Danni da demansionamento nel pubblico impiego: sussistenza e risarcibilità - Trib. Vigevano 2.3.2006

 

Tribunale Vìgevano 2 marzo 2006 -  Giud. Scarzella -  Montalbano (avv. Bulgarini d'Elci) c. Comune di Vigevano (avv. Valesini).

 

Pubblico impiego - Dequalificazione professionale - Art 52 D. Lgs. 165/01 - Applicabilità – Contenuto – Spettanza del risarcimento del danno professionale e biologico.

 

Nei rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione integra gli estremi della dequalificazione professionale, ai sensi dell'art. 52 D. Lgs. 3013/01 n. 165, la lesione del diritto del lavoratore pubblico all'effettivo svolgimento della propria prestazione professionale, così come desunta dalle mansioni per le quali lo stesso è stato assunto, da quelle svolte in concreto e da quelle considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi di settore.

L'accertamento del danno da demansionamento, nel campo del pubblico impiego, deve essere svolto, ex art. 52 D. Lgs. 30/3/01 n. 165, attraverso la comparazione tra le mansioni in concreto affidate al lavoratore, quelle astrattamente previste dalla normativa di riferimento per la categoria e per il profilo professionale di competenza e quelle svolte nel periodo precedente. (1)

La diretta riconducibilità dell'attuale stato fisio-psichico della ricorrente alla condotta posta in essere dal resistente a partire dalla primavera del 2001 trova diretta conferma, oltreché nell'assenza di altre cause idonee a giustificarne la relativa insorgenza, nell'esordio di tale sintomatologia, coincìdente con il periodo di assenza per malattia, nelle certificazioni mediche agli atti e nel progressivo stato di demansionamento e di isolamento lavorativo in cui si è trovata la Montalbano a decorrere dalla stessa data. Appare del resto infatti plausibile, anche da un punto di vista non strettamente medico, che l'improvvisa sottrazione di alcune delle più importanti mansioni lavorative e il contestuale isolamento dalla compagine organizzativa del proprio datore di lavoro generi in un lavoratore, fino ad allora stimato e «ricercato» dai propri colleghi e dall'utenza, uno stato di frustrazione e depressione con conseguente forte devalorizzazione della propria immagine e con inevitabile difficoltà a ricostruire la propria identità ferita. Dagli accertamenti medici svolti risulta provato il conseguimento, da parte della ricorrente, di un danno biologico di natura permanente in misura pari al 10% alla luce delle ripercussioni - sia in termini psichici (depressione ansiosa) che psicorganici (crisi anginosa, ingrassamento) - del quadro clinico sull'aspetto personale, di salute, famigliare e sociale della stessa, della gravità della ferita narcisistica e alla propria identità personale riportata dalla medesima e della sua conseguente reale difficoltà a «tornare quella che era prima».

Anche la ricorrente, a causa di una forte e specifica vulnerabilità psicopatologica, così come accertata dalla Ctu, ha comunque cagionato in parte o, meglio, agevolato, la verificazione della malattia in oggetto in misura che si reputa congruo quantificare in 1/3 del totale tenuto appunto conto che tale patologia ha trovato comunque origine e principale causa nella condotta illecita posta in essere dal resistente (v. Ctu agli atti). (2).

 

Svogimento del processo e motivi della decisione

 

(...) La domanda avanzata da Montalbano va accolta.

