Disconoscimento del mobbing

Tribunale di Urbino, sez. lav. (1° grado) – 6 agosto 2004 – Giud. Spaziani -  Sisti  (avv. Storti e Vitali) c. Comune di Urbino (dr. Chicarella)

Mobbing del dipendente comunale - Plurimi provvedimenti e nutriti dinieghi - Non costituiscono indici mobbizzanti, stante la possibilità giuridica di impugnarli per la disapplicazione, se illegittimi - Nè sono sintomatici di un intento psicologico di vessare.

Occorre anzitutto esaminare le domande fondate sul presunto demansionamento, con le quali, previa declaratoria di illegittimità ed eventuale disapplicazione di provvedimenti illegittimi, si invoca la condanna del Comune di Urbino sia alla reintegrazione del ricorrente nelle mansioni precedentemente espletate sia al risarcimento dei danni (patrimoniali e non patrimoniali) derivanti dal demansionamento medesimo e dalla conseguente dequalificazione professionale. Tali domande non possono tuttavia essere accolte, in quanto non risulta la sussistenza né del dedotto demansionamento sul piano sostanziale né dei profili di illegittimità formale denunciati con riguardo all'atto di assegnazione presso l'Ufficio Protocollo e Archivio. Riguardo al primo deve evidenziarsi che il Sisti non ha assolto l'onere di allegazione richiesto dalla legge. Del pari infondata è la domanda di risarcimento dei danni asseritamente derivanti da mobbing. Nel caso di specie, la sussistenza del mobbing risulterebbe, secondo le allegazioni del ricorrente, oltre che dal denunciato demansionamento (del quale tuttavia, come si è veduto, non si è potuto accertare la sussistenza per inosservanza dell'onere di allegazione), dall'insieme di atti pregiudizievoli ed illegittimi di cui egli sarebbe stato vittima (ed in seguito ai quali avrebbe riportato anche danni alla propria salute), consistenti: nell'ingiustificata privazione del diritto di proseguire la propria aspettativa; nella mancata attribuzione di un ufficio riservato e chiuso al pubblico, contrariamente a quanto era stato fatto nei confronti degli altri dipendenti inquadrati nella sua medesima qualifica; nella reiterata sottoposizione a contestazioni di addebiti disciplinari, non seguiti dalla concreta irrogazione della sanzione; dall'ingiustificato rifiuto di concedergli il permesso per motivi di studio; e dalla mancata sostituzione del dipendente Mauro Bernardini, nel periodo in cui era stato assente per ferie.  Dall'esame delle risultanze probatorie (sia documentali che testimoniali) non sembra tuttavia che gli atti e i comportamenti denunciati dal ricorrente presentino gli elementi costitutivi del mobbing sopra delineati. Innanzi tutto, infatti, non sembra neppure che essi presentino i connotati di illegittimità evidenziati nel ricorso introduttivo.
Quand'anche poi si dovessero individuare dei profili di illegittimità negli atti e comportamenti tenuti dall'amministrazione in confronto del Sisti, essi non sarebbero sufficienti per ritenere integrata una condotta di mobbing, atteso, da un lato, che dalla posizione in essere di uno o più atti illegittimi non può inferirsi la sussistenza dell'elemento oggettivo della fattispecie (non potendosi confondere la categoria della abusività o vessatorietà - che identifica la reiterazione di comportamenti che rientrano nell'ambito delle facoltà formalmente spettanti al titolare del diritto o del potere ma che non rispondono ad un suo apprezzabile interesse e risultano nocivi per altri soggetti - con la categoria della illegittimità od illiceità - che identifica atti normalmente utili per l'autore ma posti in essere contra  ius), e considerato, dall'altro lato, che la semplice illegittimità degli atti sarebbe sufficiente ai fini dell'eventuale annullamento o disapplicazione dei medesimi (e sempre che essi, diversamente da quanto accaduto nel caso di specie, avessero formato oggetto di autonoma impugnativa), ma non anche ai fini della dimostrazione dell'elemento psicologico del mobbing (non potendo desumersi automaticamente dal carattere illegittimo degli arti la finalità di mortificazione, di isolamento o addirittura di eliminazione del dipendente che ne è destinatario). Sotto tale ultimo profilo, anzi, la mancanza, nel caso di specie, del predetto elemento psicologico può ricavarsi proprio dagli esiti dei diversi procedimenti disciplinari avviati nei confronti del Sisti, in quanto la circostanza (evidenziata anche nel ricorso introduttivo) che alle diverse contestazioni di addebito (doverosamente formulate sulla base di riscontri di mancanze imputabili, almeno prima facie, all'Ufficio Protocollo e Archivio, di cui il ricorrente era responsabile) non era mai seguita l'irrogazione della sanzione, dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'assenza di intenti persecutori.
Del tutto neutre sono infine le ulteriori circostanze evidenziate nel ricorso introduttivo come sintomatiche della sussistenza di una condotta di mobbing.

