso di
formazione professionale. Nella missiva 8/2/99 all’Azienda la Fiscelli dichiara
di aver speso personalmente la somma annuale corrispondente al costo di un
corso di formazione, proprio per lo specifico profilo della professionalità che
si è ritenuto non protetto, arrivando così alla somma complessiva di €7,000
possa costituire un criterio di liquidazione del danno in termini di equità e
di ragionevolezza. Si ripete che tale somma non costituisce se non un dato
simbolico di riconoscimento per la ricorrente di quanto sofferto in termini di
compressione della propria professionalità per il contrasto con il Primario che
l’amministrazione non si è data cura di appianare e risolvere ma il
riconoscimento di un principio deve trovare le sue affermazioni in termini non
punitivi ma adeguati alle aperture contenute nel discorso giuridico
sottostante.
La
somma, come detto aggiornata, andrà ulteriormente adeguata con gli interessi
legali dalla sentenza al saldo effettivo.
In
considerazione della particolarità delle conclusioni del giudizio stima equo
questo giudice, compensare integralmente le spese del giudizio relativamente
alla posizione di Giangaspero.
Con
riferimento alle altre parti processuali condanna l’Azienda Usl di Cesena, in
persona del legale rappresentante, al pagamento delle spese di CTU e, previa
compensazione di due terzi (2/3) delle spese di giudizio, condanna l’Azienda
Usl al pagamento del rimanente terzo (1/3) a favore di parte ricorrente che
liquida come da dispositivo.
P.Q.M.
Il
Tribunale di Forlì
Quale
Giudice del Lavoro
Accogliendo parzialmente il
ricorso condanna l’azienda U.S.L. di Cesena, in persona del legale
rappresentante al pagamento della somma di €
7.000,= a titolo di risarcimento danni professionali a favore di Ombretta
Fiscelli, oltre agli interessi legali dalla sentenza al saldo effettivo.
Spese integralmente
compensate relativamente alla posizione Giangaspero Felice.
Previa compensazione
di due terzi (2/3) delle spese del presente giudizio condanna l’azienda U.S.L. di
Cesena, in persona del legale rappresentante, al pagamento del rimanente terzo (1/3)
delle spese legali di parte ricorrente, liquidando tale frazione in € 3.000,00,
di cui € 1.000,00 per competenze, € 2.00,00= per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. oltre
10% spese generali.
Dispone la
restituzione atti come da ordinanza 16/10/02
Forlì, 30/1/2003
(dep. 6.2.2003)
IL GIUDICE
Dott.Carlo Sorgi
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