In via preliminare va evidenziata l'inderogabile sussistenza, ai sensi dell'art. 52 D. Lgs. 51/01, del diritto del lavoratore pubblico all'effettivo svolgimento della propria prestazione professionale, così come desunta dalle mansioni per le quali lo stesso è stato assunto, da quelle svolte in concreto e da quelle considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi di settore; «la lesione di tale diritto da parte del datore di lavoro costituisce inadempimento contrattuale e determina, oltre all'obbligo di corrispondere le retribuzioni dovute, l'obbligo di risarcire il danno da dequalificazione professionale consistente sia nel danno patrimoniale derivante, generalmente, dall'impoverimento della capacità professionale maturata dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore professionalità con conseguente perdita di chances, ossia di ulteriori possibilità di guadagno, sia nella lesione del diritto del lavoratore all'integrità fisica o, più in generale, alla salute ovvero all'immagine o alla vita di relazione, anche con riferimento alla libera esplicazione della propria personalità nel luogo di lavoro, ex artt. 2 e 3 Cost.» (v. Cass. n. 14199/01). Va a tale proposito evidenziato che nella figura di quest'ultimo danno è necessario distinguere fra danno biologico (che può assumere le forme di malattia psichica), danno morale e danno esistenziale, inteso come sconvolgimento - sia nell'ambiente di lavoro che all'esterno - della dignità, della vita famigliare, lavorativa, di immagine, sociale, di relazione conseguente alla lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità nel luogo di lavoro» (v. Cass. 7980/04; 12553/03; 14443/2000). Il danno da demansionamento, nella sua accezione patrimoniale, non ponendosi quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo del datore di lavoro, comporta l'onere probatorio del lavoratore di dimostrare, ai sensi dell'art. 2697 c. c., anche in via presuntiva, non solo la potenzialità lesiva della condotta datoriale bensì anche la sussistenza del danno richiesto e il nesso di causa tra questo e la condotta dedotta; tale accertamento, nel campo del pubblico impiego, va svolto, ex art. 52 D. Lgs. 165/01, attraverso la comparazione tra le mansioni in concreto affidate al lavoratore, quelle astrattamente previste dalla normativa di riferimento per la categoria e per il profilo professionale di riferimento e quelle svolte dallo stesso nel periodo precedente. La liquidazione di tale danno è determinabile, nell'ambito di un giudizio necessariamente equitativo, attraverso il ricorso al parametro della retribuzione quale elemento di massimo rilievo per la valutazione del contenuto professionale ed economico delle mansioni svolte dal singolo lavoratore. Per quanto concerne poi la configurabilità e l'accertamento del cd. mobbing, consistente secondo i più in una situazione di disagio fisio-psichico provocata al lavoratore da ripetuti soprusi posti volontariamente e consapevolmente in essere da colleghi e superiori al fine di determinare l'isolamento e l'emarginazione, professionale e «umano», dello stesso all'interno del contesto lavorativo, va evidenziato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 359/03, ha definito tale fattispecie «come complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo... Per quanto concerne i soggetti attivi vengono in evidenza le condotte - commissive od omissive - che possono estrinsecarsi sia in atti giuridici veri e propri sia in semplici comportamenti materiali aventi in ogni caso, gli uni e gli altri, la duplice peculiarità di poter essere, se esaminati singolarmente, anche leciti, legittimi o irrilevanti dal punto di vista giuridico potendo tuttavia acquisire comunque rilievo quali elementi della complessiva condotta caratterizzata nel suo insieme dall'effetto e, talvolta, dallo scopo di persecuzione e di emarginazione». La giurisprudenza ha prevalentemente ricondotto le concrete fattispecie di mobbing alla previsione dell'art. 2087 c. c. e, in particolare, al precetto secondo cui «l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure... necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro». Ai fini della sussistenza di tale fattispecie sono pertanto necessari due elementi e, cioè, l'intenzionalità e la consapevolezza e la reiterazione e la sistematicità delle condotte finalizzate all'isolamento e all'emarginazione del lavoratore, attuate spesso attraverso atti di demansionamento, di inattività forzata e di privazione dei necessari strumenti di lavoro (v. circolare Inail 17712/03).

Appare infine inattendibile, in assenza di ulteriori riscontri oggettivi, quanto riferito dai testi Mainardi M. e Villa S. visto che le loro dichiarazioni sono, almeno in parte, generiche - avendo gli stessi descritto, in maniera generale, le mansioni asseritamente svolte dalla ricorrente presso il settore di competenza senza nel contempo fornire alcuno specifico riferimento temporale e contenutistico (cfr., ad esempio, espressioni generiche quali «si occupa di gestire in maniera ordinaria l'ufficio... collabora... per la definizione dei contenuti dei documenti di programmazione e di gestione... cura la predisposizione e la lavorazione degli atti amministrativi, della documentazione contabile... discute... i contenuti e i tipi di atti più opportuni da adottare... apportava idee... era responsabile dei servizi di base dei musei ... è assistente diretta del direttore») e inattendibili - non avendo le stesse trovato specifici riscontri nei documenti prodotti e nelle dichiarazioni rese dagli altri testi escussi. La riferita prolifica attività lavorativa svolta per più mesi dalla ricorrente - anche in reggenza del direttore nel frattempo impegnato nella preparazione delle mostre di volta in volta previste - per la gestione ordinaria dell'ufficio e del personale ivi presente, per la predisposizione e la stesura di atti amministrativi e contabili e per l'ideazione di progetti, oltre a non aver trovato alcun concreto riscontro in eventuali atti, verbali e delibere adottate, di volta in volta, dall'ente resistente, trova diretta smentita nelle dichiarazioni dei testi Spada M. e Di Pierro D. - che non sono stati in grado di riferire specifiche e rilevanti prestazioni lavorative rese dalla prima, nel periodo di riferimento, presso il settore «politiche culturali, pari opportunità e Sic» - e, in parte, nelle affermazioni di Melato D. che ha sostanzialmente confermato il mancato coinvolgimento della ricorrente in tutte le riunioni di settore svoltesi in epoca successiva il settembre 2003.

