DANNO ESISTENZIALE (simbolicamente risarcito), NON MOBBING! 

 

TRIBUNALE DI FORLI’ (sezione lavoro, 1° grado) – 6 febbraio 2003 – Giud. Sorgi - FISCELLI OMBRETTA (avv. Dolcini, Spagnoli, Cantisani) c. GIANGASPERO FELICE (avv. Martines, Gamberoni)   e Azienda USL di Cesena (avv. Martines, Gamberoni).

 

Danno esistenziale simbolico - Da mancato intervento della Asl, discendente ex art. 2087 c.c., finalizzato ad appianare i contrasti tra primario medico e dottoressa collaboratrice.

Nel caso in esame l’Azienda Usl di Cesena ha omesso di tutelare la dignità professionale della Fiscelli non intervenendo per risolvere la situazione di difficoltà nella quale la stessa si trovava; l’azienda non ha manifestato forme di solidarietà, se non a parole (vedi missiva Fiscelli 26/6/97), per essere accanto ad una propria dipendente in un momento di difficoltà, non ha tenuto in alcun conto l’impossibilità della Fiscelli di elevarsi professionalmente in una realtà conflittuale come quella del suo reparto, pur consapevole delle enormi qualità professionali e delle potenzialità espansive della stessa; non ha curato adeguatamente la dignità umana della propria dipendente, e forse neppure del Primario dottor Giangaspero, non impegnandosi nel cercare di risolvere una situazione penosa e dolorosa per i contendenti. Se ne deduce che un intervento dell’amministrazione tempestivo ed efficace in termini di superamento della conflittualità si sarebbe collocato in un’ottica di buona amministrazione oltre che fornire una risposta alle continue richieste di intervento della propria dipendente. Per questo motivo lo scrivente ritiene che nel caso in esame un danno sia stato arrecato alla Fiscelli dall’amministrazione con il mancato intervento o in chiave preventiva o quantomeno in chiave risolutiva del contrasto con il Primario e che l’amministrazione stessa aveva l’obbligo giuridico di evitare tale situazione ai sensi degli articoli 2087 c.c. e 2,35 e 97 della Costituzione.

In linea con la recente dottrina e giurisprudenza relativa alla quadripartizione delle tipologie dei danni, con l’introduzione della categoria del danno esistenziale, insieme alle altre già codificate ed adeguatamente riconosciute, riteniamo che nel caso di specie non vengano in considerazione danni riguardanti patologie della Fuscelli, come detto preesistenti quanto meno in parte allo scontro e comunque non riferibili univocamente allo stesso, e di conseguenza anche la figura del danno biologico non appare adeguata al caso di specie ed allora proprio al danno esistenziale dobbiamo fare riferimento.

Si è detto che il danno esistenziale è la categoria che tutela la qualità della vita di un soggetto e, da questo punto di vista, è lampante  come la qualità di vita della Fiscelli durante la prolungata polemica con il Primario sia stata deteriorata da tale realtà, particolarmente considerando l’importanza del lavoro nella vita ricorrente. Inoltre la categoria del danno esistenziale tutela beni immateriali e la professionalità in questo senso è il classico profilo di un lavoratore che, pur costituendo parte del risultato del suo impegno lavorativo, difficilmente trova adeguato riconoscimento, conforto, apprezzamento e tutela davanti ad un giudice e di conseguenza proprio la categoria del danno esistenziale si appalesa come quella idonea a tale scopo.

Il problema principale è trovare criteri di liquidazione dello stesso convincenti e ragionevoli. Essendo evidentemente la necessità di operare un tipo di liquidazione equitativa, ex art. 1226 c.c., essendo chiara la difficoltà per la ricorrente di dimostrare, oltre la lesione del bene, professionalità, la gravità di tale lesione seguendo i criteri dell’onere della prova in questa materia (vedi Corte di cassazione n.10203/2002) si deve cercare il parametro di riferimento per tale liquidazione. Come primo criterio varrà l’osservazione che trattandosi di una situazione di tutela originale, se non innovativa, l’aspetto risarcitorio avrà più valore simbolico e di principio che di vera e propria riparazione economica.

Il secondo criterio sarà rapportare tale risarcimento alla durata del periodo di sofferenza o, meglio, di compressione delle proprie potenzialità professionali per la valutazione del danno. Il terzo elemento sarà quello di individuare un parametro di riferimento. Sotto questo profilo il giudice ritiene di averlo trovato in quanto indicato dalla ricorrente come spesa per un corso di formazione professionale.

 

CONCLUSIONI DEI PROCURATORI DELL’ATTRICE:

 

Piaccia all'Ill.mo Signor Giudice, disattesa e respinta ogni istanza contraria: a) accertare la responsabilità solidale del DR. Giangaspero Felice ex art. 2043 e 2059 e 2087 c.c., e dell’Azienda U.S.L. di Cesena ex art 1175, 1375, 2043, 2087 e 2049 – per i fatti ivi narrati, nonché per aver omesso di adottare misure idonee atte a tutelare l’integrità fisica e morale della ricorrente, in ordine a tutti i danni, biologici e patrimoniali, provocati alla dr.ssa Fiscelli;