Svolgimento del processo

 

Con ricorso depositato il 31 ottobre 2002, Mauro Sisti ha convenuto in giudizio il Comune di Urbino, in persona del Sindaco pro tempore, deducendo che:

- in qualità di dipendente della predetta amministrazione, era stato in servizio fino al 13 maggio 1998 presso l'Ufficio Urbanistica (seguendo le pratiche relative alle procedure di approvazione del PRG, piani di lottizzazione, espropri, ecc.);

- a far tempo dal 14 maggio 1998, era stato trasferito al Servizio Finanziario;

- a far tempo dal 22 luglio 1998, a seguito di concessione dell'aspettativa, aveva prestato servizio presso il Presidio Ospedaliere di Cagli (curando dal bilancio al personale costituito da venti dipendenti), e svolgendo, dal 28 agosto 2000, anche incarichi speciali afferenti all'attività libero-professionale dei medici e alle relazioni sindacali tra l'Azienda e il personale dirigente delle varie aree;

- il 23 gennaio 2001, a seguito di diniego di ulteriore aspettativa, aveva ripreso servizio presso il Comune di Urbino, ed era stato assegnato all'Ufficio Protocollo e Archivio, ove si era dovuto occupare di provvedere al protocollo della posta in entrata e in uscita, dell'apertura delle buste, della sistemazione e reperimento delle gazzette e dei BUR per il pubblico, della compilazione dell'elenco  delle raccomandate,  della sistemazione della posta nei  vari contenitori, dell'affrancatura e dell'invio dei fax, ed il cui personale era composto di due dipendenti di fascia B (ex 4° e 5° Livello), uno dei quali (il sig. Giuseppe Uguccioni (ex 4° livello) era stato destinato altrove sin dal giorno successivo.

Sulla base di queste deduzioni - ed assumendo in diritto l'illegittimità del comportamento dell'amministrazione, sia in ragione del fatto che la "disposizione di servizio" del 23 gennaio 2001 (con la quale gli era stata comunicata la sua assegnazione all'Ufficio Protocollo e Archivio) non era stata preceduta dall'avviso di avvio del procedimento amministrativo ai sensi della L. n. 241/1990 e ed era mancante della relativa motivazione, sia in ragione della duplice violazione dell’art. 35 del Regolamento sull'Ordinamento dei Servizi e degli Uffici del Comune (non essendo stato preceduto, il suo trasferimento, né dall'assunzione dei pareri dei dirigenti dei settori interessati né dalla preventiva concertazione con le organizzazioni sindacali), sia in ragione del carattere antisindacale della condotta (lesiva tanto della disposizione contenuta nell'art. 36 del predetto Regolamento quanto di quelle contenute negli artt. 7 e 8 del CCNL Regioni e Autonomie Locali), sia, infine, in .ragione dell'illecita attribuzione di mansioni inferiori, in violazione dell'art. 2103 c.c. e 13 dello Statuto dei lavoratori - il Sisti ha dunque domandato che, previa disapplicazione degli eventuali atti illegittimi, il Comune di Urbino fosse condannato a reintegrarlo nelle mansioni precedenti e a risarcirgli i danni (patrimoniali e non patrimoniali) derivatigli dal demansionamento e dalla conseguente dequalificazione professionale, come accertati e quantificati in corso di causa.