Nel merito, dalla svolta istruttoria, appaiono attendibilmente provati i fatti costitutivi posti a fondamento dell'odierno ricorso e, cioè, il concreto ed effettivo demansionamento e la progressiva marginalizzazione dall'ambiente lavorativo in genere e dai singoli settori di assegnazione attuati dal resistente nei confronti della ricorrente e i danni, patrimoniali e non, derivati alla stessa da tali condotte. Va innanzitutto a tal fine evidenziato che la ricorrente, assunta dal Comune di Vìgevano il 1/4/79, attualmente inquadrata nell'area D2 con profilo professionale di specialista in attività amministrative e contabili, veniva adibita, fin dal 1996, all'ufficio servizi sociali ove, in qualità dì capo ufficio, si occupava, soprattutto da un punto di vista amministrativo e funzionale, «del volontariato in generale, dei rapporti con le relative associazioni, della segreteria dell'assessore, della gestione del centro sociale per anziani, della raccolta e della verifica delle domande relative ai contribuiti economici, della predi­sposizione degli atti finalizzati alla concessione degli stessi... delle sistemazioni abitative per i cittadini in difficoltà, dell'assistenza a cittadini sottoposti a procedure di sfratto, dell'erogazione di sussidi» e di tutte le altre pratiche relative al servizio assistenziale (v. dich. Aguzzi, Rossi e Musante, testi attendibili per essere a diretta conoscenza dei fatti di causa). La ricorrente, in tale periodo, oltre a essere la referente diretta delle assistenti sociali per le problematiche relative ai singoli servizi, lavorava a stretto contatto professionale con il capo servizio Rossi, che sostituiva in caso di assenza per le comunicazioni relative alla gestione ordinaria del servizio e per l'adozione di eventuali provvedimenti di urgenza (v. doc. n. 5 di parte ricorrente e dich. Rossi e Milo). A partire da marzo-aprile 2001, a seguito di una riorganizzazione interna, la ricorrente, in qualità di responsabile di unità operativa complessa, si occupava unicamente «del volontariato e del privato sociale e delle relative organizzazioni e manifestazioni» (v. dich. Aguzzi e Musante); al ritorno dalle ferie estive del 2001, in concomitanza con il trasferimento dell'ufficio servizi sociali all'interno del Palazzo delle esposizioni, la ricorrente rimaneva l'unica dipendente comunale presente presso la vecchia struttura, apparentemente ridotta, a detta della stampa locale, a ripostiglio per «scatoloni e altri ruderi» (v. dich. Aguzzi, Coi, Musante e doc. n. 8 di parte ricorrente). A seguito dell'insorgenza di una patologia ansioso depressiva la Montalbano osservava poi un lungo periodo di assenza dal lavoro per malattia, compreso tra il 5/3/02 e il 20/9/03, al termine del quale veniva assegnata al settore «politiche culturali, pari opportunità e Sic» (v. doc. n. 13 di parte ricorrente). In tale servizio la ricorrente, pur essendo formalmente capo-ufficio, non si occupava e non si occupa tuttora della direzione e del coordinamento del personale di categoria inferiore, che veniva direttamente e sostanzialmente gestito - anche per i permessi e per le ferie - da Mainardi, né si occupava e si occupa, in maniera continuativa, di altre specifiche incombenze, vista oltretutto la generale assenza di pratiche sul suo tavolo (v. dich. Spada M.). La Montalbano non risulta aver partecipato né agli eventi formativi di volta in volta organizzati dal resistente, come avvenuto in occasione del seminario indetto il 22-23-26/1/01 per «lo sviluppo di un turismo culturale a Vigevano», relativo a uno specifico aspetto culturale dell'organizzazione dell'ente resistente, né, inizialmente, a corsi di lingua, né agli incontri e alla riunioni relativi alla preparazione e all'organizzazione delle mostre su Renato Guttuso e su Pfister, costituenti pacificamente i due eventi culturali più significativi della stagione 2004/2005 (v. dich. Melato e Ottoboni). La ricorrente, all'interno di tale servizio, svolgeva e svolge generalmente mansioni esecutive e d'ordine, quali il recapito della posta e la vendita dei biglietti d'ingresso al museo, rimanendo spesso senza alcuna specifica attività da eseguire (v. dich. Maggi, Melato, Otto, Spada, Di Pietro).

