Tutela cautelare ex art. 700 c.p.c., legittima per demansionamento con danni alla salute, aggravabili

 

Trib. Parma, sez. lav., 7 febbraio 2007 (ordinanza) – Pres. Sinisi – Est. Medioli Devoto – Ricorrente: Parmalat Spa – Controricorrente: Bancalari

 

Demansionamento di dipendente inquadrato in livello direttivo – Sussistenza del fumus boni iuris – Insussistenza del periculum in mora, in relazione agli effetti della dequalificazione – Sussistenza, peraltro, nei confronti del danno alla salute (già verificatosi e suscettibile di aggravamento) nell’attesa del giudizio ordinario – Conferma della decisione di prime cure e rigetto del reclamo dell’azienda

 

La natura prettamente esecutiva dei compiti affidati al dipendente, la limitata (prescindendosi da qualsivoglia valutazione di natura economica circa l'entità del budget di spesa assegnato) discrezionalità di poteri (con sostanziale assenza di facoltà d'iniziativa) ed, in ogni caso, l'assoluto difetto di funzioni direttive, configurandosi, al più, una generica posizione di controllo sull'articolazione aziendale di riferimento, convice della sussistenza della dequalificazione, ai fini del riscontro del fumus boni iuris, richiesto dall’art. 700 c.p.c.

Non pare, invece, che il pregiudizio paventato dal lavoratore, con riguardo ai valori della professionalità, dell'immagine professionale e della dignità personale, siano effettivamente caratterizzati da quell'imminenza ed irreparabilità, cd. periculum in mora. Conviene richiamare il costante insegnamento giurisprudenziale secondo il quale eventuali lesioni a beni individuali derivanti dall'adibizione a mansioni inferiori sono normalmente risarcibili per equivalente monetario, gravando, per conseguenza, su chi l'allega ai fini di una pronuncia cautelare la prova dell'irreparabilità del pregiudizio paventato.

Nei casi di "allontanamento" del lavoratore dallo svolgimento di una determinata attività lavorativa, costituisce presupposto indefettibile, affinché la privazione della possibilità di lavorare (secondo le pregresse modalità) possa produrre un pregiudizio in punto di fatto irreparabile, la circostanza che le mansioni svolte dal lavoratore abbiano un contenuto particolarmente esposto all'obsolescenza tecnico-produttiva, essendo caratterizzate da abilità, informazioni e competenze soggette a mutamenti repentini in dipendenza dell'evoluzione del loro oggetto o dei modi per trasformarlo.

Risulta, viceversa, provato l'estremo cautelare in oggetto con riferimento al danno alla salute, non soltanto temuto, ma, in parte qua, già verificatosi. Alla luce delle complessive considerazioni che precedono, pertanto, va rigettato il reclamo proposto da Parmalat s.p.a.

 

Il Collegio

O S S E R V A

Rilevato incidentalmente che, alla luce del contenuto delle reciproche difese in atti (pur non dovendosi ignorare puntuali considerazioni sul punto, come spiegate a pag.20 delle note depositate da parte ricorrente nel procedimento di prime cure), l'oggetto del contendere risulta immediatamente limitato, nella presente fase del giudizio, alla sola domanda cautelare concernente le mansioni svolte dal lavoratore ricorrente ex art.700 c.p.c. (risultando, viceversa, priva di censure la condivisibile statuizione in ordine alla domanda di "rimborso spese" adottata nell'ordinanza impugnata), ritiene, dunque, questo Collegio che il reclamo proposto da Parmalat s.p.a. debba essere rigettato per le ragioni che seguono.

Deve rilevarsi, infatti, come le complessive risultanze acquisite agli atti siano tali da configurare i consueti requisiti cui è subordinata la concessione dell'invocata tutela d'urgenza, per quanto alla luce di considerazioni parzialmente difformi rispetto a quelle illustrate dal giudice della prima fase cautelare.

Sotto il profilo del fumus boni iuris, invero, risulta del tutto condivisibile l'iter logico argomentativo esposto nell'ordinanza reclamata secondo la quale le mansioni concretamente affidate e svolte da Roberto Bancalari non sono riconducibili al livello di appartenenza del lavoratore (1° livello del C.C,N,L. di categoria, in atti), presentando esse un'insufficiente grado di omogeneità rispetto a quelle proprie di tale categoria d'inquadramento professionale.