Con il medesimo atto introduttivo, il ricorrente ha inoltre dedotto che:

-in occasione della ripresa del lavoro presso il Comune di Urbino era stato ingiustificatamente privato del diritto di proseguire la propria aspettativa, da lui regolarmente richiesta, in data 9 gennaio 2001, per proseguire nell'incarico di dirigente amministrativo supplente presso l'Azienda USL n. 2 di Urbino;

-non ostante il suo formale inquadramento nella fascia D (ex VII Livello), e contrariamente agli altri dipendenti inquadrati nella medesima qualifica, non aveva ricevuto in dotazione un ufficio a lui riservato e chiuso al pubblico;

- sin dal momento in cui aveva ripreso il lavoro presso il Comune di Urbino era stato sottoposto, da parte del Dirigente Responsabile del Servizio Affari Generali a diversi richiami verbali e lettere di contestazione, senza seguito di provvedimenti disciplinari (in data 24 aprile 2001 gli erano stati contestati alcuni addebiti circa segnalazioni generiche di ritardi lamentati da uffici non identificati e casi particolari di lettere per le quali si era richiesta una risposta non ostante non fosse individuabile la data di deposito delle stesse presso l'Ufficio Protocollo; in data 14 giugno 2001 gli era stata consegnata una lettera in cui gli veniva contestato il ritardato inoltro di un atto all'ufficio di destinazione; in data 25 settembre 2002 gli era stata inviata una contestazione di addebito disciplinare, con la quale gli si rimproverava di aver fatto pervenire all'Ufficio Tecnico una lettera di richiesta alla partecipazione della gara di appalto per le "mura urbiche" con 23 giorni di ritardo), e tale contegno (ché  tradiva  elementi sintomatici  del  c.d. bossing,  quali le fittizie  segnalazioni di disservizio) aveva per lui determinato non solo un continuo deprezzamento e mortificazione della sua immagine professionale, ma anche l'esposizione ad una situazione oggettivamente insostenibile, che avrebbe potuto indurlo alle dimissioni, o creare  condizioni favorevoli al suo licenziamento;

-in data 14 giugno 2001, dopo che egli aveva chiesto di ottenere il permesso di assenza retribuito per motivi di studio (in funzione della sua partecipazione al corso di perfezionamento in Management presso la Facoltà di Sociologia dell'Università di Urbino, della durata di 150 ore) il Dirigente del Settore Affari Generali aveva adottato un provvedimento con cui aveva ingiustificatamente respinto la richiesta, non ostante gli avesse precedentemente rilasciato l'autorizzazione per 60 ore e l'autorizzazione con riserva per ulteriori 30 ore;

- nel periodo 12-18 aprile 2001, infine, in occasione delle ferie del dipendente Mauro Bernardini, unico addetto all'Ufficio Protocollo rimasto in servizio dopo il trasferimento dell’Uguccioni, egli ne aveva vanamente chiesto la sostituzione al Vice Dirigente, ed era stato costretto, per tutto il periodo, a sbrigare da solo le incombenze dell'ufficio.

Sulla base di queste deduzioni - ed assumendo in diritto che i surrichiamati atti e comportamenti, unitamente al dedotto demansionamento, concretassero un vera e propria condotta di mobbing, in seguito alla quale egli aveva anche riportato un pregiudizio alla salute - il Sisti ha dunque domandato che il Comune di Urbino fosse condannato a risarcirgli i danni derivanti da tale illegittimo contegno, come accertati e quantificati in corso di causa.

Si è costituito in giudizio il Comune convenuto, che ha resistito alle domande, eccependo anche l'improcedibilità delle stesse, sul presupposto della diversità tra le pretese dedotte dal ricorrente in sede di conciliazione e quelle azionate in sede giudiziaria.

Rigettata la predetta eccezione, definito negativamente il procedimento cautelare lite pendente (introdotto dall'attore con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato in data 30 marzo 2004) ed istruito il processo attraverso l'acquisizione della documentazione in atti e attraverso l'esperimento di una prova per testimoni, all'odierna udienza la causa è stata discussa e decisa nei termini di cui al dispositivo, del quale si è data lettura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1. Occorre anzitutto esaminare le domande fondate sul presunto demansionamento, con le quali, previa declaratoria di illegittimità ed eventuale disapplicazione di provvedimenti illegittimi, si invoca la condanna del Comune di Urbino sia alla reintegrazione del ricorrente nelle mansioni precedentemente espletate sia al risarcimento dei danni (patrimoniali e non patrimoniali) derivanti dal demansionamento medesimo e dalla conseguente dequalificazione professionale.

Tali domande non possono tuttavia essere accolte, in quanto non risulta la sussistenza né del dedotto demansionamento sul piano sostanziale né dei profili di illegittimità formale denunciati con riguardo all'atto di assegnazione presso l'Ufficio Protocollo e Archivio.

Riguardo al primo deve evidenziarsi che il Sisti non ha assolto l'onere di allegazione richiesto dalla legge.