Da quanto esposto appare pertanto ascrivibile in capo al resistente, fin da aprile 2001, un'effettiva condotta di mobbing attuata a danno della ricorrente attraverso un concreto ridimensionamento delle mansioni precedentemente assegnate e una progressiva marginalizzazione e isolamento della stessa all'interno dell'ambiente lavorativo; non risulta al contrario attendibilmente e specificamente provato un concreto demansionamento e un'effettiva emarginazione della ricorrente in epoca precedente, a partire da marzo 2000, visto che nessuno dei testi escussi (al pari dei documenti prodotti) è stato in grado di confermare la sussistenza di tale circostanza. Dall'istruttoria appare in particolare provato, fin dal mese di aprile 2001, un progressivo ridimensionamento delle competenze precedentemente affidate alla ricorrente visto che la stessa, da tale data, non si occupava più delle pratiche relative alla gestione del centro sociale per anziani, alla raccolta e alla verifica delle domande per i contribuiti economici, alla predisposizione degli atti finalizzati alla concessione degli stessi, alla gestione delle sistemazioni abitative per i cittadini in difficoltà, all'assistenza a cittadini sottoposti a procedure di sfratto, all'erogazione di sussidi e di tutte le altre pratiche amministrative e funzionali relative a tali servizi; da tale data la Montalbano veniva infatti unicamente adibita al servizio del volontariato e all'organizzazione delle manifestazioni a esso afferenti. Con tale condotta il resistente sottraeva alla ricorrente molte delle mansioni precedentemente assegnate e, in ogni caso, molte funzioni, a contenuto tecnico, gestionale e direttivo, previste dalla normativa collettiva di riferimento e dall'atto di organizzazione del resistente per la categoria e il profilo contrattuale della Montalbano comportanti, a titolo esemplificativo, attività di istruzione, predisposizione, redazione di atti e documenti riferiti all'attività contabile, finanziaria e amministrativa dell'ente di media o elevata complessità; attività di analisi, studio, ricerca con riferimento all'ambito di competenza; attività di elaborazione e programmazione; attività di coordinamento di addetti di categorie inferiori; attività di studio e ricerca in riferimento al settore di competenza. Il demansionamento e l'effettivo isolamento della ricorrente dall'ambiente e dal gruppo di lavoro presso l'ufficio servizi sociali trovavano definitiva «consacrazione» nel settembre 2001 allorché la prima, in concomitanza con il trasferimento dei restanti uffici presso il Palazzo delle Esposizioni, veniva lasciata da sola in una struttura di fatto non più funzionale anche a causa dell'assenza di altri dipendenti e della «ingombrante» presenza di «scatoloni e altri ruderi». Appare infatti evidente come in siffatta situazione di isolamento, anche fisico, e di abbandono una persona abituata a coordinare e a gestire in prima persona più servizi e persone si sia improvvisamente sentita, oltre che «spogliata» delle precedenti funzioni e compiti, isolata dall'intera compagine organizzativa del resistente, integralmente e funzionalmente trasferita in altra struttura. Appare fra l'altro a tal fine del tutto pretestuoso il ritardo con cui il resistente ha trasferito la ricorrente presso i nuovi uffici a causa della sua iniziale destinazione presso la Sala Pertini visto che tale soluzione si è rivelata, già qualche mese dopo, del tutto inattuabile (v. dich. Musante). La condotta illecita posta in essere dal resistente è poi proseguita, sostanzialmente inalterata quanto a gravità ed effetti, a settembre 2003 quando la ricorrente, rientrata dal lungo periodo di malattia, non veniva nuovamente assegnata, presso il settore «politiche culturali, pari opportunità e Sic», a mansioni rientranti nell'area e nel profilo a essa conferiti dall'ente resistente e/o comunque equivalenti a quelle svolte fino ad aprile 2001, avendo la stessa sostanzialmente svolto, da tale data, funzioni esecutive e d'ordine. La ricorrente, in tale periodo, non redigeva specifici atti e/o delibere e/o progetti relativi a tale settore né prendeva parte, in prima persona, all'organizzazione degli eventi e delle manifestazioni più significative, circostanze queste comprovanti un suo sostanziale isolamento all'interno del proprio servizio e del proprio gruppo lavorativo apparendo la partecipazione a tali incontri senz'altro essenziale e prodromica per l'attività lavorativa ivi svolta. Tali funzioni appaiono fra l'altro ancor più importanti e rilevanti per un'impiegata che, essendo inquadrata nell'area D e nel profilo di specialista in attività amministrative e contabili, dovrebbe svolgere attività di istruzione e di predisposizione di atti e documenti di media o elevata complessità, attività di analisi, studio, ricerca e di programmazione, con elevate conoscenze plurispecialistiche, con contenuto di tipo tecnico, gestionale e direttivo, con responsabilità di risultati relativi a importanti e diversi processi amministrativi e produttivi, come confermato dalla pacifica presenza, in tali frangenti, della collega Ottoboni E. dipendente dell'ente resistente inquadrata nella stessa area e nello stesso profilo professionale della Montalbano (v. dich. Ottoboni). Appare parimenti significativa, ai fini del denunciato demansionamento, l'assenza della ricorrente - unica fra i vari dipendenti - alla riunione tenutasi nel gennaio 2004 per la distribuzione del budget relativo agli straordinari eventualmente svolti presso i vari servizi visto che una dipendente dotata, per contratto, di poteri gestionali, programmatori, di ricerca e analisi, con responsabilità di risultati e con mansioni di capo ufficio, ha il diritto e il dovere professionale di stabilire e di programmare l'entità dell'attività lavorativa straordinaria eventualmente riconoscibile agli addetti del proprio settore, in vista del raggiungimento degli obiettivi prefissati. Ancora oggi, in assenza di contraria deduzione e dimostrazione, la situazione professionale della ricorrente appare inalterata. In base a quanto fin qui esposto può pertanto ritenersi pienamente ascrivibile in capo al resistente, fin da aprile 2001, un'effettiva condotta di mobbing posta in essere a danno della ricorrente. Da ciò consegue, innanzitutto, il diritto della ricorrente a essere assegnata, ai sensi dell'art. 52 D. Lgs. 51/01, a mansioni di specialista in attività amministrative e contabili o, comunque, a mansioni ricomprese nella categoria D2.