Seguendo, peraltro, le consolidate indicazioni di carattere ermeneutico fornite dalla Suprema Corte (cfr. fra le altre, Cass. n.1677/84) — secondo cui «nel procedimento logico diretto ad accertare, anche se limitatamente ai fini economici, la corrispondenza tra le mansioni effettive e quelle tipiche della qualifica superiore, il giudice del merito deve seguire tre fasi tra loro indipendenti: egli deve dapprima procedere, in base all'interpretazione del contratto collettivo applicabile, all'individuazione delle categorie, qualifiche e gradi previsti, tenendo conto degli elementi tipici che valgano a porre i criteri discriminatori di esse nell'ambito della struttura organizzativa dell'impresa; deve, poi, accertare, sulla base di tutte le risultanze probatorie, il concreto contenuto dell'attività lavorativa svolta; infine, deve porre in rapporto con i testi della normativa contrattuale, secondo l 'interpretazione datane senza modificarli o sostituirli con propri elementi determinativi, il risultato dell'indagine sull'effettiva attività lavorativa, al fine di ricondurre le mansioni di fatto nell'ambito della categoria, qualifica e grado, tipicizzati dal contratto collettivo secondo il principio di corrispondenza tra qualifica e mansioni, generalmente posto dall'art. 2103 cod. civ.» - deve, anzitutto, rimarcarsi come il livello d'inquadramento del ricorrente ex art.700 c.p.c. sia connotato dalla presenza di... capacità e funzioni direttive con discrezionalità di poteri..., così da distinguersi evidentemente dai livelli inferiori, a loro volta caratterizzati dall'affidamento di semplici funzioni di concetto (cfr. 2° livello) ovvero esecutive, da meri compiti di controllo e coordinamento connaturati ad una limitata discrezionalità di poteri.

Tanto evidenziato, convince, dunque, pienamente la valutazione delle risultanze probatorie emerse come compiuta dal giudice di prime cure; sia pure alla stregua del sommario giudizio che deve contraddistinguere il presente procedimento e senza ignorare il breve periodo di adibizione del lavoratore alle mansioni censurate (verosimilmente condizionato, in parte qua, da fisiologiche esigenze d'inserimento aziendale e di apprendimento di nuovi compiti), invero, questo Collegio osserva nuovamente la natura prettamente esecutiva dei compiti affidati al dipendente, la limitata (prescindendosi da qualsivoglia valutazione di natura economica circa l'entità del budget di spesa assegnato) discrezionalità di poteri (con sostanziale assenza di facoltà d'iniziativa) ed, in ogni caso, l'assoluto difetto di funzioni direttive, configurandosi, al più, una generica posizione di controllo sull'articolazione aziendale di riferimento.

Sotto tale profilo, in particolare, merita porre attenzione sulla carenza di riscontri obiettivamente apprezzabili dai quali possa eventualmente evincersi un ruolo direttivo, ovvero anche solo di coordinamento (cfr. 2° livello) rispetto ad altre figure professionali inserite nella stessa attività d'azienda.

Le considerazioni che precedono non vengono, invero, inficiate dalla riferita (cfr. dichiarazioni del teste F.) assenza, per il lavoratore, di un orario fisso da rispettare, condividendosi, al riguardo, le deduzioni difensive secondo le quali, sostanzialmente, deve rilevare, ai fini che qui interessano, il concreto contenuto delle mansioni svolte e non già l'articolazione delle stesse in termini temporali; né, per identiche ragioni, può conferirsi valore dirimente alla circostanza secondo la quale il dipendente Fois, in precedenza assegnato alla gestione dell'autoparco, fosse, a propria volta, inquadrato nel 1° livello del C.C.N.L. in oggetto (si veda, peraltro, sotto tale profilo l'attuale inquadramento al 2° livello del lavoratore G.).

Risulta, infine, irrilevante, ai fini del presente giudizio, la dedotta circostanza secondo la quale sarebbe stato previsto, in favore del lavoratore ricorrente, l'affidamento dei compiti propri della figura "Distribution Specialist"; oltre a trattarsi, infatti, di mansioni solo astrattamente "spettanti" a Roberto Bancalari, difettano elementi certi dai quali potersi evincere che detta figura aziendale sia effettivamente inquadrabile nel livello professionale oggetto del contendere (1° livello), essendo unicamente emerso, dalle generiche risultanze dell'istruttoria orale, un potenziale conferimento di incarichi di verifica e coordinamento (cfr. dichiarazioni del teste M.) apparentemente coincidenti, di per sé soli, a quei compiti di controllo e coordinamento invece propri dell'inferiore 2° livello.

Alle luce delle considerazioni che precedono, assorbito ogni ulteriore profilo, deve pertanto ritenersi acclarata la verosimile sussistenza del diritto invocato da parte ricorrente ex art.700 c.p.c.

E che alla presenza di tale requisito cautelare si accompagni altresì una condizione di periculum in mora ha convinzione questo Collegio, per quanto sotto profili dissimili rispetto a quelli evidenziati nell'ordinanza censurata.

Alla luce delle risultanze istruttorie emerse, invero, non pare che il pregiudizio paventato dal lavoratore, con riguardo ai valori della professionalità, dell'immagine professionale e della dignità personale, siano effettivamente caratterizzati da quell'imminenza ed irreparabilità invece richiesti ex art.700 c.p.c.

Al riguardo, si premette, conviene richiamare il costante insegnamento giurisprudenziale secondo il quale eventuali lesioni a beni individuali derivanti dall'adibizione a mansioni inferiori sono normalmente risarcibili per equivalente monetario (cfr. Cass. n.7980 e n.10361 del 2004), gravando, per conseguenza, su chi l'allega ai fini di una pronuncia cautelare la prova dell'irreparabilità del pregiudizio paventato.