In proposito occorre premettere che la disciplina delle mansioni nel pubblico impiego è rinvenibile nell'art. 52 D.Lgs. 30 marzo 2001 n.165 (già art. 56 D.Lgs. n.29/1993, come sostituito dall'art. 25 D.Lgs. n.80/1998 e successivamente modificato dall’art. 15 D.Lgs. n. 387/1998), applicabile al caso di specie in quanto il demansionamento denunciato dal ricorrente (in ragione del quale si radica la stessa giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 45, co. 17., D.Lgs. n.80/1998) risalirebbe al gennaio 2001.

Questa norma, nel prevedere che "il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive" (art. 52, comma 1, primo periodo), attribuisce anche al datore di lavoro pubblico il c.d. jus variandi, il quale, pur atteggiandosi con connotazioni e limiti diversi da quello proprio del datore di lavoro privato (cfr. l’art. 2103 c.c.), comprende tuttavia una serie di poteri e facoltà rispetto ai quali il dipendente viene a trovarsi in una posizione di mera soggezione.

Precisamente, mentre resta preclusa alla pubblica amministrazione la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni inferiori, e mentre nell'ipotesi di assegnazione a mansioni superiori troverà applicazione una differente disciplina secondo che l'assegnazione medesima sia stata legittima (art. 52, commi 2, 3, 4, 6) od illegittima (art. 52, comma 5), nella diversa ipotesi in cui il dipendente venga adibito a mansioni equivalenti, egli non potrà vantare né il diritto alla reintegrazione nelle mansioni pregresse, né il diritto al definitivo conferimento di quelle attuali, in quanto tale assegnazione costituisce una facoltà dello jus variandi riconosciuto dalla legge al datore di lavoro pubblico.

Tenuto conto di ciò, deve ammettersi che, anche con riguardo al pubblico impiego, il giudice del merito, nell'ipotesi in cui venga dedotto un demansionamento, deve compiere una complessa operazione ermeneutica al fine di verificare se effettivamente si versi nella fattispecie di illecita assegnazione a mansioni inferiori ovvero nella fattispecie di lecito esercizio dello jus variandi da parte del datore di lavoro, e ciò anche in considerazione del fatto che il giudizio di equivalenza tra le nuove mansioni assegnate e quelle precedentemente svolte non è vincolato in modo assoluto dalla classificazione rinvenibile nel contratto collettivo, dovendosi piuttosto accertare in concreto se il mutamento non comporti un aggravio della prestazione lavorativa, non pregiudichi il lavoratore sul piano della carriera, importando la dispersione dei corredo di nozioni ed esperienze acquisite, e non incida sulla categoria e sul grado di appartenenza, determinando una collocazione più sfavorevole nella gerarchla dell'ente (cfr., in termini, con riguardo al lavoro privato, Cass. 8 aprile 1991 n. 3661).

La complessità dell'operazione del giudice (che si snoda attraverso fasi successive, comprendenti l'accertamento in fatto delle mansioni in concreto svolte prima e dopo il mutamento, la individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria, e il raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda: cfr., ad es., Cass. 11 gennaio 1990 n. 54) rende doverosa per l'interessato, ai sensi dell'art. 414 n.4 c.p.c., la precisa prospettazione di tutti gli elementi di indagine da sottoporre al giudizio, e specificamente, da un lato, del contenuto concreto delle mansioni svolte prima e dopo il cambiamento e, dall'altro lato, previo deposito del CCNL ritenuto applicabile, delle qualifiche e dei gradi previsti dallo stesso, onde si possa procedere sia al  necessario confronto  tra le mansioni medesime, sia alla loro comparazione con le declaratorie contrattuali, sia, infine, alla conseguente formulazione del giudizio di equivalenza o meno delle mansioni successive rispetto alle precedenti (cfr., in termini, Cass. 18 agosto 1997 n. 7641).

Questo onere di  allegazione non è stato invece assolto  nella fattispecie in esame.