Per quanto concerne la liquidazione dei danni oggetto di causa va innanzitutto evidenziata la diretta riconducibilità delle assenze per malattia effettuate dalla ricorrente nel periodo marzo 2002-settembre 2003 alla condotta illecita tenuta nel corso degli anni dal resistente che, attraverso il suo agire, ha almeno in parte cagionato lo stato patologico della prima e, quindi, le sue assenze dal lavoro e i relativi mancati guadagni, economici e «professionali». Anche la ricorrente, a causa di una forte e specifica vulnerabilità psicopatologica, così come accertata dalla Ctu, ha comunque cagionato in parte o, meglio, agevolato, la verificazione della malattia in oggetto in misura che si reputa congruo quantificare in 1/3 del totale tenuto appunto conto che tale patologia ha trovato comunque origine e principale causa nella condotta illecita posta in essere dal resistente (v. Ctu agli atti).

Sotto il profilo patrimoniale la ricorrente ha pertanto diritto a vedersi corrispondere dal resistente gli importi retributivi cui la stessa avrebbe avuto diritto durante il sofferto periodo di malattia, ammontanti a complessivi € 4851,57 (importo questo attendibile in quanto redatto sulla base della retribuzione di volta in volta riconosciuta alla ricorrente), ridotti a € 3234,28 in ragione dell'accertata parziale ascrivibilità di tale assenza alla Montalbano, oltre € 2495,74 per il mancato percepimento, da parte della stessa, da settembre 2003, dell'indennità di responsabilità, pacificamente goduta per tutto il periodo precedente. La Montalbano non ha al contrario diritto ad alcun risarcimento per il mancato avanzamento di fascia economica D2-D3, per il mancato conferimento di incarico di posizione organizzativa, per la mancata percezione di incentivi economici individuali e collettivi, compresi quelli relativi alla partecipazione a progetti speciali, visto che le progressioni stipendiali e di carriera all'interno dell'ente resistente sono fondate su un sistema premiante della professionalità e dell'impegno profusi dal singolo dipendente e non già su automatismi e su prestabilite rigide progressioni di carriera. Va comunque a tal fine evidenziato che per gli anni 2002-2003 soltanto, rispettivamente, il 40% e il 30% del budget comunale è stato distribuito in base alle risultanze delle singole schede di valutazione e che, nello stesso periodo, soltanto una piccola parte del personale inquadrato nell'area D ha fruito di progressioni stipendiali (v. memoria difensiva del Comune di Vigevano, non specificamente contestata sul punto). La ricorrente non ha in ogni caso specificamente dedotto e provato, come era suo onere, ex art. 2697 c. c., per gli anni 2002-2003, una sua probabile progressione di carriera all'interno della categoria D, con conseguente superamento del relativo concorso, il verosimile conferimento di un incarico di posizione organizzativa, la sua possibile assegnazione a uno specifico progetto tenuto oltretutto conto che la stessa, relativamente al settore «politiche culturali, pari opportunità e Sic», non aveva maturato alcuna specifica competenza in epoca anteriore il settembre 2003. Va comunque evidenziato che il danno patito dalla ricorrente per la mancata acquisizione di una maggiore professionalità e per la conseguente perdita di chances e di ulteriori possibilità di guadagno appare già adeguatamente risarcito nella misura e con le modalità di seguito illustrate.