b) accertato il danno professionale e l’illegittimità della dequalificazione subita dalla ricorrente per fatto e colpa del Dr. Giangaspero e dell’Azienda U.S.L. di Cesena convenuta, in violazione degli artt.2087 e 2103 c.c. e 13 dello St. Lav, nonché 24 e ss del C.C.N.L vigente, conseguentemente dichiarare la responsabilità dei convenuti per tutti i danni professionali e biologici subiti dalla ricorrente anche in ragione del comportamento discriminatorio e persecutorio subito sul luogo di lavoro (c.d. mobbing) e, per l’effetto, avuto riguardo alla gravità delle lesioni subite dalla ricorrente, condannare gli odierni convenuti; b/1 al reinserimento della Dr. Fiscelli nell’organigramma funzionale del Servizio di Anatomia Patologica, Citodiagnostica e Citogenetica dell’Ospedale “M. Bufalini”; alla reintegrazione della ricorrente nelle funzioni e nelle mansioni dalla stessa svolte prima del 1996 o comunque all’assegnazione di mansioni  e funzioni confacenti la sua specialistica competenza; b/2) al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di risarcimento del danno alla professionalità ed all’immagine della somma pari a £. 72.407.400, equivalente alla metà della retribuzione mensile moltiplicata per il numero dei mesi di permanenza della Dr.ssa Fiscelli nelle mansioni che ne hanno comportato la qualificazione professionale, o di quella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali sulle somme rivalutate dal dì del dovuto al saldo; b/3) al risarcimento del danno biologico permanente e temporaneo subito dalla ricorrente, nella sub specie di danno psichico, all’immagine ed alla vita di relazione, ex art. 2087 e 2043 c.c. da determinarsi nella misura di £93.665.500 = per invalidità psicofisica permanente, di £ 36.000.000 = per invalidità temporanea totale e di £ 9.000.000 = per invalidità parziale temporanea, per un totale minimo liquidabile, relativamente al presente capo di domanda, di £18.581.875 = in conformità alle tabelle “Milano 2” ovvero in via equitativa  ai sensi dell’art. 1226 c.c., anche a seguito delle indicazioni date e dell’espletanda istruttoria; oltre altri importi, fra cui: le spese vive quelle legali tutte; interessi dal dovuto sul capitale rivalutato; oltre interessi dalla sentenza  al pagamento; oltre ancora al rimborso delle spese mediche sostenute pari a £. 30.000.000 = ed alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali sulle somme rivalutate dal dì del dovuto al saldo; b/4) al risarcimento del danno morale ed esistenziale ex art. 2059 e 2043 c.c. subito dalla ricorrente con una somma proporzionale a quanto liquidato per il danno biologico, in conformità alle tabelle di calcolo adottate dal tribunale di Milano (c.d. “Milano 2), ovvero in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali sulle somme rivalutate dal dì del dovuto al saldo; b/5) al rimborso alla ricorrente di £. 1.125.000= corrispondenti all’iscrizione al corso di aggiornamento presso l’Istituto Dermapatologico dell’Immacolata (IDI) di Roma, già citato in prosa, quale rifusione “emulativa” del danno subito per la mancata formazione; c) condannare altresì la convenuta al rimborso di diritti ed onorari (oltre IVA e CAP) e delle spese tutte del presente procedimento, considerato anche il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa ex art. 69-bis del D.lgs 3 febbraio 1993, n.29”, “Voglia l’Ecc.mo Giudice adito, ai sensi del combinato disposto degli artt. 700 e 69/bis e ss. C.p.c. ordinare, con decreto inaudita altera parte o, in subordine, fissata l’udienza di comparizione delle parti, in contraddittorio con gli odierni convenuti e comunque previa assunzione di informazioni da parte di soggetti che possano ritenersi esperi in ordine al provvedimento de quo, ogni misura necessaria all’eliminazione del pregiudizio di cui in premessa, annullando l’ordine di servizio citato (prot. N.34/01) nella parte in cui non concede alla dr.ssa Fiscelli il diritto di usufruire di un graduale reinserimento nel Servizio di Anatomopatologia, ordinando ai convenuti di provvedere in tal senso con l’affiancamento di altro medico e/o con altra misura idonea allo scopo, e disponendo poi per il prosieguo del giudizio di merito con vittoria di spese e onorari”. “Ci si riporta totalmente alle conclusioni in ricorso, rinunciando unicamente alla parte in cui al punto b/1) chiedeva il” reinserimento nell’organigramma funzionale del Servizio di Anatomia Patologica, Citodiagnostica e Citogenetica dell’Ospedale “M Bufalini” alla reintegrazione della ricorrente nelle funzioni e nelle mansioni dalla stessa svolte prima del 1996” , giacché su tali petita è venuto meno l’interesse al contendere della ricorrente medesima essendo la domanda già stata assorbita dalla ordinanza di decisione sul ricorso incidentale ex art. 700 C.P.C. di cui invece si chiede in toto la conferma in via definitiva. Con vittoria di spese di lite. Si insiste affinché l’ On.le Giudice adito respinta ogni istanza avversaria decida per l’accoglimento delle conclusioni già rappresentate nella memoria del 20/12/02, riportandosi totalmente a quanto in essa contenuto.

 

CONCLUSIONI DEI PROCURATORI DEI CONVENUTI:

“Voglia il Giudice rigettare le richieste della dottoressa Fiscelli con, vittoria di spese, competenze e onorari”.“Tutte le richieste avanzate nei confronti del dott. Felice Giangaspero e dell’Azienda U.S.L. di Cesena devono pertanto essere rigettate, in quanto destituite di fondamento”. “Ci si riporta alle conclusioni della memoria di costituzione”.

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso presentato alla sezione del Lavoro del Tribunale di Forlì Fiscelli Ombretta dichiarava di lavorare in qualità di medico specializzato in anatomia patologica presso l’Ospedale Bufalini di Cesena sin dal 1975 e di aver subito un processo di mobbing dall’arrivo nel reparto di Anatomia Patologica del nuovo Primario Felice Giangaspero, nel febbraio 1996, sempre più pesante e gravido di conseguenze anche per la propria salute. Riteneva che ci fossero profili di responsabilità sia in capo al Giangaspero autore delle condotte dannose,  che nei confronti dell’amministrazione dell’Azienda USL di Cesena, che gestisce l’Ospedale Bufalini. Chiedeva di conseguenza, una volta accertati i danni biologici, morali e patrimoniali provocati alla stessa nonché il danno alla professionalità per la dequalificazione  condotta  nei suoi confronti, venissero condannati in solido il Primario del reparto e l’Azienda USL al risarcimento dei suddetti danni indicati nel ricorso. Il Primario Felice Giangaspero e l’Azienda USL di Cesena si costituivano congiuntamente nel presente giudizio contestando integralmente le pretese della parte ricorrente e chiedendo il rigetto del ricorso. Secondo tali parti non ci sarebbe stato alcun atteggiamento discriminatorio o comunque negativo nei confronti della dottoressa Fiscelli. Gli episodi di confronto tra Giangaspero e la Fiscelli venivano ridimensionati a ordinaria dialettica interna all’ambiente di lavoro, la patologia della ricorrente non appariva riconducibile a eziologia lavorativa e tutti i fatti descritti dovevano essere letti nel loro insieme in un contesto di un rapporto professionale sicuramente problematico ma non per questo rilevante sotto il profilo del danno e della conseguente responsabilità. Nel corso del giudizio si procedeva ad escutere un numero rilevante di testimoni a conoscenza della situazione sia precedente che contemporanea ai fatti per i quali la ricorrente aveva agito. Questo giudice disponeva procedersi a consulenza psichiatrica per verificare le caratteristiche della diagnostica patologia psichiatrica della ricorrente e il nesso casuale eventuale con la condizione lavorativa. Durante il processo, caratterizzato anche da provvedimenti di urgenza e durante il quale il Primario Giangaspero passava ad altro incarico lasciando l’Ospedale di Cesena, venivano depositate anche risultanze di attività di consulenti di parte non autorizzate dal giudice che contribuivano a rendere la materia ancora più articolata. Al termine dell’impegnativa fase istruttoria e dopo la discussione la causa appariva matura per la decisione.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