Da un lato, infatti, il Sisti, pur indicando con sufficiente precisione le mansioni che avrebbe svolto presso l'Ufficio Protocollo ed Archivio (deducendo che in tale ufficio si era dovuto occupare del protocollo della posta in entrata e in uscita, dell'apertura delle buste, della sistemazione e reperimento delle gazzette e dei BUR per il pubblico, della compilazione dell'elenco delle raccomandate, della sistemazione della posta nei vari contenitori, dell'affrancatura e dell'invio dei fax), non ha invece indicato con altrettanta precisione quelle che avrebbe svolto prima del presunto demansionamento (tacendo del tutto sulle mansioni espletate nel periodo in cui era stato adibito al Servizio Finanziario, e limitandosi, con riguardo al periodo in cui era stato adibito all'Ufficio Urbanistica, alla generica allegazione secondo cui avrebbe "seguito" le pratiche relative alle procedure di approvazione del PRG, dei piani di lottizzazione e degli espropri, senza precisare in concreto in cosa consistessero i suoi compiti).

Dall'altro lato, egli ha del tutto omesso di sottoporre al giudice le qualifiche e i gradi di riferimento previsti dalla contrattazione collettiva, limitandosi a depositare uno stralcio del CCNL Comparto Regioni ed Autonomie locali del 1° aprile 1999 in cui sono riportati soltanto gli artt. 7 e 8, che disciplinano specifici aspetti delle relazioni sindacali (cfr. doc, all. 14 del fascicolo di parte attrice), senza depositare invece il testo contrattuale in cui  sono contenute le declaratorie  relative  alle  diverse  categorie  di classificazione del personale.

Deve pertanto concludersi che il ricorrente non ha fornito al giudice né gli elementi necessari per operare il raffronto tra le mansioni precedenti e quelle successive né gli elementi necessari per operare il confronto di esse con la declaratoria contrattuale.

Poiché allora non è possibile formulare un giudizio di prevalenza o di equivalenza delle mansioni pregresse rispetto a quelle attuali, e poiché alla carenza di prospettazione della parte non può supplirsi d'ufficio (in quanto i poteri istruttori previsti dall'art.421 c.p.c. possono al più incidere sull'onere della prova, ma non anche sull'onere di allegazione previsto dall’art. 414 n.4 c.p.c., la cui mancata assoluzione, con l'atto introduttivo del giudizio, comporta una vera e propria decadenza della parte: Cass., Sez. un., 13 luglio 1993 n. 7708), deve escludersi che possa ritenersi integrato il denunciato demansionamento.

1.B. Manifestamente infondate sono, poi, le censure formulate dal ricorrente in relazione alla legittimità formale della "disposizione di servizio" del 23 gennaio 2001, con la quale gli era stata comunicata la sua assegnazione all'Ufficio Protocollo ed Archivio del Comune, in qualità di responsabile del medesimo (cfr. doc. ali. n.7 del fascicolo di parte attrice).

Con la prima di queste censure Mauro Sisti ha dedotto l'illegittimità dell'atto in esame per non essere stato preceduto dall'avviso di avvio del procedimento amministrativo, ai sensi della legge n. 241/1990, e per la mancanza della relativa motivazione.

Al riguardo deve tuttavia ricordarsi che, ai sensi dell'art. 63, comma 1, D. Lgs. n. 165/2001, sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti .

Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica se illegittimi. L'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto amministrativo rilevante nella controversia non è causa di sospensione del processo.

Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, il giudice adotta nei confronti delle pubbliche amministrazioni tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati.

Tale ultima norma va coordinata con quella che prevede l'applicabilità ai rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti delle disposizioni del capo I, Titolo II, del Libro V del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa (art. 2, comma 2, D. Lgs. n. 165/2001) e con quella che attribuisce all'amministrazione i poteri del privato datore di lavoro (art. 5 D. Lgs. n. 165/2001).

Alla luce di queste disposizioni deve dunque distinguersi, nell'ambito dei provvedimenti adottati dall'ente in confronto dei suoi dipendenti, tra atti intermedi o presupposti (i quali nel procedimento di formazione della volontà  dell'ente, costituiscono il presupposto  dell'atto  direttamente  lesivo  del  lavoratore),  e  atti finali (direttamente incidenti sulla posizione lavorativa).

Per quanto concerne i primi (si pensi, per es., ad un provvedimento di variazione della pianta organica che determini un trasferimento di un dipendente, oppure ad un atto di organizzazione che comporti un mutamento di mansioni), non vi è dubbio che essi presentino caratteri autoritativo-discrezionali, e siano pertanto idonei a degradare la posizione soggettiva del privato prestatore di lavoro da diritto soggettivo ad interesse legittimo.