La Montalbano, sempre sotto il profilo strettamente patrimoniale, ha infatti diritto a vedersi risarcire dal resistente il danno da dequalificazione professionale in senso stretto, patito da aprile 2001 a marzo 2002 e da settembre 2003 a oggi, a causa della mancata adibizione a mansioni confacentì il suo inquadramento e profilo contrattuale. Tale danno appare insito nella condotta illecita tenuta dal resistente visto che l'isolamento fisico e, ancor prima, funzionale di un dipendente contrattualmente preposto a compiti direttivi, propositivi, di indirizzo e di coordinamento comporta sicuramente una grave lesione della professionalità trattandosi di mansioni di per sé sole idonee, per il loro livello, a supportare e implementare giornalmente il «bagaglio» professionale di un lavoratore. In base a quanto esposto appare pertanto equo determinare il danno sofferto dalla ricorrente, a partire dall'aprile 2001, in misura pari a 1/3 della retribuzione di fatto spettante alla stessa per lo stesso periodo tenuto appunto conto del profilo direttivo e organizzativo proprio delle funzioni svolte dalla prima fino a aprile 2001, dei compiti d'ordine ed esecutivi assegnati alla medesima da tale data in poi, della non possibile adibizione della stessa, per legge e per contratto, a mansioni dirigenziali e altamente tecniche e, infine, del contributo causale dato dalla ricorrente alla patologia in esame. Tale importo va pertanto quantificato nella complessiva somma di € 30.410,75, tenuto conto che la retribuzione media di fatto riconosciuta alla ricorrente nel periodo in questione è pari a circa € 1700 mensili e che tale somma, durante la malattia, va ulteriormente ridotta di 1/3 alla luce dì quanto sopra esposto circa la parziale riconducibilità di tale assenza alla prima.

Per quanto concerne la determinazione e la liquidazione del danno non patrimoniale per cui è causa, va rilevato che la ricorrente, dal punto di vista medico-legale, risulta affetta da quadro depressivo maggiore associato ad ansia, in contesto di disturbo distimico. Tale patologia, di tipo reattivo, caratterizzata dalla presenza di umore depresso, per la durata di almeno due anni, non sembra essersi manifestata in epoca precedente il 2001 non essendo comprovati e nemmeno dedotti eventi traumatici di ordine lavorativo o famigliare o esistenziale anteriori a tale data, tali da giustificare l'emergere improvviso di tale sintomatologia (v. Ctu medico-legale). Allo stato attuale, anche grazie agli interventi di uno specialista, non emergono sintomi della serie psicotica permanendo un'evidente condizione ansioso-depressiva di fondo, aggravata da aspetti ipocondriaci che rinviano a un'immagine di sé fortemente devalorizzata (v. Ctu medico-legale). La presenza della noxa irritativa, rappresentata dall'ambiente di lavoro, sostiene una condizione di forte instabilità e comprova l'ipotesi della cronicizzazione (v. Ctu medico-legale). La diretta riconducibilità dell'attuale stato fisio-psichico della ricorrente alla condotta posta in essere dal resistente a partire dalla primavera del 2001 trova diretta conferma, oltreché nell'assenza di altre cause idonee a giustificarne la relativa insorgenza, nell'esordio di tale sintomatologia, coincìdente con il periodo di assenza per malattia, nelle certificazioni mediche agli atti e nel progressivo stato di demansionamento e di isolamento lavorativo in cui si è trovata la Montalbano a decorrere dalla stessa data. Appare del resto infatti plausibile, anche da un punto di vista non strettamente medico, che l'improvvisa sottrazione di alcune delle più importanti mansioni lavorative e il contestuale isolamento dalla compagine organizzativa del proprio datore di lavoro generi in un lavoratore, fino ad allora stimato e «ricercato» dai propri colleghi e dall'utenza, uno stato di frustrazione e depressione con conseguente forte devalorizzazione della propria immagine e con inevitabile difficoltà a ricostruire la propria identità ferita. Dagli accertamenti medici svolti risulta provato il conseguimento, da parte della ricorrente, di un danno biologico di natura permanente in misura pari al 10% alla luce delle ripercussioni - sia in termini psichici (depressione ansiosa) che psicorganici (crisi anginosa, ingrassamento) - del quadro clinico sull'aspetto personale, di salute, famigliare e sociale della stessa, della gravità della ferita narcisistica e alla propria identità personale riportata dalla medesima e della sua conseguente reale difficoltà a «tornare quella che era prima». Va a tal fine rilevato che dai documenti medici acquisiti in sede di discussione sopravvenuti al deposito del ricorso, emerge un peggioramento e, comunque, un consolidamento della sintomatologia depressiva e ansiosa della Montalbano necessitante, a tutt'oggi, di specifiche cure mediche e di giorni di riposo. In tale valutazione la Ctu ha tenuto comunque conto «dell'organizzazione cognitiva, della personalità della ricorrente e dell'importanza da lei riposta nella realizzazione professionale e sociale, quale area di investimento narcisistico, idonea a fondare la propria identità, elementi questi considerati alla stregua di una condizione di vulnerabilità psicopatologica di base, idonei a giustificare l'iter clinico e le modalità con cui la prima ha reagito al denunciato demansionamento» (v. Ctu agli atti). Il danno in questione, in base alle vigenti tabelle del Tribunale di Milano, va quantificato in complessivi € 13.339,10, tenuto conto dell'età della ricorrente e della gravità delle lesioni da lei riportate. Il periodo di inabilità temporanea sofferto dalla ricorrente va poi determinato, in accordo a quanto esposto dalla Ctu, in misura pari al 50% del totale per una durata di due anni tenuto conto dei periodi in cui certamente la ricorrente, per le sue precarie condizioni fisiche, era totalmente inabile e di quelli in cui la stessa, grazie al sostegno specialistico e ai giorni di riposo, godeva di periodi di deciso miglioramento. L'inabilità temporanea residuata nell'ultimo periodo va comunque ricompresa in quella permanente, come peraltro già considerato dalla Ctu nel proprio elaborato. Tale danno, in base a quanto previsto dalle tabelle del Tribunale di Milano, va liquidato in complessivi € 18.848,60, ritenuto equo riconoscere un'indennità giornaliera di € 25,82, alla luce delle lesioni riportate dalla ricorrente, della durata dell'inabilità temporanea parziale e della sua entità. Non appaiono invece accoglibili le eccezioni medico-legali sollevate dal resistente visto che le stesse, oltre a essere state puntualmente esaminate e considerate dal Ctu nel proprio elaborato, non sono fondate su specifici riscontri diagnostici, medici e scientifici apparendo, al contrario, contraddette dagli accurati esami tecnici svolti dal consulente. Del resto lo stesso Ctp di parte resistente attesta la prima comparsa di episodi patologici, nella vita della ricorrente, a partire dal 2001, in evidente concomitanza con le condotte di demansìonamento e di progressivo isolamento poste in essere dalla prima nei confronti della Montalbano.