La materia del presente ricorso rientra in quella complessa e sempre più viva problematica relativa all’ambiente di lavoro ed alla tutela da accordare al lavoratore alla luce del disposto degli articoli 2,3,32,41 della Costituzione ed in generale dall’ordinamento a favore della parte debole del rapporto di lavoro, non solo sotto il profilo della tutela delle condizioni materiali ma anche della sua dignità come persona e come lavoratore. Tematiche antiche ma mai come ora attuali se ripensa al complessivo contesto determinato dalla globalizzazione sul mercato internazionale del lavoro in generale ed in particolare nella nostra realtà ai mutamenti derivanti dalla sempre maggiore richiesta di flessibilità che comportano una più marcata precarizzazione del lavoro ed una sempre più necessitata disponibilità ad accettare condizioni lavorative indipendentemente dalle garanzie contenute nel posto offerto (si pensi, sotto questo profilo, alla condizione degli immigrati ed alla correlazione tra il lavoro e il permesso di soggiorno). In questo senso si è parlato con grande sensibilità di mobbing di sistema nelle situazioni con potenzialità aggressiva in re ipsa  derivante dalla condizione priva di strumenti di reazione. In questo scenario, non solo nazionale, si inserisce una rinnovata attenzione alla figura complessiva del lavoratore ed alla tutela da accordare allo stesso non solo per le sue condizioni materiali ma anche sotto il profilo della tutela della sua personalità e professionalità, a rischio in un contesto nel quale le regole si fanno sempre più “leggere” e le esigenze del mercato sempre più “pesanti” nella valutazione degli spazi di tutela del lavoratore. Non a caso, è stato fatto notare dai migliori studiosi del mobbing, l’interesse internazionale sul tema si è sviluppato quasi in contemporanea in diversi paesi del mondo occidentale a economia sviluppata alla fine degli anni ottanta quando il mondo del lavoro ha cominciato a conoscere massicciamente gli effetti delle grandi trasformazioni portate dalle nuove caratteristiche dell’economia attuale.

In questo contesto una causa come la presente, che sarebbe stata impensabile solo alcuni fa come struttura e come domande, appare attuale e inserita nelle nuove tematiche collegate alla sempre maggiore sensibilità accordata dalla giurisdizione alla dignità del lavoratore. Siamo in una situazione dove, per l’altro, le garanzie formali sono presenti -un rapporto di lavoro di un medico specialista con una Azienda Usl in un Ospedale – ma dove i potenziali attacchi alla sfera personale del lavoratore possono essere particolarmente insidiosi e pericolosi per la stessa persona considerando i livelli di professionalità della ricorrente.

La dottoressa Fiscelli lamenta di essere stata vittima di un atteggiamento vessatorio nei suoi confronti da parte del dottor Giangaspero Primario del reparto di anatomia patologica, struttura per la quale lavorava già da oltre vent’anni, e chiama in causa l’Azienda Usl per non essere intervenuta a tutelare la propria condizione pur essendo perfettamente a conoscenza della situazione di conflittualità e delle sofferenze lamentate. La casistica viene ricondotta dalla ricorrente alla tipologia del mobbing. Per una definizione del mobbing si rimanda ai numerosi studi sull’argomento ed alle oramai non isolate decisioni della giurisprudenza che hanno parlato del tema fornendo contorni acquisiti con una certa sicurezza, in attesa di una definizione del legislatore nazionale. Questo fenomeno corrisponde ad una figura che da alcuni anni nel nostro paese, prima nel settore della psicologia del lavoro e in seguito anche in quello del diritto, ha avuto un riconoscimento adeguato e che a livello continentale costituisce  un  problema  non sottovalutato, come la recente risoluzione del Parlamento Europeo (20/9/2001 n-A5-0283/2001) dimostra. Per poter accertare la riferibilità di tale struttura alla reale situazione in esame occorre esaminare i fatti salienti che si sono verificati negli ultimi anni della vita lavorativa della ricorrente e, una volta conosciuti, leggerli alla luce della richiamata fattispecie. Abbiamo già ricordato che Giangaspero diventa Primario del reparto di anatomia patologica dell’Ospedale di Cesena nel febbraio 1996. in precedenza il Primario era il professor Tison, una figura di medico e di uomo sicuramente mirabile per come descritta concordemente da tutti i testimoni interrogati sul punto, morto nell’aprile del 1995 ma già da tempo malato. La Fiscelli era aiuto nella vecchia terminologia ospedaliera - sostituita prima nel 1996 con medico di I°livello dirigente e dal 1999 con dirigente medico -  del Tison ed aveva un rapporto professionale ed umano di grande intensità. Con la malattia del primario – iniziata nel 1993 e con diagnosi infausta  realizzata dalla stessa Fiscelli – la ricorrente contemporaneamente vive il dramma della sofferenza per il suo Primario gravemente malato e l’impegno del primariato, essendo stata a lei affidata informalmente per il lungo periodo di malattia del Tison la responsabilità del reparto. È sicuramente un contesto emotivamente molto impegnativo se si considera la particolare cura che dedica al lavoro la Fiscelli e il profondo legame umano e professionale che l’univa al professor Tison. Infatti in quel periodo la ricorrente inizia a frequentare una psicologa, la dottoressa Domenicali, dalla quale apprende tecniche di training autogeno e, contestualmente, cerca sostegno per la pressione alla quale è sottoposta. Dopo la morte del professor Tison il reparto viene affidato all’altro aiuto dottor Caruso, che possedeva i requisiti formali per poter guidare la struttura  prima della nuova nomina, ed i rapporti con la Fiscelli , stando alla testimonianza del Caruso stesso, in quel periodo sono problematici. È questa una circostanza che psicologicamente ed umanamente risulta comprensibile se si pensa che la Fiscelli viene sostanzialmente riportata al ruolo precedente sotto le direttive dell’altro aiuto che per un lungo periodo lei aveva diritto. Con l’arrivo del nuovo Primario nel febbraio  1996 si crea una situazione di generale tensione con riferimento ai metodi utilizzati dal Giangaspero. Il personale, sia medico che paramedico si rivolge all’amministrazione per avere chiarimenti sulla condotta del Primario ma, dopo un periodo di assestamento, la situazione tende a migliorare nel suo complesso. Si deve per altro contestualizzare questa nomina  e considerare che, contemporaneamente, si assiste al fenomeno della ristrutturazione del servizio nazionale con un taglio sempre più manageriale ed alla trasformazione delle unità sanitarie locali con la richiesta di una maggiore attenzione alle tematiche della produttività del servizio, situazione che vede nel Giangaspero un rappresentante della nuova filosofia. La Fiscelli, per mentalità e per formazione, rappresenta il prodotto della precedente cultura, molto più attento all’analisi ed all’approfondimento che al budget, ed inevitabilmente le due mentalità non si trovano e finiscono per scontrarsi. Molto bene la situazione viene descritta nella memoria di parte ricorrente 20/12/2002 a pag.12 “la personalità e soprattutto la metodologia di lavoro della ricorrente, non si conciliava con quella del nuovo Primario e la mancanza di mediatori ha determinato il sorgere del conflitto”.