Tali atti, infatti, ove ritenuti illegittimi - per incompetenza relativa, violazione di legge od eccesso di potere - potranno essere impugnati dinanzi al giudice amministrativo (anche se la validità dell'atto presupposto non darà mai luogo ad una questione pregiudiziale amministrativa da decidere con efficacia di giudicato, in quanto la predetta impugnativa non sarà causa di sospensione del processo dinanzi al giudice del lavoro) e potranno essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice del lavoro se rilevanti ai fini della decisione della controversia (senza che possa profilarsi un pericolo di contrasto tra giudicato civile e giudicato amministrativo, in quanto la disapplicazione del giudice del lavoro, avendo carattere meramente incidentale, non potrà avere una simile efficacia in ordine alla validità dell'atto).

Con riguardo invece agli atti (finali) che incidano direttamente sulla sfera giuridica del dipendente (ad es. l'atto che ne preveda il trasferimento, o il mutamento di mansioni, o che stabilisca la cessazione del rapporto) deve escludersi  ogni  connotazione autoritativa o discrezionale,  in quanto  il giudice del lavoro può adottare nei confronti dell'ente "tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati" (art. 63, comma 2, cit.).

Da tale fondamentale premessa derivano diverse conseguenze:

a) in primo luogo la pubblica amministrazione, nel momento in cui emana atti (finali) che incidono direttamente sul rapporto di lavoro non opera come "pubblica autorità", ma come parte contrattuale di un rapporto fondato su base paritetica, che agisce con i poteri del privato datore di lavoro (art.5 D.Lgs. cit.);

b) in secondo luogo i predetti atti non sono qualificabili come provvedimenti amministrativi, ma come atti negoziali unilaterali (atti di gestione, secondo la definizione datane da una parte della dottrina) che si inseriscono nella dinamica del rapporto contrattuale esclusivamente  alle  organizzazioni  sindacali  e non anche al  singolo dipendente (cfr., ad es. Cass. 19 febbraio 1982 n. 1067).

2. Del pari infondata è la domanda di risarcimento dei danni asseritamente derivanti da mobbing.

2.A. Al riguardo deve premettersi che la fattispecie del mobbing (dal verbo inglese to mob, attaccare, assalire, termine con il quale, in etologia, si suole indicare il comportamento di talune specie animali, nel momento in cui circondano minacciosamente un membro del gruppo allo scopo di  allontanarlo) si può ritenere integrata, nei rapporti tra un dipendente e i suoi superiori, allorché si versi in presenza di reiterati comportamenti, anche formalmente legittimi, e tuttavia finalizzati ad isolare il dipendente, e, nei casi più gravi, ad espellerlo dall'ambiente di lavoro.

                    Tale fattispecie (la quale, sotto il profilo dogmatico, può essere ricondotta alla figura dell' "abuso del diritto", in quanto costituita da          condotte che, isolatamente considerate, potrebbero apparire quale legittimo esercizio delle facoltà connesse ad un diritto soggettivo o ad un potere giuridico, ma che, nel loro complesso, si appalesano concretamente illegittime e ingiustamente dannose),ècaratterizzata,secondo l'elaborazione dottrinale, da due elementi, l'uno materiale (costituito da una serie di condotte aggressive e vessatorie, alle quali consegue l'effetto di intaccare l'equilibrio psichico de! lavoratore, menomandone la fiducia in se stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e, talora, persine suicidio)  e l'altro psicologico  (costituito  dalla finalità di  isolamento, mortificazione e persine eliminazione del dipendente).

2.B. Nel caso di specie, la sussistenza del mobbing risulterebbe, secondo le allegazioni del ricorrente, oltre che dal denunciato demansionamento (del quale tuttavia, come si è veduto, non si è potuto accertare la sussistenza per inosservanza dell'onere di allegazione), dall'insieme di atti pregiudizievoli ed illegittimi di cui egli sarebbe stato vittima (ed in seguito ai quali avrebbe riportato anche danni alla propria salute), consistenti: nell'ingiustificata privazione del diritto di proseguire la propria aspettativa; nella mancata attribuzione di un ufficio riservato e chiuso al pubblico, contrariamente a quanto era stato fatto nei confronti degli altri dipendenti inquadrati nella sua medesima qualifica; nella reiterata sottoposizione a contestazioni di addebiti disciplinari, non seguiti dalla concreta irrogazione della sanzione; dall'ingiustificato rifiuto di concedergli il permesso per motivi di studio; e dalla mancata sostituzione del dipendente Mauro Bernardini, nel periodo in cui era stato assente per ferie.