Va altresì liquidato, a favore della ricorrente, il danno morale, ex art 2059 c.c., visto che il risarcimento di tale danno, conseguente alla lesione del bene salute, tutelato dall'art. 32 Cost., prescinde, a seguito di un'interpretazione costituzionalmente orientata della prima norma, dall'accertamento di un'ipotesi di reato (v. Cass. 20323/05). Nel caso di specie tale danno va equitativamente determinato, in base a quanto previsto dalle vigenti tabelle del Tribunale di Milano, nella complessiva somma di € 10.729,23, pari a 1/3 di quello biologico sopra riconosciuto, tenuto conto dell'entità di quest' ultimo e della durata dell'inabilità temporanea parziale sofferta dalla ricorrente. Non appare invece configurabile alcun danno esistenziale, ulteriore e diverso rispetto a quello biologico già liquidato, tenuto conto che la Ctu, nel proprio elaborato, già considera la rilevanza del quadro patologico sofferto dalla ricorrente nell'ambito famigliare, sociale e personale e che quest'ultima non ha comunque dedotto e provato ulteriori e diverse lesioni alla propria sfera esistenziale e di vita. Appare parimenti insussistente una specifica lesione all'immagine della ricorrente visto che tale vicenda non pare aver avuto risonanza all'esterno del Comune di Vigevano visto che l'articolo di giornale prodotto faceva più che altro riferimento alle problematiche logistiche e organizzative legate al trasferimento degli uffici dei servizi sociali presso il Palazzo delle Esposizioni e che la prima, a seguito del sofferto periodo di malattia, non interagiva più con i soggetti, istituzionali e non, presenti nel settore dei servizi sociali essendo stata nel mentre trasferita ad altro ambito. Gli eventuali danni alla professionalità e all'immagine legati a tali vicende risultano comunque già adeguatamente risarciti nella liquidazione del danno da dequalificazione sopra considerato.

Vanno infine liquidate a favore della ricorrente le spese mediche sostenute a causa della sofferta patologia, spese che si reputa equo liquidare in complessivi € 3500, tenuto conto di quanto documentato in atti, del costo delle visite specialistiche e dei medicinali, del progressivo almeno temporaneo miglioramento dello stato di salute della stessa.

Su tutti gli importi sopra riconosciuti, annualmente rivalutati secondo gli indici Istat, vanno calcolati, da ogni singola scadenza al saldo, gli interessi legali, ex art. 429 c.p.c. (...).

 

NOTA 1)

 

Ius variandi e dequalificazione professionale nel pubblico impiego

È ormai acquisito nella giurisprudenza del lavoro, alla luce dei numerosi precedenti intervenuti in materia, il principio per cui la fonte di tutela del diritto allo svolgimento di mansioni equivalenti risieda, per i rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, nell'art. 52 del D. Lgs. 165/01.

Tra le tante, merita richiamare Trib. Milano 5/5/2000, in questa Rivista 2000, 758; Trib. Vicenza 21 / 8/01, in Lav. giur. 2002, 4, 356; Trib. Catanzaro (ord.) 1 /6/01, in Lavoro nelle PA 2002,1,154; Trib. Salerno 5/12/01, in Guida al lavoro 2002,14,52; Trib. La Spezia 28/1/01, in questa Rivista 2001,433; Trib. Milano 29/10/04, in Riv. imp. pubbl. 2005,1,66, con nota di Ianniello.