Per altro le condizioni della Fiscelli più o meno in quel periodo non erano delle migliori se è vero che nel giugno (20/6/96) c’è agli atti un certificato medico del dottor Gatticchi, medico curante della ricorrente, che parla di depressione reattiva di notevole entità della Fiscelli indicando la necessità di quindici giorni di riposo e, ancora più significativo, un ulteriore certificato della dottoressa Valpiani, gastroenterologa , che quasi contemporaneamente (21/6/96) parla di una patologia da reflusso gastroesofageo della ricorrente che ha determinato un quadro di astenia e debilitazione con consistente calo ponderale e lo collega verosimilmente a problematiche di ordine psicologico. Non è possibile riconnettere tale situazione al rapporto con il Giangaspero per una serie di motivi. In primo luogo si deve ricordare che in un primo periodo (e da febbraio a giugno 1996 è sicuramente un breve periodo) il conflitto non era personalizzato ma riguardava l’intera struttura e il nuovo Primario che veniva vissuto come corpo estraneo. In secondo luogo dalle teorizzazioni sul mobbing si ricava agevolmente che il momento delle conseguenze di ordine fisico e psichico del fenomeno si manifestano dopo un certo lasso di tempo e non certo in uno stadio così iniziale. Il teorizzatore delle sei fasi del mobbing nel modello italiano, il dottor Ege utilizzato tra l’altro come consulente di parte nel presente processo, parla di una terza fase del mobbing nella quale il mobbizzato comincia a manifestare i primi sintomi psico-somatici, i primi problemi per la sua salute collocandola nel tempo ad una distanza ragionevole dalle precedenti fasi. Infatti esaminando il caso in esame Ege colloca questa terza fase dopo oltre un anno, cioè nel maggio 1997, quando la ricorrente comincia un vero e proprio percorso con uno psichiatra e con l’ausilio di farmaci specifici. Se avesse conosciuto con esattezza le circostanze appena descritte relative all’anno prima il dottor Ege non avrebbe potuto ritrovare lo schema delle fasi del mobbing nel caso in esame poiché avrebbe verificato una sovrapposizione tra la così detta fase zero e la terza fase che, al contrario, segue dopo un periodo ragionevole le atre che necessariamente si susseguono. Quindi si rilevano due incongruenze gravi per ricondurre il caso concreto alla struttura teorica del mobbing: il sovrapporsi tra due fasi ben distinte  nella teorizzazione  del fenomeno e la evidente carenza delle fasi  intermedie, la uno e la due, che dovrebbero succedersi nel tempo dopo la fase zero e prima della fase tre. Questi elementi costituiscono una prima enorme perplessità rispetto all’ipotesi di ricondurre il caso in esame alle tematiche del mobbing. Ma la complessità della materia determina la necessità di proseguire nell’esame.

Alla fine del 1996 quando la situazione generale del reparto tende a normalizzarsi e il contrasto a personalizzarsi tra la Fiscelli ed il Giangaspero una nuova grande fonte di preoccupazione colpisce la  ricorrente e riguarda la salute del figlio.

In realtà la questione è meno grave fortunatamente di come appare in quel periodo e si risolve positivamente -  per altro solo dopo un’ultima operazione nell’estate 1997 – ma per un mese alla fine del 1996 la Fiscelli prende aspettativa per accudire il figlio ricoverato in ospedale dopo una operazione al setto nasale. Dire che si è trattato di una sinusite  che si è risolta in due mesi (pag.22 memoria 20/12/2002 Fiscelli ma nella consulenza di parte della dottoressa Astorra del 3/1/2002 la malattia viene definita addirittura episodio banale e non può essere così perché non si prende4 un mese di aspettativa dal lavoro per una banalità, sicuramente non la Fiscelli) vuole dire non dare il giusto peso alle cose, come invece ha dato con estrema professionalità il consulente del giudice nella sua relazione.

Sicuramente anche questo episodio ha influito sulla salute della Fiscelli e la necessità di ricorrere ad un aiuto sempre più specialistico per la sfera psichiatrica (i primi certificati dello psichiatra Amadei sono del maggio 1997) si collocano in un contesto che definire almeno complesso è doveroso. Evidentemente non la pensava così il dottor Cecchetti (medico chirurgico odontostolomatologo) che dopo aver visitato nel luglio 1997 Fiscelli indica nel mobbing la causa esclusiva delle problematiche mandibolari descritte nel certificato 11/2/98 in atti. La dottoressa Schilio successivamente, in maniera sicuramente più sobria parla di probabile origine lavorativa per i dolori alle articolazioni temporo-mandibolari: certificato 1/3/2000).

Un dato certo è che sin dall’origine viene diagnosticata una depressione di carattere reattivo come origine delle sofferenze della Fiscelli, su  questo elemento sono d’accordo tutti. Anche la dottoressa Astorre, consulente di parte ricorrente come neuropsichiatria, parla nel certificato 22/12/99 di depressione oltre i limiti ed aggiunge “presenti postumi da disturbo post-traumatico da stress” che se la lingua non inganna indicano una situazione pregressa (postumo è un effetto tardivo o conseguenza di una malattia) parlando di un danno nell’ordine del 12%. Ma nella successiva consulenza 24/7/2000 (a distanza di soli sette mesi dalla prima relazione) dopo aver collegato il reflusso gastroesofageo allo stress lavorativo (detto reflusso era stato diagnosticato nel giugno 1996 quindi prima dell’insorgere dell’ipotetico mobbing) ritiene che dopo quel periodo – nel quale si ricorda che la Fiscelli non ha fatto un giorno di lavoro perché in malattia per tutti e sette i mesi tra il primo ed il secondo certificato - ci sia stato un peggioramento delle condizioni tali da comportare un danno del 25%. Anche la diagnosi cambia e per la prima volta si parla di disturbo paranoico con tratti schizoidi a chiara genesi lavorativa.