Con particolare riguardo al danno di natura professionale (tale da influire, sotto altro profilo, pure sul "mercato del lavoro", eventualmente sub specie di perdita di occasioni favorevoli), segnatamente, convince l'argomentazione difensiva prospettata da parte reclamante secondo la quale, appunto, nei casi di "allontanamento" del lavoratore dallo svolgimento di una determinata attività lavorativa, costituisce presupposto indefettibile, affinché la privazione della possibilità di lavorare (secondo le pregresse modalità) possa produrre un pregiudizio in punto di fatto irreparabile, la circostanza che le mansioni svolte dal lavoratore abbiano un contenuto particolarmente esposto all'obsolescenza tecnico-produttiva, essendo caratterizzate da abilità, informazioni e competenze soggette a mutamenti repentini in dipendenza dell'evoluzione del loro oggetto o dei modi per trasformarlo.

Alla luce delle superiori considerazioni, dunque, nonché dell'insegnamento giurisprudenziale recentemente cristallizzatosi in materia (secondo il quale, sostanzialmente, in tema di demansionamento e di dequalificazione, la tutela riparatoria invocata dal lavoratore non può prescindere da una specifica allegazione e conseguente dimostrazione in ordine alla natura ed alle caratteristiche dei pregiudizi lamentati, non potendo valere, anche in detto ambito, la distinzione tra inadempimento e danno risarcibile secondo gli ordinari principi civilistici di cui all'art.1218 e 1223, per i quali i danni attengono alla perdita o al mancato guadagno che siano conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento; in termini, Cass. S.U. n.6572/06 la quale, nel dirimere il contrasto giurisprudenziale in materia, ha aderito all’indirizzo che richiede la prova del danno; cfr. Cass. n.7905/78; Cass. n.2561/99; Cass. n.16792/03 e Cass. n.10361/04) deve rilevarsi la mancanza di elementi significativi dai quali evincersi l'imminenza e l'irreparabilità delle superiori ipotesi di danno paventate dal lavoratore.

Quanto alle lesioni di natura morale, ovvero relative alla sua dignità personale, infatti, deve osservarsi, allo stato, una eccessiva genericità delle corrispondenti allegazioni e, soprattutto, dei corrispondenti riscontri probatori.

Quanto a quelle incidenti sull'immagine, ovvero sulla sua capacità professionale, il difetto di sufficienti indicazioni circa le pregresse mansioni svolte quale "controller" di Camini s.p.a. – e la presenza del mero parametro astratto di cui alla declaratoria contrattuale – non consente un puntuale giudizio sull'asserito pregiudizio, secondo i summenzionati criteri di accertamento propri della tutela urgente.

Tanto premesso, risulta, viceversa, provato l'estremo cautelare in oggetto con riferimento al danno alla salute, non soltanto temuto, ma, in parte qua, già verificatosi.

Considerato incidentalmente che non appare condivisibile, specie nell'ambito di un giudizio a cognizione sommaria, l'impostazione secondo la quale anche ogni pregiudizio alla salute sarebbe comunque sempre riparabile per equivalente monetario, deve dunque ritenersi che il pericolo lamentato sia adeguatamente provato dalla documentazione medica prodotta in atti (cfr. relazione dott.ssa Scorsonelli di cui al doc. n.35 del fascicolo di parte reclamata).

Detta relazione, invero, nel ribadire sostanzialmente le conclusioni cui era già si era pervenuti il 21-8-2006 (certificato del dott. Coralli, già allegato nel corso del giudizio di prime cure), tiene conto dell'approfondirsi di un stato di depressione reattiva correlato univocamente (specie laddove si considerino, sotto il profilo temporale, le precedenti condizioni di salute documentate, riferibili a periodi anteriori all'adibizione del lavoratore presso la nuova sede di Albano S. Alessandro) alle dedotte vicende lavorative e tale da comportare "gravi ripercussioni non solo sulla sfera psichica ma anche sul versante somatico, con aggravamento di un quadro di psoriasi... e comparsa di patologia ipotiroidea".

Né, del resto, l'attendibilità di tali valutazioni risulta essere inficiata da puntuali allegazioni di segno contrario né, tanto meno, dalle generiche e peraltro non incompatibili risultanze del certificato (redatto in data 15-12-2006) prodotto dalla parte datoriale contestualmente all'atto introduttivo della presente fase processuale.

Alla luce delle complessive considerazioni che precedono, pertanto, va rigettato il reclamo proposto da Parmalat s.p.a.

La particolarità della fattispecie, la natura della stessa materia trattata e la parziale condivisione delle argomentazioni difensive sostenute da parte reclamante costituiscono giusti motivi per disporre l'integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite.

P.Q.M.

- Rigetta il reclamo;

- Compensa fra le parti le spese di lite

Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di rito.

Parma, 7-2-2007

Il Presidente: Sinisi

Il Giudice relatore: Medioli Devoto

(Torna alla Sezione Mobbing)