La sentenza del Tribunale di Vigevano si inserisce a pieno titolo nel solco di questa giurisprudenza, segnalandosi per il tentativo, che appare ampiamente riuscito, di individuare il contenuto dell'art. 52 D. Lgs. 165/01 e circoscriverne l'ambito di applicazione in ragione degli elementi necessari per accertare l'esistenza della dequalificazione professionale e pervenire alla determinazione delle voci di danno.

In forza dell'art. 52 del D. Lgs. 165/01 - questo il ragionamento del giudice vigevanese - il diritto alla modifica delle mansioni riceve un preciso limite nel divieto di sottoutilizzare il lavoratore rispetto alle mansioni di precedente esercizio o di adibirlo a mansioni non equivalenti rispetto a quelle proprie della sua qualìfica di inquadramento.

A questo proposito, recita l'art 52 del D. Lgs. 165/01 che «Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive».

L'introduzione di questa norma ha tolto ogni dubbio sull'estensione al pubblico impiego del divieto - che nei rapporti di lavoro di diritto privato è regolato dall'art. 2103 c. c. - di dequalificare i dipendenti con l'assegnazione di mansioni non equivalenti. Anche con riguardo a questa tipologia di rapporti, dunque, l'esercizio dello ius variandi incontra un limite insuperabile nel divieto di attribuire al pubblico dipendente funzioni deteriori e pregiudizievoli per la sua professionalità.

La differenza, rispetto ai rapporti di lavoro di diritto privato, risiede principalmente nel fatto che la valutazione sulla corrispondenza delle nuove alle vecchie mansioni deve essere effettuata avendo, in primo luogo, come riferimento la classificazione del personale contenuta nei contratti collettivi di comparto. Il controllo sulla equivalenza delle mansioni, in altri termini, nel pubblico impiego non può prescindere dalla disciplina contrattuale collettiva, che costituisce il principale, ma certamente non esclusivo, parametro di riferimento per verificare se il lavoratore sia stato dequalificato.

In dottrina, per un'ampia disamina, si vedano A. Perrino, Il rapporto di lavoro pubblico, Padova 2004; Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale. Il lavoro privato e pubblico, a cura di G. Santoro Passarelli, Milano 2006, IV ed.; AA.VV., L'impiego pubblico. Commento al D. Lgs. 30/3/01 n. 165, Milano 2003.

Franco Bernini

(laddove si legge “questa Rivista” s’ intende D&L, Riv. crit. dir. lav.)

(in D&L, Riv. crit.dir. lav. n. 3/2006,  822, sentenza  e 831 nota)

 

NOTA  2)

 

Dalla decisione non si riesce bene a capire se il Tribunale, in questa complessivamente condivisibile decisione, abbia – in ragione della preesistente fragilità psicologica o dei fattori predisponenti alla depressione della ricorrente  - ridimensionato il quantum di  sua spettanza a itolo di “danno biologico”. Se così fosse sarebbe incorso in un errore di diritto, atteso il costante orientamento della Cassazione in materia di addossamento integrale della responsabilità risarcitoria al comporamento inadempiente datoriale (anche se solo “concausale”), giacchè senza di esso, la situazione genetica predisponente non sarebbe sfociata nella patologia depressiva per la quale invece è integralmente (al 100%) responsabile (anche a titolo indennitario) il soggetto attivo nel demansionamento e nelle vesssazioni. In tal senso l’orientamento consoliato della Cassazione, secondo cui: «In materia di rapporto di causalità della responsabilità extracontrattuale, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile dell'uomo siano sufficienti a determinare l'evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l'autore dell'azione o della omissione resta sollevato per intero da ogni responsabilità dell'evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; qualora invece quelle condizioni non possano dar luogo, senza l'apporto umano, all'evento di danno, l'autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, atteso che in tal caso non può operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa imputabile ed una concausa naturale non imputabile. [(Nella specie la S.C. ha cassato, senza rinvio e ponendo a carico dell’azienda il danno al 100%,  la sentenza d'appello che - avendo accertato che gli illegittimi provvedimenti del datore di lavoro (demansionamento e licenziamento) erano responsabili, sul piano eziologico, del 50% del danno biologico,( per  sindrome ansioso depressiva),  riscontrato nel lavoratore, essendo esso ascrivibile per l'altro 50% ad una predisposizione fisica e a infermità pregresse - aveva posto a carico del datore di lavoro non la totalità dei danni subiti dal lavoratore, bensì solo il 50% di essi)]», (così, Cass., sez. lav., 9.4. 2003, n. 5539; conf. Cass. 5.11.1999, n. 12339 e più di recente Cass. 26.7.2006, n. 17022).

Mario Meucci

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