Un momento di estremo interesse nel contesto del rapporto è rappresentato dalla missiva in data 3/5/97 che l’avvocato Riccardo Pinza scrive per conto della Fiscelli al Direttore Generale dell’Azienda USL lamentando l’emarginazione subita dalla cliente confinata al ruolo modesto e ripetitivo delle patologie infiammatorie della cute. La risposta del Direttore Generale del 16/6/97 – dopo i chiarimenti forniti dal Giangaspero del 19/5/97 -  è secca: ritenendo che la Fiscelli abbia ribaltato completamente i termini della questione si ricorda che è stata la resistente ad aver chiesto l’attribuzione di una particolare responsabilità nel campo nei confronti della Fiscelli.

La ricorrente a quel punto scrive di proprio pugno in data 26/6/97 riconoscendo la particolare attenzione rivolta dal Direttore Generale al reparto ed alla dottoressa in particolare. Colpisce la circostanza che in questa fase che dovrebbe essere per la psichiatria interessata al tema la fase del disconoscimento e dell’autosvalutazione della vittima con autocolpevolizzazione, il comportamento della Fiscelli si manifesti, a contrario, molto reattivo fino a rivolgersi ad un avvocato per riaffermare i propri diritti, salvo modificare i toni dopo le smentite subite sia dal teorico mobber che dal Direttore Generale dell’Azienda.

Nel dicembre 1997 comincia una serie di registrazioni di conversazioni tra presenti, operata dalla ricorrente che produce in atti le trascrizioni, che evidenzia sicuramente una situazione di diffidenza della Fiscelli nei confronti del Giangaspero e, complessivamente, dell’ambiente. Per altro tale documentazione non appare in alcun modo fondamentale per decidere sulla pretesa di mobbing poiché vi è certamente la conferma della problematicità dei rapporti ma non elementi univocamente riconducibili a situazioni tipiche della figura richiamata nel ricorso. In data 8/2/99 la Fiscelli scrive una lunga lettera al Direttore sanitario ed al Direttore Generale per descrivere la sua condizione e per lamentare una serie di situazioni. Vengono descritti l’episodio del gruppo IMI (Istituto Italiano per il Melanoma) nel quale la ricorrente si è sentita emarginata, l’episodio del corso di formazione presso l’Istituto Dermopatico dell’Immacolata nel quale le sarebbe stato consentito di svolgere aggiornamento, e si evidenzia il clima generale di contrasto, richiamando l’attenzione anche del proprio sindacato (ANAAO) sui rapporti indicati.

Alla richiesta di chiarimenti del Direttore Sanitario del 24/2/99 risponde il Giangaspero in data 8/3/99. la riunione per l’IMI era meramente operativa e non richiedeva la presenza della Fiscelli mentre il suo nome venne fatto per il gruppo che partecipava all’iniziativa del GIPME (Gruppo Italiano per il melanoma) circostanza che esclude una volontà di emarginazione. Per quanto riguarda il corso di tre settimane presso l’IDI il Giangaspero precisava che trattandosi di iniziativa rivolta “sia a dermatologi che a patologi privi di una specifica preparazione del settore” non potesse essere rivolto alla Fiscelli per la sua specifica preparazione in dermatologia e per tale motivo aveva proposto una soluzione alla collega che tenesse conto di questa circostanza e non costituisse un peso per il reparto (una settimana di aggiornamento facoltativo e due di ferie per frequentare il corso).  All’esito dei chiarimenti il Giangaspero ha presentato una querela nei confronti della Fiscelli, così come risulta dagli atti che la Fiscelli ne abbia presentate due nei confronti di Giangaspero.  Come abbiamo detto dal dicembre 1999 la Fiscelli entra in malattia ed uscirà solo nel marzo 2002, sostanzialmente in contemporanea con la presentazione del ricorso, ed al rientro al lavoro avrà difficoltà nel reinserimento lavorativo tanto da arrivare a presentare un ricorso d’urgenza risolto dal giudice richiamando un precedente ordine di servizio che prevedeva l’utilizzazione della ricorrente solo nel settore della dermopatologia nel quale la stessa ha conservato la padronanza tecnica e professionale. La conclusione della vicenda in termini di rapporto tra le parti in causa è quantomeno originale se inserita nel contesto mobbing: non è il soggetto mobbizzato che viene espulso dalla realtà lavorativa ma esattamente l’opposto. Infatti il Giangaspero, già in aspettativa dall’ottobre 2001, nel giugno 2002 lascia l’incarico a Cesena per un’altra opportunità di lavoro. Quanto abbia influito in questa scelta il contrasto con la Fiscelli, i numerosi procedimenti, penali oltre che il presente processo del lavoro, ai quali è stato sottoposto  non è dato sapere ma di certo che il mobber abbandoni l’ambiente di lavoro costituisce una soluzione certamente non riconducibile alla sesta fase descrittiva dalla psicologia del lavoro relativa alle casistiche di mobbing. Vediamo quali sono gli elementi che secondo il consulente di parte dottor Ege riconducono la fattispecie al mobbing. In primo luogo si è visto che i riferimenti temporali sono errati e non c’è corrispondenza tra la classica divisione in sei fasi del mobbing e la presente fattispecie. La fase quarta, definita degli errori ed abusi dell’amministrazione, fatta risalire dal dottor Ege alla risposta effettivamente dura dell’amministrazione in data 16/6/97 non è vissuta come tale dalla Fiscelli che la missiva 26/6/97 ricordata dimostra di aver molto apprezzato l’intervento della Direzione Generale nel manifestarle solidarietà. Quindi quanto meno soggettivamente la quarta fase per la Fiscelli sicuramente non si colloca nel 1997, a ulteriore conferma  della confusione dell’evoluzione della figura. La sesta fase, come visto, presenta un epilogo rovesciato rispetto alle situazioni tipizzate di mobbing. Anche i due episodi dei quali si è parlato in precedenza, cioè IMI ed IDI per intenderci, risultano adeguatamente spiegati dal Giangaspero e non si inseriscono in un contesto di azioni tese ad arrecare disagio alla ricorrente.