2.C. Dall'esame delle risultanze probatorie (sia documentali che testimoniali) non sembra tuttavia che gli atti e i comportamenti denunciati dal ricorrente presentino gli elementi costitutivi del mobbing sopra delineati. 2.D. Innanzi tutto, infatti, non sembra neppure che essi presentino i connotati di illegittimità evidenziati nel ricorso introduttivo.

Per quanto concerne il rigetto della domanda di usufruire di un ulteriore periodo di aspettativa oltre quello già precedentemente goduto (domanda formulata dal ricorrente in data 9 gennaio 2001 e rigettata dall'amministrazione con provvedimento del successivo 15 gennaio: cfr. docc. all. nn.19 e 20 del fascicolo di parte attrice), deve rilevarsi che il provvedimento negativo dell’amministrazione aveva trovato fondamento nella disposizione contenuta nell'art. 14 CCNL Comparto Regioni ed Autonomie Locali sottoscritto il 14 settembre 2000 (e dunque in vigore al momento della richiesta), la quale prevede che, salvo specifiche eccezioni, il dipendente non può usufruire continuativamente di due periodi di aspettativa, anche se richiesti per motivi diversi, se tra essi non intercorrano almeno sei mesi di servizio attivo (cfr. lo stralcio di tale CCNL allegato al fascicolo di parte convenuta: doc. n. 16).

Per quanto concerne la negazione dei permessi di assenza retribuiti per motivi di studio, deve rilevarsi che il provvedimento negativo dell'amministrazione (emesso in data 14 giugno 2001: cfr. doc. all. n. 32 del fascicolo di parte attrice) aveva trovato fondamento nella disposizione contenuta nell'arti5 del CCNL sopra citato (cfr. nuovamente lo stralcio dello stesso versato nel fascicolo di parte convenuta: doc. n.16), secondo la quale la concessione dei permessi retribuiti è subordinata alla condizione che vengano richiesti per la partecipazione a corsi destinati al conseguimento di titoli di studio universitari, post-universitari, di scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute, o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali o attestati professionali riconosciuti dall'ordinamento pubblico e per sostenere i relativi esami, tra i quali non era ricompreso quello frequentato dal ricorrente.

Per quanto concerne le ripetute contestazioni di addebiti disciplinari, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso introduttivo, deve recisamente escludersi che esse avessero concretato delle "fittizie segnalazioni di disservizio", in quanto, al contrario, erano state determinate dal riscontro di obiettivi ritardi nel protocollo degli atti in entrata o nell'inoltro di quelli in uscita (la missiva del 24 aprile 2001 era stata determinata dal riscontro che talune lettere provenienti da altri enti pubblici erano state protocollate diversi giorni dopo la loro spedizione o il loro arrivo presso l'Ufficio Postale di Urbino: cfr. doc. all. n. 23 del fascicolo di parte attrice; la missiva del 14 giugno 2001 era stata determinata dal riscontro che una nota della Provincia, avente ad oggetto la convocazione di una riunione del Comitato Provinciale del Territorio per il 7 giugno 2001, era stata inoltrata all'Ufficio Urbanistica successivamente a tale data: cfr. doc. all. n. 25 del fascicolo di parte attrice; la contestazione di addebito del 25 settembre 2002 era stata determinata dal fatto che una lettera contenente la richiesta di partecipazione alla gara di appalto per le "mura urbiche", presentata dalla ditta interessata in data 20 agosto 2002, era stata trasmessa all'Ufficio Tecnico soltanto il successivo 12 settembre: cfr. docc. all. nn. 41-45 del fascicolo di parte attrice).

2.E. Quand'anche poi si dovessero individuare dei profili di illegittimità negli atti e comportamenti tenuti dall'amministrazione in confronto del Sisti, essi non sarebbero sufficienti per ritenere integrata una condotta di mobbing, atteso, da un lato, che dalla posizione in essere di uno o più atti illegittimi non può inferirsi la sussistenza dell'elemento oggettivo della fattispecie (non potendosi confondere la categoria della abusività o vessatorietà - che identifica la reiterazione di comportamenti che rientrano nell'ambito delle facoltà formalmente spettanti al titolare del diritto o del potere ma che non rispondono ad un suo apprezzabile interesse e risultano nocivi per altri soggetti - con la categoria della illegittimità od illiceità - che identifica atti normalmente utili per l'autore ma posti in essere contra  ius), e considerato, dall'altro lato, che la semplice illegittimità degli atti sarebbe sufficiente ai fini dell'eventuale annullamento o disapplicazione dei medesimi (e sempre che essi, diversamente da quanto accaduto nel caso di specie, avessero formato oggetto di autonoma impugnativa), ma non anche ai fini della dimostrazione dell'elemento psicologico del mobbing (non potendo desumersi automaticamente dal carattere illegittimo degli arti la finalità di mortificazione, di isolamento o addirittura di eliminazione del dipendente che ne è destinatario).