Il riferimento alla postazione di lavoro, cioè all’ufficio personale  destinatole dal Primario e definita isolata, piccola e polverosa dalla Fiscelli che se ne lamenta, merita alcuni chiarimenti. La postazione di lavoro, fondo di corridoio, in precedenza era affidata ad altra dottoressa, segno che comunque si trattava di un ufficio, e rispetto all’arredo risulta che sia stata sufficiente una richiesta al soggetto incaricato (vedi teste Mambelli dell’economato) per avere una scrivania più confacente con le proprie esigenze. Per quanto riguarda la richiesta di un deumidificatore avanzata dalla ricorrente risulta (registrazione trascritta 14/5/99 in atti) che il primario abbia richiesto come condizione che lo stesso fosse garantito a tutti i suoi collaboratori e questa non sembrava una forma di emarginazione o discriminazione ma un giusto comportamento del Primario.

Per quanto concerne le mansioni affidate ritenute da Ege limitate e molto al di sotto delle proprie  capacità basta sentire i testi Landi e Leardini per apprezzare la professionalità acquisita dalla Fiscelle nella dermopatologia e l’interesse sempre dimostrato dalla stessa al settore specifico nel quale è sempre stata la referente anche per le strutture esterne all’Ospedale. Non si conoscono atti di violenza minore o maldicenze a conferma di quanto riferito dal dottor Ege. Le espressioni verbali forti sono state reciproche, come verificato oltre che nelle trascrizioni offerte dalla stessa ricorrente da tutti i testi escussi sul punto (testi Nuzzo, Caruso, Cerasoli, Tabarri in particolare).

In buona sostanza non si può in questa sede concordare sulla verifica delle condizioni che caratterizzano la situazione di mobbing perché molti, sostanzialmente tutti, gli elementi indicati dallo psicologo del lavoro, a lui riferiti, appaiono o inesistenti o valutati in modo eccessivo rispetto alla effettiva portata.

In realtà, e l’elemento appare chiaro e pacifico, tra Fiscelli e Giangaspero si realizza uno scontro di mentalità e di modi di intendere la propria attività in termini di assoluta incompatibilità. Il Giangaspero, anche per la responsabilità del reparto, tiene molto al risultato da raggiungere e valuta i propri collaboratori in considerazione dei risultati quantitativi ottenuti. Diametralmente opposta è la Fiscelli che ritiene, al contrario di  dover approfondire ogni aspetto problematico e che la fretta non si accompagni con la qualità dei risultati. Come non dare ragione ad entrambi  nei rispettivi ruoli è francamente impensabile. Tutti vorremmo avere un medico come la Fiscelli ma ogni azienda sanitaria, almeno dopo le ricordate riforme che non hanno certo migliorato il servizio nel suo aspetto qualitativo, vorrebbe Giangaspero, come Primario. Se a questo uniamo elementi umani imponderabili e una scarsa propensione al dialogo costruttivo allora comprendiamo integralmente la situazione che si è verificata in questi anni, fino al 2002 quando Giangaspero è andato via, nel reparto di anatomia patologica dell’Ospedale di Cesena. Gli esposti e le querele, le memorie degli avvocati, la predisposizione di elementi probatori quali le registrazioni e i certificati medici ad hoc non sono elementi caratteristici della figura del mobbizzato così come Giangaspero non corrisponde assolutamente alla figura del mobber.

In primo luogo escludiamo profili di responsabilità personale del Primario nella materia. Trattandosi di colleghi il titolo di responsabilità dovrebbe essere quello della responsabilità extracontrattuale ex art.2043 c.c. che richiede per poter parlare di pretesa risarcitoria dell’elemento psicologico del dolo o, almeno, della colpa e nessuno dei due profili soggettivi appare riconducibile alla condotta del Primario che potrà peccare di scarsa educazione (ma il conflitto assume reciproche forme forti), sicuramente deficita in termini di comprensione umana e disponibilità al confronto ma agisce nell’esclusivo interesse del proprio reparto e dei propri colleghi, come riconosciuto dagli stessi nelle dichiarazioni testimoniali raccolte. Questo non vuole però dire automaticamente che non sia configurabile il mobbing da chi pur operando con condotte di per sé lecite realizza lo stesso complessivamente le condizioni per un ambiente mobbizzante e questo dato comporterebbe comunque, anche escludendo il concorso di responsabilità excontrattuale dell’autore della condotta, la responsabilità dell’Azienda Usl per l’ipotesi di mobbing. Ma nel caso in esame manca anche l’oggettività delle tipiche condotte da mobbing o, almeno, elementi riconducibili a tale fattispecie. Come primo elemento è dimostrato che le sofferenze di ordine psichico e successivamente psichiatrico della Fiscelli non sono riconducibili al periodo nel quale si manifesterebbe il mobbing in tutto il suo potenziale lesivo. La consulente di ufficio così descrive la situazione: “ la dottoressa Fiscelli è affetta dal 1996 circa da una depressione maggiore di entità medio grave ad espressività prevalentemente somatoforme, attualmente in fase di precario compenso grazie a terapia farmacologia intensiva. Tale patologia era presente in forma subclinica dal 1994. Tale depressione è insorta su una personalità  con tratti disfunzionali di carattere prevalentemente narcisistico e paranoie, caratterizzato da profondi bisogni di riconoscimenti personali”. La consulente non ha rilevato nesso di casualità tra l’attività lavorativa prestata e la patologia descritta. La critica mossa alla ricordata consulenza è che non ha tenuto conto di periodi successivi al 1996 ma questo giudice, esaminando tutta la storia lavorativa della Fiscelli, non ha trovato che conferme a tale situazione descritta dalla consulente di ufficio.

Non ci sono condotte vessatorie in termini oggettivi realizzate dal Giangaspero nei confronti della Fiscelli che, per altro, subisce tale rapporto in termini di persecuzione. Ma non dobbiamo dimenticare che la paranoia viene riconosciuta come una sofferenza mentale caratterizzata da idee deliranti, ad esempio, di persecuzione in personalità per il resto normali. Anche le caratteristiche narcisistiche della personalità della Fiscelli (sempre e comunque stimata come ottima professionista dall’ambiente di lavoro, ed in questo senso le testimonianze raccolte sono univoche) viene messa a dura prova dal cambio di gestione e dall’impostazione del Giangaspero che sicuramente non la stima sotto il profilo dei risultati quantitativi del proprio lavoro, ma questo certamente non è mobbing o non è da solo un elemento che possa qualificare così chiaramente un rapporto. L’incompatibilità di carattere di impostazione professionale tra le due figure in conflitto è assoluto e Giangaspero non ha la capacità di comprendere che con le sue pretese nei confronti della Fiscelli richiede una profonda opera di riconversione di tipologia professionale alla stessa nel momento più delicato della sua vita ma anche questo non è mobbing perché la scarsa sensibilità è un limite delle persone, magari anche un difetto, ma non può collocarsi tra gli indici rivelatori di una volontà mobbizzante. Non dimentichiamo che la miglior dottrina risalente alla psicologia del lavoro in tema di mobbing descrivendo le caratteristiche imprescindibili del mobbing parla del cosiddetto “intento persecutorio” che indica come il disegno vessatorio coerente e mirato che muove il comportamento lesivo del mobber. Non c’è modo di vedere, negli atti a disposizione di questo giudice, tale intento persecutorio del Giangaspero nei confronti della Fiscelli e, di conseguenza, lo stesso a nessun titolo può essere considerato il mobber della situazione. Se tutto quanto esposto è vero allora dobbiamo concludere che anche nei confronti dell’azienda USL di Cesena non si rinvengono quelle caratteristiche riconducibili a responsabilità ex art.2087 c.c., magari sotto il profilo omissivo dell’aver permesso ad altri di operare in termini mobbizzanti nei confronti di una propria dipendente, e quindi l’ipotesi contenuta del ricorso non trova neppure sotto questo profilo una adeguata conferma. Quindi, in conclusione per quanto riguarda tale tema, questo giudice ritiene che non sussista l’ipotesi di mobbing richiamata nel ricorso sia a carico del Giangaspero che dell’Azienda Usl di Cesena.

Rimane, però, il dato oggettivo che la Fiscelli ha subito una profonda ferita alla propria professionalità derivante dal conflitto evidente e conclamato con il proprio Primario. Pensiamo quanto sarebbe potuta crescere una figura di medico così attento e scrupoloso dedito alla ricerca nella dermopatologia se l’ambiente fosse stato sereno e disteso e che occasioni di crescita e di riconoscimenti nel lavoro la ricorrente ha perso a causa della situazione che tutti conoscevano e che nessuno ha risolto. La professionalità si sostanzia in un patrimonio complessivo che un lavoratore possiede nella propria attività e tanto maggiore si presenta tanto più rilevante è il suo valore intrinseco e, al tempo, più realistico immaginare una possibile lesione della stessa, se si pensa, alla Fiscelli considerando la sua anzianità di servizio, la stima generale della quale godeva e gode, il suo ruolo nel reparto, almeno prima dell’arrivo di Gingaspero, è facile percepire l’importanza del concetto per la ricorrente e la necessità di salvaguardarla. Ma sicuramente non poteva pensarci il Primario Giangaspero, chiamato ad affrontare il compito organizzativo del reparto ed a garantire dei risultati per poter continuare a godere della fiducia dell’amministrazione dell’Azienda. Inoltre lo stesso, non dimentichiamolo, era coinvolto come la Fiscelli nello scontro descritto e non è pensabile che non ne abbia risentito in termini personali in maniera tale da non trovare le necessarie energie per cercare una strada per superare un contrasto che peggiorava l’ambiente di lavoro. La conclusione del suo rapporto con l’Azienda  Usl di Cesena sembra confermare tale lettura. Da ultimo non era a lui richiesto di farsi carico dei profili di professionalità della ricorrente non essendoci un obbligo specifico, a parte il profilo deontologico che in questa sede non può essere valutato, con riguardo alla Fiscelli se non un generico richiamo all’art.2043 c.c. che sicuramente come visto in precedenza, non riguarda questa situazione così qualificata. Lo stesso ragionamento non può farsi per l’Azienda Usl di Cesena. Che vi fosse una situazione di trasparenza dello scontro è dimostrato dalle missive e dalle dichiarazioni raccolte da questo giudice. L’Azienda ha sempre saputo tutto riguardo all’estrema difficoltà della situazione nel reparto di anatomia patologica sin dall’arrivo del Giangaspero come Primario e quando è intervenuta non lo ha fatto in termini costruttivi per prevenire l’acuirsi del disagio dei propri dipendenti o per risolvere la conflittualità ormai presente in particolare tra la ricorrente ed il Primario ma solo per giustificare la propria condotta e per richiamare al rispetto della correttezza formale. Anche gli interventi sindacali non hanno prodotto effetti positivi e questo nonostante la Fiscelli non abbia mai voluto accentuare il contrasto con l’amministrazione. Infatti la missiva 26/6/97 della Fiscelli, ricordata in precedenza, appare significativa della scelta della ricorrente di non cercare lo scontro ma solo un intervento utile per la sua condizione umana e professionale. Anche il verbale relativo all’incontro a Bologna tra il Consiglio dell’Ordine dei Medici e la dottoressa Fiscelli in data 26/10/2000 in atti (doc.14 Ausl) è significativo sul punto. Nel verbale si legge che la ricorrente si è sempre consigliata con la Direzione Generale che l’ha sempre sostenuta. Questo è un ulteriore elemento che conferma per un verso la mancanza di animosità della Fiscelli nei confronti dell’Amministrazione e per altro la necessità, non realizzata, per l’Azienda di prendere delle iniziative utili per il caso concreto in termini di mediazione del conflitto in essere. Allora veniamo a circoscrivere il campo di interesse di questo giudice e riportiamolo alla necessità per il datore di lavoro di tutelare la dignità professionale dei propri dipendenti, secondo l’insegnamento dell’art.2087 c.c. che parla, oltre che di integrità fisica, di personalità morale del prestatore di lavoro. Il tutto in sintonia con il disposto della nostra Costituzione che all’articolo 2 riconosce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, che all’articolo 35 tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori, che all’articolo 41 dichiara che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana e che all’art. 97 richiede che i pubblici uffici siano organizzati in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

Nel caso in esame l’Azienda Usl di Cesena ha omesso di tutelare la dignità professionale della Fiscelli non intervenendo per risolvere la situazione di difficoltà nella quale la stessa si trovava; l’azienda non ha manifestato forme di solidarietà, se non a parole (vedi missiva Fiscelli 26/6/97), per essere accanto ad una propria dipendente in un momento di difficoltà, non ha tenuto in alcun conto l’impossibilità della Fiscelli di elevarsi professionalmente in una realtà conflittuale come quella del suo reparto, pur consapevole delle enormi qualità professionali e delle potenzialità espansive della stessa; non ha curato adeguatamente la dignità umana della propria dipendente, e forse neppure del Primario dottor Giangaspero, non impegnandosi nel cercare di risolvere una situazione penosa e dolorosa per i contendenti; non ha curato il buon andamento della propria struttura intervenendo sul contrasto tra i propri dipendenti per risolverlo, ridimensionarlo, porre i due medici in condizione, comunque, di portare il loro contributo di professionalità all’Azienda invece di contrastarsi a vicenda. Le conseguenze negative del prolungato scontro tra la Fiscelli e Giangaspero sono ricadute sicuramente sulla professionalità della Fiscelli ma, nello stesso tempo, anche sul Giangaspero, chiaramente non in condizioni di svolgere il suo ruolo di Primario con la necessaria serenità, e sulla struttura intera, che certamente non può non avere risentito negativamente del contrasto evidenziato. Se ne deduce che un intervento dell’amministrazione tempestivo ed efficace in termini di superamento della conflittualità si sarebbe collocato in un’ottica di buona amministrazione oltre che fornire una risposta alle continue richieste di intervento della propria dipendente.