Sotto tale ultimo profilo, anzi, la mancanza, nel caso di specie, del predetto elemento psicologico può ricavarsi proprio dagli esiti dei diversi procedimenti disciplinari avviati nei confronti del Sisti, in quanto la circostanza (evidenziata anche nel ricorso introduttivo) che alle diverse contestazioni di addebito (doverosamente formulate sulla base di riscontri di mancanze imputabili, almeno prima facie, all'Ufficio Protocollo e Archivio, di cui il ricorrente era responsabile) non era mai seguita l'irrogazione della sanzione, dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, l'assenza di intenti persecutori.

2.F. Del tutto neutre sono infine le ulteriori circostanze evidenziate nel ricorso introduttivo come sintomatiche della sussistenza di una condotta di mobbing,

La circostanza che, contrariamente agli altri dipendenti aventi la sua stessa qualifica, il ricorrente non aveva ricevuto l'assegnazione di un ufficio riservato e chiuso al pubblico, anche se fosse provata (ma in proposito deve evidenziarsi che, nella memoria difensiva, il Comune convenuto ha recisamente contestato l'affermazione secondo la quale il Sisti fosse l'unico funzionario inquadrato nella categoria D a trovarsi in questa situazione), non potrebbe evidentemente ex se essere qualificata come sintomatica di un atteggiamento aggressivo e vessatorio, specie se si tenga conto del fatto che, successivamente all'attribuzione al Sisti della responsabilità dell'Ufficio Protocollo e Archivio (e dopo un primo periodo in cui egli aveva potuto contare sulla collaborazione del solo dipendente Bernardini, in ragione del trasferimento del dipendente Uguccioni), l'amministrazione aveva proceduto ad un potenziamento dell'Ufficio, disponendo il rientro dell’Uguccioni ed aumentando così di una unità il numero dei dipendenti addetti (cfir., sul punto, sia le dichiarazioni del teste Bruno Petricca, il quale, dopo aver premesso di svolgere le funzioni di ufficiale giudiziario presso il Tribunale di Urbino e di recarsi quotidianamente in Comune per provvedere all'attività di notificazione, ha aggiunto di aver notato negli ultimi tempi la presenza di tre addetti all'Ufficio Protocollo e Archivio, in luogo dei due addetti presenti in precedenza, sia le dichiarazioni del teste Enzo Brunori, Vice Dirigente del Servizio Affari Generali, il quale ha precisato che l'aumento del numero di addetti era dipeso dal ritorno dell'Uguccioni: rispettivamente, verbale d'udienza del 28 novembre 2003 e verbale d'udienza del 1° aprile 2004.

Alla circostanza relativa alla mancata sostituzione del dipendente Bernardini nel periodo in cui aveva goduto delle ferie non può invece attribuirsi alcun rilievo, non solo in considerazione della brevità del periodo medesimo (circoscritto, secondo le stesse deduzioni contenute nel ricorso, ai giorni 12-18 aprile 2001), ma anche in considerazione del fatto che tale contegno rientra notoriamente nel normale modo di procedere delle amministrazioni pubbliche, le quali solo in casi di eccezionale necessità provvedono alla sostituzione dei dipendenti in congedo ordinario.

Per questi motivi le domande formulate da Mauro Sisti nei confronti del Comune di Urbino, risultate non fondate, devono essere rigettate.

3. Le spese del giudizio, in cui sono comprese quelle dell'incidente cautelare, devono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendo

giusti motivi, ai sensi dell'art. 92, 2°comma, c.p.c., desumibili dalla natura dei diritti di cui si è invocata la tutela.

P.Q.M.

Il Giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede:

1 - rigetta le domande formulate da Mauro Sisti nei confronti del Comune di Urbino;

2- compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Urbino 29 luglio 2004 (depositato il 6.8.2004)

Il Giudice

Paolo Spaziani

(Ritorna alla Sezione Mobbing)