Per questo motivo lo scrivente ritiene che nel caso in esame un danno sia stato arrecato alla Fiscelli dall’amministrazione con il mancato intervento o in chiave preventiva o quantomeno in chiave risolutiva del contrasto con il Primario e che l’amministrazione stessa aveva l’obbligo giuridico di evitare tale situazione ai sensi degli articoli 2087 c.c. e 2,35 e 97 della Costituzione. Questa costruzione consente il superamento della chiusura imposta dal sistema in termini di risarcimento danni privi del profilo della patrimonialità.

Procedendo logicamente una volta verificato la sussistenza di un danno risarcibile sotto il profilo dell’omessa cura della professionalità di un proprio dipendente dobbiamo verificare a quale tipologia di danno fare riferimento. Escluso il danno patrimoniale e quello morale, inteso come conseguenza della realizzazione di un reato, dobbiamo fare riferimento ad altre tipologie di danno.

In linea con la recente dottrina e giurisprudenza relativa alla quadripartizione delle tipologie dei danni, con l’introduzione della categoria del danno esistenziale, insieme alle altre già codificate ed adeguatamente riconosciute, riteniamo che nel caso di specie non vengano in considerazione danni riguardanti patologie della Fuscelli, come detto preesistenti quanto meno in parte allo scontro e comunque non riferibili univocamente allo stesso, e di conseguenza anche la figura del danno biologico non appare adeguata al caso di specie ed allora proprio al danno esistenziale dobbiamo fare riferimento.

Si è detto che il danno esistenziale è la categoria che tutela la qualità della vita di un soggetto e, da questo punto di vista, è lampante  come la qualità di vita della Fiscelli durante la prolungata polemica con il Primario sia stata deteriorata da tale realtà, particolarmente considerando l’importanza del lavoro nella vita ricorrente. Inoltre la categoria del danno esistenziale tutela beni immateriali e la professionalità in questo senso è il classico profilo di un lavoratore che, pur costituendo parte del risultato del suo impegno lavorativo, difficilmente trova adeguato riconoscimento, conforto, apprezzamento e tutela davanti ad un giudice e di conseguenza proprio la categoria del danno esistenziale si appalesa come quella idonea a tale scopo.

Il problema principale è trovare criteri di liquidazione dello stesso convincenti e ragionevoli. Essendo evidentemente la necessità di operare un tipo di liquidazione equitativa, ex art. 1226 c.c., essendo chiara la difficoltà per la ricorrente di dimostrare, oltre la lesione del bene, professionalità, la gravità di tale lesione seguendo i criteri dell’onere della prova in questa materia (vedi Corte di cassazione n.10203/2002) si deve cercare il parametro di riferimento per tale liquidazione. Come primo criterio varrà l’osservazione che trattandosi di una situazione di tutela originale, se non innovativa, l’aspetto risarcitorio avrà più valore simbolico e di principio che di vera e propria riparazione economica.

Il secondo criterio sarà rapportare tale risarcimento alla durata del periodo di sofferenza o, meglio, di compressione delle proprie potenzialità professionali per la valutazione del danno. Il terzo elemento sarà quello di individuare un parametro di riferimento. Sotto questo profilo il giudice ritiene di averlo trovato in quanto indicato dalla ricorrente come spesa per un corso di formazione professionale. Nella missiva 8/2/99 all’Azienda la Fiscelli dichiara di aver speso personalmente la somma annuale corrispondente al costo di un corso di formazione, proprio per lo specifico profilo della professionalità che si è ritenuto non protetto, arrivando così alla somma complessiva di €7,000 possa costituire un criterio di liquidazione del danno in termini di equità e di ragionevolezza. Si ripete che tale somma non costituisce se non un dato simbolico di riconoscimento per la ricorrente di quanto sofferto in termini di compressione della propria professionalità per il contrasto con il Primario che l’amministrazione non si è data cura di appianare e risolvere ma il riconoscimento di un principio deve trovare le sue affermazioni in termini non punitivi ma adeguati alle aperture contenute nel discorso giuridico sottostante.

La somma, come detto aggiornata, andrà ulteriormente adeguata con gli interessi legali dalla sentenza al saldo effettivo.

In considerazione della particolarità delle conclusioni del giudizio stima equo questo giudice, compensare integralmente le spese del giudizio relativamente alla posizione di Giangaspero.

Con riferimento alle altre parti processuali condanna l’Azienda Usl di Cesena, in persona del legale rappresentante, al pagamento delle spese di CTU e, previa compensazione di due terzi (2/3) delle spese di giudizio, condanna l’Azienda Usl al pagamento del rimanente terzo (1/3) a favore di parte ricorrente che liquida come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Il Tribunale di Forlì

 

Quale Giudice del Lavoro

 

Accogliendo parzialmente il ricorso condanna l’azienda U.S.L. di Cesena, in persona del legale rappresentante al pagamento della somma di €  7.000,= a titolo di risarcimento danni professionali a favore di Ombretta Fiscelli, oltre agli interessi legali dalla sentenza al saldo effettivo.

Spese integralmente compensate relativamente alla posizione Giangaspero Felice.

Previa compensazione di due terzi (2/3) delle spese del presente giudizio condanna l’azienda U.S.L. di Cesena, in persona del legale rappresentante, al pagamento del rimanente terzo (1/3) delle spese legali di parte ricorrente, liquidando tale frazione in € 3.000,00, di cui € 1.000,00 per competenze, € 2.00,00= per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. oltre 10% spese generali.

Dispone la restituzione atti come da ordinanza 16/10/02

 

Forlì, 30/1/2003 (dep. 6.2.2003)          

IL GIUDICE Dott.Carlo Sorgi

 

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